RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE
SULL'AFFARE ASSEGNATO N. 588
(Doc. XVI, n. 4)
Premessa
La Commissione, a seguito di unanime determinazione dell'Ufficio di Presidenza, ha richiesto al Presidente del Senato, in data 15 ottobre 2020, l'assegnazione di un affare, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, del Regolamento, sulle modalità più efficaci per l'esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento nell'ambito di un'emergenza dichiarata. Il Presidente ha deferito l'affare il successivo 21 ottobre.
La richiesta trae origine, nel merito, dal disegno di legge n. 1834, a iniziativa del senatore Pagano, componente della 1a Commissione, volto ad istituire una commissione bicamerale competente sull'emergenza epidemiologica da Covid-19.
Scopo dell'affare, pur nella consapevolezza di quanto l'argomento si prestasse ad allargamenti di campo, è stato perciò, fin dall'inizio, il tema specifico delle modalità più efficaci con le quali il Parlamento possa esercitare le sue prerogative in un contesto come quello attuale, nel senso di individuare le soluzioni più idonee dal punto di vista tecnico per il loro esercizio.
Poiché l'istituzione di una commissione bicamerale rappresenta solo una delle possibili opzioni, la Commissione affari costituzionali ha ritenuto di svolgere preventivamente un'approfondita disamina: la procedura da seguire o da promuovere sarebbe discesa dalla soluzione individuata.
La Commissione ha perciò proceduto a un serrato ciclo di audizioni informali in videoconferenza che ha permesso di raccogliere le opinioni e le riflessioni di ventinove tra i maggiori esperti in materia costituzionale e parlamentare, nonché di alcuni rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali.
Più nel dettaglio, nelle riunioni dell'Ufficio di presidenza del 5, 12, 17, 18, 19, 24 e 26 novembre sono stati sentiti Fabio Cintioli, Giovanni Guzzetta, Nicola Lupo, Giulio Napolitano, Alfonso Celotto, Francesco Clementi, Ugo De Siervo, Fulvio Pastore, Andrea Pertici, Massimo Villone, Luciano Violante, Gaetano Azzariti, Enzo Cheli, Claudio De Fiores, Massimo Luciani, Luca Longhi, Michela Manetti, Andrea Manzella, Marcello Pera, Valerio Onida, Otto Pfersmann, Claudio Tucciarelli, Beniamino Caravita di Toritto, Salvatore Curreri, Marilisa D'Amico, Roberto Miccù, Paolo Passaglia, Guido Rivosecchi, Lara Trucco, Massimiliano Fedriga, Giovanni Toti e Antonio Decaro.
In allegato alla presente relazione è riportata una sintesi delle audizioni svolte.
Va detto subito che, all'esito dell'approfondimento, si è registrata una inusuale convergenza della comunità scientifica - in ciò appoggiata anche dagli esponenti delle autonomie territoriali - sull'opportunità di istituire una commissione bicamerale per l'emergenza epidemiologica. Sulle caratteristiche di tale commissione sono emerse tuttavia valutazioni eterogenee, anche se non necessariamente incompatibili tra loro, così come è emersa una varietà di sfumature sul ruolo da attribuire ad altri organi parlamentari.
La Commissione ha perciò condiviso l'opportunità di sintetizzare gli esiti dell'esame della materia in una relazione ai sensi dell'articolo 50, comma 1, del Regolamento, da porre a disposizione del Senato quale base di discussione per l'adozione, d'intesa con la Camera, di eventuali determinazioni per un rinsaldamento sostanziale, anche nell'emergenza, della centralità del Parlamento.
Non sfugge alla Commissione come qualunque innovazione in questo ambito presupponga un'ampia consonanza tra le forze politiche: l'auspicio perciò è che la presente relazione possa favorire l'approdo a soluzioni condivise tra maggioranza e opposizione, per un rafforzamento, anche nell'emergenza, del ruolo centrale che la Costituzione assegna al Parlamento.
1. Un sistema parlamentare in difficoltà, un sistema delle fonti sotto pressione
La pandemia sanitaria ha rappresentato e rappresenta senza dubbio, a livello globale, anche una pandemia di tipo costituzionale. Come rimarcato da quasi tutti gli auditi, gli ordinamenti democratici si sono trovati ad affrontare una situazione senza precedenti che ha posto in crisi i loro stessi fondamenti.
Da un lato, infatti, stiamo assistendo a una limitazione inedita di diritti e libertà costituzionali e, dall'altro, a un non usuale, per quanto in larga misura inevitabile, accentramento dei poteri in capo agli esecutivi. A livello istituzionale, gli organi che più soffrono di questo contesto sono proprio i parlamenti, tanto che risulta naturale porsi l’interrogativo se l'emergenza epidemiologica, oltre che i restringimenti alle libertà individuali, possa giustificare anche una limitazione alle prerogative parlamentari (Tucciarelli). L'esperienza di altri paesi non si discosta, nei suoi caratteri essenziali, da quella italiana e, pur nella diversità degli ordinamenti e delle risposte fornite, si è assistito a una verticalizzazione del potere e a una corrispondente limitazione di ruolo e funzioni dei parlamenti. Un fenomeno non nuovo, perché già altre emergenze, ad esempio quella terroristica, avevano portato a rafforzare il ruolo del Governo e addirittura ad auspicare poteri non soggetti a vincoli, unbound (Napolitano), tanto che è stato notato come gli ultimi vent'anni siano stati caratterizzati da una sorta di stato di emergenza permanente, tra ricorrenti minacce alla sicurezza e perdurante crisi economica ( De Fiores).
La generalità degli intervenuti ha osservato che la marginalizzazione del Parlamento non può dirsi fenomeno nuovo. Essa si presenta come il frutto di una concatenazione di accadimenti più o meno remoti i cui effetti sugli equilibri istituzionali la pandemia ha senz’altro intensificato. Nel nostro Paese, tuttavia, vi sono alcune circostanze aggravanti che sono state puntualmente richiamate (Luciani). Riprendendo l'immagine della pandemia costituzionale, verrebbe quasi da dire che, così come le conseguenze del COVID-19 sono più pericolose nei pazienti con patologie pregresse, gli effetti dell'emergenza possono essere più gravi per i parlamenti e gli organi costituzionali giunti alla pandemia in peggiore salute.
Quale conseguenza dell'accentramento dei poteri nell'Esecutivo anche il sistema delle fonti del diritto è stato messo sotto pressione. Il nostro ordinamento costituzionale non contempla, come è noto, disposizioni specifiche sullo stato di emergenza, anche se è stato notato che vi si può ricostruire un "codice dell'emergenza" (De Fiores) che ha i suoi punti di riferimento nella legge e nel raccordo tra Presidente della Repubblica, Parlamento e Governo. Qualcuno osserva che sarebbe stato possibile interpretare in senso estensivo la disposizione prevista dall'articolo 78 della Costituzione per lo stato di guerra (Celotto), con il conferimento al Governo, da parte del Parlamento, dei poteri necessari. La maggior parte delle opinioni, tuttavia, è nel senso di ritenere centrale lo strumento, emergenziale per eccellenza, del decreto-legge, che investe la triangolazione istituzionale citata e consente, pur nella alterazione del normale svolgersi della funzione legislativa, il rispetto delle riserve di legge quanto alla riduzione delle libertà (Pertici). Del resto, ciò è stato ribadito anche dalla risoluzione 6-00146 (testo 2 a firma Calderoli, approvata dall'Aula del Senato il 2 novembre 2020). Tuttavia, è stato da più parti riconosciuto come lo stesso decreto-legge non sia abbastanza flessibile per tenere il passo di una situazione in permanente evoluzione (Cintioli).
Sulla posizione e la legittimità dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (i noti DPCM) previsti dagli stessi decreti-legge che hanno disciplinato gli interventi emergenziali, così come sul procedimento di parlamentarizzazione introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 19 del 2020, sono state esplicitate tesi assai differenziate. Se è abbastanza condivisa la loro riconduzione alla consolidata categoria delle ordinanze contingibili e urgenti, sulla legittimità costituzionale e i limiti di questo tipo di atti si riscontrano, tra gli studiosi, le divergenze tradizionali: un dibattito, peraltro, che ha impegnato la dottrina giuridica fin dai primi provvedimenti del febbraio 2020. Si va perciò da chi sostiene la radicale illegittimità dell'impianto, facendo da ciò discendere l’assunto che il Parlamento dovrebbe astenersi dal pronunciarsi o reclamare maggior coinvolgimento nell'adozione dei DPCM, a coloro che invece giudicano l'impostazione formalmente rispettosa della legalità costituzionale.
Tra questi ultimi vi è stato chi comunque ha posto la questione dell’opportunità di prevedere un contraltare al potere di ordinanza del Governo che, non potendo essere rappresentato solo dal giudice amministrativo, per ragioni attinenti sia alla portata degli atti che questo sarebbe chiamato a giudicare, sia ai tempi del giudizio, non può essere che politico, e specificamente collocato nel Parlamento. Non è stato tuttavia escluso che la Corte costituzionale possa riconoscere una propria competenza al riguardo (De Siervo). In secondo luogo, è stata richiamata la necessità che i DPCM vengano limitati a quelle sole misure che, per ragioni di tempestività, non possono essere adottate per decreto-legge, lo strumento da privilegiare tutte le volte in cui ciò sia possibile (Pertici). Inoltre, è stato affermato che questi atti non devono tramutarsi in provvedimenti a medio-lungo termine (Onida). Per le loro caratteristiche, i DPCM sono stati qualificati come vere e proprie nuove fonti del diritto (Pastore). È venuta in luce anche la circostanza per cui, trattandosi di atti sostanzialmente monocratici, lo stesso Governo collegialmente inteso è formalmente escluso dal procedimento che conduce alla loro adozione. Inoltre, è stato ricordato come, accanto ai DPCM, vi siano altre ordinanze che compongono un quadro complesso e articolato di atti extra ordinem. Condivisa è quindi l'opinione per cui il sistema delle fonti del diritto sia stato messo sotto pressione dal quadro emergenziale, e che debba iniziare prima possibile un cammino di ritorno alla sua fisiologia.
Il meccanismo di parlamentarizzazione di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 non ha ricevuto un particolare apprezzamento da parte degli studiosi e comunque non è stato considerato sufficiente. Se pure è stato notato come, nelle premesse al DPCM del 3 novembre, siano state citate per la prima volta le risoluzioni parlamentari (un dato, peraltro, interpretato non univocamente), è stato anche rilevato come la procedura prevista non abbia impedito l'adozione di numerosi provvedimenti senza un previo coinvolgimento del Parlamento, e come questa si risolva più che altro in un obbligo informativo.
È perciò unanimemente condivisa l'urgenza di un maggiore coinvolgimento del Parlamento che, pur nell'eccezionalità dell'emergenza, deve poter esercitare le proprie prerogative. Il discorso, peraltro, non può essere limitato all'emergenza pandemica in atto, ma deve necessariamente allargarsi, come del resto già suggerito dal titolo dell'affare esaminato dalla Commissione a tutte le situazioni di emergenza dichiarata, affinché possa prendere forma un vero e proprio diritto parlamentare dell'emergenza in grado di superare anche per l'avvenire le difficoltà incontrate nei difficili mesi del 2020 ed elaborare rimedi validi anche per future contingenze eccezionali.
2. Il possibile ruolo degli organi parlamentari esistenti o di commissioni monocamerali speciali
Un primo aspetto che è stato affrontato è quello dell'idoneità di organi parlamentari esistenti a fungere da sede idonea per un efficace esercizio delle prerogative parlamentari anche nell'emergenza. Al riguardo è stato anche osservato che il Parlamento, per riappropriarsi delle proprie prerogative, deve riprendere a esercitare le sue funzioni nelle sedi di cui già dispone (Pera).
In senso opposto, sono stati invece espressamente richiamati i limiti degli strumenti ordinari, sia per quanto riguarda il sindacato ispettivo, sia per l'attività delle commissioni permanenti (Azzariti).
Con riferimento alle funzioni legislative, che ovviamente non possono che rimanere in capo alle singole Camere, è stata affrontata la questione, della quale parimenti si era discusso nel corso della prima ondata dell'epidemia, di poter convertire i decreti-legge in sede decentrata. Sebbene la Costituzione non includa questa ipotesi tra le riserve di assemblea elencate nell'ultimo comma dell'articolo 72 e siano solo i regolamenti parlamentari a prevederla, l'orientamento prevalente ritiene tuttavia che vi sia una riserva implicita, e che perciò la strada della sede deliberante non sia percorribile, neppure con un consenso unanime (Lupo, Clementi, Pastore, Pertici). Quanto alla sede redigente, si sono avute invece diverse aperture: viene infatti notato come la prassi di porre la questione di fiducia, in aula, su un maxiemendamento che riproduce il testo licenziato dalla commissione referente sia largamente sovrapponibile a quella procedura (Lupo, Pastore, Pertici). In un'ottica di valorizzazione della dimensione intercamerale, è stata avanzata inoltre la possibilità di un'istruttoria congiunta sui decreti-legge da parte delle commissioni competenti (Cheli).
Per quanto riguarda invece l'istituzione di commissioni monocamerali speciali, occorre distinguere tra commissioni con poteri referenti e commissioni con poteri conoscitivi, consultivi e di controllo.
La prima ipotesi, che pure aveva sostenitori nella prima fase dell'emergenza, è quella di organi modellati sull'esempio della commissione speciale per l'esame degli atti urgenti del Governo che ciascuna Camera istituisce a inizio legislatura, cui assegna tutti i provvedimenti legati all'emergenza, a partire da quelli legislativi. Gli esperti auditi non hanno sostenuto questa opzione, che avrebbe un problema di mancanza di specializzazione (Tucciarelli), o la hanno relegata solo a congiunture estreme, più tipiche di stati di necessità che di stati di emergenza (Violante).
Anche la diversa ipotesi di istituire una commissione speciale di altra natura ha trovato un sostegno limitato (Guzzetta).
Nell'uno e nell'altro caso, si è infatti osservato che l’esistenza di due commissioni separate potrebbe creare un problema di funzionalità o diinsufficiente interazione con il Governo (Tucciarelli, De Fiores).
È stata anche vagliata e contestualmente respinta per l'assenza di poteri formali (Cheli) l'ipotesi di un comitato formato dai presidenti delle commissioni competenti per materia.
In ogni caso è stato notato come, nelle more dell'istituzione di eventuali organismi speciali, quelli ordinari debbano continuare a esercitare le proprie funzioni nei confronti del Governo (D'Amico).
3. Le Conferenze dei Capigruppo in riunione congiunta
Anche l'ipotesi, di cui si è ampiamente dibattuto, di una riunione congiunta delle Conferenze dei capigruppo di Camera e Senato quale sede per una condivisione al più alto livello della gestione dell'emergenza tra Governo e Parlamento, nonché tra maggioranza e opposizione, non ha riscosso molti consensi tra gli esperti che si sono soffermati sul punto.
Le motivazioni sono articolate e si possono così riassumere: mancanza di poteri formali (Cheli, Luciani); assenza dei caratteri delle tipiche sedi di lavoro parlamentare (Lupo) o diversa natura di questi organi (Azzariti); estraneità al procedimento legislativo (Manzella); mescolanza di funzioni politiche e parlamentari (Clementi); esperienza comparata non fortunata (Napolitano); assenza di pubblicità dei lavori, mancanza di tempo adeguato per trattare il tema e rischio che divenga un terreno di scontro politico (Azzariti); spiccato carattere politico che non le rende una sede naturale (Longhi) o una cerniera efficace (De Fiores). Inoltre, si è paventato il rischio che l'attribuzione di funzioni di controllo e verifica ne muti radicalmente la natura (Pera) o quantomeno le funzioni (Tucciarelli). Accanto al problema di chi in concreto debba presiedere questa "Super-capigruppo", è stato anche evidenziato come, in ogni caso, i Presidenti delle Camere perderebbero la loro neutralità a favore di un profilo inevitabilmente più politico (Pera). Peraltro, si è anche osservato che, se lo scopo è rafforzare l'attività di controllo del Parlamento e non creare un organo di direzione politica non si intravede la necessità di coinvolgere le forze politiche al livello dei presidenti di gruppo (Curreri).
Tuttavia, sono stati evidenziati anche aspetti positivi, innanzi tutto per l'immediatezza dell'attuazione di una simile ipotesi (Cheli), nonché per i vantaggi che il formato inedito di una riunione congiunta delle Capigruppo porterebbe nel coordinare la programmazione dei lavori tra le Camere, e in particolare la presenza del Governo (Guzzetta), valorizzando ulteriormente la dimensione intercamerale.
In definitiva, quindi, come è stato peraltro notato (Rivosecchi), la Conferenza, se pure non potrebbe sostituirsi ad altri organi ad hoc, potrebbe utilmente affiancarli, sia nella programmazione, sia nel coinvolgimento dell'opposizione, sopperendo all'assenza di pubblicità dei lavori con una sistematica comunicazione dei loro esiti alle Assemblee.
4. Una bicamerale per l'emergenza
I soggetti auditi, con pochissime eccezioni, si sono invece dichiarati favorevoli all'istituzione di una commissione parlamentare bicamerale specificamente dedicata al tema dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, ritenendola una sede nel complesso idonea per un irrobustimento del ruolo spettante al Parlamento e per l'esercizio sulle sue prerogative costituzionali.
Circa le caratteristiche di questa commissione, dal punto di vista della sua composizione, delle funzioni, dello strumento con il quale istituirla e anche del regime di pubblicità da adottare, sono state prospettate soluzioni diverse, talora alternative ma piùspesso complementari, di cui è opportuno dare conto per favorire la ricerca di una soluzione di sintesi.
Il panorama delle commissioni bicamerali si presenta in effetti estremamente composito: attualmente - esclusi il Comitato parlamentare per i procedimenti d'accusa e le commissioni che includonocomponenti non parlamentari - sono in essere nove organismi bicamerali, con funzioni di indirizzo, vigilanza e controllo ovvero consultive, cui si aggiungono quattro commissioni di inchiesta, senza considerare tutte le bicamerali istituite nel passato che hanno esaurito la loro attività. È perciò abbastanza naturale che ci si interroghi sulla natura e i caratteri di un tale organismo, anche nella consapevolezza che si tratterebbe in ogni caso di una soluzione inedita per un contesto inedito, e che perciò le categorie consolidate andrebbero utilizzate con la necessaria elasticità.
a. La composizione
Il disegno di legge n. 1834, su cui gli auditi si sono basati per esprimere le loro valutazioni, propone di istituire - per la durata della XVIII legislatura - una commissione composta da dieci senatori e da dieci deputati nominati, rispettivamente, dai Presidenti delle Camere su designazione dei gruppi e in proporzione di questi, con un presidente eletto a maggioranza assoluta dei componenti (con eventuale ballottaggio) tra gli appartenenti ai gruppi di opposizione, cui si aggiungono due vicepresidenti e due segretari.
La quasi totalità degli esperti ha evidenziato l'importanza di un organo snello, sul modello, quanto alla sua composizione, del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) che, come è noto, è costituito da soli dieci membri, cinque deputati e cinque senatori. Qualcuno ritiene tuttavia preferibile l'ipotesi di venti componenti prospettati dal disegno di legge, o tout court (Pertici, Tucciarelli) o come limite massimo (Manzella). Altri hanno invece ipotizzato dodici (Violante), ovvero un minimo di dodici (Caravita) o quattordici membri (Curreri) o un numero compreso tra dieci e quindici (Pfersmann). È stato anche rilevato che l'ampiezza sarebbe inversamente proporzionale alla collaborazione tra forze politiche (Pastore). Addirittura è stato richiamato come modello (Napolitano, Clementi) la Congressional Oversight Commission (coc.senate.gov), organo misto sulla gestione economica dell'emergenza istituito negli Stati Uniti, che è di soli cinque membri e che, peraltro, sta operando in un formato a quattro. Inoltre, è emersa la preferenza per un ufficio di presidenza snello, di soli tre membri (e non cinque come nel disegno di legge), in grado di adottare rapidamente alcune decisioni (Lupo, Clementi).
La composizione può essere paritetica tra maggioranza e opposizioneo proporzionale ai Gruppi. L’alternativa della rappresentanza paritetica è quella che ha riscosso i maggiori consensi, in particolare per il ruolo di sede di condivisione tra le forze politiche, oltre che di controllo parlamentare, che dovrebbe assumere la commissione: anche alcune proposte su numeri precisi tengono conto di questa necessità, laddove dodici componenti consentirebbero di avere tre esponenti di maggioranza e tre di opposizione per ogni Camera (Violante). Minoritaria l'opzione - che pure è quella proposta dal disegno di legge - per una composizione proporzionale (Pfersmann, Rivosecchi), necessaria laddove si intendessero attribuire poteri di inchiesta ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione: sul punto, tuttavia, si segnala anche una lettura del disposto costituzionale alla luce dell'articolo 26 del Regolamento del Senato tendente a far coincidere i due requisiti (Curreri). È stata richiamata anche l’opzione, da valutare, relativa alla garanzia della presenza in seno alla commissione di un rappresentante per ciascun gruppo presente in almeno una Camera (Tucciarelli).
Quasi unanime è l'adesione alla proposta di riservarne, anche formalmente, la presidenza all'opposizione, e la vicepresidenza alla maggioranza (Pfersmann): al riguardo si richiama la legge n. 124 del 2007, istitutiva del COPASIR, che lo prevede espressamente, ma anche la prassi consolidata di altri organismi bicamerali, come la Commissione di vigilanza RAI. Peraltro, è stata da più parti evidenziata la necessità che il presidente della commissione sia eletto a maggioranza qualificata (Azzariti, De Fiores, Curreri), affermata con ancor più forza da parte di chi invece ritiene che una composizione paritetica renda più equilibrato riservare questo ruolo alla maggioranza (Manzella).
Infine, è interessante la suggestione per cui, per garantire un raccordo con le ordinarie sedi parlamentari, i componenti della commissione potrebbero essere scelti tra i componenti delle commissioni permanenti maggiormente coinvolte nell'esame dei provvedimenti sulla pandemia, sulle connesse ricadute finanziarie e sui collegamenti sovranazionali (Tucciarelli).
b. Le funzioni
Secondo il disegno di legge Pagano, compito principale della commissione dovrebbe essere quello di esprimere pareri vincolanti sugli schemi di atti del Governo, inclusi gli schemi dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto misure di contenimento e contrasto della diffusione del COVID-19: ciò nel termine perentorio di otto giorni, decorso il quale si intenderebbe espresso un parere favorevole. È inoltre previsto che, prima di deliberare, la commissione possa svolgere attività conoscitiva e che il suo presidente, sentito l'ufficio di presidenza, possa richiedere l'audizione del Presidente del Consiglio o di un Ministro da questi delegato. Inoltre, la commissione svolgerebbe attività conoscitiva sull'emergenza epidemiologica e sulle misure per il suo contenimento e contrasto. Infine, vi si prevede che la commissione presenti una relazione annuale al Parlamento, salva la facoltà di trasmettere anche informative o relazioni urgenti.
La questione delle funzioni della commissione, senz'altro centrale, è quella su cui si è comprensibilmente riscontrata la più vasta gamma di punti di vista.
Funzioni consultive - Partendo da quelle consultive, sulle quali è incentrata la proposta legislativa, va detto innanzi tutto che vi è stata una diffusa contrarietà sia sull'ipotesi di prevedere un parere vincolante sugli atti del Governo, che si tradurrebbe in una eccessiva ingerenza nelle responsabilità dell'Esecutivo, sia sulla congruità del termine di otto giorni per esprimerlo, giudicato eccessivo in relazione al carattere urgente dei provvedimenti dettato dall'evoluzione del quadro epidemiologico. Al riguardo, lo stesso presentatore del disegno di legge ha dichiarato di ritenere accoglibili entrambi i rilievi, precisando, quanto al primo, che lo scopo resta quello del coinvolgimento preventivo del Parlamento, e, quanto al secondo, che il testo era stato presentato nel maggio 2020, quando la progressiva riduzione dei contagi aveva determinato una successione più diradata dei provvedimenti.
Dando per acquisito che la commissione, se del caso, non dovrà esprimere pareri vincolanti, e che dovrà pronunciarsi in tempi più ristretti di otto giorni, si è posto il problema del perimetro del sindacato della commissione, innanzi tutto con riferimento ai DPCM. Si sono palesate a questo proposito alcune posizioni contrarie all'espressione di un parere preventivo su questo tipo di atti, sul presupposto della loro illegittimità o comunque dubbia legittimità (D'Amico, Guzzetta, Longhi), oppure per lasciarli alla piena responsabilità del Governo (Miccù). Peraltro, è stato evidenziato come tali decreti non siano le uniche ordinanze previste dall'impianto normativo in materia, poiché, al solo livello statale, vi sono anche i provvedimenti del Ministro della salute, quelli del Capo del dipartimento della protezione civile e quelli del Commissario straordinario (De Siervo, Pertici, Tucciarelli), senza contare i provvedimenti regionali e le ordinanze sindacali. Si pone poi il problema dei decreti-legge, che secondo alcuni potrebbero essere inclusi tra gli atti da sottoporre al parere della bicamerale (Manzella). Al riguardo, un parere preventivo sugli schemi di decreto-legge potrebbe porsi in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione (Luciani), mentre il problema non si presenterebbe qualora la commissione venisse consultata nel corso dell'iter di conversione, analogamente a quanto accade per la Commissione per le questioni regionali.
Infine, è necessario che la legge preveda espressamente un obbligo in capo al Governodi trasmissione degli schemi di atti alla commissione (Tucciarelli).
Funzioni di controllo e conoscitive - L'accento, più che sulle funzioni consultive, è stato posto tuttavia sulle funzioni di controllo (e su quelle conoscitive ad esse presupposte), ambito al quale è stato ricondotto l'intervento della commissione nella fase di elaborazione delle ordinanze. I presupposti, infatti, vanno in quella direzione.
In primo luogo, vi è il funzionamento insoddisfacente del meccanismo di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, che non rende obbligatorio un intervento parlamentare nella fase ascendente: quando ciò è avvenuto, ci si trovava in un momento in cui le misure erano già state delineate e comunque il Parlamento non è stato in grado di esaminarle nel dettaglio. Il nodo è stato quindi individuato nella fase in cui i dati tecnici a disposizione del Governo vengono filtrati e tradotti in decisione politica (Guzzetta). Ed è innanzi tutto in quel passaggio che l'intervento di una commissione ad hoc viene visto come dirimente.
In secondo luogo, e in via strettamente correlata, è stata evidenziata l'asimmetria informativa del Parlamento rispetto all'Esecutivo (Azzariti, Miccù): i dati degli organismi tecnici non sono infatti a disposizione del Parlamento. Sebbene da uno studio della Fondazione Leonardo (citato da Violante) siano stati censiti un centinaio di questi comitati, sarebbe sufficiente che la commissione potesse rapportarsi in via diretta con il Comitato tecnico scientifico di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630 e, soprattutto, potesse disporre degli stessi dati. A quel punto, il dialogo con il Governo nella fase di formazione dei provvedimenti (Miccù) potrebbe avvenire anche senza la formalizzazione in un parere, bensì attraverso la partecipazione di un ministro che, illustrando alla commissione le misure che l'Esecutivo intende adottare, acquisisca in tempo reale le valutazioni delle forze politiche ai fini della redazione definitiva dell'atto. Si è detto infatti che la commissione dovrebbe avere la stessa flessibilità operativa del Comitato tecnico scientifico e pronunciarsi anche nel giro di poche ore (Cintioli) o quarantotto ore (Curreri): in questo senso, lo strumento del parere, per quanto forte, potrebbe non essere garanzia di un reale coinvolgimento, perché non potrebbe essere compresso al di sotto di certi termini (Trucco). È stata anche avanzata l'ipotesi che, più che un parere preventivo, la commissione possa formalizzare una richiesta di riesame successiva all'adozione dell'atto (Cintioli), anche se è stato notato che gli stessi effetti potrebbero essere ottenuti attraverso un intervento più propriamente politico (Clementi). In questa direzione è stato addirittura ipotizzato che il presidente della commissione partecipi ai tavoli in cui si formano gli atti governativi (Passaglia).
L'attività di controllo dovrebbe poi estendersi alla fase di attuazione dei provvedimenti e, a tal fine, è emerso come occorra un ampio ventaglio di strumenti conoscitivi, con una previsione generale che consenta di acquisire documenti dalla pubblica amministrazione e anche, eventualmente, dall'autorità giudiziaria (Clementi), nonché di svolgere audizioni di rappresentanti del Governo - non solo del Presidente del Consiglio come previsto dal disegno di legge - ma anche di funzionari pubblici ed esperti. In particolare è stato posto l'accento (Manetti) sulla peculiare procedura introdotta dall'articolo 7-bis del decreto-legge n. 174 del 2015, che, con riferimento ad alcune attività, prevede che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica esprima un parere preventivo sulle disposizioni da adottare e che, successivamente alla loro adozione, ne sia informato dal Presidente del Consiglio.
Quanto alla possibilità che la commissione si doti di propri esperti stabili, le vedute non sono univoche: accanto a chi sostiene che questo sia auspicabile, per poter meglio esercitare la propria funzione dialettica con il Governo (Lupo), altri lo negano, per evitare un utilizzo politico di giudizi tecnici (Onida, Azzariti), anche se è stata ammessa la possibilità che la commissione acquisisca consulenze su vicende specifiche (Clementi, De Fiores). Per evitare la contrapposizione tra consulenze tecniche, è stato proposto che la commissione (Rivosecchi) o le forze di opposizione (Onida) possano far integrare gli esistenti organismi tecnici con esperti di propria fiducia.
Altre funzioni - Anche l'attività di indirizzo, a parere di numerosi esperti, dovrebbe rientrare tra le funzioni della commissione (Cheli, Azzariti, Manetti, Onida, Tucciarelli, Miccù, Rivosecchi). Su questa posizione pesa sicuramente il giudizio ampiamente negativo sulla procedura di cui all'articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 19 del 2020, sebbene via sia chi ha ipotizzato che possa essere mantenuta, in aggiunta alle funzioni svolte nella sede ristretta della commissione (Napolitano). La funzione di indirizzo, tuttavia, non può che continuare a trovare la sua sede naturale nelle Aule parlamentari.
Poche sono invece le voci a favore dell'attribuzione di poteri di inchiesta: a parte il problema di conciliare questa natura con una composizione paritetica, la soluzione è vista di fatto alternativa rispetto alla natura di organo di controllo (Violante, Trucco), sebbene, dall'altro lato, le funzioni previste dall'articolo 82 della Costituzione siano state richiamate da alcuni come strumento per dare maggiore incisività e visibilità alla commissione e alla sua attività di controllo (Curreri, D'Amico).
La commissione, infine, per la sua natura bicamerale, incontrerebbe il limite costituzionale delle funzioni legislative, salvo, come si è detto, pronunciarsi, all'interno del procedimento legislativo, in sede consultiva: in questo senso, peraltro, è stato anche richiamato l'esempio del comitato per la legislazione della Camera (Manzella).
c. Il regime di pubblicità
Tra le ragioni addotte a favore di una commissione parlamentare ad hoc vi è anche una petizione di principio che contrappone la pubblicità e trasparenza dei lavori delle Camere all'opacità e sostanziale segretezza delle procedure governative (Celotto, D'Amico). L'orientamento prevalente va nel senso di consentire alla commissione di modulare il regime di pubblicità dei propri lavori. Tra gli estremi di chi ritiene in ogni caso preferibile che la riservatezza sia la regola generale (Violante) ovvero l'assoluta eccezione (Pertici, Manetti, Tucciarelli, Trucco), si sono manifestate varie sfumature intermedie, tese tuttavia a privilegiare la trasparenza dei lavori.
A favore della possibilità di adottare, se necessario, un regime di segretezza vanno la possibilità di partecipare alla formazione di tutte le decisioni del Governo, di maneggiare dati sensibili o il rischio paventato (Curreri) che la commissione diventi una sede impropria di propaganda elettorale.
d. L'atto istitutivo
Tipicamente, le commissioni bicamerali sono istituite con legge. Vi sono tuttavia precedenti in cui hanno visto la luce a seguito dell'approvazione contemporanea di atti di indirizzo da parte delle due Camere: tale è stato il caso della commissione Bozzi nel 1983 e della commissione De Mita-Iotti nel 1992, quest'ultima seguita da una legge (nella specie costituzionale). Entrambe le strade sono perciò legittime.
La stragrande maggioranza degli auditi ritiene necessario o quantomeno preferibile la sua istituzione tramite una legge, soprattutto per poter prevedere obblighi in capo al Governo e alla Pubblica amministrazione, in particolare quanto alla trasmissione di atti, schemi di atti e documenti, o per consentire alla commissione di accedere a dati e informazioni.
Molti hanno evidenziato come, per accelerare i tempi di istituzione, la legge possa essere preceduta da atti di indirizzo poi "vestiti" dalla fonte primaria (Lupo, Manzella, Curreri, Rivosecchi). Secondo altri la legge potrebbe essere invece preceduta da un'iniziativa dei presidenti delle Camere (Napolitano, Cheli) o da una decisione delle Conferenze dei capigruppo (Violante): a questo proposito, si ricorda che l'istituzione delle commissioni speciali a inizio legislatura avviene senza un voto delle Assemblee.
In ogni caso, come è stato da più parti osservato, in presenza di una condivisa volontà politica anche i tempi di approvazione di una legge potrebbero essere estremamente rapidi.
e. I limiti di oggetto e durata
Un'altra questione che è stata affrontata è se la commissione debba limitare i propri compiti ai provvedimenti e alle misure di tipo sanitario oppure essere investita anche delle questioni di tipo economico, inclusa la gestione dei fondi europei, a partire da quelli del Next Generation EU. Alcune opinioni ritengono la seconda ipotesi preferibile, sul presupposto che l'emergenza sia un fenomeno da affrontare a tutto tondo (Violante, D'Amico, Longhi), soluzione che è stata anche vista come una possibilità accanto a quella di un'ulteriore commissione dedicata ai profili finanziari (Napolitano).
Quanto invece alla durata della commissione, che il disegno di legge n. 1834 fa coincidere con la legislatura in corso, è stata anche suggerita una sua coincidenza con quella dello stato di emergenza (Tucciarelli). All'opposto, vi è chi ritiene che la bicamerale da istituire debba essere invece un organismo permanente, da attivare per ogni emergenza dichiarata, non solo per la pandemia (Pfersmann).
In ogni caso, come del resto suggerito dal titolo stesso dell'affare assegnato alla 1a Commissione, le soluzioni individuate non possono che indirizzarsi al tema dell'emergenza nel suo complesso, e perciò anche la creazione di un organismo bicamerale, seppur dedicato a uno specifico contesto emergenziale, va proprio nella direzione di creare strumenti efficienti per un organico coinvolgimento del Parlamento in analoghe situazioni.
f. La partecipazione ai lavori da remoto
Molti dei soggetti auditi hanno anche chiamato in causa, tra le modalità che il Parlamento potrebbe adottare per esercitare le proprie prerogative nell'emergenza, la questione della partecipazione da remoto ai lavori parlamentari, e in particolare la possibilità del voto da remoto. Premesso che il tema, in via generale, a meno che non si intenda intervenire in sede costituzionale, esula dalle strette competenze della 1a Commissione per rientrare tra quelle della Giunta per il Regolamento, appare tuttavia opportuno richiamarlo con specifico riferimento ai lavori della commissione bicamerale.
Sul voto a distanza gli esperti sono equamente suddivisi tra favorevoli e contrari. Tra le opinioni contrarie si registrano argomentazioni di illegittimità costituzionale, perché in contrasto con la lettera dell'articolo 64 e con i Regolamenti parlamentari (Luciani) o perché non sovrapponibile alla disciplina regolamentare, giudicata legittima dalla Corte, su congedi e missioni, e peraltro difficilmente limitabile a una sola fattispecie emergenziale (Pertici). Più numerose le contrarietà legate a ragioni di sistema o di opportunità, sui rischi di snaturamento del lavoro parlamentare, che necessita di un confronto de visu (Guzzetta), in carne e ossa (Cintioli) dal momento che il voto è un processo (Violante) e, in ultima analisi, in questo modo si potrebbe essere portati anche a ritenere non necessaria una sede fisica (De Fiores), sicché occorre che il Parlamento lavori in presenza (Pera). Addirittura, si è parlato di una violazione dell'essenza stessa del principio di rappresentanza, che consiste proprio nel rendere presenti gli assenti (Pertici).
Tra i favorevoli a modalità di voto a distanza, accomunati da una lettura evolutiva dell'articolo 64 della Costituzione (Cheli, Tucciarelli, Caravita, Rivosecchi), l'argomento più diffuso è quello della garanzia della funzionalità del Parlamento, specie laddove siano richieste maggioranze qualificate (Lupo, D'Amico, Rivosecchi). Molte posizioni hanno tuttavia evidenziato come la possibilità vada limitata a casi eccezionali (Cheli) o di forza maggiore (Passaglia) poiché il confronto in presenza deve, in ogni caso, rimanere la regola (Tucciarelli, Trucco), o comunque accompagnata alla valorizzazione delle sedi decentrate (Clementi). Anche qualcuno dei contrari, peraltro, potrebbe ammetterlo ma come extrema ratio (Violante). È stato evidenziato come siano in ogni caso necessari strumenti affidabili per l'identificazione dei votanti (Cheli) e una piattaforma adeguata per conoscere gli esiti in tempo reale (Tucciarelli).
Va precisato che i limiti, peraltro differenziati, entro i quali le Giunte per il Regolamento delle Camere hanno consentito la partecipazione da remoto dei parlamentari ai lavori delle commissioni, ovvero le audizioni, formali e informali, nonché, per quanto riguarda la sola Camera, anche le discussioni senza votazioni e gli uffici di presidenza riservati alla programmazione dei lavori, sono ritenuti legittimi anche da chi si è espresso nettamente contro la remotizzazione del voto (Luciani, Pertici). Di contro, da parte di chi sostiene l'opposta tesi, è stato sostenuto che, per la previsione di ulteriori forme di remotizzazione, occorrerebbe una delibera regolamentare transitoria, peraltro ampiamente condivisa tra le forze politiche (Tucciarelli).
La commissione bicamerale di cui si discute, innanzi tutto, potrebbe ovviamente avvalersi degli strumenti attualmente consentiti alle commissioni permanenti. Inoltre, trattandosi di un organismo creato proprio in ragione dell'emergenza e, come si è visto, caratterizzato da tempi di decisione anche estremamente ridotti, si potrebbe valutare di prevedere, laddove necessario, modalità specifiche per la partecipazione ai suoi lavori anche da remoto, ferme restando le prerogative della Giunta per il Regolamento.
g. Le obiezioni
Poche sono, come si anticipava, le voci che hanno sollevato riserve sull'opportunità di istituire la commissione. In un caso è stata espressa una preferenza tecnica, per ragioni di agilità, per due commissioni speciali omologhe che lavorino in sede congiunta (Guzzetta). Un'altra opinione ritiene l'iniziativa percorribile ma probabilmente inutile, perché non contribuirebbe a superare la marginalità del Parlamento: sarebbe quindi preferibile utilizzare altri strumenti già previsti dall'ordinamento, come la commissione bicamerale integrata di cui all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché prevedere la pubblicità dei lavori degli organismi governativi (Villone). Infine, è stato notato che, in assenza di un accordo politico a monte, la commissione riprodurrebbe le divisioni peculiari del complessivo contesto politico. Se invece questo organismo funzionasse, potrebbe emarginare il Parlamento nel suo complesso, che invece già dispone di tutti gli strumenti giuridici per riacquisire centralità (Pera).
5. Il rapporto con le Regioni e le autonomie locali
Un ulteriore tema che è emerso nel corso dell'approfondimento è quello del rapporto con le regioni e le autonomie locali, realtà che sono state direttamente coinvolte, dal punto di vista sia formale che sostanziale, nella gestione dell'emergenza da parte del Governo, ma con le quali il Parlamento non intrattiene canali stabili di comunicazione. Il tema della partecipazione delle autonomie viene posto anche dalla risoluzione Calderoli del 2 novembre 2020.
A questo riguardo è stata ripresa la proposta di dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, integrando la composizione della Commissione bicamerale per le questioni regionali (Villone, Celotto, Pastore), anche limitatamente al comma 1 dell'articolo, senza cioè introdurre il meccanismo di parere rinforzato sui provvedimenti nelle materie di competenza concorrente (Curreri).
Nella consapevolezza che, per quanto siano sufficienti modifiche ai regolamenti parlamentari, non è scontato né immediato dare corso a disposizioni inattuate da un ventennio, è stato proposto (Tucciarelli) o richiesto (Toti, Fedriga) che, in caso di istituzione di una commissione bicamerale, si attui un coinvolgimento delle regioni, anche prendendo a modello la legge sul federalismo fiscale. L'articolo 3 della legge n. 42 del 2009, che ha istituito la relativa Commissione bicamerale, ha infatti previsto, al comma 4, un Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali che la Commissione può audire ogniqualvolta lo ritenga necessario, o del quale può acquisire il parere. Il comitato è nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata e composto da dodici membri (senza specificare se politici o tecnici), sei in rappresentanza delle regioni, due delle province e quattro dei comuni. In questo caso, quindi, non si tratterebbe di una partecipazione diretta di rappresentati delle autonomie ai lavori della Commissione, tantomeno con diritto di voto.