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Il Presidente: Discorsi

Sull'importanza dell'equilibrio tra Democrazia, Stato e Mercato

Discorso pronunciato alla Conferenza del ministro Savona nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani

Ho accettato con piacere la proposta della Fondazione La Malfa di ospitare in questa sala un momento di riflessione comune sui rapporti fra democrazia, Stato e mercato oggi.

È una questione cruciale nelle società contemporanee; una questione attorno alla quale si muove gran parte della riflessione intellettuale e dell'azione politica di Ugo La Malfa, ma anche del pensiero scientifico di Franco Modigliani, i cui scritti più recenti sull'euro, insieme a quelli di Giorgio La Malfa, vengono presentati oggi.

Ugo La Malfa visse con angoscia l'avvento della dittatura, leggendo con chiarezza l'incapacità dell'Italia liberale di affrontare i problemi sociali e politici strutturali del nostro Paese che si erano aggravati dopo la Prima guerra mondiale.
L'impegno nella Resistenza, per la Repubblica e nella Costituente, fu contrassegnato da una visione della libertà non solo come bene fondamentale, ma anche - ed è qui l'originalità lamalfiana - come condizione necessaria per la modernizzazione del nostro Paese.
Da meridionale e da intellettuale europeo tutta la sua opera è animata dalla volontà di superare quello scarto storico, quello strutturale ritardo che aveva mantenuto l'Italia unita in una condizione di arretratezza rispetto agli altri Stati europei.
Della modernizzazione del Paese Egli è protagonista, nell'azione di governo, a fianco di De Gasperi. Intuì la capacità della nuova Italia di andare sui mercati e, con la liberalizzazione degli scambi di cui fu promotore nel '51, diede respiro al nostro sistema produttivo permettendogli di sprigionare energie compresse dall'autarchia fascista.
Con De Gasperi La Malfa colse le opportunità fornite dal Piano Marshall per intraprendere una decisa azione a favore del nostro Mezzogiorno e nella prospettiva di una integrazione europea.

Mi sembra che l'azione e l'opera della Fondazione La Malfa abbia saputo, occupandosi di Mezzogiorno e di Europa, rimanere fedele al monito di La Malfa - e cito letteralmente - sullo "sforzo dell'Italia di arrampicarsi sulle Alpi per guardare all'Europa" e "sul rischio mentre ci arrampichiamo sulle Alpi di staccare la corda e precipitare nel Mediterraneo".
Questa tensione lo portò ad essere vera coscienza critica della politica italiana.
La sua proposta per una politica dei redditi, di tutti i redditi, delineata nella famosa nota aggiuntiva del '62, fu affiancata dal costante tentativo di convincere i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni degli industriali ad accettare un'ambiziosa politica di programmazione per garantire un superamento degli squilibri strutturali del Paese.
Sono battaglie che La Malfa condusse con tenacia, energia, con ottimismo della volontà ma anche pessimismo dell'intelligenza. Battaglie vinte, come l'adesione al Sistema monetario europeo, per non perdere l'aggancio dell'Italia alla costruzione europea. Ma anche tante battaglie perse; ad esempio quella (dove al suo fianco ebbe Franco Modigliani) contro l'accordo Lama Agnelli sul 'punto unico di contingenza'.
Spesso Ugo La Malfa si trovò solo, isolato, a predicare nel deserto senza riuscire ad impedire che si sviluppassero nel Paese politiche e scelte di cui paghiamo oggi le conseguenze.

Nei giorni scorsi, in occasione del dibattito sul documento di economia e finanza, il Ministro Tria ha ricordato che il debito pubblico che "opprime da vari decenni le nuove generazioni e ostacola pesantemente un aumento del loro reddito, è un debito che risale ai comportamenti - ricorda Tria - della mia generazione, cioè di varie generazioni precedenti".
Questa consapevolezza oggi più che mai ci ripropone la profetica capacità di Ugo La Malfa di guardare lontano, come purtroppo anche la fatale lentezza e il ritardo con cui le sue idee e le sue proposte, tante volte respinte quando avrebbero potuto rappresentare la soluzione ai tanti problemi dell'economia italiana, siano divenute oggi idee largamente acquisite e condivise nel nostro dibattito pubblico.
Voglio chiudere, amici e colleghi, questo mio breve intervento tornando al tema dell'incontro di oggi: l'importanza dell'equilibrio fra democrazia, Stato e mercato.

E mi piace ricordare un passaggio dell'intervento parlamentare di Ugo La Malfa in occasione della ratifica del Trattato istitutivo della Comunità Europea di cui abbiamo appena celebrato il sessantesimo anniversario. Un Trattato che costituisce per La Malfa un progresso perché "usciamo dalla politica per settori ed entriamo nella visione e nella concezione totale del problema del mercato comune, cioè della riorganizzazione strutturale dell'economia europea in tutte le sue ramificazioni e manifestazioni".
Questa considerazione spingeva certo La Malfa ad appoggiare il nuovo Trattato, ma non gli impediva di evidenziarne debolezze strutturali; lui che con De Gasperi e insieme con Altiero Spinelli era stato protagonista di quella battaglia che all'inizio degli anni '50 (con il Trattato della CECA e la sua evoluzione politica costituita dal Trattato per la Comunità europea di difesa) aveva provato a fare il salto verso un'Europa integrata e federale.
In particolare La Malfa rilevò già allora "la debolezza dell'organo centrale" rispetto invece ai forti poteri sovranazionali dell'alta autorità della CECA.
Secondo La Malfa infatti - e cito - ''a livello europeo il potere centrale deve avere una forte capacità di azione riequilibratrice".

E' ciò di cui discutiamo oggi, per esempio quando discutiamo della necessità, come più volte evidenziato nei documenti della Commissione e dell'Ecofin, di costruire una adeguata funzione di stabilizzazione nel bilancio dell'Unione.
Misuriamo così una volta di più, a sessant'anni di distanza, quanto lungimirante e profetica fosse l'analisi di Ugo La Malfa e quanto attuali siano le sue proposte oggi per l'Italia e per l'Europa.
La sua era una visione di chi sapeva guardare ai problemi di struttura, di là della congiuntura, ed ai bisogni collettivi, di là di quelli individuali, e si interrogava senza requie su un modello di sviluppo che valesse oltre "i fenomeni degenerativi di ordine consumistico e le incrostazioni parassitarie" e finalmente integrasse il Mezzogiorno in Europa, nel solco della tradizione europea del meridionalismo democratico.
E nella consapevolezza che il problema dell'Europa - ieri come oggi - è quello di far camminare insieme integrazione economica e quella politica.



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