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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 33 (Nuova Serie), giugno 2016

Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte quinta: dal secondo dopoguerra a oggi)

Abstract

Dopo la seconda guerra mondiale la Francia beneficiò d'una forte espansione e modernizzazione delle proprie strutture produttive agricole e industriali. A tale processo di sviluppo molto contribuirono la politica di pianificazione seguita dal governo e l'inserimento del paese nella Comunità Economia Europea. Tuttavia negli anni settanta l'economia francese, non diversamente da quelle degli altri paesi europei, venne a trovarsi in serie difficoltà, che richiesero il compimento di profonde ristrutturazioni in ambito industriale. Queste consentirono un rilancio dei settori interessati, il quale tuttavia non bastò a consentire il ritorno a elevati tassi di crescita e il riassorbimento della disoccupazione generatasi. Questa situazione s'è protratta sino ai giorni nostri, suscitando all'interno del paese un vivace dibattito in merito alle sue cause e ai suoi possibili rimedi.

airbus1. Il ventennio 1950-70

2. Crisi, ristrutturazione e rilancio dell'industria

3. Dagli anni ottanta a oggi

4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Il ventennio 1950-70

● Il ruolo della pianificazione

Come spiegato già nel precedente articolo, un aspetto saliente della politica economica francese successiva alla seconda guerra mondiale fu rappresentato dall'ambizione del governo di stimolare e dirigere lo sviluppo del paese attraverso un'attenta opera di pianificazione degli investimenti, sia pubblici che privati. Di tale politica Aldcroft (2004) dà un giudizio sostanzialmente positivo, rilevando come la Francia, che prima della guerra aveva sofferto d'una pluriennale stagnazione, negli anni cinquanta e sessanta abbia invece beneficiato d'una rapida crescita, sostenuta da un elevato livello degli investimenti. Egli tuttavia sottolinea pure che per quella crescita fu necessario pagare un prezzo, rappresentato dall'instabilità dei prezzi e della moneta. Il primo di tali fenomeni fu causato direttamente dal rapido incremento della domanda, il quale inevitabilmente ebbe effetti inflazionistici; il secondo costituì invece il frutto d'una scelta governativa. La crescita contemporanea della domanda e dei prezzi interni tendeva a determinare incrementi delle importazioni, che dovevano essere contrastati per salvaguardare l'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Ciò poteva essere effettuato tramite politiche fiscali tese a comprimere la domanda interna; la classe politica francese, tuttavia, generalmente evitò di servirsi di tale strumento (diversamente da quanto fece quella britannica, come s'è visto in un altro articolo di questa rubrica). Al manifestarsi di squilibri nel commercio con l'estero essa pertanto rispose ricorrendo a controlli sulle importazioni e soprattutto a svalutazioni del franco, che rendevano più care le merci straniere sul mercato interno e più convenienti quelle francesi sui mercati esteri.

● Il ruolo del Mercato Comune e della decolonizzazione

Anche se delle limitazioni alle importazioni, nei momenti di difficoltà, vennero comunque poste in essere, è indubbio che l'economia francese, a partire dagli anni cinquanta, sia andata sempre più integrandosi con quelle degli altri paesi europei. Ciò dipese in larga misura dalla partecipazione del paese al Mercato Comune Europeo (istituito dal Trattato di Roma del 1957), che impose una progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali con gli altri paesi membri. A parere di Fohlen (1980), questa crescente apertura commerciale della Francia ebbe un'importanza fondamentale nell'orientarne l'evoluzione economica. Gli operatori economici francesi erano stati praticamente sempre difesi dalla concorrenza da pesanti tariffe protezionistiche: quando l'integrazione nel MEC impose la riduzione e poi la scomparsa di tali tariffe, essi furono costretti per la prima volta a confrontarsi con quelli di paesi che avevano sviluppato un'agricoltura altamente produttiva (come i Paesi Bassi) o che avevano alle spalle un lungo processo di sviluppo industriale (come la Germania). Questa inedita situazione istigò il governo e la stessa imprenditoria a realizzare un profondo rinnovamento delle strutture produttive nazionali.

Sempre secondo Fohlen (1980), l'impatto della costituzione del MEC fu ulteriormente accresciuto dalla dissoluzione dell'impero coloniale francese (iniziata nell'immediato dopoguerra e culminata nel 1962 con l'indipendenza dell'Algeria), che rese meno intensi gli scambi commerciali della Francia con vari territori africani e asiatici. La perdita di quegli sbocchi commerciali sicuri impose lo sviluppo delle esportazioni verso gli altri paesi europei, i quali però esprimevano una domanda di beni di consumo assai diversa da quella proveniente dalle perdute colonie. Il mutamento che investì l'ambito commerciale, pertanto, ne suscitò un altro in ambito manifatturiero, determinando il ridimensionamento di attività tradizionali (quali quelle tessili) e lo sviluppo di altre più sofisticate (quali la meccanica di precisione e l'elettronica).

● La modernizzazione dell'industria

Rileva Berend (2008) che tutti i piani elaborati a partire dal 1946 ebbero fra i propri obiettivi non soltanto la mera crescita quantitativa della produzione industriale, ma anche la modernizzazione dell'industria stessa, vista evidentemente quale imprescindibile fattore di sviluppo. Un ambito nel quale questa politica di modernizzazione ebbe effetti particolarmente appariscenti fu quello delle forniture energetiche: se ancora nel 1960 il 74% del fabbisogno energetico francese era coperto dal carbone, dieci anni più tardi questa percentuale era calata ad appena il 17. Dapprincipio, ad assumere in sua vece un ruolo dominante fu il petrolio; ma esso a sua volta fu poi scalzato dall'energia nucleare, per il cui impiego civile era stato varato nel 1955 un ambizioso programma di sviluppo.

Un altro aspetto rilevante della politica industriale francese fu rappresentato dalla volontà di far sorgere nei vari settori dei gruppi di grandi dimensioni, capaci di competere con successo sulla scena internazionale. Come spiegano Fohlen (1980) e Léon (1979), questa riorganizzazione avvenne a volte secondo modalità che lasciavano autonome le aziende coinvolte (accordi su produzione e commercializzazione, costituzione di società comuni, partecipazioni azionarie incrociate), ma a volte anche tramite fusioni e acquisizioni. Essa interessò non soltanto le imprese pubbliche, ma anche quelle private (le cui decisioni vennero orientate nel senso voluto mediante l'erogazione d'incentivi) e riguardò tutti i principali comparti dell'industria francese: industria elettrica, siderurgia, metallurgia, cantieristica navale, aeronautica, chimica, imprese automobilistiche, industria tessile, industria del vetro, banche e assicurazioni. In tali ambiti il mercato finì pertanto per essere dominato da un numero assai ristretto di imprese. Questa politica valse effettivamente a rafforzare il sistema industriale francese, sebbene non mancasse di registrare anche qualche insuccesso (ad esempio, non riuscì ad impedire che l'industria elettronica nazionale finisse sotto il controllo americano).

● Il rinnovamento dell'agricoltura

Trasformazioni altrettanto importanti di quelle che interessarono l'industria riguardarono l'agricoltura, un settore che in Francia s'era caratterizzato per la notevole stabilità delle sue strutture economiche e sociali. Questa stabilità aveva determinato la sopravvivenza di assetti proprietari, modalità di organizzazione e tecniche produttive arretrate, con conseguente mantenimento a livelli mediamente bassi della produttività dei suoli e del lavoro contadino. Stando a quanto scrive sull'argomento Léon (1979), il processo di rinnovamento ebbe inizio nel 1953, quando il governo costituì le prime società d'intervento. A questa iniziativa seguirono l'indicizzazione dei prezzi agricoli al costo della vita, dei provvedimenti volti a orientare la produzione e l'attiva partecipazione alle negoziazioni fra produttori e industrie alimentari. Per questa via si mirava a rendere più redditizia l'attività agricola, in modo da accrescere la capacità d'investimento degli agricoltori.

Nel 1960, con la legge di orientamento agricolo di quell'anno, furono poi poste le premesse per un intervento governativo ancora più spinto. Quella legge fissava difatti alcuni ambiziosi traguardi da raggiungere, quali la crescita dimensionale delle proprietà, lo sviluppo della formazione professionale degli agricoltori e l'adozione di più razionali metodi di coltura. Negli anni successivi questi obiettivi furono effettivamente perseguiti. Ad esempio, venne favorito il pensionamento dei vecchi agricoltori e l'incameramento dei loro beni da parte dello stato, il quale poté in tal modo accorpare molte piccole proprietà in aziende di maggiore ampiezza. Inoltre furono stimolate la meccanizzazione e la motorizzazione delle pratiche agricole, in misura tale da compensare largamente i citati pensionamenti (accanto ad essi si ebbe difatti il trasferimento in città di moltissimi agricoltori ancora in età da lavoro). Si diffuse pertanto un nuovo modello di agricoltura, nel quale la gestione di ampie superfici era affidata a un numero relativamente ridotto di coltivatori: un mutamento che consentì un notevole incremento della quantità di prodotto agricolo per addetto. Quest'ultima divenne poi ancora più elevata per effetto dalla crescita dei rendimenti agricoli, la quale fu consentita dai miglioramenti tecnologici che furono introdotti (in particolare dall'adozione dei concimi chimici). Sul valore della produzione agricola, inoltre, incise beneficamente il mutare della sua composizione: la crescita e la diversificazione dei consumi dei ceti urbani, difatti, permise di puntare in misura maggiore rispetto al passato su produzioni di maggiore pregio rispetto a quelle cerealicole un tempo dominanti, quali la carne, i prodotti lattiero-caseari, la frutta e il vino.

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2. Crisi, ristrutturazione e rilancio dell'industria

● La nuova pianificazione

Al pari degli altri paesi occidentali, la Francia negli anni settanta attraversò una fase di crisi, segnata dal rallentamento della crescita, dall'incremento della disoccupazione e da una montante inflazione. La reazione alla crisi del governo francese, così come emerge dalla ricostruzione che ne offre Berend (2008), si articolò in due fondamentali tipologie d'interventi: da una parte vennero attuate delle misure puramente difensive, quali l'erogazione di massicci sussidi ai settori tradizionali più in difficoltà (in particolare, alla siderurgia e alla cantieristica navale) e la concessione di crediti alle aziende che esportavano, mentre dall'altra fu perseguito un rinnovamento della struttura industriale del paese capace di restituirgli dinamismo e competitività. Per tradurre in realtà questa ambizione ci si servì del collaudato strumento della pianificazione. Così, per fare degli esempi, il sesto piano quinquennale (relativo al periodo compreso fra il 1971 e il 1975) si pose l'obiettivo dell'ulteriore crescita dimensionale delle imprese, mentre il nono (relativo agli anni 1984-1988) tese a migliorare l'istruzione scientifica, la formazione professionale e gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo. Questa politica diede senz'altro buoni frutti, come dimostra il caso del settore chimico: questo vide negli anni settanta la costituzione di cinque grandi gruppi e a partire dagli anni ottanta lo sviluppo da parte di essi di nuove redditizie attività (farmaceutica e chimica fine). Grazie a queste ristrutturazioni e riconversioni produttive, l'industria chimica francese poté conoscere una nuova forte espansione, che prese la forma dell'acquisizione da parte delle aziende nazionali di altre società del settore, sia europee che statunitensi.

La ristrutturazione dell'economia francese fu inoltre favorita dal fatto che già nella fase precedente alla crisi s'era cominciato a progettare lo sviluppo di settori industriali tecnologicamente avanzati. In particolare, alla fine degli anni sessanta l'industria aeronautica nazionale aveva stretto accordi rispettivamente con quella britannica e con quella tedesca per la realizzazione dell'aereo supersonico Concorde e per la costituzione del consorzio Airbus. Entrambi i progetti giunsero a maturazione nel pieno della fase di crisi (l'entrata in servizio del Concorde e l'avvio della commercializzazione del primo Airbus risalgono alla metà degli anni settanta), consentendo a tale industria d'intraprendere un importante percorso di crescita tecnologica e dimensionale.

● Le nazionalizzazioni degli anni ottanta

Il governo socialista insediatosi nel 1981 ritenne necessario, nell'ottica del risanamento e del rilancio dell'economia, accrescere il diretto controllo pubblico sull'economia, nazionalizzando importanti imprese industriali e istituti bancari. Scrive Longobardi (1988) che dopo le grandi nazionalizzazioni del dopoguerra il settore pubblico francese aveva continuato ad estendersi, ma solo in ragione dello sviluppo delle imprese già in mani pubbliche, che avevano ampliato il proprio perimetro di attività attraverso la costituzione di nuove società o l'acquisizione di partecipazioni azionarie in aziende private. Fra il 1981 e il 1982 si ebbe invece, per la prima volta dal 1946, la diretta e completa acquisizione da parte dello stato di imprese appartenenti a privati, operanti in comparti di primaria importanza (siderurgia, chimica, elettronica, vetro, finanza). In seguito a tali acquisizioni, lo stato francese si trovò a gestire una parte importante dell'apparato industriale e a detenere il controllo quasi totale del sistema bancario.

Tuttavia, mentre le nazionalizzazioni del dopoguerra erano avvenute col parere favorevole di tutti i principali partiti, quelle degli anni ottanta furono avversate dalle forze di opposizione; la vittoria della destra alle elezioni politiche del 1986 portò così all'attuazione d'un programma di privatizzazioni, che in larga misura disfece l'opera del precedente governo.

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3. Dagli anni ottanta a oggi

● Sviluppo economico e persistenza della disoccupazione

Indubbiamente, la ristrutturazione operata negli anni settanta e ottanta valse ad accrescere la capacità dell'economia francese di generare ricchezza. A tale riguardo, risultano significativi i dati relativi alla produttività del lavoro (valutata rapportando il PIL nazionale al totale delle ore lavorate) che si ricavano da Berend (2008): fra il 1973 e il 1998 in Francia tale indice crebbe dell'87%, più della media dell'Europa occidentale, e negli anni novanta si mantenne a un livello medio superiore a quello tedesco, britannico e persino statunitense. D'altro canto va sottolineato che in questo paese, non diversamente che nel resto d'Europa, alla ripresa economica non si accompagnò il riassorbimento della disoccupazione formatasi negli anni di crisi, ma all'opposto un ulteriore incremento della stessa. Di ciò dà conto efficacemente Aldcroft (2004), mostrando come dal tasso di disoccupazione medio del 2,2% che caratterizzò il periodo 1961-73 si sia passati al 6,4% del 1974-85, al 9,7 del 1986-90 e all'11,1% del 1991-95.

● Le politiche di riforme

Come spiega Regini (2000), nell'ultimo trentennio la permanenza di livelli elevati di disoccupazione ha costituito per i governi europei un potente incentivo a porre in essere riforme che fornissero all'economia nuovi stimoli. Nella stessa direzione ha operato l'intensificarsi della competizione internazionale, dovuto alla globalizzazione dei mercati e alla nascita della moneta unica europea (che ha reso impraticabile quella forma nascosta di protezionismo costituita dalla svalutazione monetaria). Le iniziative prese hanno mirato a rendere più flessibile il mercato del lavoro e a ridurre il peso esercitato sulle finanze pubbliche dal sistema di sicurezza sociale. Anche in Francia ci si è mossi in questa direzione, sia pure con minore decisione rispetto ad altri paesi. Negli anni ottanta fu rafforzata la contrattazione aziendale a scapito di quella collettiva, venne liberalizzato il ricorso ai contratti di lavoro atipici e furono agevolati i licenziamenti collettivi. Nel decennio successivo, per la verità, in questi ultimi due ambiti furono ristabiliti maggiori vincoli; ma in compenso nuove iniziative furono prese su altri fronti. Nel 1995, difatti, il governo presentò un piano di tagli alla spesa sociale, che fu confermato (pur con alcune modifiche) anche dopo l'ondata di proteste che esso suscitò. Berend (2008) ricorda inoltre che dopo il 2000 fu varata una riforma del sistema pensionistico, anche in questo caso malgrado la forte protesta sociale che accompagnò l'elaborazione del provvedimento.

● Il dibattito sulla globalizzazione

A parere di alcuni osservatori, tuttavia, queste riforme sono state troppo limitate per poter incidere realmente sulla condizione del paese. Una posizione di tal fatta è espressa dal rapporto presentato dalla Commission pour la libération de la croissance française présidée par Jacques Attali (2008), istituita nel 2007 per volontà della Presidenza della Repubblica. Nella prefazione a tale rapporto è infatti scritto che la limitata crescita economica della Francia è dovuta alla mancata revisione del modello economico-sociale creato nel dopoguerra, divenuto ormai obsoleto. La Francia è rimasta così un paese segnato da una capillare regolazione pubblica della vita economica, con conseguente limitazione dell'iniziativa individuale e proliferazione di posizioni di rendita. Per gli autori del rapporto, a questa situazione occorre porre rimedio con una serie di riforme volte a facilitare la concorrenza, ridurre il costo del lavoro e semplificare la normativa sul lavoro: operando in tal senso, il governo conferirebbe all'economia francese la competitività necessaria a consentirle d'inserirsi fra i beneficiari della globalizzazione.

V'è anche chi, tuttavia, ritiene che il compito del governo debba essere non quello di fare in modo che la Francia prenda parte da una posizione di forza al processo di globalizzazione dell'economia, bensì quello di porla al riparo dalle conseguenze di quest'ultimo. In questo senso si pronuncia Montebourg (2013), esponente del Partito Socialista che ha ricoperto, per un breve periodo, la carica di Ministro dell'Economia in seno al governo Valls. Per Montebourg la libera circolazione delle merci e dei capitali ha grandemente nuociuto alla Francia, consentendo alle grandi imprese transnazionali di delocalizzare la produzione in paesi dal più basso costo del lavoro e dalla legislazione ambientale più favorevole, come pure di ottenere dallo stato e dai sindacati, dietro minaccia di ulteriori delocalizzazioni, cospicui sgravi fiscali e l'accettazione d'una sostanziale stasi salariale. A suo avviso, il rilancio dell'economia e il miglioramento delle condizioni economiche della massima parte dei cittadini passano quindi per il ristabilimento d'un regime doganale protezionista, che consenta soltanto l'importazione di beni provenienti da paesi rispettosi di determinati standard sanitari, ambientali e sociali.

Un punto di vista alternativo a entrambi quelli ora proposti è espresso da Voisenet (2010), il quale ritiene che il modello francese, caratterizzato da un forte intervento pubblico nell'economia e dal riconoscimento di ampie tutele ai cittadini, sia senz'altro da riformare (perché ormai scarsamente capace di stimolare la crescita), ma comunque non privo di aspetti tuttora validi, come ha dimostrato la buona tenuta dell'economia nazionale nella fase di crisi apertasi nel 2008. Scrive tale autore, difatti, che la rilevante incidenza del settore pubblico e l'elevata spesa statale destinata a prestazioni sociali hanno funto da stabilizzatori della domanda interna, limitando il numero dei lavoratori colpiti da disoccupazione e difendendo il tenore di vita di questi ultimi; che le generose politiche familiari hanno mantenuto alta la natalità e quindi la richiesta di abitazioni, sostenendo l'attività del settore edile; che le garanzie assicurate dal sistema pensionistico hanno disincentivato le famiglie dall'investire in borsa i propri risparmi per crearsi una rendita futura, minimizzando le conseguenze della crisi finanziaria sui loro redditi. Sulla base di queste considerazioni, egli conclude che tale modello debba sì essere modernizzato, per adeguarlo al nuovo contesto internazionale creato dalla globalizzazione, ma senza rinnegarlo in favore di quello neoliberista di stampo anglosassone, del quale, a suo parere, l'odierna crisi mondiale ha svelato le serie criticità.

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4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Per una geografia storico-economica. La Francia. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Contiene la bibliografia completa di tutti i cinque articoli di approfondimento pubblicati relativi alla Francia. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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