Atto n. 4-04783

Pubblicato il 19 giugno 2003
Seduta n. 419

MEDURI, FLORINO, BEVILACQUA, SALERNO, DEMASI, COZZOLINO, PELLICINI. - Al Ministro della giustizia. -

Premesso:

che, secondo quanto risulta agli interroganti, intorno al 1992 il dr. Macrì, magistrato in servizio presso la Procura Nazionale Antimafia, iniziò una campagna di aggressione e delegittimazione nei confronti dei diversi magistrati reggini (fra i quali il presidente della Corte di Appello Viola ed il presidente del Tribunale Pontorieri), attraverso iniziative giudiziarie e di stampa, dichiarazioni, interviste, che determinarono una situazione di forti contrasti e tensioni nell’ambito degli uffici giudiziari reggini e che provocarono la pubblica denuncia anche dell’ordine forense. Da tale situazione scaturì, oltre che una indagine conoscitiva del CSM, una inchiesta disciplinare disposta dalla Giustizia tramite l’ispettorato generale;

che, a quanto consta agli interroganti, l’inchiesta, condotta dall’ispettore Nardi, si concluse con una corposa relazione, nella quale vennero evidenziate le responsabilità del dottor Macrì in ordine a tutta una serie di addebiti contestatigli, fra i quali quello di essere venuto meno ai suoi doveri di correttezza e di lealtà e di avere addirittura ripetutamente abusato delle sue funzioni per aggredire ingiustamente altri magistrati appartenenti ad altra area associativa e condurre le sue guerre personali ed ideologiche. Di particolare gravità, a giudizio degli interroganti, sono risultati gli addebiti relativi:

ai rapporti tra il dr. Macrì e taluni “compiacenti” giornalisti da lui sollecitati ad iniziative “aggressive” nei confronti di diversi magistrati locali;

ai suoi rapporti relativi a due oscuri personaggi (tali Volpin e Pevere) che, a quanto consta agli interroganti, sarebbero stati inviati in Calabria dai Servizi Segreti (non si sa esattamente con quale incarico, ma dalle intercettazioni telefoniche sarebbe emerso, a quanto risulta agli interroganti, che sarebbero stati in collegamento con autorevolissimi esponenti DS). Con essi il dottor Macrì, a quanto consta agli interroganti, si sarebbe incontrato ripetutamente (non si sa per quali tramiti), concordando fra l’altro le iniziative di stampa per le quali i due vennero poi ripetutamente condannati;

ai suoi rapporti col pentito notaio Marrapodi, che egli, a quanto consta agli interroganti, avrebbe cercato di manovrare ed utilizzare ai fini delle sue strategie e che non avrebbe poi esitato a confessare, davanti al magistrato, di avere concordato proprio col dottor Macrì tutte le iniziative calunniose da lui intraprese contro i magistrati reggini;

alle sollecitazioni che, a quanto consta, egli avrebbe esercitato su un detenuto, nel corso di un colloquio, per indurlo a riferire circostanze riguardanti un magistrato reggino (sollecitazioni poi confermate, a quanto risulta agli interroganti, dalle sentenze emesse dal tribunale di Messina, che avrebbero smentito la falsa versione addotta dal dottor Macrì anche davanti al CSM);

a diverse iniziative giudiziarie che sarebbero state strumentalmente promosse ad avviso degli interroganti a carico dei citati magistrati reggini, anche in violazione dell’articolo 11 del codice di procedura penale;

che la relazione redatta dall’ispettore Nardi portava, a quanto consta agli interroganti, alla formale instaurazione, su richiesta del Ministro, di un procedimento disciplinare e veniva contemporaneamente trasmessa al Procuratore della Repubblica di Messina per le iniziative di sua competenza;

che, in base a quanto consta agli interroganti, si è però verificato che la Procura della Repubblica di Messina avrebbe completamente omesso qualsiasi accertamento tendente a verificare la fondatezza dei gravi addebiti denunziati dalla relazione ispettiva Nardi e che, se fondati, non avrebbero potuto non avere rilevanza penale. In effetti il relativo fascicolo processuale, iscritto al n. 3239/94 del RG.ANR (stranamente nella sola forma di “Atti relativi”, nonostante la specificità degli addebiti), sarebbe stato praticamente insabbiato. Rimasto, infatti, per quattro anni inutilmente pendente, venne alla fine, a quanto risulta agli interroganti, materialmente allegato al fascicolo n. 1321/98 RG NR relativo all’altro procedimento pendente a carico del dottor Macrì e riguardante la chiamata in correità fatta dal notaio Marrapodi e di cui si è sopra detto. Così inserito e “nascosto”, il fascicolo è venuto di fatto a “beneficiare” dell’archiviazione disposta in quest’ultimo procedimento (n. 1321/98 dal Gip in data 1.7.1998), grazie ad un semplice e sibillino richiamo “aggiunto” fra le righe della motivazione (“Lo stesso è da dirsi sul contenuto della ispezione in atti”), senza però che per esso (fascicolo n. 3239/94) fosse mai intervenuta richiesta alcuna in tal senso (cioè nel senso dell’archiviazione) da parte del PM. È circostanza, questa, che merita certamente di essere verificata perché, se effettivamente rispondente al vero, porterebbe alla conclusione che l’archiviazione relativamente al fascicolo n. 3239/94 (relazione Nardi) sarebbe stata dal Gip pronunciata, non soltanto senza alcuna indagine, ma addirittura di ufficio;

che va sottolineato un aspetto che consta agli interroganti e che “chiude il cerchio” delle “protezioni” istituzionali garantite al dottor Macrì. La inerzia della Procura messinese sulla relazione Nardi, con la conseguente mancata instaurazione di un procedimento a carico del dottor Macrì, ha avuto come risultato pratico che il procedimento disciplinare nel frattempo iniziato non è rimasto sospeso (come la legge prevede avvenga in pendenza di un procedimento penale), il tutto con la conseguenza che, non vincolato dall’esito degli accertamenti svolti in sede penale, il CSM ha potuto prosciogliere il dottor Macrì dalla maggior parte degli addebiti contestatigli (i più gravi), sia pure con la formula dell’asserito dubbio sulla certezza morale della sua responsabilità;

che, a quanto consta agli interroganti, la stessa conclusione dell’archiviazione disposta nel procedimento n.1321/98 confermerebbe le scandalose “protezioni” e le “coperture” di cui il dottor Macrì godeva presso gli uffici di Procura messinesi. Restano, infatti, da spiegare le ragioni per le quali, di fronte ad una chiamata in correità del Marrapodi tanto specifica e circostanziata (“Io feci come lui mi suggeriva, dando inizio ad una collaborazione che si svolse attraverso incontri e telefonate oltre che mediante numerose e specifiche denunce a lui presentate personalmente o inviate per lettera raccomandata”), i magistrati messinesi, in contrasto con i normali canoni di verifica delle chiamate in correità, non si siano limitati a prendere atto che la chiamata del Marrapodi risultava “riscontrata” da tutta una serie di circostanze oggettive che la accreditavano quanto meno ai fini di una semplice richiesta di rinvio a giudizio;

che, a giudizio degli interroganti, vanno a questo proposito sottolineate, per il necessario accertamento delle responsabilità istituzionali, le seguenti pacifiche risultanze processuali sulle quali i giudici messinesi hanno invece inspiegabilmente taciuto;

che, in base a quanto consta agli interroganti, le quotidiane telefonate del Marrapodi sarebbero avvenute sul portatile riservato di ufficio del dottor Macrì, il cui numero dunque lo stesso aveva fornito al Marrapodi;

che, secondo quanto risulta agli interroganti, resterebbe, perciò, da accertare quale fosse l’interesse del dottor Macrì a consentire e mantenere contatti diretti e personali col Marrapodi, una volta che egli, nell’ambito dell’ufficio, non aveva delega alcuna ad interessarsi della vicenda nata dalle accuse e dai dossier del Marrapodi;

che, a quanto consta agli interroganti, non è comunque vero, come si legge nella richiesta di archiviazione, che mai il dottor Macrì avrebbe telefonato al Marrapodi e che perciò si sarebbe sempre limitato a “subire” passivamente le telefonate del Marrapodi. A giudizio degli interroganti un semplice controllo del tabulato proverebbe esattamente il contrario, ed è certo che anche una sola telefonata fatta dal Macrì sarebbe sufficiente a smentire la compiacente tesi di un suo comportamento meramente “passivo”;

che, in base a quanto risulta agli interroganti, vi sarebbero, infatti, telefonate (25 febbraio e 26 marzo 1994) nelle quali sarebbe il dr. Macrì a sollecitare il Marrapodi ad inviargli una copia del dossier che il pentito annuncia di voler consegnare all’ispettore Nardi (contro il presidente Viola), fissando anzi un appuntamento ai fini della consegna, così come vi sono telefonate (20 maggio 1994) nelle quali è il magistrato che “rincuora” il Marrapodi, assicurandolo che “sono battaglie a lungo termine, vediamo come vanno!”;

che, d’altra parte, ad avviso degli interroganti, è inspiegabile come i magistrati messinesi abbiano ritenuto di poter limitare i loro riferimenti alle sole telefonate, quando il Marrapodi ha parlato anzitutto di “incontri” col dottor Macrì. Su questi incontri i magistrati tacciono totalmente, nonostante essi trovino conferma proprio nel contenuto di numerose telefonate (si vedano quelle sopra richiamate), con la conseguenza che cade in radice l’argomento secondo cui la chiamata in correità non sarebbe attendibile perché “smentita dal tenore delle conversazioni”,

gli interroganti chiedono di sapere, in relazione a quanto sopra, e con riferimento ad entrambi i fascicoli processuali citati, se non si ritenga di disporre un’ispezione allo scopo di accertare se siano ravvisabili inerzie e disponibilità collusive o protettive che possano giustificare le soluzioni di favore sopra richiamate.

Quanto al procedimento disciplinare, la Sezione Disciplinare del CSM ha inflitto al dottor Macrì la sanzione dell’ammonimento, relativamente però ad una sola delle imputazioni contestate (cioè quella riguardante le indagini arbitrariamente esperite nei confronti del presidente del tribunale Pontorieri). Da tutte le altri imputazioni (pur in pendenza delle indagini davanti alla Procura di Messina, ma grazie all’accennata circostanza della mancanza di un formale procedimento a carico del dottor Macrì) proscioglieva, come si è detto, lo stesso con una sorta di motivazione dubitativa. Pur dando atto, infatti, del corposo quadro indiziario risultante dagli atti, la Sezione disciplinare ha affermato che lo stesso non consentiva però di giungere alla “tranquillante certezza” della responsabilità dell’incolpato. E non è certamente la particolare natura e composizione del collegio giudicante (formato in prevalenza da appartenenti agli schieramenti politici o associativi di sinistra, ovvero al gruppo associativo del quale era autorevole esponente il difensore di fiducia abilmente scelto dal dottor Macrì) che, ad avviso degli interroganti, può spiegare una tale compiacente conclusione, se è vero (come è facilmente accertabile) che a tale conclusione disciplinare si è potuti pervenire solo attraverso la totale pretermissione (per ogni singola vicenda) delle circostanze decisive che erano emerse dalla istruttoria pur sommariamente condotta dalla Procura Generale. Certo, non può non risultare strana ed inspiegabile l’omessa impugnazione della decisione disciplinare da parte del Procuratore Generale della Corte di Cassazione.

Il dottor Macrì, trasferito nel 1993 alla Direzione Nazionale Antimafia, ha continuato a risiedere effettivamente a Reggio Calabria, facendosi applicare per lungo tempo presso la DDA della stessa sede. Pur tuttavia ha chiesto e percepito, oltre al rimborso delle spese di viaggio per Roma, l’indennità di missione. Per tale singolare comportamento, su denunzia di un privato, è stato sottoposto ad indagine dalla Procura della Repubblica di Roma per truffa aggravata. È francamente inspiegabile, ad avviso degli interroganti, non tanto la richiesta di archiviazione avanzata dal PM ed accolta dal Gip, quanto l’inerzia della Procura Generale nell’attivare un’iniziativa di avocazione ai fini della possibile diversa richiesta del rinvio a giudizio. Un’ispezione sulla vicenda si rende ad avviso degli interroganti certamente opportuna, per verificare se si tratti di conclusione oggettivamente corretta o della solita “copertura istituzionale” di fatto assicurata al dottor Macrì.

Per tutto quanto detto si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga di fornire urgente risposta dichiarando le proprie valutazioni e determinazioni in merito ai fatti ed alle circostanze descritti.