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Il Presidente: Discorsi

Presentazione docu-fiction "Figli del destino"

Discorso pronunciato alla proiezione in anteprima del docufilm nella Sala Koch di Palazzo Madama

Autorità, signore e signori,

saluto e ringrazio per la presenza:
- il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni,
- la vice Presidente della Camera, Maria Edera Spadoni,
- la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni,
- il Presidente della Rai, Marcello Foa,

vorrei per prima cosa dire grazie a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione, alla produzione e alla diffusione di "Figli del Destino". Grazie per aver avuto l'intuizione di realizzare una "docu-fiction" che, partendo dal punto di vista dei bambini, offre a tutti la possibilità di approfondire una delle più gravi e inaccettabili tragedie della storia dell'umanità.
Grazie alla Rai, la principale industria culturale del Paese, che attraverso questa produzione nobilita la funzione di servizio pubblico; e anche per la disponibilità dimostrata nel dare vita a questa presentazione, alla vigilia della Giornata della Memoria, che ha per il Senato della Repubblica una grande importanza;

Grazie a Liliana Segre, a Lia Levi, a Tullio Foà e a Guido Cava: protagonisti, loro malgrado, delle quattro storie che simboleggiano tutte le sofferenze e le atrocità che hanno patito gli ebrei prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale.
Ad oltre 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali - che sarebbe più corretto chiamare leggi razziste - abbiamo il dovere di combattere contro un nemico che non spara, non rastrella, non uccide: l'oblio.
Un nemico che però non possiamo e non dobbiamo sottovalutare, mai, per nessun motivo.

La perdita della memoria può infatti rappresentare un rischio enorme; un rischio che, tra omologazioni e semplificazioni, può far sembrare lontani e non riproducibili gli eventi che hanno insanguinato il 20esimo secolo, messo in dubbio le basi della civiltà occidentale, oltraggiato il senso stesso della vita umana.
L'antisemitismo è un mostro che si nutre di pregiudizi velenosi e di falsificazioni presentate come verità. Va respinto sempre e comunque.
La libertà, la democrazia, l'uguaglianza sono valori che non possiamo mai dare per scontati. Sono il lascito di chi ci ha preceduto, saranno l'eredità da consegnare alle future generazioni.

Tra gli insegnamenti del novecento che dobbiamo sempre tenere vivi, c'è il ruolo insostituibile della conoscenza, del sapere come antidoto all'odio e all'intolleranza.
Per questo è giusto ed è importante trovare sempre nuove chiavi narrative e nuove forme di comunicazione per raccontare quello che è accaduto, quello che non deve accadere mai più.
Nella Roma distrutta del dopoguerra la comunità ebraica fu la prima a compiere ogni sforzo possibile per riaprire le scuole. Subito, prima possibile. Prima delle case, dei luoghi di preghiera o di lavoro. Perché solo la conoscenza può salvarci dai corsi e ricorsi della storia, solo tramandare ai giovani la memoria può mettere al riparo la nostra civiltà.

"Come si è potuti arrivare a questo?" "Come è stato possibile?"
Quante volte abbiamo ascoltato questi interrogativi. E quante volte ci siamo interrogati su come il nostro Paese abbia potuto conoscere una fase così buia, una così totale perdita di amore e di rispetto per la vita.
Proprio in questa sala, qualche mese fa, abbiamo presentato una raccolta di provvedimenti e testimonianze sulle leggi razziali, promossa dal Consiglio Superiore della Magistratura. In quelle pagine ci si è interrogati anche sul ruolo dei giuristi, sia magistrati che avvocati, rispetto a quell'enorme violazione dei diritti fondamentali perpetrata non solo con le leggi razziste, ma anche con ulteriori dettagli contenuti in circolari, disposizioni regolamentari e atti di vario tipo.

Ci fu un consenso, e ci fu una diffusa indifferenza, come nel resto della società italiana. Una indifferenza che non può essere taciuta, anche in considerazione delle tappe che portarono il regime fascista a sviluppare la propria strategia antisemita, e che solo in parte può essere bilanciata da chi, sacrificando carriera e onori - e spesso anche la vita - seppe contrapporsi al fascismo.
Se nell'estate del 1938 il censimento degli ebrei italiani era ancora formalmente giustificato con necessità amministrative, in poche settimane prende corpo quella che è stata giustamente definita una vera e propria persecuzione giuridica.

Si inizia con il bloccare le assunzioni degli ebrei, si passa poi ai licenziamenti e si arriva infine all'espulsione dalle scuole, alla cacciata dal territorio nazionale degli ebrei non italiani e alle misure oltraggiose in ambito sociale, economico e culturale.
È l'ora più buia per l'Italia. Per Benedetto Croce è il "frutto di un'intolleranza che costituiva la più completa negazione degli ideali di libertà e di umanità".
Il passaggio da una persecuzione sancita dall'ordinamento alla persecuzione delle vite sarà ormai solo una questione di tempo. Migliaia di donne, uomini e bambini non torneranno più in Italia. Traditi da quello stesso Stato al quale non avevano mai fatto mancare il proprio contributo.

Complessivamente saranno 1 milione e mezzo i bambini vittime della Shoah. Picchiati, schiavizzati, costretti a vivere tra atroci sofferenze. Usati come cavie. Tolti dalle cure dei genitori in quanto invisibili, inutili, non previsti. Come non previsto era il futuro del popolo ebraico.
È difficile trovare le parole per descrivere un simile abominio della storia. Così come è stato difficile, per i sopravvissuti, raccontare al mondo quello che avevano sofferto. E troppi hanno preferito non sapere quale orrore era stato compiuto.

Le parole di Primo Levi descrivono meglio di qualsiasi altra cosa quello che successe: "Sarà bene ricordare a chi non sa, ed a chi preferisce dimenticare, che l'olocausto si è esteso anche all'Italia, benché la guerra volgesse ormai alla fine, e benché la massima parte del popolo italiano si sia mostrata immune al veleno razzista".
Se negli ultimi anni anche nel nostro Paese sono state superate quelle barriere culturali e psicologiche che per troppo tempo hanno impedito una reale e approfondita analisi su quanto accaduto, una parte rilevante del merito va ascritta anche alle sempre più vive ed efficaci forme di divulgazione. Ma delle stesse forme di divulgazione può purtroppo servirsi anche l'antisemitismo.

Opere come il docu-film che presentiamo oggi, ci dimostrano la capacità del cinema e delle arti di scuotere le coscienze grazie a rappresentazioni e narrazioni che non fanno sconti alla verità.
Quella verità che non può però essere ignorata o dimenticata.
Conoscere ciò che è successo è un imperativo morale che, soprattutto grazie alle testimonianze di chi ha patito il male, è il principale insegnamento per tutti noi, non solo per le nuove generazioni.
Abbiamo e avremo sempre un dovere:
Mai più odio razzista, Mai più indifferenza, Mai più antisemitismo.



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