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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 11 (Nuova Serie), ottobre 2012

Il Palazzo della Biblioteca della Camera

chiostro1. Introduzione

2. L'età romana e l'espansione domenicana

3. L'insula nell'umanesimo e il chiostro della cisterna

4. La riforma cattolica, la controriforma e l'inquisizione

5. L'espansione sei- settecentesca e le vicende ottocentesche

6. Gli anni recenti

7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Introduzione

In questo numero parleremo del Palazzo che, dal 1988, ospita la Biblioteca della Camera, in seguito a una decisione maturata nel corso degli anni Settanta, che può essere intesa come risposta culturale del Parlamento a un momento di grave difficoltà istituzionale e sociale, come quello degli anni di piombo.

La storia di questa importante istituzione comincia il 5 giugno del 1848, quando la Camera dei Deputati del Parlamento Subalpino approva una proposta di nomina del bibliotecario, sebbene non esista ancora una biblioteca. Nel luglio successivo la Camera crea un primo nucleo di fondazione e promuove gli stanziamenti necessari, destinando "lire ottomila pel pronto acquisto di opere specialmente recenti fra le più accreditate in materia di jus pubblico, di legislazione e di economia politica, come delle collezioni dei dibattimenti delle Assemblee costituenti e legislative dei principali Stati costituzionali". I peculiari caratteri di quello che sarebbe divenuto uno dei massimi istituti bibliografici del Paese venivano quindi posti fin da principio con tutta evidenza.

La prima sede della biblioteca fu nel torinese Palazzo Carignano, poi, con il passaggio della capitale del Regno d'Italia a Firenze, venne trasferita a Palazzo Vecchio e, nel 1871, a Roma, nel Palazzo Montecitorio.

Solo nel 1988 la Biblioteca si trasferì nell'attuale sede e venne aperta al pubblico, ponendosi il duplice obiettivo di fornire, al Parlamento gli strumenti e i prodotti di documentazione (è infatti il maggior centro di legislazione straniera e comparata del Paese) e all'utenza esterna, un luogo di studio di eccellenza, mantenendo così inalterata l'originaria vocazione culturale di quei luoghi.

Il palazzo di via del Seminario è inserito in un complesso storico architettonico di grande importanza che attraversa oltre duemila anni di storia e la cui stratificazione è ben leggibile in tutti i monumenti ospitati dal complesso della Minerva.

Nei precedenti articoli, dedicati all'elefantino di Piazza della Minerva, al Palazzo della Biblioteca del Senato, alla basilica di Santa Maria sopra Minerva e al Convento dei domenicani, le vicende storico artistiche dell'Insula sono già state analizzate, ma sarà necessario ripercorrerne i secoli di storia, seppure brevemente e sommariamente, per meglio comprendere la struttura attuale della sede di una delle più grandi biblioteche parlamentari d'Europa.

2. L'età romana e l'espansione domenicana

Gli edifici facenti parte dell'Insula Dominicana si affacciano su piazza della Minerva, via del Seminario, piazza San Macuto e parte di via Sant'Ignazio. Sorgono nei luoghi che nell'antica Roma ospitarono il tempio di Minerva Calcidica, testimonianza della cultura greca, e quello, di cultura egizia, dedicato a Iside e Serapide. Nel VI secolo, nel pieno dei mutamenti sociali e culturali in cui Goti, Bizantini e Longobardi si contendevano l'eredità dell'Impero, venne eretto in quell'area il piccolo oratorio dedicato alla Vergine Maria Sedes Sapientiae che ospitò, negli anni, diverse comunità religiose femminili. Nel 1280, dopo che i frati Domenicani si erano insediati nei locali della Minerva, cominciarono, sia la costruzione della chiesa gotica di Santa Maria sopra Minerva, sia i lavori di ampliamento del convento adiacente, che proseguirono fino a tutta la seconda metà del Quattrocento, vista l'accresciuta importanza del convento della Minerva e la conseguente esigenza di renderlo capace di accogliere parecchie decine di frati e di dotarlo di ambienti di studio e di rappresentanza adeguati. Fu così che il convento si allargò nell'area attualmente occupata dalla Biblioteca della Camera, che durante il medioevo accoglieva soprattutto piccole case e orti.

3. L'insula nell'umanesimo e il chiostro della cisterna

Questa espansione ebbe una battuta d'arresto solo all'indomani del sacco di Roma del 1527, ma già nella seconda metà del Cinquecento, grazie alla potente azione politico-religiosa dei domenicani, il convento divenne uno dei centri di elaborazione della riforma cattolica e, sotto il generalato di Vincenzo Giustiniani, si arricchì di ulteriori costruzioni, alcune delle quali oggi fanno parte della Biblioteca della Camera: il Chiostro della Cisterna, voluto dal teologo e giurista Oliviero Carafa, l'appartamento del generale (odierne Sale dell'Inquisizione), la biblioteca (oggi Sala delle Capriate), il grande salone del Refettorio e le Sale Galileo, che nel Seicento saranno affrescate da Francesco Allegrini.

Il chiostro della Cisterna, che deriva il suo nome dalla presenza nell'area di una grande cisterna per la raccolta delle acque piovane per gli usi del Convento e per l'irrigazione dell'orto, era originariamente a pianta quadrata, articolato in sei arcate a tutto sesto, con volte a crociera sorrette da colonne di spoglio romane, con basi attiche e capitelli corinzi quattrocenteschi. Lo stemma dei Carafa, rimasto ancora nelle chiavi delle volte chiarisce inequivocabilmente l'attribuzione al cardinale che fu anche committente del bramantesco chiostro di Santa Maria della Pace, eseguito attorno al 1504 ma stilisticamente distante dall'austerità del chiostro domenicano.

L'intervento di restauro curato dalla Camera dei Deputati a partire dal 1974 ha consentito di riaprire gli archi nei lati colonnati sopravvissuti alle alterazioni e di scoprire, sotto un pesante strato di vernice ad olio, sei lunette con un ciclo di affreschi seicentesco che riporta episodi della vita di Santa Caterina, descrivendo particolari aneddotici della vita della Santa e approfondendo la vicenda delle sue Sacre Stimmate, che dovette creare un fervente dibattito per tutta la metà del Seicento.

La fonte documentaria alla base delle pitture è le biografia ufficiale del Beato Raimondo. Si parte con episodi dell'infanzia di Caterina: l'affresco della prima lunetta raffigura infatti la Santa, all'età di sei anni, che ha la prima visione di Cristo, qui raffigurato in abiti pontificali e affiancato dai Santi Pietro e Paolo, nell'atto di benedirla, apparendole sopra la chiesa di San Domenico di Siena, come ad indicarle il suo futuro nell'Ordine. Nella seconda scena invece la fanciulla appare sollevata da una piccola nuvola.

Nella seconda lunetta, più complessa, anche a causa dell'illeggibilità del primo episodio, Caterina è raffigurata in orazione davanti al Crocifisso. Si allude qui, chiaramente, all'episodio della giovane che a Pisa, il 1° aprile 1375, ricevette le Stimmate mentre era in ginocchio di fronte al Crocifisso di Giunta Pisano nella chiesa di Santa Caterina del Lungarno.

Nella terza lunetta vengono mostrati in riunione i Domenicani, un francescano e due vescovi, forse durante la disputa sulle Stimmate di Caterina, promossa proprio dai Francescani.

La quarta scena raffigura lo sposalizio mistico di Santa Caterina, mentre la penultima lunetta descrive uno dei più importanti momenti dell'apostolato della Santa, dipinta nell'atto di convincere papa Gregorio XI, il 16 settembre 1376, a lasciare definitivamente la corte papale di Avignone per rientrare nella sede apostolica di Roma.

L'ultima scena introduce i miracoli operati dalla Santa, descrivendo quello avvenuto a Tolone quando salva il nipote del vicario del vescovo di quella città.

Il ciclo agiografico si conclude con l'immagine emblematica di Caterina appoggiata al costato di Cristo, ulteriore rimando all'episodio delle Stimmate.

La possibile datazione degli affreschi agli inizi del XVII secolo si giustifica anche con il coevo dibattito, innescato dai Francescani, sulla reale possibilità che Caterina avesse ricevuto le Sacre Stimmate. Sarà un decreto della Sacra congregazione dei Riti del 16 febbraio 1630, sotto il pontificato di Urbano VIII, a riconoscere l'autenticità delle Stimmate di Caterina e ad estenderne il culto a tutta la Chiesa, fissandone la festa nel calendario liturgico al 30 aprile.

E' evidente come il convento della Minerva sia fortemente legato alla memoria della terziaria domenicana Caterina Benincasa, che trascorse a Roma due fondamentali anni della sua vita. All'inizio la Santa abitò nei pressi dell'antica via papale, vicino l'attuale chiesa di Sant'Andrea della Valle, insieme alla maggior parte dei senesi residenti a Roma. Nell'ultimo anno della sua vita si trasferì in un'abitazione prossima alla Minerva sull'attuale via di Santa Chiara, dove morì il 29 aprile del 1380. Nel corso dei restauri realizzati dalla Camera è stata restituita l'integrità di una casetta medievale nell'area compresa tra il Chiostro della Cisterna e il Pantheon e ritenuta, da molti studiosi, il locale occupato dalla Santa durante le sue visite al convento. La permanenza nel corso dei secoli di questa struttura in un'area da sempre fortemente sottoposta ad esigenze di sfruttamento degli spazi è un'ulteriore testimonianza della forza del culto della Santa.

4. La riforma cattolica, la controriforma e l'inquisizione

Nella seconda metà del Cinquecento, e in particolare quando Vincenzo Giustiniani divenne Maestro dell'ordine domenicano, il complesso minervitano fu oggetto di numerosi rifacimenti che non ne rispettarono la storia precedente e furono volti esclusivamente ad un adeguamento funzionale e ad un aumento della volumetria degli edifici.

L'antico chiostro venne distrutto e sostituito dall'attuale, eseguito da Guidetto Guidetti (figura minore della seconda metà del Cinquecento romano, la cui maniera si può definire vagamente vignolesca) e decorato, tra il primo e il terzo decennio del Seicento, con un grande ciclo dipinto comprendente la serie dei quindici Misteri del Rosario: Furono, inoltre, costruiti una Biblioteca conventuale e un nuovo grande refettorio che occupò uno dei bracci del Chiostro della Cisterna, e soprattutto fu realizzato un appartamento di rappresentanza per i Generali dell'ordine domenicano (le odierne Sale dell'Inquisizione al primo piano della Biblioteca). Il "vaso grandissimo" dell'antica biblioteca domenicana è l'odierna Sala delle Capriate, come testimonia la scritta incisa sul cartiglio, sopra il portale in travertino di accesso alla medesima.

Nel 1577 venne istituito all'interno del Convento, il Collegio di San Tommaso, per l'esercizio del magistero teologico, destinato ai giovani domenicani poveri, provenienti dalle province d'Italia. Il 14 settembre del 1628, con decreto pontificio, il convento minervitano venne designato quale sede della Congregazione del Santo Uffizio. Divenne così il luogo ove il tribunale dell'Inquisizione, istituito da Paolo III nel 1542, svolgeva l'adunanza della Congregazione segreta nella quale si dava lettura delle sentenze. Le sale destinate alle riunioni, denominate oggi Sale Galileo, in virtù del loro legame con la vicenda del processo allo scienziato, dovevano illustrare la costante attività esplicata dalla Chiesa nella difesa dei principi asseriti dal dogma, nella loro corretta interpretazione teologica. Si spiegano così le scene con storie dei Domenicani, che decorano gli ambienti del Seminario.

Sul soffitto di una delle Sale Galileo è raffigurato San Tommaso d'Aquino che tiene aperto sulle ginocchia il volume della Summa Theologica, che riflette come specchio di verità i raggi di luce provenienti dallo Spirito Santo. Le luci colpiscono come dardi gli eretici, prostrati in catene attorno al Santo, che calpesta con i suoi piedi la personificazione dell'Eresia. Un richiamo alla autorità della dottrina e alle capacità dialettiche del Santo.

Un'altra delle sale è ornata da un affresco raffigurante il martirio del domenicano Pietro da Verona, che, sorpreso in un bosco dagli eretici Patarini, viene ucciso con un colpo di spada, mentre gli angeli gli recano la corona del martirio. Su una pietra, accanto al Santo, sono scritte le parole che egli pronunciò morendo "Credo in unum Deum". Un altro dipinto itera la raffigurazione di San Pietro martire, ma in un ovale racchiuso entro una ricca cornice settecentesca a stucco, nella Sala degli atti accademici, opera di scuola romana del XVIII secolo.

Infine, sulla parete di fondo del grande salone, entro un'elegante cornice in stucco dorato, è raffigurata la Battaglia di Muret. Vi si celebra un episodio della lotta tra cattolici e albigesi avvenuto il 12 settembre 1213, allorché le forze cattoliche, al comando del conte Simone di Montfort vinsero in campo i sostenitori degli Albigesi. Nel mezzo della battaglia in cui lance, cavalieri e bandiere,contribuiscono a rendere dinamica la scena, una figura statica funge quasi da cesura o da perno alla composizione: si tratta di San Domenico, che brandisce la croce come un'arma, mentre in alto, a sostegno dei cattolici, si manifesta la Vergine col Bambino. E il Rosario appare sulla bandiera dei Monfortani. Il tutto quasi a celebrare una vittoria che la Chiesa, in quegli stessi ambienti, aveva conseguito, come diremo in seguito, circa un trentennio prima: l'abiura di Galileo. Il modello più seguito per scene di battaglia in quel periodo era quello dipinto in Vaticano da Giulio Romano, a cui si erano ispirati anche Rubens e Pietro da Cortona nei loro cartoni preparatori per arazzi raffiguranti "La battaglia di Costantino contro Massenzio" e "La battaglia di Crispo contro Abbate" e infine la cortonesca "battaglia di Alessandro contro Dario" dei Musei capitolini.

Queste opere celebrative dei meriti dell'ordine domenicano nella lotta contro l'eresia vennero citate dal Baldinucci nella sua opera, ma poi ignorate dalla letteratura seguente, fino a che Federico Zeri non ebbe occasione di vederle e quindi di attribuirle a Francesco Allegrini, il quale, probabilmente, ne aveva ricevuto la commissione dopo la metà del secolo, ma non oltre il 1660.

I modi dell'Allegrini, specie all'inizio, seguono la lezione del Cavalier d'Arpino, aggiornata però, secondo la maniera di Pietro da Cortona. Così se nel San Tommaso è ben riconoscibile il modello arpinate, non altrettanto può dirsi per le altre scene, che l'Allegrini movimenta agitando i panni delle vesti e cogliendo le figure in atteggiamenti concitati.

Va ricordato che proprio in queste sale, il 22 giugno 1633, i cardinali della congregazione del Sant'Uffizio, pronunciarono la condanna di Galileo Galilei, scienziato famoso in tutta l'Europa colta dell'epoca (ricordiamo le due mostre a lui dedicate, promosse dalla Biblioteca della Camera e da quella del Senato). Nel suo "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", pubblicato nel 1632 a Firenze, Galilei aveva difeso la teoria copernicana dell'eliocentrismo. Il 12 aprile del 1633 iniziò l'interrogatorio di Galilei al Palazzo del Sant'Uffizio. Nell'udienza successiva, poco più di un mese dopo, il Tribunale assunse una linea rigorosa e, di fronte alla reiterata negazione di Galilei di aver voluto difendere la teoria copernicana, comminò ma non inflisse la tortura. Si arrivò così all'udienza conclusiva e Galilei, ormai fiaccato, si dichiarò colpevole e pronunciò l'abiura.

Le ricostruzioni della vicenda non consentono di individuare con sicurezza in quale specifico locale del convento della Minerva si siano svolte le fasi terminali del processo e l'abiura. Tuttavia è probabile che questa sia avvenuta nelle cosiddette Sale Galileo, che non presentavano ancora il corredo iconografico che ora le caratterizza e che sarebbe stato eseguito dall'Allegrini circa venti anni dopo.

5. L'espansione sei- settecentesca e le vicende ottocentesche

Sotto il pontificato di Urbano VIII ci fu un nuovo ampliamento del Convento e venne costruito un corpo di fabbrica il cui perimetro coincideva con l'Insula tra le vie del Seminario e di Sant'Ignazio e il cui autore fu l'architetto Paolo Maruscelli. L'austeritas domenicana che egli dovette esprimere in questa costruzione è oggi scarsamente leggibile a causa delle trasformazioni ottocentesche della fronte su via del Seminario. Poi, nel Settecento il convento della Minerva conobbe altri ampliamenti con la realizzazione di un grande cortile-giardino che si aggiunse ai preesistenti chiostri Guidetti e della Cisterna, e con l'apertura, grazie al lascito testamentario del Cardinale Girolamo Casanate, della Biblioteca Casanatense, una grande biblioteca che fu gestita dai domenicani.

L'Ottocento fu, invece, per il complesso domenicano della Minerva, un periodo di decadenza e segnò l'inizio di una serie di alterazioni architettoniche, cui fu posto rimedio solo con i restauri promossi dalla Camera e dal Senato. Nel corso dell'Ottocento il convento fu destinato in più occasioni ad alloggiamento di soldati, in particolare durante l'occupazione napoleonica di Roma. I locali subirono numerosi danneggiamenti e alterazioni nella destinazione d'uso degli ambienti. Quando nel 1814 i domenicani tornarono ad occupare il complesso, lo trovarono in uno stato deplorevole e bisognoso di grandi restauri, parzialmente eseguiti nel 1825 con il ripristino delle pitture del chiostro Guidetti, che era stato adibito a stalla. A partire dal 1871, e a più riprese, il convento fu in gran parte espropriato (i domenicani otterranno nuovamente l'uso di una parte di esso solo dopo il Concordato del 1929) e la maggior parte dell'Insula fu assegnata ad alcuni ministeri (delle Finanze, della Pubblica Istruzione, oltre che alla Direzione Generale delle Poste e Telegrafi), che realizzarono profonde alterazioni architettoniche per adeguare gli spazi alla nuova utilizzazione. Nel 1876 i locali dell'ex Ministero delle Finanze vennero assegnati alle Poste e fu così realizzato l'ingresso su via del Seminario, con il grande portale e relativo rinforzo delle murature. Nel 1889, con R.D. del 10 marzo, la Direzione Generale delle Poste e Telegrafi, fin qui dipendente dal Ministero dei Lavori Pubblici, divenne Ministero autonomo e fu anche istituita la Biblioteca Centrale del Ministero, sistemata nella Sala Galileo e nel grande spazio dell'antica Biblioteca, suddiviso in tre ambienti da scaffalature.

6. Gli anni recenti

A partire dal 1974, per volontà dell'allora presidente della Camera Sandro Pertini, il Palazzo del Seminario cominciò ad essere usato dalla Camera dei Deputati, che nel 1988, al termine di un lungo restauro voluto dal presidente Iotti, vi ha trasferito la propria biblioteca, vista la ristrettezza dei locali nello storico Palazzo di Montecitorio, che aveva portato alla dispersione di molti fondi librari in numerosi locali d'affitto esterni e all'impossibilità di espansione. Fu così elaborato un progetto distributivo che consentì di articolare lo sviluppo della Biblioteca e della consultazione dei suoi diversi fondi, tenendo in considerazione le diverse tipologie di utenti, Deputati e pubblico, al quale la Biblioteca sarebbe stata aperta senza limitazioni, offrendo un importante strumento specializzato al Paese e divenendo, essa stessa, centro di produzione culturale. Nel 2007, con la creazione del Polo Bibliotecario Parlamentare, è stata finalmente realizzata l'integrazione tra le due biblioteche parlamentari, consentendo così agli utenti di usufruire liberamente di entrambe e garantendo anche un opportuno contenimento dei costi e un rilevante incremento dei servizi.

7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Il palazzo della Biblioteca della Camera. Percorso bibliografico nelle collezioni della biblioteche di Senato e Camera. Dal catalogo di quest'ultima sono stati selezionati solo i volumi strettamente attinenti all'argomento trattato.

Per ulteriori approfondimenti è possibile proseguire la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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