Atto n. 4-05398

Pubblicato il 2 marzo 2016, nella seduta n. 584

DE PETRIS , PETRAGLIA , URAS - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. -

Premesso che:

l'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) è, da lungo tempo, il parametro attraverso cui vengono stabiliti l'accesso e la fruibilità di molte agevolazioni indirizzate a prestazioni di natura sociale;

tale parametro è stato al centro di numerose critiche nel corso degli anni a causa della sua inadeguatezza a rappresentare in modo puntuale la situazione economica dei nuclei familiari, dando avvio ad una riflessione circa l'opportunità di modificarlo per evitare distorsioni nell'accesso ad alcune prestazioni e diritti fondamentali;

la riforma dell'ISEE è stata attuata attraverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, in vigore dal gennaio 2015, con l'obiettivo di considerare i reali redditi delle famiglie e le voci di spesa a loro carico (affitti, famiglie numerose, con presenza di minori o disabili) e di rimodulare l'indicatore della situazione patrimoniale (ISP): un'operazione che ha generato sin da subito perplessità e allarmi da una pluralità di soggetti, come le persone disabili o gli studenti, per quali il calcolo dell'ISEE risulta necessario nell'accesso ad alcune prestazioni fondamentali;

in particolar modo, è apparsa da subito la macroscopica distorsione generata dall'aver qualificato come reddito anche quanto percepito per la propria condizione di disabilità, ossia la pensione di invalidità e l'indennità di accompagnamento;

in questo modo la riforma dell'ISEE ha, paradossalmente, peggiorato gli effetti distorsivi nella valutazione dei redditi dei nuclei familiari, con il risultato di impedire alle persone disabili la possibilità di usufruire di alcuni servizi pubblici e prestazioni sociali gratuitamente o a costi contenuti;

in merito si è espresso il TAR de Lazio, accogliendo parzialmente 3 ricorsi presentati contro il decreto. Con la sentenza n. 2458 del 2015 il TAR ha ritenuto il decreto illegittimo nella parte in cui include nel computo ISEE le provvidenze economiche erogate dallo Stato a sostegno della disabilità;

il 29 febbraio 2016, in seguito al ricorso presentato dal Governo contro la sentenza del TAR, il Consiglio di Stato ha accolto quanto affermato dal Tribunale amministrativo, chiarendo come la disabilità non possa essere considerata quale fonte di reddito o remunerazione, e come l'irragionevolezza di tale principio sia in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;

il Consiglio di Stato ha, inoltre, ricordato al Governo che le indennità e il risarcimento sono misure a favore di individui che si trovano in una condizione di svantaggio, e hanno l'obiettivo di correggere tale condizione di disuguaglianza. È evidente, dunque, come esse non costituiscano in alcun modo un vantaggio per le persone con disabilità;

già con l'ordine del giorno G/2111-B/19/5 al disegno di legge di stabilità per il 2016 i senatori Petraglia, Uras e De Petris avevano richiesto al Governo di intervenire con urgenza per risolvere tale vulnus a diritti delle persone disabili, atto accolto dal Governo come raccomandazione durante la discussione in Commissione permanente;

è necessario che il Governo corregga il testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte considerata illegittima dalle sentenze, sopprimendo la parte che considera pensione e indennità come reddito,

si chiede di sapere:

quali siano le motivazioni che hanno condotto il Governo a dimostrare tale rigidità, anche attraverso il ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR, in una questione tanto delicata e manifestamente lesiva dei diritti delle persone con disabilità;

quali iniziative normative intenda prendere, nell'immediato, per porre rimedio a tale vulnus, rispettando in tal senso le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato e correggendo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013.