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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Dieci anni di apertura al pubblico della Biblioteca del Senato
n. 16 (Nuova Serie), agosto 2013

Il Palazzo e la Galleria Doria Pamphilj (Prima parte)

Palazzo DoriaRestando nella stessa area, ma cambiando periodo rispetto ai monumenti - tutti di epoca romana - fin qui descritti nella nostra rubrica, ci occuperemo questa volta del grande Palazzo su via del Corso, di proprietà dei Doria-Pamphilj, e della sua Galleria, ricca di capolavori dell'arte antica e moderna.

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1. Il Palazzo

2. Gli appartamenti e la cappella

3. L'Archivio

4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Il Palazzo

Del monumentale palazzo, continuamente ampliato nell'arco di quattro secoli in vari corpi di fabbrica, ma integro nelle sue parti fondamentali e nei sontuosi interni, e soprattutto, tra i pochissimi a Roma ancora occupati dagli antichi proprietari, si hanno notizie fin dal secolo XV, quando era abitazione dei cardinali diaconi dell'antica Chiesa di S. Maria in Via Lata. I primi lavori importanti di ampliamento e di abbellimento furono infatti eseguiti dal cardinale Fazio Santoro, canonico di quella Chiesa, verso la metà del '400 ed è in quel periodo che nell'edificio rinnovato fu costruito il cortile quadrangolare a porticati e logge, di impianto bramantesco. Il nuovo proprietario fu poi indotto dal Pontefice Giulio II a farne donazione al proprio nipote Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, che provvide ad altri lavori e completamenti.

Il 6 ottobre 1601, già arricchito nell'interno di opere d'arte e preziose suppellettili, l'edificio passò in proprietà a Pietro Aldobrandini, cardinal nipote dal 1593 fino alla morte dello zio Clemente VIII, che l'ampliò ulteriormente. Dal 1601 al 1647 infatti, gli Aldobrandini vi lavorarono ininterrottamente affidandosi all'architetto di palazzo, Giovanni Antonio de Pomis, a cui subentrò Giovanni Pietro Moraldi, che completò i lavori tra il 1646 e il 1648.

Alla morte del cardinale Ippolito Aldobrandini rimase unica erede del patrimonio Olimpia, principessa di Rossano e già vedova di Paolo Borghese, la quale nel 1647 andò sposa a Camillo Pamphilj, figlio di Panfilio e di Donna Olimpia Maidalchini, e nipote quindi, di papa Innocenzo X.

Da questo momento le sorti e il nome del palazzo di via del Corso si legarono a quelli di una delle più potenti famiglie della Roma seicentesca: i Pamphilj, originari di Gubbio. Grazie ad un'accorta politica matrimoniale e all'attività prestata al servizio di vari pontefici sin dal loro arrivo a Roma, verso la fine del XIV secolo, essi arrivarono presto a far parte della nobiltà cittadina e a ricoprire ruoli sempre più influenti nella società romana. La loro fortuna fu legata soprattutto al papa Innocenzo X, al secolo Giovan Battista Pamphilj, il quale, grazie alla disponibilità economica della cognata Olimpia Maidalchini, poté intraprendere quella brillante carriera ecclesiastica che l'avrebbe portato nel 1644 al soglio pontificio. Rispettando la tradizione nepotistica dei papi rinascimentali, anche il nuovo pontefice nominò cardinal nipote Camillo, il primogenito del fratello Pamphilio e della citata cognata. Era infatti consuetudine che i pontefici, subito dopo essere stati eletti, si circondassero di una corte di parenti, amici e clienti che convergevano a Roma da ogni parte d'Italia per impossessarsi dei lucrosi uffici disponibili. Questi uomini divenivano spesso i principali mecenati e committenti di imprese artistiche; essi infatti, non appena giunti a Roma, cominciavano a costruire palazzi, cappelle e quadrerie e a organizzare sfarzosi spettacoli di ogni genere, salvo poi cadere in disgrazia subito dopo la morte del papa.

Camillo Pamphilj però, dopo soli tre anni di cardinalato, lasciò la porpora per sposare Olimpia Aldobrandini, la quale portò in dote i feudi di Romagna, alcune ville fuori Roma e il palazzo al Corso di cui stiamo parlando. Fuori dalla vita pubblica egli coltivò la sua passione per l'arte e fu collezionista e committente.

La sede ufficiale della famiglia Pamphilj, fino a questo matrimonio, era stata il monumentale palazzo di piazza Navona, oggi sede dell'ambasciata brasiliana, ma vista l'ostilità della potente Olimpia Maidalchini, i due novelli sposi si trasferirono nel palazzo di via del Corso solo nel 1654. A partire da questo momento cominciò il periodo di maggior splendore del palazzo e i lavori intrapresi dagli Aldobrandini proseguirono a opera dei Pamphilj, interessando anche il lato posteriore del palazzo, che cominciò ad espandersi grazie a nuovi acquisti e a demolizioni di edifici vicini. Nel 1659 Camillo chiamò l'architetto Antonio del Grande a dirigere la fabbrica sul Collegio Romano; egli, a seguito della demolizione del cinquecentesco palazzo Salviati, realizzò i prospetti sulle vie Lata e della Gatta e diede vita all'appartamento pamphiliano, con saloni accompagnati da anticamere e fiancheggiati da salottini. Sempre in questo periodo si dette inizio alla raccolta di opere d'arte; nella ricca dote di Olimpia Aldobrandini, rientrava infatti anche la sua collezione di dipinti, in cui erano confluiti i capolavori sottratti al "Camerino d'Alabastro" del ducato di Ferrara.

All'architetto Antonio del Grande subentrò prima Giovanni Pietro Moraldi (attivo tra il 1673 e il 1677) e poi Mattia De Rossi nel 1678. Il nuovo architetto di palazzo, attivo fino al 1714, fu Carlo Fontana, a cui si dovette la demolizione della cappella Aldobrandini, al posto della quale fu costruita l'anticamera del piano nobile. L'opera di Camillo Pamphilj fu invece continuata dal figlio, il cardinale Benedetto, anch'egli protettore di artisti e appassionato di pittura fiamminga, che fece erigere al primo piano del palazzo la cappella privata, realizzata su progetto di Carlo Fontana, con un passaggio comunicante con l'attigua Chiesa.

Subito dopo la morte di questo Cardinale, fra il 1730 e il 1735, Gabriele Valvassori costruì la nuova facciata su via del Corso, lasciandoci il migliore esempio, seppur non tra i primi, di barocchetto romano; si tratta di una delle architetture più originali e innovatrici della prima metà del '700 romano, presenta un accentuato andamento orizzontale e alcune novità lessicali di derivazione borrominiana unite a novità distributive, come lo spostamento alle estremità delle ali, dei portali secondari e l'inserimento di due terrazze laterali a raccordare il piano terra al contesto urbano.

Al Valvassori si deve anche la chiusura delle arcate del porticato bramantesco al piano superiore, che trasformò quest'ala nella grandiosa Galleria degli Specchi, ideale ambiente espositivo per la collezione di dipinti incrementata da Camillo. Il posto del Valvassori fu preso nel 1739 da Palo Ameli, autore dell'estesa facciata lungo via del Plebiscito - con i "borromineschi" portali balconati - e dello scalone su via del Corso.

Nel frattempo un altro matrimonio aveva segnato le sorti della famiglia Pamphilj. La secondogenita del suddetto Principe Camillo, Donna Anna Pamphilj, aveva sposato nel 1671 il Principe genovese Giovanni Andrea III Doria. Così, quando nel 1760, Girolamo Pamphilj morì senza eredi maschi, si aprì la successione per la quale concorsero i Borghese e i Doria. I primi in virtù del matrimonio di Olimpia Aldobrandini con Paolo Borghese in prime nozze, i secondi per il matrimonio appena citato. Il papa Clemente XIII concesse al principe Giovanni Andrea IV Doria il cognome, le insegne e i beni Pamphilj. Inoltre, stante l'obbligo di residenza nello Stato pontificio per i titolari di ingenti patrimoni immobiliari sul territorio, i Doria dovettero lasciare Genova per prendere sede definitiva a Roma dove, nel palazzo del Corso, ancora oggi risiedono gli eredi, ormai Doria-Pamphilj.

In occasione delle nozze del principe Andrea IV Doria-Pamphilj con Leopoldina di Savoia Carignano vennero effettuati nuovi lavori ad opera dell'architetto trapanese Francesco Nicoletti che tra il 1767 e il 1769 diresse la fabbrica, coordinando tra l'altro, un'équipe di pittori tardobarocchi incaricati di decorare i soffitti con dipinti dal chiaro intento celebrativo.

Nel XIX secolo pochi mutamenti furono apportati: Filippo Andrea V (1813-1876), con l'aiuto del suo architetto di fiducia, Andrea Busiri Vici, volle dare alla collezione e al palazzo una ventata di novità, adeguandosi negli acquisti e nell'allestimento a criteri nuovi e fece sistemare la facciata su via della Gatta e su piazza Grazioli, oltre a creare un salone da ballo.

In seguito il principe Alfonso separò la Galleria dagli oggetti d'arte degli appartamenti, favorendo così il pubblico accesso alla inestimabile raccolta.

2. Gli appartamenti e la cappella

Gli appartamenti del palazzo, ancora oggi abitati dagli attuali discendenti e in parte accessibili al pubblico, furono variamente decorati nel tempo fino alla riconfigurazione impressa loro dai Doria dopo il 1763, anno in cui, come abbiamo visto, si trasferirono a Roma, avendo ottenuto la fusione dinastica con i Pamphilj.

I soffitti delle stanze di rappresentanza furono affrescati in stile barocco nel 1767 e offrono così, ancora oggi, un'interessante rassegna di pitture romane di quella fase del Settecento; alcune di queste sale poi, conservano ancora l'arredamento originale e l'originaria disposizione: vi si trovano consoles e poltrone del Seicento e del Settecento; pregiati mobili con piani in marmo d'Aquitania e in alcune pareti, sottili arazzi settecenteschi della manifattura di Gobelins. Particolarmente interessante è la "Sala del Pussino", un vastissimo ambiente contraddistinto dai numerosi pezzi del Pussino, soprannome che Gaspard Dughet derivò dal cognato Nicolas Poussin; su tutte le pareti è distribuita una serie di paesaggi di campagna romana estiva, priva di presenze umane e dai formati diversi. Gran parte di questa sequenza fu in origine realizzata per oggetti che oggi sono dimenticati: si trattava di superfici dipinte su due facce, che servivano a dividere gli spazi e probabilmente a decorare e proteggere dei letti, secondo criteri per qualche aspetto influenzati da contatti con l'Estremo Oriente. Degna di nota è anche la "Sala del Trono", nella quale è custodito un trono rivolto alla parete e che viene girato solo in caso di visita di pontefici, secondo un'antica usanza romana. Infine la "Sala da Ballo" realizzata da Andrea Busiri Vici nel secondo Ottocento mantiene, della precedente decorazione, le grisaglie sulle parti curve del soffitto e conserva alcuni oggetti particolari nello stallo dell'orchestra: una gabbia per uccelli datata 1767, un'arpa del XVIII secolo e due antiche livree. Ma negli appartamenti è possibile anche vedere alcuni capolavori d'arte: i due ritratti di Andrea Doria e quello di Giannettino, i tre Beccafumi, i tre Pietro Longhi della sala veneziana, i quattro Brueghel dei velluti, nella sala rossa.

Nel palazzo c'è anche un luogo intimo, dedicato alla preghiera. Si tratta della cappella voluta dal figlio di Camillo, Benedetto Pamphilj, progettata da Carlo Fontana tra il 1689 e il 1691 e più volte rimaneggiata nei secoli successivi. A metà dell'Ottocento la volta fu affrescata con una Incoronazione della Vergine dal pittore purista Tommaso Minardi, mentre sul soffitto dell'anticapella è possibile ammirare la Decorazione a monocromo e finta prospettiva che crea la sensazione visiva della presenza di una cupola.

3. L'Archivio

Nei vasti ambienti del Palazzo trova posto anche l'archivio storico della famiglia, ospitato in un ambiente progettato dall'architetto di palazzo, Andrea Busiri Vici, nel 1879. Come risulta chiaro dalle vicende storiche di questa famiglia, l'Archivio è costituito da documenti appartenenti a diverse famiglie principesche italiane che confluirono, grazie a unioni matrimoniali e lasciti ereditari, in un unico fondo eccezionalmente ricco. Inoltre, visto il ruolo che i Doria e i Pamphilj rivestirono per secoli nella storia italiana, tale Archivio oggi non costituisce solo una raccolta di documenti relativi alla storia e agli affari della famiglia, ma è un bene di interesse nazionale (come dimostra la "Dichiarazione di notevole interesse storico" emessa nel 1965 dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio). L'archivio Doria si formò a Genova per iniziativa dell'ammiraglio Andrea Doria (1466-1560) e comprende documenti cartacei e pergamenacei prodotti tra il IX e il XX secolo nei diversi feudi della famiglia. Più tardi, confluì il fondo Landi. Tramite i Pamphilj, invece, si guadagnò il fondo Facchinetti, che ha permesso di chiarire alcune provenienze eccellenti di dipinti nella collezione come Susanna e i vecchioni, restituita ad Annibale Carracci. Gli archivi delle due famiglie si fusero solo cento anni dopo l'importante matrimonio del 1671 tra Giovanni Andrea III Doria Landi e la pronipote di Innocenzo X, Anna Pamphilj, e da allora continuò ad accrescersi grazie ai documenti prodotti dalle diverse generazioni della famiglia. Solo quando i Doria-Pamphilj vennero iscritti all'albo delle famiglie nobili romane, nel 1854, tutta la documentazione conservata a Genova, nei feudi e nelle proprietà italiane (Melfi, Romagna e Lazio) venne fatta confluire a Roma e qui sottoposta ad inventario.

4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Il Palazzo e la Galleria Doria Pamphilj. Percorso bibliografico nelle collezioni della biblioteche del Senato e della Camera. Per ulteriori approfondimenti è possibile proseguire la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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