Il Presidente: Interventi in Assemblea e in occasioni istituzionali

Discorso presidente Pera in occasione del convegno "Servizio pubblico e pluralismo televisivo nell''era del digitale"

Discorso pronunciato al convegno su Servizio pubblico e pluralismo televisivo nell''era del digitale,Sala della Lupa, 18 novembre 2002

18 Novembre 2002

1. Oltre le polemiche.

Nel portare il saluto mio personale e quello del Senato che rappresento a questo Convegno, desidero formulare a tutti voi l''augurio di buon lavoro.

Sono stato cortesemente invitato a prendere la parola dal professor Cheli e dal senatore Petruccioli, il quale mi ha anche pregato di introdurre i vostri lavori con qualche riflessione non di circostanza. Essendomi impossibile sottrarmi all''invito tanto amichevole e di persone tanto stimabili, cercherò in breve tempo di sottoporre a voi, a mo'' di contributo alla discussione, alcune mie personali opinioni sul tema.

Il quale tema va ben oltre le dispute quotidiane su Rai, Mediaset, duopolio, regime, nomine, palinsesti, talk show, gare di audience, trasmissioni in mutande, striscia le notizie, spoglia le veline, grida, insulti, e tutto il pane e companatico che non ci viene risparmiato ogni giorno dalle discussioni sulle, e nelle, televisioni. Il tema, per fortuna, è più elevato. Perché la questione del pluralismo è più nobile delle beghe e quella del servizio pubblico più importante delle bizze. Cercherò di mostrare perché.

2. Informazione, diritto di cittadinanza

Il vero tema del vostro Convegno - il pluralismo dell''informazione - riguarda propriamente la democrazia. Siccome ho già avuto modo di dirlo altre volte, colgo l''occasione per ripeterlo una volta di più.

Per spiegare la mia posizione, dirò che la democrazia non è, per me, il governo del Parlamento o della maggioranza o del numero, secondo le molte definizioni correnti. La democrazia, naturalmente, è anche questo, ma è qualcosa di più. La democrazia è il regime della discussione, della persuasione, del confronto, del dialogo. In democrazia governa, pro tempore, chi riesce a convincere e persuadere i cittadini che le proprie opinioni, idee, programmi, soluzioni, sono superiori, migliori, preferibili, a quelle alternative.

Ecco perché il vero e principale strumento della democrazia non è il voto. Il voto, naturalmente, è essenziale, ma il voto arriva dopo un processo di discussione, argomentazione, confronto. Come già insegnava il vecchio Aristotele, prima della deliberazione, che è un atto della volontà con cui si esprime un gesto (ad esempio, premere un pulsante), viene la conoscenza, che è invece un atto dell''intelletto. Così, prima della deliberazione viene l''informazione, che è, appunto, il nutrimento dell''intelletto. Ecco perché il vero e principale strumento della democrazia è l''informazione. È l''informazione che porta il confronto davanti al corpo elettorale.

Parlo, naturalmente, dell''informazione plurale, quella della tesi e delle antitesi, perché, lo diceva sempre Aristotele, non si delibera propriamente quando non ci sono alternative su cui decidere o quando c''è un''unica soluzione obbligata ad un problema. Ha detto perciò molto correttamente il Capo dello Stato nel suo messaggio alle Camere, quando ha ricordato che "la garanzia del pluralismo costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta".

In sintesi: se la democrazia è cittadinanza, e l''allargamento della democrazia è allargamento della cittadinanza - sia estensive, riguardo al numero dei soggetti che diventano cittadini, sia intensive riguardo alla qualità della loro partecipazione -, allora il diritto all''informazione plurale è diritto alla cittadinanza, e come tale deve essere garantito e protetto.

3. Informazione plurale o informazione corretta?

Si può dire di più rispetto a questa cornice dottrinale? In particolare, si può dire, come molti dicono o credono, che non il diritto all''informazione è diritto di cittadinanza, ma il diritto alla corretta informazione lo è? La mia risposta è sì e no.

Per un verso, ovvio, sì. Un''informazione non è un''informazione se non è corretta. Non si informa mentendo, travisando, distorcendo, falsando, prendendo posizioni di parte o smaccatamente preconcette o propagandistiche o predicatorie o minoiche, come purtroppo talvolta si vede anche in televisione.

Per un altro verso, meno ovvio, sarei portato a dire no, perché la questione è assai complicata già in punto di dottrina. Che cos''è un''informazione corretta? Facciamo un esempio astratto. Se ieri in Senato si è approvato un certo provvedimento, è corretto dire che è passata una certa misura, è corretto dire che è stata approvata a maggioranza, è corretto dire che è stata presa con tanti voti a favore e tanti contrari, e così via. Ma, poniamo, è corretto dire che il tale provvedimento è stato adottato con un "colpo di maggioranza"?

Ecco il caso in cui un giudizio di fatto, correttamente riferito, perché dipende da un dato ineludibile, si associa ad un giudizio di valore, la cui correttezza è opinabile, perché dipende da un''opinione.

Che cosa voglio dire? Voglio dire che la correttezza non è neutra, perché, essendo labile la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, è sempre accompagnata da valutazioni il più delle volte implicite. Voglio anche dire che la correttezza (così come l''obiettività, che è un altro termine per lo stesso concetto) non è misurabile facilmente, certo non lo è in modo soddisfacente col metro dei minuti o delle inquadrature o degli spazi o delle righe o delle apparizioni. E voglio infine dire che non c''è un giudice della correttezza. I garanti, i saggi, i controllori, sono certamente utili, ma non garantiscono propriamente la correttezza, garantiscono piuttosto la coerenza rispetto ad una linea data.

Dicendo ciò che voglio dire, desidero evitare ciò che non voglio dire. Non è che la correttezza non esista. Esiste, ma esiste sempre allo stato imperfetto, come l''aria che non è mai pura o un corpo che non è mai esente dall''azione di forze. La correttezza esiste come ideale, come obiettivo, come dovere, da onorare al meglio degli sforzi e a cui approssimarsi al meglio delle proprie capacità.

Anche qui in sintesi: l''informazione plurale è un diritto di cittadinanza, l''informazione corretta è un dovere deontologico. Sono entrambe cose importanti, ma non possiamo confondere la seconda con la prima: l''una - l''informazione plurale - è una questione di regole e leggi, l''altra - l''informazione corretta - è una questione di educazione e cultura.

4. L''Italia e il pluralismo

Come si presenta, rispetto a questa cornice dottrinale, la situazione in Italia? Nel campo delle televisioni, la situazione di fatto registra, piuttosto che il pluralismo, un dualismo accentuato. Rai e Mediaset si dividono il 90,7% degli ascolti e il 74,6% del mercato pubblicitario. Questa situazione si è prodotta col tempo di fatto ed è stata agevolata da interventi di diritto. Essa è frutto di due interventi legislativi "di sistema" specifici, la legge Mammì e la riforma Maccanico.

Rai e Mediaset non sono corpi monolitici. Affermare che Mediaset è la televisione di Berlusconi è una semplificazione offensiva per un gran numero di giornalisti che vi lavorano in condizioni di indipendenza dalla proprietà. E dire che la Rai è appannaggio esclusivo della maggioranza è ugualmente far torto alla libertà e professionalità di tanti operatori che non hanno cambiato le loro opinioni solo perché sono cambiati i risultati elettorali.

Per questo io non credo che la nostra situazione di quasi-duopolio sia intollerabile. Non credo al pensiero unico, non credo al regime, non credo ad un presunto nostro stato di inferiorità rispetto ad altri paesi. Non credo, o non credo troppo, neppure all''influenza della televisione sui comportamenti elettorali dei cittadini, materia di polemica e propaganda fra le forze politiche. Se si considera il complessivo sistema dell''informazione in Italia, si deve riconoscere che i cittadini hanno modo d''informarsi, farsi un''opinione e, in base a questa, valutare come orientare il proprio voto. Il sistema d''alternanza ormai in vigore a livello locale, regionale e nazionale nasce da questa realtà di fatto.

Credo piuttosto che la situazione sia migliorabile. E anche se non ci credessi, i fatti nuovi mi imporrebbero di crederci.

Come si legge nella relazione della nuova legge di sistema del ministro Gasparri, "l''introduzione della tecnica digitale di trasmissione del segnale televisivo e radiofonico incrementa in modo significativo il numero dei programmi (fino a 144 canali a regime), offrendo nuove possibilità di sviluppo della concorrenza nel settore radiotelevisivo e favorendo il pluralismo nei mezzi di comunicazioni di massa". Ecco i fatti nuovi. Le innovazioni tecnologiche, da sé, favoriscono l''apertura e il pluralismo del sistema.

Ovviamente le innovazioni tecnologiche da sole non bastano: ci vogliono leggi e regole. "Il pluralismo dell''informazione - ha detto ancora il Capo dello Stato nel suo messaggio - non potrà essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno quindi necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo processo di trasformazione".

Questa è la sfida raccolta dal disegno di legge di riforma Gasparri: definire regole e meccanismi che favoriscano l''entrata dell''Italia nell''era del digitale, garantendo, da un lato, l''industria delle comunicazioni e, dall''altro, aprendo la strada ad un maggiore pluralismo dell''intero sistema. Un pluralismo che è allo stesso tempo garanzia di sviluppo economico e condizione di crescita culturale e liberale. Sta al Parlamento, immediatamente dopo l''approvazione della legge finanziaria, occuparsi di questa sfida e discutere la riforma del sistema.

5. Servizio pubblico e privatizzazione

Chiudo, ma non mi risparmio, sperandovi di non infliggervele, due osservazioni.

La prima è metodologica. Il tema del pluralismo della comunicazione e della riforma del sistema è così rilevante nel nostro paese da dover essere oggetto, preferibilmente, di un approccio bipartisan. Ma per fare questo è necessario, e comunque fortemente desiderabile, che ci sia l''accordo più ampio possibile in sede di processo riformatore. Ho detto tante volte che il sistema istituzionale della cosiddetta Seconda Repubblica è ibrido, imperfetto e ha bisogno di essere completato mediante un accordo e una maggioranza pià ampia possibile. Aggiungo che anche la regolazione del sistema della comunicazione fa parte del bagaglio delle riforme istituzionali da compiere affinché l''infinita transizione italiana abbia finalmente termine e si realizzi una compiuta e pienamente legittimata democrazia dell''alternanza.

La seconda osservazione è di sostanza. Riguarda i due soggetti del quasi-duopolio televisivo. La Rai rappresenta una parte importante della storia civile di questo paese. È stata la Rai a ''alfabetizzare'' l''Italia; è stata la Rai a portare gli italiani in Europa culturalmente; è la Rai la maggiore industria culturale italiana.

D''altro canto, Mediaset rappresenta un''industria primaria e anch''essa essenziale. È stata Mediaset a "laicizzare" (o "secolarizzare") l''Italia; è stata Mediaset a contribuire a portare l''Italia a competere con altri Paesi; è Mediaset una risorsa vitale in un panorama industriale oggi in qualche difficoltà.

Parlando ad un pubblico di competenti, so di non essere frainteso quando uso le espressioni "alfabetizzare" e "laicizzare" (o "secolarizzare"). Non intendo certo dire che, prima o senza la Rai, gli Italiani non fossero in grado di leggere e scrivere; né intendo dire che, prima o senza Mediaset, gli Italiani fossero dei chierichetti. Intendo sottolineare il contributo della Rai alla nostra crescita civile, alla elaborazione di una nostra koiné e identità nazionale. E intendo apprezzare il contributo di Mediaset alla consapevolezza che altri modi di vedere sono possibili e utili.

E però, mentre ci siamo alfabetizzati e laicizzati nel senso indicato, i tempi sono cambiati. È cambiato il concetto di servizio pubblico, che ormai nella coscienza diffusa non significa più gestore pubblico; ed è cambiato il concetto di televisione commerciale, che non può più significare un contenitore tv-market da riempire con informazioni o intrattenimenti.

Ecco perché ho parlato altre volte di privatizzazione della Rai. Perché ce la detta la rivoluzione tecnologica in atto, perché ce la chiede la nuova alfabetizzazione che ci aspetta, quella telematica e di internet, perché ce la impone l''obbligo democratico del rispetto del pluralismo. Non sono insensibile all''obiezione, di parte pubblica e privata, per una volta almeno concordi, che aziende più piccole non sarebbero competitive. Intanto, credo che queste aziende non debbano necessariamente restare confinate nel solo recinto televisivo. E poi perché ritengo che il diritto ad essere informati o intrattenuti e il diritto ad informare e intrattenere non può essere disgiunto dal diritto di competere su un libero mercato. Mi àuguro che la prossima discussione sulla nuova legge di sistema sia l''occasione per discutere anche di questa questione.



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