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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 61 (Nuova Serie), febbraio 2021

Discorso del Presidente Marilotti al convegno su Francesco Saverio Nitti. Sala Capitolare, 8 novembre 2019

Riproponiamo qui il testo della relazione del Sen. Gianni Marilotti, Presidente della Commissione per la Biblioteca e per l'Archivio storico, pronunciata l'8 novembre 2019, in occasione del convegno "I cento anni del Governo guidato da Francesco Saverio Nitti (1919-1920)". Al convegno "MinervaWeb" ha dedicato una sintesi nel n. 54, n.s., dicembre 2019; gli Atti sono apparsi di recente nella nuova collana di pubblicazioni della Biblioteca del Senato "MinervaEventi" (la relazione vi occupa le p. 27-30) e sono consultabili - oltre che disponibili per il download - anche in formato pdf.

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Sono lieto di ospitare presso la Biblioteca del Senato il convegno promosso dalla Fondazione "Francesco Saverio Nitti", organizzato in occasione delle celebrazioni del Centenario del Governo presieduto dallo statista lucano. Un evento che è stato possibile realizzare presso la Sala Capitolare grazie al lavoro della Commissione che ho l'onore di presiedere e del personale della Biblioteca e dell'Archivio storico del Senato. Il convegno è stato inoltre arricchito con l'allestimento di una teca, contenente una selezione di documenti, custoditi presso l'Archivio storico, che testimoniano l'attività politica di Nitti dal primo dopoguerra alla sua nomina a senatore.

Ringrazio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ci ha onorato della Sua presenza, la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, tutte le autorità presenti, i relatori e gli enti che hanno patrocinato questa iniziativa.

Chi mi ha preceduto ha già tracciato un quadro molto chiaro ed esaustivo della figura di Nitti, uno dei massimi meridionalisti italiani, autore già nel 1900 del libro-inchiesta Nord e Sud. Voglio solo aggiungere sui suoi studi giovanili gli stimoli ricevuti nel periodo napoletano e la sua determinazione a studiare da autodidatta inglese, francese e tedesco, un dato, questo, già molto significativo. Frequenta fin da subito le aule universitarie, dove appena quindicenne viene notato da Benedetto Croce.

Si mantiene con il suo lavoro da giornalista, mostrando fin da subito di essere un vivace intellettuale. Studioso della situazione economica e politica italiana, coltiva un pensiero critico originale. È un profondo conoscitore della storia, la sua visione liberale e democratica non è volta solo al raggiungimento di una compiuta democrazia politica, ma anche di una democrazia che deve esplicarsi nell'economia, nella produzione secondo il concetto di «democratizzazione dell'industria». Giovane docente di Scienza delle finanze alla Federico II di Napoli, entra presto in politica. Sviluppa idee innovative sul Meridione; proseguendo l'analisi di Giustino Fortunato, Nitti ritiene che il Sud Italia sia un grande laboratorio.

Antonio Gramsci ha scritto che quella di Nitti è una «filosofia dell'azione». Filosofia, cioè, che si «enuncia ed afferma non con le formule, ma con l'azione». La sua idea di modernizzazione industriale, imprescindibile per un Paese giunto tardivamente all'industrializzazione rispetto ad altre nazioni europee, non rimane materia di speculazione, ma si riversa nella legge speciale per Napoli varata dal secondo Governo Giolitti nel luglio 1904, anno in cui Nitti entra in Parlamento. Si tratta di un nuovo approccio alla questione meridionale: la legge speciale spezza la tradizionale uniformità dell'ordinamento amministrativo italiano, supera il vecchio liberismo meridionalista e individua nel nesso Stato-industria la chiave di una nuova politica per il Mezzogiorno. Infine ripensa l'intervento pubblico fuori da schemi dirigisti, facendo così del Meridione un laboratorio per un esperimento nazionale. La questione meridionale per lui va affrontata non solo sul piano economico, ma anche sul profilo dell'educazione e della morale. Chiamato da Giolitti al Governo, Nitti diviene ministro dell'Agricoltura, industria e commercio dal 1911 al 1914. Dopo Caporetto, nel Governo Orlando diviene ministro del Tesoro. Un incarico delicatissimo. Nitti concorre a mantenere saldo il fronte della resistenza finanziaria ed economica, indispensabile per alimentare le forniture belliche. Il prestito nazionale da lui lanciato, per una somma elevatissima per quei tempi, è non solo un atto di finanza, ma di valore morale, che attesta la fiducia verso le istituzioni del popolo italiano, nonostante Caporetto. Si tratta di una posizione chiave per organizzare la macchina della mobilitazione bellica ma, in prospettiva futura, anche per delineare una prima forma di capitalismo organizzato. Sul finire del 1917 Nitti crea infatti l'Istituto nazionale dei cambi con l'estero (INCE), ente che raggruppa i principali istituti di credito del Paese per regolare e organizzare l'acquisto delle merci prodotte all'estero tramite il monopolio dei cambi valutari. Quasi contemporaneamente Nitti istituisce l'Opera nazionale combattenti, un ente che unisce scopi produttivi a finalità sociali per la «ripresa dell'attività economica e professionale» delle centinaia di migliaia di italiani, in gran parte contadini, che hanno combattuto in trincea. Alla sua costituzione partecipano l'INA, grandi industrie come l'Ansaldo e alcune delle principali banche del Paese, a testimonianza di come Nitti stia delineando un piano di governo dell'economia che si fonda sulla cooperazione tra pubblico e privato con il coordinamento dello Stato.

Nitti prova ad intervenire nella politica estera italiana, temperando le rivendicazioni territoriali avanzate a Versailles e sostenendo la necessità di una pace non punitiva in nome della stabilità e della rinascita dell'Europa. Non condivide a guerra conclusa molte delle posizioni manifestatesi durante la Conferenza di Pace, che finiscono per porre le condizioni di nuove discordie e di lotte più cruente. Nel nostro Archivio storico, tra gli incarti di Segreteria del Regno del 1919, che testimoniano l'attività di Nitti in quel periodo, è stato possibile ritrovare: la presentazione del Disegno di legge governativo sulle dotazioni della Corona, la presentazione del Disegno di legge governativo sul passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace (col decreto reale di autorizzazione) e la risposta scritta ad un'interrogazione sulla restituzione alle famiglie delle salme dei caduti (con autografo di Nitti).

In quella grande convulsione che caratterizza il primo dopoguerra, tra il problema del reinserimento dei reduci e le gravi conseguenze dell'epidemia spagnola, prendono il sopravvento opposti estremismi, ci sono frequenti scontri di piazza, disordini e conflitti. Si moltiplicano le invettive contro il Capo del Governo, accusato di aver avuto un atteggiamento debole e rinunciatario in merito alle rivendicazioni territoriali italiane. L'occupazione di Fiume da parte di D'Annunzio, screditando la sua linea politica, mina irrimediabilmente l'autorità del suo Esecutivo.

L'introduzione del sistema elettorale proporzionale e delle prime forme di sussidio per i disoccupati, la politica di apertura verso la Russia sovietica e i suoi tentativi di mediare la conflittualità sociale non evitano la caduta del suo Governo nel giugno 1920. È costretto alle dimissioni, soverchiato dall'urto degli eventi, che sono tali da travolgere il suo Esecutivo.

Tuttavia neppure i successivi governi e tutta la vecchia classe politica riescono a salvare il sistema liberaldemocratico dagli attacchi del Regime. Nitti inizialmente sottovaluta la minaccia fascista derubricata nella primavera del 1922 a «reazione inevitabile», interpretazione che lo accomuna a gran parte del ceto politico liberale dell'epoca. Successivamente Nitti, come è noto, diviene uno dei principali bersagli della violenza fascista. L'assalto squadrista subito lo convince a lasciare l'Italia e nel giugno 1924 cerca riparo dapprima in Svizzera e poi a Parigi. La sua presenza da uomo libero nella Francia occupata diventa però problematica: viene arrestato da due agenti delle SS che lo deportano in Tirolo, dove avrebbe trascorso venti lunghi mesi di prigionia.

Sarebbe stato liberato all'inizio del maggio 1945, facendo ritorno nella Penisola soltanto a metà luglio con il preciso obiettivo di tornare a «servire l'Italia». Verrà infine eletto deputato all'Assemblea Costituente, dove emergerà ancora una volta come figura autorevole, animando i dibattiti per la stesura della nostra Carta costituzionale.

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