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Il Messaggero

26 Marzo 2005

Presidente Pera, la nuova Costituzione è appena passata al Senato e una pioggia di critiche l'ha sommersa. Lei la difende?

«La riforma è necessaria e ur­gente. Necessaria perché se ne parla da venticinque anni e ogni tentativo precedente è an­dato fallito, anche quello della Commissione D'Alema arriva­to sul filo del traguardo. Urgen­te perché la competitività di un Paese dipende anche dall'ef­ficienza delle sue istituzioni. Perciò la difendo: rispetto al­l'attuale è un passo avanti».

Sarebbe stato assai meglio farla d'accordo con l'opposizione.

«La possibilità dell'accordo c'è stata e, in commissione al Senato, c'è stato anche l'accordo. Molti emendamen­ti dell'opposizione sono stati accolti dal relatore D'Onofrio. Ma soprattutto è stato accolto il principio del premierato che era anche nel programma del­l'Ulivo. Questa convergenza è stata possibile fino al primo voto alla Camera quando, sul Senato federale, l'opposizione si astenne. Dopo, è prevalsa la logica degli schieramenti. In parte per motivi contingenti - ci si avvicinava alla campa­gna elettorale - in parte, pen­so, per motivi storici».

In che senso?

«Una parte della sinistra ha ritenuto che la Costituzione sia un battesimo di legittima­zione e non uno strumento laico per far funzionare meglio le istituzioni».

Dunque, un motivo stori­co-ideologico?

«Esattamente. Come se si vo­lesse impedire al centrodestra di battezzarsi anch'esso».

Entriamo nel merito del pre-mierato. La polemica si basas sulla mancanza di contrappe­si al potere del premier.

«Personalmente ritengo che il premierato sia un modello uti­le perché assicura la stabilità. A chi sostiene che realizza la dittatura del premier rispondo che i poteri del primo ministro italiano saranno più deboli di quelli di cui dispongono i suoi colleghi europei Blair, Schroeder o Zapatero. E sono più deboli di quelli previsti dalla bozza Salvi, nella commissio­ne bicamerale D'Alema, come onestamente riconosciuto dal medesimo autore, ancorché di­chiari oggi d'aver cambiato opinione».

E dove la vede tutta questa debolezza?

«Non solo non c'è la dittatura del premier ma neppure vedo un primo ministro che sovra­sta il Parlamento. Al contra­rio, il primo ministro corre seriamente il rischio di diven­tare schiavo della sua maggio­ranza e addirittura schiavo di una minoranza della sua maggioranza».

Presidente, un Berlusconi-schiavo non s'era mai sen­tita.

«Spiego perché. E' stata intro­dotta una norma molto rigida, la cosiddetta "norma anti-ribaltone". Ebbene, mentre un premier europeo, ad esempio Toni Blair, può prendere i voti della sua opposizione e rimane­re in sella, il premier italiano che, per non essere sfiduciato, prendesse anche un solo voto determinante di un parlamen­tare che non abbia fatto parte della sua originaia maggioranza, a causa di quella norma dovrebbe essere sostituito. Questo significa essere schia­vo anche di una piccola mino­ranza della maggioranza».

Cioè, non si torna alle urne ma si è costretti a cambiare il capo del governo. Perché la norma è stata scritta così?».

«Si è pensato di risolvere un serio problema di etica politi­ca - l'immoralità e il disgusto dei cittadini per i ribaltoni -mediante una norma costituzionale. Ma lo strumento è improprio. Se un parlamenta­re non rispetta i suoi elettori, è impossibile renderlo politica­mente virtuoso perCostituzione».

Un'altra critica è che i poteri del presidente della Repub­blica vengono affievoliti.

«E' l'intero modello che è cam­biato: con il premierato non è più il presidente della Repub­blica che sceglie il primo mini­stro, sono gli elettori. Ed è il primo ministro che forma la squadra. Già oggi il sistema bipolare obbliga di per sé a questa soluzione».

E che senso ha allora invoca­re il ritorno al proporziona­le?

<Personalmente ho molte obie­zioni e riserve sul ritorno al proporzionale. Anche se esisto­no sistemi proporzionali, vedi Germania e Spagna, compati­bili con il bipolarismo».

Dopo il premierato ci sono le critiche al federalismo. Che dice nel merito?

«Il nuovo testo costituzionale corregge errori vistosi della ri­forma del Titolo V, riconosciu­ti ormai da tutti. Ne cito in particolare tre. In primo luogo è stata reintrodotta la clausola della tutela dell'interesse nazionale. Sono state riportate ad esclusiva competenza dello Stato alcune materie strategiche e fondamentali,come le grandi reti di trasporto, la produzione e distribuzione dell'energia. Infine è stato eliminato quello che, giornalisticamente, viene chiamato "diritto di sorpasso" di una regione sull'altra o anche "diritto di secessione"».

Lo spieghi, per favore.

«Oggi, secondo la Costituzio­ne vigente, quella Regione che lo volesse, potrebbe chiedere e ottenere dalla maggioranza parlamentare competenze in più, comprese alcune che ap­partengono esclusivamente al­lo Stato. E questo con una semplice legge ordinaria».

Come definisce allora il nuovo federalismo?

,«Assai più equilibrato e meno rissoso del precedente».

Ma l'elenco dei difetti, scrit­to dall'opposizione, dagli in­dustriali, da personalità d'ogni colore, è lungo. Lei ne vede qualcuno?

«Trovo che la composizione del Senato sia ancora troppo poco federale. Mancano i veri protagonisti: i presidenti delle Regioni, i quali avrebbero assi­curato maggiore rappresentan­za del territorio e migliore equi­librio».

Altro difetto?

«Si è introdotta nella Costituzione la conferenza Stato-Regio­ni. Ma questa è una istitu­zione extra parlamenta­re, il luogo do­ve i presiden­ti delle Regio­ni negoziano con il gover­no, fuori dal Parlamento, il quale poi si trova costretto a ratificare gli accordi presi».

Che altro?

«Il procedimento legislativo re­sta pesante, farraginoso e len­to. Ci sono leggi di esclusiva pertinenza della Camera, altre esclusive del Senato, altre di competenza bicamerale. Qui il rischio è duplice: che nasco­no inediti conflitti Camera-Senato e che, nell'ambito del­l'esclusiva competenza del Se­nato vengano bloccati o stra­volti provvedimenti decisivi per l'azione di governo. Que­sto perché al Senato il governo non potrà più ricorrere al voto di fiducia».

Quindi può succedere che Camera e Senato abbiano maggioranze diverse e varia­bili.

«Sì, le maggioranze possono essere diverse, perché i senato­ri non saranno più legati a vincoli politici con il premier e il governo. E possono essere variabili a seconda degli inte­ressi toccati dai provvedimen­ti in discussione».

Scusi, ma tutto ciò non pote­va essere evitato prima del­l'approvazione, correggendo il testo?

«Il testo avrebbe potuto, e se­condo me anche dovuto, esse­re migliorato. Francamente non ho compreso le ragioni della fretta o della blindatura, tanto più che sento dire che il referendum confermativo si dovrebbe svolgere dopo le ele­zioni politiche».

Bisognerebbe chiederlo a Bossi: è lui che ha fatto mi­nacciare le dimissioni a Calderoli.

«La Lega avrà avuto le sue ragioni. Io resto convinto che ci sarebbe stato tempo per ulte­riori miglioramenti».

Lei sa che ormai modifiche non se ne possono più fare. Come potranno essere accol­ti i suoi suggerimenti?

«Se il testo entrerà in vigore, occorrerà nella prossima legi­slatura seguire Galileo e proce­dere col metodo sperimentale, per togliere quei difetti o risol­vere quei problemi che si fosse­ro verificati sul campo».

Ma l'opposizione grida già adesso alla rottura della Pa­tria.

«Ritengo che siano affermazioni gravi, che possono avere conseguenze ancora più gravi. Pronunciate a pochi giorni da elezioni importanti rischiano di dipingere la maggioran­za che ha ap­provato le ri­forme come illiberale, an­tidemocrati­ca e antipatriottica, e dunque delegittimata a go­vernare. Inol­tre, dette a poche settimane dal 25 Aprile, queste affermazioni riaprono la vicenda del fossato morale e civile tra italiani, con gli antifa­scisti a difesa della Costituzio­ne e dell'unità d'Italia, e tutti gli altri contro».

Dunque, giudica pericoloso parlare di rottura della Pa­tria.

«Considerato il contenuto del­la riforma, la tesi, secondo me, è sbagliata. E' vero il contrario: la riforma reintroduce l'inte­resse nazionale e riduce le risse Stato-Regioni che oggi Occupa­no quasi tutta l'attività della Consulta. Storiograficamente, poi, la trovo persino incom­prensibile, perchè con tutto ciò la Patria non c'entra nul­la».

Presidente, il Csm ha aperto lo scontro con il Parlamento aprendo conflitto di attribu­zione davanti alla Corte Co­stituzionale. Lei che ne dice?

«Intanto, sono stupito che in un comunicato ufficiale del Consiglio superiore della magi­stratura si esprima soddisfazione per l'accoglimento del ricor­so. Proprio nel nome di quel principio della leale collabora­zione tra istituzioni, per cui il Csm è ricorso alla Corte Costi­tuzionale, sarebbe stato oppor­tuno evitare espressioni che sono ricorrenti nelle battaglie politiche tra partiti ma per fortuna poco frequenti nei rap­porti tra organi costituzionali. In particolare quando siano rivolte contro il principale di essi, il Parlamento, deposita­rio della sovranità democrati­ca».

Ma nel merito che dice?

«Nel merito, saranno le aule ad esprimersi su un caso che mai s'era verificato prima nel­la storia della Repubblica. La materia è molto delicata e oc­corre il massimo di responsabi­lità. Siccome è in gioco la tute­la della sovranità popolare mi auguro che non vi siano diffe­renze di parte. Personalmente non sono sempre sicuro che tutte le iniziative prese dal Csm da più di dieci anni a questa parte siano sempre sta­te coperte dall'articolo 105 del­la Costituzione. Tuttavia aspettiamo serenamente il giu­dizio della Consulta».



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