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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 51 (Nuova Serie), giugno 2019

Antonio Fogazzaro

Abstract

Scrittore noto in tutto il mondo, Antonio Fogazzaro fu Senatore dal 1900 al 1911: ripercorriamo brevemente i momenti salienti della sua vita letteraria e politica, entrando poi tra le pagine del romanzo Daniele Cortis, annoverato a buon diritto nella breve stagione dei romanzi "di ambiente parlamentare".

1. Cenni biografici

2. Fogazzaro scrittore

3. L'esperienza parlamentare nel romanzo e nella vita: il Daniele Cortis

4. Dentro il romanzo

5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Cenni biografici

Antonio Fogazzaro nacque a Vicenza il 25 marzo 1842. Il padre Mariano, cattolico, industriale tessile, nel 1848 fu membro della Giunta e del Governo provvisorio che dirigeva la lotta di resistenza della città contro gli Austriaci.

I primi studi di Antonio furono seguiti dallo zio sacerdote, don Giuseppe, e, durante il liceo, dal poeta Giacomo Zanella che lo introdusse allo studio della letteratura italiana ed europea, soprattutto Heinrich Heine e François-René de Chateaubriand, e stimolò nel giovane Fogazzaro quella riflessione sul rapporto tra scienza e religione su cui si interrogherà continuamente nel corso della sua vita. Nel 1858 si iscrisse, per volontà del padre, alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova, ma dopo due anni la famiglia si trasferì a Torino in autoesilio dal Veneto ancora sotto il dominio austriaco.

Laureatosi, intraprese con riluttanza la carriera forense, prima a Torino e successivamente a Milano, dove frequentò il gruppo di giovani letterati e intellettuali "scapigliati": tra gli altri, Emilio Praga e Camillo e Arrigo Boito.

Il padre, che si era sempre impegnato in politica, all'indomani della liberazione del Veneto fu eletto deputato nel collegio di Marostica, mandato che mantenne fino al 1873.

In seguito al matrimonio con la contessa Margherita di Valmarana e superato l'esame di procuratore, nel 1868 Antonio Fogazzaro abbandonò definitivamente l'attività forense e tornò a Vicenza, dove nacque la prima figlia: inizialmente impegnato nella scrittura di alcune pagine iniziali di un romanzo, si concentrò principalmente sulla scrittura in versi, per poi ritornare al romanzo, forma letteraria che lo renderà noto in tutto il mondo.

Negli stessi anni si riavvicinò alla pratica religiosa, che aveva per qualche anno abbandonato: in realtà nel corso della sua intera vita il sentimento religioso, anche in ragione dell'educazione cattolica ricevuta e della presenza - sia in famiglia che nelle relazioni più strette - di membri del clero, era sempre presente e non poteva non essere riflesso nella sua opera, come illustra anche Benedetto Croce:

Alla fama di Fogazzaro non hanno concorso ragioni puramente letterarie, perché egli si presenta, oltre che con parole di artista, con un intero sistema di idee religiose, metafisiche, etiche, politiche, estetiche

(Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1921-1940, vol. IV, p. 129)

Il cattolicesimo del Fogazzaro informò la sua stessa vita, portandolo a impegnarsi in diverse cariche pubbliche, proprio a partire dai suoi principi cattolici:

Per il Fogazzaro l'angoscia di vivere una vita di privilegio, contraria ai suoi pricipî, e l'impossibilità di rinunciare a una ricchezza non sua, lo condussero a una concezione sempre più rigida dei suoi doveri sociali. Gli parve insufficiente essere romanziere e poeta: sentì la necessità, per la pace della sua coscienza, di assumere molti di quegli uffici che per essere gratuiti sembrano destinati appunto ai ricchi che hanno l'obbligo più grave di un lavoro disinteressato.

Fu quindi Consigliere del Comune di Caldogno (1885), Membro della Congregazione di Carità di Vicenza (1886), Membro del Consiglio scolastico provinciale (15 ottobre 1886), Presidente del Consiglio direttivo degli Asili di Carità per l'Infanzia di Vicenza (1 dicembre 1886), Membro della Commissione alle Cose Patrie (16 maggio 1887). A ciascuna di queste cariche egli consacrò una energia e del tempo, strappati alle occupazioni predilette. Disciplinò la sua vita in modo che una parte di essa fosse dei poveri.

(Gallarati Scotti 1934, p. 171-172)

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2. Fogazzaro scrittore

Nel momento in cui Fogazzaro riconobbe la scrittura come sua vocazione, facendone dunque la sua occupazione principale, elaborò il poemetto in endecasillabi sciolti Miranda, pubblicato a spese del padre nel 1874. Il Gallarati Scotti, amico e biografo dell'autore, riporta le impressioni che questo esordio letterario provocarono in Fogazzaro:

«Miranda ebbe complessivamente un bel successo [...]. Ne fu parlato e scritto molto. Non mi mancarono le censure anche acerbe, specialmente di letterati illustri, ma ebbi pure molte e profonde soddisfazioni di amor proprio. Piacque specialmente alle persone molto colte, ma non facenti professione di letteratura. L'onore più grande mi fu fatto da Gino Capponi, già amato e venerato dal Leopardi, dal Manzoni, dal Giusti. Egli ormai vecchio e cieco mi mandò in dono un suo libro con la dedica "All'Autore di Miranda"».

(Ivi, p. 50-51)

Nei versi di Valsolda (Milano 1876), dedicati alla terra dell'infanzia, riecheggiava la poesia europea del Settecento e dell'Ottocento (Heine, Schiller, Shelley, Platen-Hallermünde) a fianco della tradizione poetica italiana. Emerge in questa raccolta la concezione dell'arte che accompagnerà tutta la sua carriera letteraria, dal legame con la terra e i luoghi dell'infanzia, evocatori di immagini e ricordi, ad una religiosità mistica ormai matura.

Nel 1872 pronunciò all'Accademia olimpica di Vicenza il discorso Dell'avvenire del romanzo in Italia, nel quale, individuato il romanzo come forma letteraria del proprio tempo «[...] poema moderno, libro dei grandi e dei piccini [...] espressione prevalente del sentimento poetico del nostro tempo» (Ivi, p. 26), in grado di raggiungere un vasto pubblico, indica una strada alla letteratura contemporanea:

Tocca dunque, Signori, alla letteratura moderna un ufficio molto grave ed alto. Vuole questo ufficio tese tutte le corde dell'ingegno e dell'arte; e vuole nello scrittore animo degno di usar la potenza che gli dona. Non già, come dirò più tardi, che ogni sua invenzione debba necessariamente dimostrare una tesi religiosa, morale, economica; ma quella sede da cui egli ritrae uomini e cose dev'essere alta, riposata, nella piena luce del giorno; cosicché il suo giudizio sia fermo e lumi ed ombre gli appajano dove nella vita li segna veramente il sole.

(Fogazzaro 1928, p. 30)

In Malombra (pubblicato a Milano da Brigola nel 1881), primo romanzo di Fogazzaro, si ritrovano «gli ingredienti di base degli intrecci fogazzariani: il contrasto amore-colpa, la follia, il divieto, la conclusione catartica, ai quali di volta in volta si aggiungono altri elementi e una varietà di figure di contorno. Perché l'altra componente, sistematicamente mescolata dal F. al corpo della narrazione principale consiste nel tratteggio di caratteri, tipi, a volte macchiette di sapore comico, che bilanciano e contornano le figure dominanti dei protagonisti» (Lucia Strappini, Fogazzaro, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani. Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 1997, vol. 48).

Dagli anni Ottanta Fogazzaro, come accennato sopra, ricoprì varie cariche pubbliche, si dedicò alla scrittura (oltre ai romanzi, diverse furono le raccolte di versi e di novelle pubblicate) e - soprattutto - al dibattito sull'evoluzionismo, molto acceso in quell'epoca, elaborando una sua personale conciliazione con la dottrina cattolica. Le sue riflessioni vennero poi raccolte in Ascensioni umane, pubblicato alla vigilia del nuovo secolo (Milano, Baldini-Castoldi & C., 1899):

Gli scritti raccolti nel presente volume hanno per comune origine la mia fede in un supposto modo di operare della Intelligenza Suprema nella creazione dell'Universo e nel governo delle sorti umane: la profonda convinzione che vi è armonia fra la ipotesi evoluzionista e l'idea religiosa: lacoscienza del dovere morale che astringe l'uomo a glorificare secondo il poter suo la Verità nella quale vive, si muove ed è. [...]

Dal giorno in cui difesi per la prima volta la ipotesi evoluzionista contro i suoi avversari religiosi, essi indietreggiarono, abbandonarono trincee di obbiezioni che parevano formidabili. Fuori d'Italia il vessillo dell'evoluzionismo cristiano venne inalberato in adunanze cattoliche solenni. In Italia, libri di ecclesiastici stranieri schiettamente evoluzionisti si tradussero e si pubblicarono con licenza delle Curie vescovili. Di fronte alla intransigenza di certi teologi protestanti apparve ancora una volta quanto sia potente il Cattolicismo a elevare lo spirito che vivifica sopra la lettera che uccide. Se la ipotesi dell'evoluzione viene ancora combattuta fra noi dal punto di vista religioso e pare odiosa a molti credenti, si è però dimostrata col fatto la libertà nostra di giudicare che, rettamente intesa, essa torna a maggior gloria del Creatore; e fra coloro che le gridano anatema non vi ha più, forse, un solo intelletto alto.

(Antonio Fogazzaro, Ascensioni umane, Milano, Baldini e Castoldi, 1899, p. V-VI)

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3. L'esperienza parlamentare nel romanzo Daniele Cortis e nella vita

Subito dopo la pubblicazione e il successo di Malombra, Fogazzaro iniziò a scrivere un nuovo romanzo, pubblicato nel 1885 a Torino, da lui stesso descritto in una lettera riportata dal suo biografo:

«[...] Io tratto in questo romanzo l'amore e la politica nel modo più impopolare del mondo; glorificando una specie d'amore che non si usa più, che si mette in ridicolo, esprimendo delle idee politiche che hanno forse fautori segreti ma che nessuno osa sostenere apertamente per paura delle fischiate. [...]»

(Lettera a Ellen Starbuck, 12 nov. 1883, in Gallarati Scotti 1934, p. 131).

Collocato nel corpus dei romanzi di ambiente parlamentare (si veda a questo proposito, l'articolo inaugurale di questa rubrica sul n. 5, Nuova serie, di MinervaWeb e la relativa bibliografia), il romanzo si svolge a cavallo delle elezioni: la vicenda politica del protagonista, il candidato e poi deputato Daniele Cortis, è strettamente legata alla sua vita sentimentale.

Daniele Cortis è un romanzo di idee, che vuole dichiaratamente spingere l'opposizione cattolica ad accettare il terreno dello scontro anche elettorale e parlamentare; Fogazzaro propugnando il «rinnovamento sociale in senso cristiano e democratico», prevede sia i «sarcasmi di sedicenti liberali» che le «villanie di sedicenti cattolici» e non meraviglia che la narrazione punti tutte le sue carte sulla proposta ideologica anziché sulla rappresentazione sociale. [...] Politica e passione amorosa sono qui strutturalmente saldate come non capita in altri romanzi, proprio perché viene recuperata una funzione positiva, se non autonoma, della donna, che non si oppone alla politica come angelo del privato e tanto meno ne è la prosecuzione diabolica; l'amore santo e proibito di Elena e Daniele è tutt'uno con lo spirito di missione e di sacrificio che presiede all'audace impresa politica del giovane deputato; la saldatura fra pubblico e privato è resa possibile da un'ideologia cattolica (forse poco ortodossa) che identifica l'amore con la repressione e sublimazione sessuale da cui discende la necessità di subordinare il piacere al dovere pubblico.

(Carlo Alberto Madrignani, Rosso e nero a Montecitorio: il romanzo parlamentare della nuova Italia (1861-1901). Firenze, Vallecchi, 1980, p.15)

Nel 1896 Fogazzaro era dunque, in seguito alla pubblicazione ed al successo, anche internazionale, dei suoi romanzi (per l'editore Galli di Milano erano stati pubblicati nel 1888 Il mistero del poeta e nel 1896 quello che viene considerata la sua opera migliore, Piccolo mondo antico), uno scrittore affermato, membro di diversi istituti di scienze, lettere ed arti.

La nomina a Senatore nello stesso anno venne però convalidata solo nel 1900 (quando cioè soddisferà i requisiti richiesti: in questo caso, per la categoria 21 "Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria").

L'attività in Senato, inaugurata dalla partecipazione alla commemorazione di Giuseppe Verdi, si svolse sui temi dell'educazione scolastica (si vedano gli indici pubblicati dall'Archivio Storico): dal 1904 al 1908 fu infatti membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione.

Avvicinatosi al movimento europeo di riforma della Chiesa e del cattolicesimo, entrò in contatto con le opere e le personalità di spicco del modernismo: da Maurice Blondel a Lucien Laberthonnière, Alfred Loisy, George Tyrrel, da Tommaso Gallarati Scotti ad Alessandro Casati. Questa sua collocazione riformatrice, unita allo scalpore provocato dalle sue opere, attirò sul romanzo Il Santo (Milano, Baldini e Castoldi, 1905) provvedimenti punitivi dell'autorità ecclesiastica (l'elezione di Papa Pio X nel 1903 aveva peraltro rafforzato la corrente conservatrice): il libro fu proibito con decreto del 4 aprile 1906 della Congregazione dell'Indice. Come aveva dichiarato all'Ojetti, egli si riteneva:

[...] cattolico rigido, severo, convinto. Alla mia fede non concedo dubbii od oscillazioni. Io non mi foggio una religione comoda e mia, ma accetto sottomesso il cristianesimo cattolico, e ne sono entusiasta. Bisogna guardare il cattolicismo con occhi che giungan lontano.

Ma aggiungeva subito dopo:

Io sono liberale, liberalissimo, per mia convinzione e per tradizioni familiari. [...] Io sono un convinto socialista cattolico. La parola di Cristo è il Verbo del socialismo più sano, più retto e anche più audace: nessuna contraddizione fra i due.

(Ojetti 1946, p. 94-97)

Coerentemente, dunque, egli non tardò a fare pubblico atto di sottomissione alla Chiesa, cosa che mise in dubbio per alcuni la legittimità della sua presenza in seno al Consiglio superiore della pubblica istruzione, sollevando quello che Gaetano Mosca intitolò Il caso di Antonio Fogazzaro ("Corriere della Sera", 14/06/1906, p. 1): fu presentata un'interrogazione all'allora Ministro della pubblica istruzione discussa il 15 giugno 1906 (Camera dei Deputati del Regno, Asemblea, Resoconti stenografici, XXII legislatura, Ia sessione, 2a tornata del 15 giugno 1906, p. 8517-8519).

Amareggiato dall'accoglienza fredda di quello che sarà il suo ultimo romanzo, Leila (1910), Fogazzaro morì il 7 marzo 1911: dopo la sua morte, anche il suo ultimo romanzo fu proibito.

Il senatore Barzellotti così lo commemora nell'aula del Senato:

Egli è stato uno dei pochissimi - non so se debbo dire il solo dei nostri scrittori - che dopo Alessandro Manzoni, abbia fatto parlare al romanzo italiano un linguaggio umano, un linguaggio non solo comprensibile a tutti, ma che si dirigesse all'animo nostro, alla nostra società presente, ai problemi nostri, a quello che agita la nostra vita [...].

Antonio Fogazzaro era un credente, ma con l'animo aperto a tutti i motivi e alle ragioni del libero esame moderno e della filosofia moderna.

[...] Lo scrittore del Santo ha portato nel problema religioso odierno, con sentimento di credente, l'abito mentale del senno civile italiano. Egli, pur nella profonda diversità di criteri storici e politici, che lo divideva dal grande segretario fiorentino, è rimasto, in sostanza nella stessa linea tradizionale, in cui era anche la mente di Nicolò Machiavelli, il quale riconosceva il grande valore sociale, civile e umano della religione.

[...] Antonio Fogazzaro [...] ha reso sotto più aspetti il fondo dell'anima e della vita italiana contemporanea, con squisita finezza ed efficacia d'arte e con grande sincerità d'intenti e di sentimenti. Poiché egli è stato innanzi tutto uno spirito assetato di chiarezza morale di rettitudine, uno scrittore, in cui dietro alle forme dell'arte stava una coscienza sempre pronta a farle valere, a farle essere una forza della vita italiana.

(Senato del Regno, Assemblea, Resoconto stenografico, XXII Legislatura, 1a sessione, tornata del 7 marzo 1911, p. 4079-4081)

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4. Dentro il romanzo

L'esperienza dell'elezione del padre, nel 1866, a deputato del collegio di Marostica, fornì sicuramente a Fogazzaro un'idea della vita elettorale e parlamentare che verrà descritta nel Daniele Cortis.

Il Collegio in cui si presenta il deputato attende da lui un programma, ma il giovane non vuole sbilanciarsi:

«Per i miei elettori sono il deputato provinciale Cortis; per voialtri sono Daniele Cortis che ha scritto sul bimetallismo e sulla pluralità delle banche; e sono poi anche il consigliere provinciale Cortis che ha votato con i vostri amici, quando gli altri vollero fare della politica nella nomina dell'ufficio di presidenza. Questo vi deve bastare. Programma non ne faccio; non è ancora l'ora mia. Bada Lei a quei quattro chiacchieroni di stasera? Non mi si conosce? Non si sa come la penso? Mi si darà il voto egualmente, stia tranquillo; e in ogni caso possiamo bene fare a meno degli uomini politici... di... e di... Dunque appoggiatemi perché, se non altro, io sono un gentiluomo, e il mio avversario è un farabutto; ma non aspettatevi adesioni da me. Vi ripeto poi lealmente: se io rifiuto di aderire in pubblico alle idee della Costituzionale, non è per conservarmi l'appoggio di un potente; è perché quelle idee non sono le mie.

«Chi sa che razza d'idee ha costui» pensò Grigiolo; «chi sa che razza di deputato vien fuori!

Gli venne in mente che i suoi amici dell'Associazione potrebbero rimproverargli di non aver saputo apprezzare l'importanza del colloquio e costringere Cortis a spiegarsi un po' meglio.

«Senta» diss'egli «queste idee sono proprio tanto tanto distanti?...

«Altro, mio caro!» rispose sottovoce Cortis, tenendo le braccia incrociate sul petto e alzando le sopracciglia.

(Fogazzaro 1892, p. 39)

Prima delle elezioni, Cortis scopre che la madre, che credeva morta, vive invece a Lugano e la raggiunge: la visita sarà molto breve, poiché il candidato è richiamato precipitosamente nel collegio elettorale in seguito alla pubblicazione di una lettera privata che ha messo in allarme i grandi elettori:

«Se per ora non si può far di meglio, transeat; cerchiamo di passare come che sia; ma tu sai che io sono cattolico e che confido in quello sviluppo progressivo della civiltà cristiana in cui confidava il conte di Cavour. Perciò affretto col desiderio il momento in cui si costituirà un partito parlamentare, un elemento di governo con questo ideale. Che alcuni tentativi per muovere la pubblica opinione sieno falliti, oportebat; tu sai meglio di me che questa è stata sempre la preparazione storica di tutte le imprese grandi e difficili. Altri ancora ne cadranno, ma io sono fermamente convinto che a un dato momento questo partito sorgerà per effetto di necessità politiche, e che allora, anzi prima di allora, si troverà l'eroe, come direbbe il tuo Carlyle, per condurlo; dietro al quale eroe, o nelle prime o nelle ultime file, ci sarà pure, se vivo, il tuo

Daniele Cortis

(Ivi, p. 113)

Ne segue un discorso al comitato elettorale, che ci restituisce per intero le idee lungimiranti del personaggio e dell'autore, in vista dell'allargamento del suffragio introdotto nel 1882 (per una panoramica sui sistemi elettorali si può far riferimento al sito storico della Camera dei Deputati: https://storia.camera.it/norme-fondamentali-e-leggi/leggi/elettorali):

«Oggi siete voi, signori elettori della vecchia legge, che avete in pugno un grande potere dello Stato, ma si sta già predicando il Nuovo Testamento e domani ne farete parte evangelicamente alle turbe. È una ingiuriosa follìa di credere che questi nuovi elettori vorranno subito mettere le mani su qualche cosa e che il paese andrà a soqquadro; ma è pure una follìa il non riconoscere che si sarà fatto, non un salto nel buio, ma un lungo passo avanti nella chiara e fatale via della evoluzione democratica, e che le nuove moltitudini elettorali saranno inclinate a procacciarsi un utile diretto con la loro partecipazione al Governo, a promuovere un'azione legislativa, esagerata ed improvvida, esclusivamente a loro favore. Io non ne provo, signori, una vana e puerile paura; io credo che vi è in questo fermento democratico qualche lievito rubato al cristianesimo; io vedo nel mio pensiero un luminoso e possibile ideale di democrazia cristiana, molto diverso da quel dispotismo di maggioranze egoiste, avide di godimento, che minaccia le libertà moderne. Non è sulla base di aerei ideali che si può costituire un vero partito politico; non vi si cammina su, lo so bene. Ma un ideale ci vuole, esso è la forza di coloro che avversano le nostre istituzioni; e noi, quali ideali abbiamo da opporre loro? Oggi la riforma elettorale e l'abolizione del corso forzoso, domani la perequazione fondiaria e la rendita a 100.

(Ivi, p. 122)

Eletto, Daniele Cortis si reca a Roma: ritroviamo le impressioni del neodeputato nelle lettere all'amata cugina Elena:

La prima immersione nel pelago parlamentare agghiaccia fino al cuore. Vedo parecchi miei colleghi novellini tuttora aggranchiti dal gelo, smarriti, malati di nausea e di nostalgia. Pensano: qui è il cuore, questa è la sapienza d'Italia? Lo scorso dicembre un ministro ci è venuto a dire che Bismarck paragonando l'Italia politica alla Spagna ci ha fatto onore; e noi, vanitose ombre querule, sopraffatti in quel momento dalla coscienza, abbiamo taciuto.

Io studio, intanto; studio uomini e cose per l'avvenire. Il presente non è buono ad altro. Ho anche parlato un paio di volte, molto brevemente, su argomenti di poca importanza, per accordare lo strumento e trovare il la. L'ultima volta c'era nella tribuna della presidenza una signora che ti somigliava molto. Si discuteva il bilancio dell'agricoltura e io parlavo di boschi. Ho paura d'essere stato, in grazia di quella signora, più fiorito e frondoso delle mie foreste.

(Ivi, p. 170-171)

Il malcontento degli elettori lo raggiunge a Roma, tanto da far meditare al deputato le dimissioni:

È probabile ch'io rassegni presto le mie dimissioni da deputato. E anche di questo che mai te ne importerà? Eh, Elena, Elena, faccio forse male a scriverti così, ma se il mio cuore certe volte trabocca, bisogna bene che n'esca del sangue amaro. Ho dunque ricevuto dal collegio una lunga lettera di protesta contro la mia condotta parlamentare. Non crederai mica che l'amaro stia qui? La lettera ha 266 firme; non ti so poi dire quante sieno false, quante di non elettori. Ne fu spedita una copia autentica alla presidenza della Camera. Questi 266 imbecilli non si avvedono di rendermi un gran servigio. In tutt'altro momento mi sarei riso della loro prosa; ora è una fortuna per me di poter uscire da questa Camera che affonda, posando la mia candidatura per le elezioni generali a suffragio allargato. Non so se mi dimetterò ora o se aspetterò la discussione delle spese militari che mi tenta. Probabilmente mi atterrò al primo partito e bisognerà decidersi presto, perchè pare che la Camera si proroghi fra dieci o dodici giorni. Farò un'uscita rumorosa, rompendo tutti i vetri possibili.

(Ivi, p. 191)

Nel giungere a Roma, la madre rivelerà a Daniele l''identità del proprio antico amante, il Senatore Barone Di Santa Giulia, marito dell'amata cugina Elena, uomo dedito al gioco e subissato di debiti: sconvolto, il deputato si accascerà alla Camera e non potrà pronunciare la richiesta di dimissioni.

Le dimissioni verranno invece presentate dal Barone Di Santa Giulia al Senato:

Undici ore suonavano, quella sera del 28 marzo, da Piazza Navona e dalla Sapienza, la luna batteva sulle case, sui marciapiedi deserti, in faccia all'augusta ombra nera del palazzo Madama, quando ne uscì, solo, il barone Di Santa Giulia. Si fermò sulla soglia, si volse a considerar l'atrio illuminato. Il guardaportone gli si fece incontro ossequiosamente, pensando che desiderasse qualche cosa.

«Cosa volete, voi?» gli disse il barone, brusco. «Non sono neppur padrone di star qui, adesso?

Quegli rimase intontito.

«Credevo!» ghignò forte Di Santa Giulia, e, voltategli le spalle, se n'andò verso San Luigi dei Francesi.

Aveva recato egli stesso al Senato le sue dimissioni da senatore, laconiche, senza una parola di preambolo nè di chiusa; ed aveva affidata la lettera suggellata a un collega, segretario della presidenza. Nessuno l'aveva richiesto, ora, di quest'atto; era stata una libera risoluzione sua, meditata da lungo tempo insieme ad altre più gravi, preparata nel segreto del cuore per quando non gli rimanesse più fede di salvarsi da una clamorosa rovina.

(Ivi, p. 282)

Dopo un periodo di convalescenza in Veneto con a fianco la cugina Elena, i due ritornano ciascuno ai propri doveri, rinunciando al sogno di un amore mai consumato:

Il sacrificio era stato liberamente voluto, per il bene; e la debole natura s'era sfogata abbastanza. Di più non voleva concederle. Si alzò risolutamente e discese, pensando a Roma, al suo giornale, al febbrile lavoro di cui sentiva bisogno.

Ebbe, scendendo fra gli abeti e i pini, la visione dell'avvenire. Lotte con la penna, lotte con la parola, nella stampa, nella Camera, nelle riunioni, per le sue idee di governo, contro la indifferenza pubblica; prime vittorie, ossia abbandono di amici, sarcasmi di sedicenti liberali, villanie di sedicenti cattolici; pertinacia indomita, favore di Dio nel suo spirito, negli eventi; paurose crisi, giorni d'angoscia, improvvise chiome, nel suo pugno, della fortuna, giorni di potenza; una grande via aperta al rinnovamento sociale in senso cristiano e democratico, e su questa via, avanti a tutti, l'Italia.

Dio lo voleva tutto per questo. Dio gli toglieva la famiglia, l'amore, la giovinezza, lo chiamava, con un soffio di fuoco, alle opere sue.

(Ivi, p. 394)

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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi nel percorso bibliografico. Antonio Fogazzaro. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo Bibliotecario Parlamentare.

Si suggerisce inoltre la ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.

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