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L'Arlecchino

  • La storia

    La storia

    L'Arlecchino, giornale comico politico di tutti i colori

    a.1, n.1 (18 mar. 1848) - a.2, n.103 (16 giu. 1849)

    Napoli, Tip. Flautina; poi Stamperia Parigina di Alessandro Lebon; poi Tip. di Borel e Bompard.

    2 v., 31 cm. Ogni numero consta di quattro pagine.

    Il 10 febbraio 1848 il re borbone Ferdinando II, sotto l'urto della sommossa esplosa prima a Palermo ed estesasi in gran parte del Regno delle Due Sicilie, concesse la Costituzione e con essa la libertà di stampa. In tale contesto Napoli si ritagliò un ruolo particolarmente attivo, diventando proprio con la pubblicazione de L'Arlecchino, giornale comico politico di tutti i colori, la culla del giornalismo umoristico italiano; al foglio va il merito di aver stimolato in seguito un incredibile proliferare di testate. Il titolo rimanda alla maschera della commedia apparsa in teatro nella seconda metà del XVI secolo. Infatti già dal primo numero, viene rappresentato sul frontespizio Arlecchino sopra una "ruota" nell'intento di affilare "la penna" e raccontare ai suoi lettori la sua storia e le sue intenzioni.

    L'Arlecchino, foglio satirico-umoristico, incontrò sin dal principio il favore del pubblico per la sua vena battagliera e mordace, audace ma non violenta, tale da non urtare il buon gusto dei lettori e risultare invece "il più letto, il più salace e il più popolare di tutti i giornali del '48".

    Salvatore Di Giacomo ci conferma che "L'Arlecchino era divorato da tutta Napoli" e addirittura lo stesso Ferdinando II "al quale ne portavano un esemplare ogni sera, aveva sinceramente confessato a qualcuno di non poter fare a meno della piacevolissima lettura, alla quale, dopo cenato, con un sigaro in bocca, s'abbandonava lietamente prima di porsi a letto".

    La vita del foglio fu piuttosto travagliata. Il 15 maggio 1848 la redazione de L'Arlecchino fu invasa dai soldati svizzeri e il direttore, Emmanuele Melisurgo, vi rimase da solo per distruggere quanto potesse essere ritenuto sovversivo e ostile al regime borbonico. Lo studioso Alfredo Giovine sostiene che il direttore stesso venne condotto dai soldati svizzeri verso il Palazzo Reale e lì riconosciuto anche come "l'ingegnere" della barricata di San Ferdinando e perciò fu segnalato per l'immediata fucilazione nei fossi del Castello. Fu salvato da un ufficiale della fanteria marina che lo mandò a bordo di un bastimento ancorato nella Darsena.

    Dopo tale avvenimento il giornale venne sospeso per due settimane, per poi riprendere indisturbato la sua uscita con il n. 44 del 29 maggio 1848, fino al 14 aprile 1849. Successivamente, poiché il procuratore del re lo aveva classificato come giornale politico e perciò sottoponibile ad una tassa speciale, il foglio non uscì per oltre un mese. In seguito le pubblicazioni ripresero il 28 maggio con il n. 88, per poi concludersi il 16 giugno 1849 per volontà del procuratore generale presso la Gran Corte criminale di Napoli che ne chiedeva la soppressione.



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