Il Presidente: Discorsi

L'Italia scommette sull'Italia

Discorso pronunciato a Bari in occasione della Conferenza organizzativa e programmatica delle ACLI 2006

9 Dicembre 2006

Care amiche, cari amici,
sono contento di essere oggi con voi.
Si respira aria buona. Aria di impegno, di fiducia e voglia di agire.
Aria, come è scritto, di futuro. Non un generico ottimismo volontaristico ma una convinta adesione ad una missione - pronuncio questa parola in senso laico - di riscatto da un orizzonte che troppi danno per già scritto e immodificabile: il destino rassegnato di "un'epoca dalle passioni tristi", come recita il libro di due psicologi-sociali che vivono e lavorano in Francia.
Non che manchino cause e motivi di preoccupazione e di paura. Tutt'altro e su questo tornerò più avanti.
Però credo che spesso, nel dibattito anche culturale, si tenda a dar conto unicamente delle ragioni di allarme e di sfiducia trascurando di esplorare le finestre di opportunità che pure esistono e i fatti, i volti che possono aiutare a proiettare lo sguardo oltre la nebbia.
Per questo, qui, con voi, ascoltato l'intervento del presidente Olivero - che ringrazio per avermi invitato - e assistito ai casi di "fraternità sociale" raccontati dai video, questi esempi di "buone pratiche" raccolti in giro per il Paese, respiro aria buona.
Quella sana e frizzante, come nelle mie montagne dell'Abruzzo, che ti carica regalandoti l'energia per affrontare percorsi faticosi e tentare mete sempre più ambiziose e, proprio per questo, appaganti.

Attraversiamo un tempo che, è stato detto, non è un'epoca di mutamenti ma un mutamento d'epoca. Un tempo complesso e difficile, in cui tutto sembra avvolto da una nebbia indistinta che tende a sfumare, a confondere, a far obliare. Segnato dall'incertezza, dalla prevalenza dell'individuo sulla persona, dal potere dell'immediatamente consumabile, dalla legge del particolare a danno dell'universale, dalla trascuratezza per ciò che permane, ciò che è costante pure nella necessaria trasformazione.
Alle nostre spalle, e nel nostro presente, abbiamo grandi cambiamenti. Dalla caduta del muro di Berlino, all'esplodere dei conflitti planetari, al terrorismo, alla competizione economica globale, ai mutamenti climatici. E spesso questi cambiamenti ci mostrano il lato violento e brutale dell'inatteso, di una tensione barbarica, quasi lo sradicamento dei tratti di convivenza e umanità.
Basti pensare ai genocidi, alla violenza contro le donne, ai fanatismi di stampo razzista, allo sfruttamento senza misericordia di intere regioni, alla pretesa di fare la volontà di Dio, che Dio lo voglia o no. Per questo sentiamo spesso dire che la speranza recede, il deserto avanza, la solidarietà si inaridisce.
C'è del vero, naturalmente, in questa "rappresentazione". Lo conferma il vissuto quotidiano di ognuno di noi e lo scorrere delle vite dei popoli e delle regioni del mondo.
Perfino gli straordinari avanzamenti sui terreni più disparati della scienza e della conoscenza accanto a indubbi effetti di accrescimento degli standard di vita - seppure quasi solo delle società più abbienti - cooperano a generare paure, come ben sintetizzato nell'espressione che dà il titolo ad un libro di qualche anno fa, "le inquietudini dell'uomo onnipotente".

E', però,un tempo di grandi opportunità, purché non lo si viva solo come minaccia ed emergenza, ma come il farsi doloroso della novità che reclama di mettersi in ascolto dei segni dei tempi, dei turbamenti che animano la storia, delle tracce nascoste che si vanno formando sotto la polvere di ciò che passa.
Non è la fine della storia ma solo la fine di un modo di fare la storia. Questa sfida interpella, noi laici cristiani, doppiamente. Perché chiamati, in nome della fede e della ragione, a reagire con vigore alla disperante malinconia di un destino di cupezza e spaesamento - come se sul mondo fosse improvvisamente calato "il silenzio di Dio " - e perché richiesti dal Concilio, riecheggiato nel recente convegno della Chiesa italiana di Verona, ad "animare le cose temporali".

«I care». «Mi sta a cuore». Ricordate? E' l'insegnamento di don Milani, direi la summa della pedagogia del grande prete di Barbiana. Mi verrebbe da dire: sta tutto lì.
Del resto quello che abbiamo visto sullo schermo altro non è che la declinazione - non so quanto involontaria perché il messaggio di don Milani ha varcato confini anche culturali e ideologici - di quella pedagogia.
Ma lo spirito riassunto nell'espressione di quel prete stava già dentro la nostra Costituzione: la Repubblica, cioè tutti noi, ha a cuore i suoi cittadini, cioè noi stessi, perché essa riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

La Costituzione è la nostra casa comune e sarebbe bene che tornassimo più frequentemente ad abitarla per saggiarne le fondamenta e trarne ispirazione ideale.
La politica, del resto, come ha detto il presidente Napolitano nel suo incontro con papa Benedetto, non è niente se perde la sua ispirazione ideale, spirituale. Seguiamo la Costituzione. Pratichiamola nei suoi principi fondamentali, quelli distillati dalla sofferenza della guerra e dalla lotta di liberazione dal nazi-fascismo, frutto del fecondo lavoro dei nostri Padri costituenti e del loro ardente desiderio di dare alla giovane democrazia italiana un futuro di pace, libertà, giustizia, benessere e sviluppo.
Mi sembra un viatico altamente valido ancora oggi, in un Paese che si presenta fortemente diviso e che troppo spesso nelle sue elites politiche - è la mia opinione - cede ad una rappresentazione del conflitto politico in chiave di antagonismo pregiudiziale, ad una raffigurazione per cui chi siede negli scranni di fronte non è l'avversario ma il nemico: questo non è un bipolarismo alla stato maturo.

Come penso sappia qualcuno di voi, da quando sono stato chiamato alla responsabilità di presidente del Senato, sostengo la necessità che gli schieramenti depongano le armi della lunga, troppo lunga campagna elettorale, che il clima si svelenisca e nel pieno rispetto dell'esito elettorale le coalizioni cerchino un'intesa su alcune questioni di interesse generale.
Quando mi si chiede quali questioni rispondo indicando, accanto alla indispensabile riforma della legge elettorale quei terreni che riguardano la modernizzazione del Paese e la riduzione dell'area del precariato.
Mi fermo qui perché compete poi alle forze politiche, ai gruppi parlamentari decidere se e come e su quali campi incamminarsi. Le mie sono state e sono parole al vento? Beh, se guardo al linguaggio della politica devo dire che spesso si continuano ad ascoltare toni troppo alti e inutilmente eccessivi ma se osservo i dati effettivi, almeno per quel che riguarda il Senato, registro che su alcune materie un dialogo costruttivo si è realizzato e mi riferisco in particolare ad alcuni provvedimenti sulla giustizia ed alla mozione a sostegno del Papa per gli attacchi ricevuti dopo il discorso di Ratisbona.
Voglio ripeterlo ancora una volta qui davanti a voi: credo fermamente nel dialogo, inteso come metodo per provare a costruire intese su alcuni punti in nome dell'interesse generale e come antidoto - diciamo così - ad una politica troppo gridata e vissuta come un permanente "duello all'Ok Corral", cosa che non fa bene alla politica e nemmeno al Paese.

Concludendo questo breve saluto, voglio esprimere anche il mio apprezzamento per le ragioni che ha espresso in precedenza il presidente Olivero sulla scelta di Bari come sede di questo vostro importante appuntamento.
E' vero, dobbiamo fare il possibile ed anche l'impossibile per rovesciare quell'immaginario collettivo che condiziona il modo di leggere il Mezzogiorno e per sostenere le sue energie e i suoi talenti. Per essere vicini a quelle donne e quegli uomini che lottano per i propri diritti e per promuovere la cultura della legalità e della giustizia.
Le Acli appartengono a più storie dell'Italia, quella del lavoro e della cooperazione, quella del volontariato e della solidarietà, quella del cattolicesimo, quella della cultura ed anche della politica: naturalmente non sono storie separate ma pezzi di un'unica grande storia vissuta da più generazioni e migliaia e migliaia di donne e uomini. Avete saputo sempre guardare avanti con coraggio, spesso indicando la strada, in tutti questi campi. Sono convinto che il vostro contributo di esperienza e di riflessione continuerà a essere prezioso. Ne è testimonianza la qualità e l'angolazione delle questioni che in questi giorni state discutendo così come al seminario di Orvieto dello scorso settembre.

Care amiche ed amici,
sappiamo bene che il nostro Paese ha ancora bisogno di riforme forti e condivise non per ridurre i diritti ma per realizzare un equilibrio giusto e durevole, un sistema sostenibile che non premi l'egoismo di gruppo o di corporazione ma guardi all'oggetto della cura affidata al pubblico: far crescere la disponibilità alla tutela dei deboli e di quanti sono a rischio di esclusione, aiutare i giovani a crescere e costruirsi un futuro sereno, consentire ad ogni persona la dignità che viene dal lavoro retribuito e dalla disponibilità di reddito per l'autosufficienza.
Per fare questo dobbiamo tornare a far crescere la ricchezza comune aumentando occupazione e capacità produttiva, dando fiducia e risorse adeguate alla ricerca, utilizzando seriamente le opportunità di una sana sussidiarietà.
Segnali positivi non mancano. Già l'abbandono della "retorica del declino" mi sembra un fatto incoraggiante. Alcuni indicatori ci mostrano che la ripresa, anche se accennata appena, ha trovato imprese e aziende già pronte e capaci di mettersi in direzione del vento buono. Il tessuto economico e produttivo del Paese ha tutte le caratteristiche e le energie per misurarsi con il mercato globale e per reggere la sfida dura della competizione internazionale. Reagire alla descrizione del domani come un tempo dominato dal grigiore significa anche dare voce, spazio e opportunità di azione alle realtà che sanno crescere, che hanno voglia di sfidare, di innovare, di far fruttificare i propri talenti. E per fortuna in questa nostra Italia non mancano.
E ci vuole una società viva e vivace. Che sa scommettere sul suo futuro credendoci fermamente ed impegnando tutte le proprie energie, non solo economiche ma anche e soprattutto morali e spirituali.
Grazie ancora e buon lavoro a tutti voi.



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