Senato della Repubblica | XVII LEGISLATURA |
Servizio studi
Immigrazione: elementi introduttivi
Classificazione Teseo: IMMIGRAZIONE
Premessa
Il tema dell'immigrazione è percorribile secondo molteplici chiavi di lettura: storica, geo-politica, giuridica, economico-sociale, demografica, statistica.
Ed a considerare già solo il riguardo giuridico, questo si irradia in più profili, penale, civilistico, amministrativo, in un intreccio multi-livello ove incidono: regolamenti e direttive dell'Unione europea (di disciplina dell'immigrazione, della condizione giuridica dello straniero, della protezione internazionale); leggi dello Stato (per la riserva di legge sancita dall'articolo 10 della Costituzione, nonché per la riserva di legislazione statale esclusiva posta dall'articolo 117, secondo comma, lettere a) e b) della Costituzione circa immigrazione, diritto di asilo e condizione giuridica dello straniero extra-comunitario); leggi regionali (per la competenza delle Regioni in alcuni ambiti, ad esempio socio-assistenziale, con la conseguente emersione di 'cittadinanze sociali' differenziate su base regionale); atti e prassi amministrative; giurisprudenza, così europea come interna, e questa sia costituzionale (quale mero esempio, si pensi alla immediata esecutività dell'espulsione senza convalida giurisdizionale, oggetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 105 del 2001 e n. 222 del 2004, o alla cd. aggravante di clandestinità, dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 249 del 2010) e di legittimità.
L'ordito è così complesso da suggerire di render qui, col presente fascicolo(1) , non altro che una sommaria ricognizione (su alcuni dati statistici disponibili e sul quadro normativo), quale primo ausilio documentario, certo suscettibile di ulteriori approfondimenti, anche ai fini della riflessione e indagine che la Commissione Affari costituzionali del Senato persegue (cfr. la seduta dell'Ufficio di Presidenza del 14 aprile 2015) in materia di immigrazione.
1) Questo fascicolo riprende e aggiorna altro dossier del Servizio Studi: n. 210.
Alcuni dati numerici
In via preliminare, vale ricordare alcuni dati circa gli sbarchi nel territorio nazionale (e la presenza degli stranieri nelle strutture di accoglienza)(2) .
Nel corso del 2016 sono sbarcati sulle coste dell'Italia meridionale circa 181.000 persone.
Gli stranieri presenti nelle strutture d'accoglienza (temporanee, cd. hub, centri d'accoglienza e per richiedenti asilo, posti Sprar) al 31 dicembre 2016 sono 176.554. Le presenze più numerose risultano in Lombardia (23.046 persone, pari al 13% del totale nazionale). Seguono (con circa l'8% del totale nazionale) Lazio, Piemonte, Veneto, Campania, Sicilia.
Andamento degli arrivi dei migranti sulle coste italiane
2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 |
62.692 | 13.267 | 42.925 | 170.100 | 153.842 | 181.436 |
Comparazione del numero di migranti sbarcati - anni 2014/2015/2016
2014 | 2015 | 2016 | |
Gennaio | 2.171 | 3.528 | 5.273 |
Febbraio | 3.335 | 4.354 | 3.828 |
Marzo | 5.459 | 2.283 | 9.676 |
Aprile | 15.679 | 16.056 | 9.149 |
Maggio | 14.599 | 21.232 | 19.957 |
Giugno | 22.642 | 23.241 | 22.339 |
Luglio | 24.019 | 22.846 | 23.552 |
Agosto | 24.776 | 22.610 | 21.294 |
Settembre | 26.107 | 15.922 | 16.975 |
Ottobre | 11.138 | 8.915 | 27.384 |
Novembre | 9.306 | 3.219 | 13.581 |
Dicembre | 6.313 | 9.636 | 8.428 |
I medesimi dati possono essere riportati con il seguente istogramma:
Fonte: Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno
I luoghi maggiormente interessati dagli sbarchi nel corso del 2016 sono stati (senza tener conto di successivi rintracci a terra): Augusta (con 25.624 persone sbarcate); Pozzallo (18.970); Catania (17.989); Messina (15.188); Palermo (15.083); Trapani (15.040); Reggio Calabria (15.020); Lampedusa (11.557); Cagliari (7.540); Crotone (6.980); Taranto (6.770); Vibo Valentia (5.043); Salerno (4.402); Brindisi (4.037); Corigliano Calabro (3.567); Porto Empedocle (3.511).
Per quanto riguarda la provenienza (dichiarata al momento dello sbarco) dei migranti sbarcati in Italia nel corso dell'anno 2016, i Paesi sono stati: Nigeria, per 37.551 persone (21% del totale); Eritrea, 20.718 (11%); Guinea, 13.342 (7%); Costa d'Avorio, 12.396 (7%); Gambia 11.929 (7 %); Senegal, 10.327 (6 %); Mali, 10.010 (6 %); Sudan, 9.327 (5 %); Bangladesh 8.131 (4 %); Somalia, 7.281 (4 %); vari altri, 40.424 (22 %).
Dei dieci Paesi menzionati, otto sono africani.
Per quanto concerne i minori non accompagnati, essi sono stati, tra i migranti sbarcati nel corso dell'anno 2016, 25.846.
Nel corso del 2015, erano stati 12.360.
Nel corso del 2014, erano stati 13.026.
Presenza di immigrati nelle strutture di accoglienza sul territorio per Regione (dati al 31 dicembre 2016 - Fonte: Ministero dell'Interno)
A | B | C | A+B+C | |||
Territorio | Immigrati presenti nelle strutture temporanee | Immigrati presenti negli hot spot | Immigrati presenti nei centri di prima accoglienza | Posti SPRAR occupati (al 31.12.16) | Totale immigrati presenti sul territorio Regione | Percentuale di distribuzione dei migranti presenti per Regione |
Lombardia | 21.511 | 1.535 | 23.046 | 13% | ||
Lazio | 9.824 | 831 | 4.231 | 14.886 | 8% | |
Veneto | 10.619 | 3.070 | 535 | 14.224 | 8% | |
Piemonte | 13.077 | 1.270 | 14.347 | 8% | ||
Campania | 12.987 | 1.325 | 14.312 | 8% | ||
Sicilia | 4.593 | 584 | 4.525 | 4.374 | 14.076 | 8% |
Toscana | 11.598 | 858 | 12.456 | 7% | ||
Emilia-Romagna | 10.428 | 623 | 1.208 | 12.259 | 7% | |
Puglia | 6.270 | 236 | 3.268 | 2.362 | 12.136 | 7% |
Calabria | 3.660 | 1.217 | 2.537 | 7.414 | 4% | |
Liguria | 5.250 | 506 | 5.756 | 3% | ||
Sardegna | 5.461 | 201 | 5.662 | 3% | ||
Friuli-Venezia Giulia | 3.334 | 1.160 | 355 | 4.849 | 3% | |
Marche | 3.944 | 739 | 4.683 | 3% | ||
Abruzzo | 3.500 | 259 | 3.759 | 2% | ||
Molise | 2.935 | 517 | 3.452 | 2% | ||
Umbria | 2.855 | 408 | 3.263 | 2% | ||
Basilicata | 2.126 | 454 | 2.580 | 1% | ||
Provincia Autonoma di Bolzano | 1.681 | 0 | 1.681 | 1% | ||
Provincia autonoma di Trento | 1.277 | 148 | 1.425 | 1% | ||
Valle d'Aosta | 288 | 0 | 288 | 0,2% | ||
Totale | 137.218 | 820 | 14.694 | 23.822 | 176.554 | 100% |
(aggiornamento 31/12/2016)
Al 30 dicembre 2016 (secondo dati rinvenibili nell'apposito rapporto, del gennaio 2017, sui Centri di identificazione ed espulsione, redatto dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, operante presso il Senato), le presenze nei quattro C.I.E. funzionanti (Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino) erano 288.
Può valere riportare infine un dato in materia di ricollocazione di migranti.
Al 30 dicembre 2016, i ricollocati (su un totale previsto dal piano europeo di 40.000: ma per questo riguardo cfr. il dossier del Servizio Studi La politica migratoria dell'Unione europea) sono stati 2.654 (dei quali 203 bambini).
Alle ricollocazioni effettuate, si aggiungono richieste inviate in attesa di approvazione da parte dello Stato 'destinatario' (in tutto 1.394) nonché richieste approvate in attesa di transfer (in tutto 1.122) ed altre ancora in lavorazione (1.990). Inoltre, 239 risultano dispersi sul territorio (absconded).
Dopo Mare NostrumMare Nostrum L'operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale denominata Mare Nostrum è iniziata il 18 ottobre 2013 per fronteggiare lo stato di emergenza nello Stretto di Sicilia, dovuto all'eccezionale afflusso di migranti (nei primi giorni di ottobre del 2013 in alcuni naufragi al largo di Lampedusa, morirono centinaia di persone). L'operazione, che fin dal suo avvio era destinata a durare per un tempo determinato, si è conclusa alla fine del 2014, in concomitanza con la partenza di una nuova operazione denominata Triton, coordinata in ambito europeo dall'Agenzia Frontex. Nel mare Mediterraneo operavano già due missioni permanenti coordinate e finanziate da Frontex con la partecipazione dell'Italia: Hermes (per il controllo delle coste meridionali italiane, svolta dai mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza) e Aeneas (per il controllo dei flussi migratori provenienti dalla Turchia e dall'Egitto transitanti per la Grecia), con un budget annuale di circa 5 milioni di euro. Mare Nostrum, i cui costi sono stati indicati dal Ministro della Difesa in 9,3 milioni di euro al mese, di cui 7 per il funzionamento e la manutenzione dei mezzi e 2,3 per gli oneri relativi alle indennità del personale, attingeva risorse dai fondi messi a disposizione dall'articolo 1 del decreto legge 10 ottobre 2013, n. 120 (che istituiva presso il Ministero dell'Interno un fondo dotato di 190 milioni di euro proprio al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale), ed era finanziata con risorse aggiuntive UE di 1,8 milioni provenienti dal Fondo UE per le frontiere esterne per le attività di emergenza. Mare Nostrum consisteva, dal punto di vista operativo, nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell'ambito della missione Constant Vigilance svolta dalla Marina Militare fin dal 2004 consistente nel pattugliamento permanente dello Stretto di Sicilia con una nave e con aeromobili da pattugliamento marittimo. L'operazione Mare Nostrum aveva un raggio di azione più ampio e una duplice, specifica missione: garantire la salvaguardia della vita in mare; assicurare alla giustizia i trafficanti di esseri umani che gestiscono i viaggi dei migranti. L'operazione era condotta da mezzi e personale militari, con la partecipazione di personale sanitario militare e volontario. Il bilancio dell'operazione Mare Nostrum è stato riassunto dal Ministro dell'Interno nel corso di un'audizione (19 novembre 2014) presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione: "I migranti soccorsi nell'ambito dei 563 interventi sono stati 101.000, di cui 12.000 minori non accompagnati; sono stati rinvenuti 499 cadaveri, mentre i dispersi, sulla base della testimonianza dei sopravvissuti, potrebbero essere più di 1.800; sono stati arrestati 728 scafisti e sequestrate otto imbarcazioni". Triton Nell'ottobre 2014 la Commissione europea ha annunciato l'avvio di una nuova operazione, inizialmente indicata genericamente come “Frontex Plus”, con lo scopo di sostenere lo sforzo dell'Italia nel fronteggiare la pressione migratoria alla frontiera meridionale, sotto il coordinamento di Frontex, l'agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne. L'operazione - denominata Triton - in discontinuità con gli obiettivi di Mare Nostrum, ha l'obiettivo di sorvegliare le frontiere marittime esterne dell'Unione Europea e di contrastare l'immigrazione irregolare e le attività dei trafficanti di esseri umani. Fino al 31 dicembre 2014 le due operazioni sono proseguite 'in parallelo' e dal 1 gennaio 2015 è subentrata unicamente Triton. L'area operativa di Triton è più limitata rispetto all'area di Mare Nostrum, che arrivava in acque internazionali. Triton opera entro le 30 miglia dalle coste (italiana e maltese). Nel comunicato che annunciava la missione(3) , la Commissione europea chiariva che i dettagli dell'Operazione Triton, inclusa l'area di intervento e le risorse finanziarie da impegnare, sarebbero stati concordati con le autorità italiane in quanto Paese ospitante, sulla base delle necessità rilevate. Per l'operazione Triton l'UE stanziava fondi (provenienti dal Fondo per la sicurezza interna e dal bilancio stesso di Frontex) pari a 2,9 milioni al mese. Come le altre operazioni Frontex, Triton si svolge nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell'UE assunti nell'ambito delle convenzioni umanitarie. Triton è destinato a sostenere gli sforzi dell'Italia a fronte delle emergenze, ma - dichiaratamente - non solleva l'Italia dagli obblighi assunti con l'UE e con la comunità internazionale di sorvegliare le sue frontiere e gestire le situazioni utilizzando risorse, mezzi e strumenti interni. Poseidon Alla missione Triton si è affiancata, nella seconda metà del 2014, la missione “Poseidon mare”, una operazione congiunta coordinata da Frontex che vede la Grecia come Paese ospite. Hanno partecipato a Poseidon mare Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Slovacchia, e Regno Unito. Successivamente, il 28 dicembre 2015, FRONTEX ha lanciato la nuova missione Poseidon Rapid Intervention. Tale missione, che sostituisce la precedente prevede l'invio di personale da parte di tutti gli Stati membri. Scopo della missione Poseidon è quello di prestare assistenza tecnica alla Grecia al fine di potenziarne la sorveglianza alle frontiere, le operazioni di umanitarie in mare e le capacità di registrazione e identificazione. Secondo dati forniti dalla Commissione europea, tramite l'operazione Poseidon, nel periodo gennaio-agosto 2016, è stato prestato soccorso a 37.479 persone. Nello stesso periodo, Poseidon ha impiegato 667 ufficiali di FRONTEX e sono stati utilizzati 19 imbarcazioni, un velivolo e due elicotteri. |
La politica di immigrazione dell'Unione europea, dopo l'avvio dell'operazione Triton, ha trovato un momento di sintesi con l'adozione dell'Agenda europea sulla migrazione da parte della Commissione (13 maggio 2015), la quale prospetta misure per affrontare la situazione di crisi nel Mediterraneo e delinea le iniziative anni per la gestione del fenomeno migratorio.
Sulla base dell'Agenda, il 6 aprile 2016 la Commissione ha pubblicato i suoi orientamenti in materia di migrazione legale, in particolare in una comunicazione dal titolo: «Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all'Europa».
Per tali riguardi, si rinvia al dossier del Servizio Studi: La politica migratoria dell'Unione europea.
2) Dati diffusi dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
Il quadro normativo (e le sue stratificazioni)
La prima regolamentazione - peraltro circoscritta ad alcuni profili lavoristici - del fenomeno immigratorio in età repubblicana risale ai primi anni Ottanta (legge n. 943 del 1986), connessa alla ratifica ed esecuzione di una convenzione internazionale (del 1975) dell'Organizzazione internazionale del lavoro, in materia di lavoratori migranti.
Sul finire di quel medesimo decennio - nel quale si andava allestendo, con l'accordo di Schengen, la libera circolazione europea delle persone - la questione dell'immigrazione irruppe nell'agenda politica italiana (sullo sfondo, la scomposizione del blocco sovietico, con conseguenti flussi migratori e sbarchi clandestini).
Il Parlamento si misurò allora con la conversione del decreto-legge n. 416 del 1989. Fu nel segno dell'urgenza e dell'emergenza: si registrò in Senato, impegnato in seconda lettura nella conversione del decreto-legge, un'applicazione del contingentamento dei tempi in Assemblea (strumento approntato con la riforma del Regolamento del Senato del 1988) per la prima volta corredato dalla 'ghigliottina' degli emendamenti (allo scoccare del sessantesimo giorno).
La legge di conversione infine approvata (n. 39 del 1990: cd. 'legge Martelli') veniva a porre una prima articolata seppur parziale disciplina dell'immigrazione (sino allora retta da scarne disposizioni del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931).
Essa recava disposizioni (oltre che su rifugiati e richiedenti asilo, con abolizione per questi della riserva geografica limitante il riconoscimento ai provenienti dall'Europa) sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri extra-comunitari (secondo il criterio di una programmazione annuale dei flussi di ingresso per ragioni di lavoro) nonché sull'espulsione (decisa dall'autorità giudiziaria o dal ministro dell'interno o dal prefetto, e corredata da alcune tutele giurisdizionali; si veniva a prevedere una espulsione amministrativa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato). Insieme dispose una regolarizzazione dei cittadini extra-comunitari già presenti nel territorio dello Stato.
Seguì il decreto-legge n. 187 del 1993 (cd. 'decreto Conso', convertito dalla legge n. 296 del 1993), intento in una sua parte a recare novelle in materia di espulsione (considerate talune difficoltà applicative nella recente disciplina dell'allontanamento, basata sulla scansione: intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato, inottemperanza da parte dell'immigrato, ordine di espulsione). L'espulsione fu qui intesa anche come strumento alternativo alla detenzione, e "giustificata essenzialmente dall'interesse pubblico di ridurre l'enorme affollamento carcerario" (secondo passaggio della sentenza n. 62 del 1994 della Corte costituzionale, di non fondatezza di correlativa questione di legittimità costituzionale).
Un tentativo di rivisitazione della normativa fu indi condotto ancora con decreto-legge, il n. 489 del 1995 (governo Dini). Nonostante plurime reiterazioni (ultimo della serie, il decreto-legge n. 477 del 1996), non giunse ad essere convertito in legge.
A fine anni Novanta si colloca la disciplina legislativa che, nel suo generale impianto (nonostante alcune successive parziali revisioni e a tratti fin révirements), tuttora regolamenta la materia dell'immigrazione.
La legge n. 40 del 1998 (cd. 'legge Turco-Napolitano') pose infatti una articolata disciplina dell'immigrazione e della condizione dello straniero. Essa è poi rifluita nel Testo unico in materia di immigrazione, dettato dal decreto legislativo n. 286 del 1998 (suo regolamento attuativo, il d.P.R. n. 394 del 1999).
Siffatta disciplina (applicabile ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea e gli apolidi) si è prefissa da un lato la determinazione di politiche migratorie (mediante un documento programmatico triennale, da emanarsi con d.P.R, indi una annuale programmazione dell'ingresso degli stranieri per motivi di lavoro, con un cd. 'decreto flussi' emanato dal Presidente del Consiglio), dall'altro una organica definizione delle condizioni di ingresso e soggiorno dello straniero. Per quest'ultimo riguardo, convivono in quella disciplina un approccio solidaristico e di integrazione, per gli stranieri regolarmente soggiornanti (cui viene riconosciuta la titolarità di una pluralità di diritti sociali; ed essi possono conseguire, a talune condizioni, lo status di soggiornante di lungo periodo, a tempo indeterminato), ed altro di maggior rigore, verso gli stranieri 'irregolari'. Agli uni come agli altri sono comunque riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana.
Fu posto allora il vigente divieto di espulsione o di respingimento immediato alla frontiera in presenza di "necessità di pubblico soccorso" (articolo 10, comma 2, lettera b) del Testo unico). Al contempo fu previsto, in quel caso come in taluni altri, il trattenimento, in forza di decreto del questore, dello straniero suscettibile di respingimento (dunque non immediato bensì) differito, in Centri di permanenza temporanea ed assistenza, per un termine che era in quella originaria previsione di venti giorni (prorogabili per altri trenta). Tale inedita detenzione amministrativa (quale modalità attuativa delle espulsioni coattive, là dove il respingimento immediato non fosse possibile) era nell'originario disegno normativo pur connesso ad una 'residualità' dell'accompagnamento alla frontiera, rispetto alla 'ordinaria' via (destinata peraltro a presto incontrare problemi di effettività di applicazione) della intimazione da parte del decreto prefettizio di espulsione a lasciare (entro quindici giorni dalla notifica) il territorio dello Stato.
La Corte costituzionale ebbe comunque a pronunciarsi su tale trattenimento (previsto dall'articolo 14 del Testo unico), fornendo (ancorché mediante una sentenza interpretativa di rigetto della questione di costituzionalità: la n. 105 del 2001) lo spartito entro cui dover collocare le misure del trattenimento e dell'accompagnamento alla frontiera dello straniero, ravvisate quali incidenti sulla libertà personale, pertanto non adottabili al di fuori delle garanzie a questa rese dall'articolo 13 della Costituzione.
Ancora la disciplina del '98 ha disposto il divieto (assoluto) di espulsione e respingimento dello straniero verso uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione (per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religioni, opinioni politiche, condizioni personali o sociali), secondo il principio di non refoulement sancito da convenzioni internazionali, nonché il divieto (non assoluto) di espulsione di stranieri minorenni o donne in stato di gravidanza (o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio). Così come ha disposto sul ricongiungimento familiare. Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali - anche in deroga alle disposizioni del Testo unico - venivano riconosciute come adottabili con decreto del Presidente del Consiglio (nei limiti delle disponibilità del Fondo nazionale per le politiche migratorie), per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri fatti di particolare gravità.
E si veniva a prevedere (o inasprire) le pene contro chi organizzi o effettui immigrazioni clandestine (senza che costituiscano reato le attività di soccorso e di assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio).
La normativa del '98 fu oggetto di una richiesta di referendum che abrogasse quel Testo unico. La richiesta fu dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale (con sentenza n. 31 del 2000), secondo cui l'eventuale abrogazione avrebbe prodotto un vuoto normativo, tale da non rendere assolvibili obblighi derivanti dai Trattati comunitari.
In avvio di anni Duemila, un mutato indirizzo politico portava all'approvazione della legge n. 189 del 2002 (cd. 'legge Bossi-Fini'). Pur muovendo entro l'alveo del Testo unico, essa vi immetteva un novero di misure più restrittive, sul duplice versante del flusso di ingressi e della immigrazione irregolare.
Per il primo riguardo, quella legge mirava a più marcatamente condizionare l'ingresso e la permanenza degli stranieri al concreto esercizio di un'attività lavorativa (non già alla mera sua aspettativa: talché fu inciso il previgente permesso di soggiorno per un anno a fini di inserimento nel mercato del lavoro, dietro richiesta di uno 'sponsor' che garantisse su alloggio, sostentamento, copertura dei costi dell'assistenza sanitaria). Il 'contratto di soggiorno' si profilava come istituto chiave della nuova disciplina (ed era istituito uno sportello unico per l'immigrazione, presso ogni prefettura).
Per il secondo riguardo, ossia la lotta contro l'immigrazione irregolare, essa incise sul regime delle espulsioni disposte dal prefetto - insieme stabilendo l'immediata esecutività del decreto motivato di espulsione, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato (profilo, questo, poi colpito dalla sentenza n. 222 del 2004 della Corte costituzionale: seguiva, da parte del legislatore con il decreto-legge n. 241 del 2004 convertito dalla legge n. 271, la collocazione presso il giudice di pace della competenza della convalida giurisdizionale).
Quanto alle modalità esecutive dell'espulsione, la regola diveniva l'esecuzione da parte del questore mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (mantenendosi l'intimidazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni soltanto in caso di scadenza della validità del permesso di soggiorno da più di sessanta giorni e contestuale mancata richiesta di rinnovo - salvo che anche per tale caso il prefetto ravvisasse il pericolo di sottrazione dell'interessato all'esecuzione dell'espulsione).
Si ampliava (a sessanta giorni) il termine di trattenimento nei centri di permanenza temporanea, nonché si rivedevano, in senso restrittivo, alcuni termini connessi al soggiorno.
Senza incidere sulla configurazione dell'immigrazione clandestina come illecito amministrativo (fronteggiata in via preminente con lo strumento dell'espulsione amministrativa, oggetto dei nevralgici articoli 13 e 14 del Testo unico), erano introdotte o inasprite alcune disposizioni penalistiche, circa i delitti di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (avverso "atti diretti a procurare" l'ingresso illegale), di falso, di omesso e ingiustificato allontanamento da parte dello straniero inottemperante all'ordine questorile di lasciare lo Stato (veniva in questo caso previsto l'arresto immediato, seguito da nuova espulsione con esecuzione coattiva: previsione colpita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 223 del 2004, perché misura coercitiva limitativa della libertà personale a fronte di mero illecito amministrativo; seguiva la 'replica' del legislatore con il decreto-legge n. 241 del 2004 come convertito dalla legge n. 271, di elevazione a delitto della fattispecie), di reingresso clandestino. E si disponeva circa la contravvenzione di impiego illegale di lavoratore straniero.
Misure contro la tratta di persone furono indi dettate dalla legge n. 228 del 2003.
Può infine ricordarsi come il decreto-legge n. 144 del 2005 (convertito dalla legge n. 155) abbia previsto un permesso di soggiorno a fini investigativi (in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico).
Nella seguente, breve XV legislatura (2006-2008), il tema della immigrazione figurava nuovamente in agenda. Tuttavia l'A.C. n. 2976 (cd. 'disegno di legge Amato-Ferrero'), recante delega legislativa per modificare la vigente disciplina dell'immigrazione e della condizione giuridica dello straniero, non ebbe modo di giungere ad alcuna approvazione.
Nella ancor seguente XVI legislatura, l'immigrazione si confermava tema di ormai preminente interesse politico-parlamentare.
Ne discese l'approvazione del cd. 'pacchetto sicurezza', articolato in più provvedimenti. Infine approvati furono: il decreto-legge n. 92 del 2008; la legge n. 94 del 2009; la legge n. 85 del 2009 di ratifica del Trattato di Prüm (relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto di terrorismo, criminalità transfrontaliera e migrazione illegale; esso prevede, tra l’altro, l’istituzione di una banca dati del DNA volta a facilitare l'identificazione degli autori dei delitti); il decreto legislativo n. 159 del 2008 sullo status di rifugiato; il decreto legislativo n. 160 del 2008 sui ricongiungimenti familiari. E vi fu una dichiarazione di stato di emergenza per Campania, Lombardia e Lazio (poi estesa a Piemonte e Veneto), per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati (ma sul cd. 'piano nomadi' si pronunciò il Consiglio di Stato, ravvisandone l'illegittimità con sentenza n. 6050 del 2011). Può altresì ricordarsi il decreto-legge n. 151 del 2008, per la disposizione stanziamento per la costruzione di nuovi Centri di identificazione ed espulsione.
Dei provvedimenti testé ricordati, il decreto-legge n. 92 del 2008 (convertito dalla legge n. 125) ha previsto (mediante modifica all'articolo 235 del codice penale) che il giudice ordini l'espulsione dello straniero condannato a reclusione superiore a due anni (anziché a dieci anni, com'era innanzi), dunque estendendo l'ambito di applicazione dell'istituto (ancorché il giudice altresì sia tenuto ad accertare il grado di pericolosità sociale del condannato).
Inoltre ha previsto che la trasgressione all’ordine di espulsione o di allontanamento sia punita con la reclusione (da 1 a 4 anni) con l’arresto obbligatorio, anche al di fuori dei casi di flagranza, e si proceda con rito direttissimo; ha aumentato la pena per chi dichiara falsa identità; ha previsto la reclusione (da 1 a 6 anni) per chi alteri parti del proprio o dell’altrui corpo per impedire la propria o altrui identificazione.
Ancora, quel decreto-legge introduceva una nuova circostanza aggravante comune (comportante l’aumento della pena fino ad un terzo), qualora il reato fosse stato commesso da soggetto che si trovasse illegalmente sul territorio nazionale (cd. aggravante di clandestinità, poi colpita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 249 del 2010, ravvisante l’illegittimità costituzionale di trattamento penale fondato su qualità personali dei soggetti derivanti dal compimento di atti estranei al fatto-reato).
Il decreto-legge n. 92 del 2008 ha inoltre previsto una nuova fattispecie connessa al reato di favoreggiamento della permanenza di immigrati clandestini a scopo di lucro (quando il fatto sia commesso da due o più persone, ovvero riguardi la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà); ha introdotto il reato di cessione di immobile ad uno straniero irregolare; ha elevato la pena per il datore di lavoro che impieghi lavoratori clandestini.
Del pari, ha inciso su profilo processuale, includendo i procedimenti relativi ai delitti commessi in violazione delle norme in materia di immigrazione tra quelli per i quali è assicurata priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza. Così come ha abbreviato il termine entro il quale l’autorità giudiziaria deve concedere o negare il nullaosta dello straniero sottoposto a procedimento penale che deve essere espulso (si ricorda che in caso l’autorità giudiziaria non provveda nei termini, il nulla osta si considera concesso).
Ancora, ha conferito ai sindaci il compito di segnalare alle competenti autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza la condizione irregolare dello straniero (o del cittadino comunitario) per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento. Ed ha ridenonimato i Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) come Centri di identificazione ed espulsione (CIE).
Entro il 'pacchetto sicurezza' sopra menzionato, la legge n. 94 del 2009 ha dettato ulteriori disposizioni. Senza ripercorrere l'intero loro spettro (dall'acquisto della cittadinanza per effetto di matrimonio alla repressione dello sfruttamento minorile con l’introduzione del delitto di impiego di minori nell’accattonaggio, dall'occupazione di suolo pubblico all'iscrizione anagrafica, dal money transfer alle condizioni dei rilascio o rinnovo dei permessi di soggiorno, alle 'ronde'), saliente può dirsene la introduzione della fattispecie penale (contravvenzionale) dell'ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (cd. reato di immigrazione clandestina, di cui all'articolo 10-bis allora inserito, del Testo unico). Suo giudice competente il giudice di pace, comminante l'ammenda prevista salvo che il fatto non costituisca più grave reato, sostituita in alcuni casi dall'espulsione - la cui 'centralità' nella complessiva disciplina era confermata dalla previsione che ai fini della sua esecuzione per lo straniero imputato di ingresso o soggiorno illegale, non fosse da richiedersi il nulla osta dell'autorità giudiziaria.
Siffatto reato cd. di immigrazione clandestina è stato pur esso sottoposto al vaglio di costituzionalità. La sentenza n. 250 del 2010 della Corte costituzionale vi ha ravvisato un legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore - in quanto, essa annotava in diritto, "il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria". "Il controllo giuridico dell’immigrazione – che allo Stato, dunque, indubbiamente compete (sentenza n. 5 del 2004), a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali – comporta, d’altro canto, necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui quel controllo si esprime. Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia".
Ancora la legge n. 94 del 2009 veniva a novellare il Testo unico per più riguardi, quali: il diniego dell’ammissione all’ingresso in Italia anche per condanna non definitiva, per gravi reati; l'inserimento del riferimento alle condanne per reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza, tra gli elementi da considerare ai fini della revoca o del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari; la previsione che la richiesta di iscrizione anagrafica dello straniero possa dar luogo alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile; l'introduzione di un contributo sul permesso di soggiorno; la previsione di un test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo; l'istituzione di un accordo di integrazione, da sottoscrivere al momento della richiesta del permesso di soggiorno, articolato in crediti (c.d. permesso di soggiorno 'a punti', su cui è intervenuto in via attuativa il d.P.R. n. 179 del 2011); l'obbligo di esibizione del permesso di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione anche ai fini del rilascio degli atti di stato civile o per l’accesso a pubblici servizi (ad eccezione delle prestazioni scolastiche obbligatorie e sanitarie); obbligo di presentazione di un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano da parte del cittadino straniero che vuole contrarre matrimonio in Italia (disposizione questa dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 245 del 2011).
Per effetto di quella legge, il tempo massimo di permanenza nei Centri di identificazione e di controllo era esteso (da due) a sei mesi.
Un ulteriore 'tornante' normativo è stato il decreto-legge n. 89 del 2011 (convertito dalla legge n. 129).
A cagionarlo è stata giurisprudenza comunitaria, ossia la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 28 aprile 2011, caso El Dridi (C-61/11), ravvisante l'incompatibilità della cd. 'direttiva rimpatri' (2008/115/CE) con la normativa di uno Stato membro che prevedesse (e tale era il caso dell'articolo 14, comma 5-ter del Testo unico dell'immigrazione, introdottovi dalla legge del 2002) l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno fosse irregolare per la sola ragione che questi permanesse nel territorio dello Stato membro violando senza giustificato motivo un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato.
Ebbene il decreto-legge del 2011 (per la parte che qui rileva; altre disposizioni concernono la circolazione dei cittadini comunitari, onde attuare la direttiva 2004/38/CE) veniva a recepire (con ritardo) la 'direttiva rimpatri'.
In particolare: ha escluso il reato di ingresso e soggiorno illegale per lo straniero in uscita dal territorio nazionale identificato durante i controlli di frontiera; ed ha stabilito i casi di applicabilità dell’esecuzione dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera (esistenza del rischio di fuga; domanda di permesso di soggiorno respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; ingiustificata inosservanza del termine per la partenza volontaria, prevista dalla nuova disciplina; espulsione dello straniero disposta come sanzione penale e conseguenza di questa) nonché i casi - residuali - nei quali si proceda non già all’espulsione forzata bensì all’intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato.
Il trattenimento presso i Centri di identificazione ed espulsione qualora non sia possibile procedere all’espulsione, veniva previsto (non solo, come già era, per necessità di soccorso, accertamenti di identità o nazionalità, acquisizione di documenti per il viaggio, verifica della disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo) anche per "situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento". Erano al contempo previste misure meno coercitive, alternative al trattenimento (consegna del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di firma). Il termine massimo di trattenimento in quei Centri era esteso (da sei mesi, previsti dalla legge del 2009) a diciotto mesi.
Ancora, il decreto-legge del 2011 ha sostituito, alla reclusione, sanzioni pecuniarie, in caso di inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale - ferma restando la qualificazione come delitto delle forme di inottemperanza a provvedimenti amministrativi inerenti alla procedura esecutiva dell'espulsione. Ed ha introdotto (in conformità alla giurisprudenza costituzionale) l’esimente del "giustificato motivo" per il mancato allontanamento dal territorio nazionale.
Nel corso del 2011, si ebbe altresì una dichiarazione di emergenza su tutto il territorio nazionale (fino al 31 dicembre 2011, poi prorogata al 31 dicembre 2012).
L'emergenza fu dapprima dichiarata nel febbraio 2011, in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa (d.P.C.M. 12 febbraio 2011; indi d.P.C.M. 8 ottobre 2011).
Alla dichiarazione dello stato di emergenza conseguiva l’adozione di numerose ordinanze di protezione civile, con le quali affrontare un montante flusso immigratorio.
Tra i provvedimenti legislativi successivamente intervenuti, può ricordarsi il decreto-legge n. 93 del 2013 (convertito dalla legge n. 119), il quale (all'articolo 4) sul contrasto alla violenza di genere ha introdotto nel Testo unico l'articolo 18-bis. Questo prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime straniere di atti di violenza in ambito domestico. La finalità del permesso di soggiorno è consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.
O il decreto-legge n. 146 del 2013 (convertito dalla legge n. 10 del 2014), recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria.
Esso introduce anche alcune disposizioni in materia di trattenimento degli immigrati. In particolare, incide sulla disciplina dell'espulsione come misura alternativa alla detenzione, ampliando il campo di possibile applicazione della misura e prevedendo una velocizzazione delle procedure di identificazione (articolo 6).
Inoltre, tra le varie funzioni attribuite al neo-istituito (dall'articolo 7) Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, sono previste verifiche in relazione al trattenimento dello straniero nei Centri di identificazione ed espulsione, alle modalità del trattamento, al loro funzionamento, all'attività di prima assistenza e soccorso.
Il decreto legislativo n. 24 del 2014 ha dato recepimento alla direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.
Il decreto-legge n. 119 del 2014 (convertito dalla legge n. 146) ha previsto la riduzione degli obiettivi del Patto di stabilità interno per i i Comuni interessati da flussi migratori.
Ed ha dettato disposizioni nella specifica materia della protezione internazionale. A tal fine, oltre ad un incremento delle risorse, ha elevato il numero delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale – che passano da dieci a venti - e previsto il loro insediamento presso le prefetture, le quali forniscono il necessario supporto organizzativo e logistico; ed ha elevato a trenta il numero delle sezioni composte da membri supplenti, insieme introducendo misure per incrementarne la celerità nelle decisioni.
In materia di protezione internazionale, la legge n. 154 del 2014 (articolo 7) reca delega al Governo (con termine di suo esercizio 20 luglio 2019) per l'adozione di un Testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell'Unione europea.
La legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) ha incrementato risorse del Fondo per i richiedenti asilo, ed ha previsto che i minori stranieri non accompagnati accedano ai servizi di accoglienza finanziati dal Fondo per l'asilo, anche se non abbiano presentato domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (articolo 1, comma 181-183).
Menzione a sé va riservata alla legge n. 67 del 2014, la quale è venuta a disporre in materia di pene detentive non carcerarie e di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
Rilevante in essa è la previsione - recata all'articolo 2, comma 3, lettera b) - di una delega (il cui termine di esercizio è di diciotto mesi) al Governo per la riforma del sistema sanzionatorio dei reati.
Tra i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega, figura l'abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, con sua trasformazione in illecito amministrativo (com'era prima della legge n. 94 del 2009, la quale, si è ricordato, introdusse l'articolo 10-bis nel Testo unico, recante una nuova fattispecie di reato di ingresso e soggiorno illegale, punito come contravvenzione con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, attribuito alla competenza del giudice di pace).
Il principio di delega prevede che conservino rilievo penale le condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia, vale a dire dei provvedimenti di espulsione già adottati. Pertanto dovrà restare penalmente rilevante il reingresso in violazione di un provvedimento di espulsione.
Per i reati trasformati in illeciti amministrativi (dunque anche per l'ingresso e soggiorno illegale) il Governo dovrà prevedere sanzioni adeguate e proporzionate alla gravità della violazione, all'eventuale reiterazione dell'illecito, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche, e comunque sanzioni pecuniarie comprese tra 5.000 e 50.000 euro nonché eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione; dovrà consentire la rateizzazione ma anche il pagamento in misura ridotta.
Vale ricordare che fino a quando non sia emanato ed entri in vigore decreto legislativo recante siffatta disciplina, permane la normativa vigente - e dunque, la configurazione dell'ingresso e soggiorno illegale quale reato. La depenalizzazione è infatti mero principio di delega, nel dettato della legge n. 67; e circa l'ingresso e soggiorno illegale, tacciono i decreti legislativi (n. 7 e n. 8, del 2016) attuativi in materia della depenalizzazione prevista dalla legge ricordata. Né la giurisprudenza comunitaria (con riferimento alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 6 dicembre 2012, caso Sagor, C-430/11) ha colpito il reato di immigrazione illegale, di contro ribadendo l'orientamento secondo il quale la cd. 'direttiva rimpatri' non vieta ad uno Stato membro di qualificare il soggiorno irregolare quale reato e punirlo con sanzioni penali.
La sentenza della Corte di giustizia da ultimo richiamata, se non ha obiettato contro il reato di immigrazione illegale, ha contestato alcune modalità di sua sanzione, ravvisando l'incompatibilità con la direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) di alcune disposizioni del decreto-legge n. 89 del 2011 di suo recepimento.
La prima misura contestata risiede nella previsione, contenuta nella disciplina sulla competenza penale del giudice di pace, che la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converta, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo oppure si sottrae ad esso, si applica l'obbligo di permanenza domiciliare al massimo di 45 giorni (articolo 55 del decreto legislativo n. 274 del 2000).
Secondo la Corte di giustizia, la previsione dell'obbligo della permanenza domiciliare applicata allo straniero irregolare contraddice il principio della direttiva secondo il quale l'allontanamento deve essere adempiuto con la massima celerità.
E' vero che il giudice può sostituire la pena dell'ammenda con l'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (articolo 16, comma 1, del Testo unico). Ma in questo caso l'espulsione è immediata (ivi, comma 2). E qui interviene la seconda censura della Corte di giustizia, secondo cui sì la facoltà di sostituire l'ammenda con l'espulsione non è di per sé vietata dalla 'direttiva rimpatri', tuttavia l'espulsione immediata (ossia senza la concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria) può essere disposta esclusivamente in presenza di stringenti condizioni (quali il pericolo di fuga ecc.). E "qualsiasi valutazione al riguardo deve fondarsi su un esame individuale della fattispecie in cui è coinvolto l'interessato": quindi non può applicarsi automaticamente allo straniero per il solo fatto di essere in posizione irregolare e condannato per il reato di immigrazione clandestina.
Per ottemperare a siffatta pronuncia del giudice comunitario, è intervenuto l'articolo 3 della legge n. 161 del 2014.
Di questo, va altresì ricordata la disposizione che riduce a 90 giorni il periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri di identificazione ed espulsione (CIE).
A tal fine, modifica l'articolo 14, comma 5 del Testo unico.
Quella disposizione, nel testo previgente, prevedeva che la convalida da parte del giudice della decisione di trattenimento comportasse una permanenza nel CIE di 30 giorni. Nel caso in cui tale periodo non fosse stato sufficiente all'identificazione dell'interessato o all'acquisizione dei documenti necessari per il rimpatrio, il giudice poteva disporre una proroga del trattenimento per altri 30 giorni, ulteriormente prorogabili dietro richiesta del questore, una prima volta di 60 giorni e poi di altri 60 giorni, fino ad un massimo di 180 giorni.
Solo in alcuni casi specifici (ossia quando non fosse stato possibile procedere all'allontanamento a causa della mancata cooperazione del Paese terzo interessato al rimpatrio del cittadino o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi) il questore poteva chiedere ulteriormente al giudice di pace la proroga del trattenimento, di volta in volta, per periodi non superiori a 60 giorni, fino ad un termine massimo di ulteriori 12 mesi.
Tale scansione temporale, calibrata dal decreto-legge n. 89 del 2011 - di per sé compatibile con la normativa comunitaria (direttiva 2008/115/CE, cd. 'direttiva rimpatri', articolo 15, par. 5 e 6) - è stata modificata dalla legge n. 161 del 2014, sia sopprimendo la possibilità della ulteriore proroga di 12 mesi, oltre ai 180 giorni, sia riducendo il termine massimo di 180 giorni alla metà (90 giorni).
Qualora lo straniero sia stato già trattenuto in carcere per un periodo pari a 90 giorni (ossia per un tempo corrispondente a quello divenuto massimo di trattenimento nei CIE), può essere trattenuto in un Centro per un periodo massimo di 30 giorni.
Vale ricordare, per questo riguardo, come vi siano diverse tipologie di centri destinati all'accoglienza e al trattenimento di immigrati, riconducibili sostanzialmente a tre tipi di strutture: Centri di identificazione ed espulsione (CIE); Centri di accoglienza (CDA) e Centri di accoglienza per Richiedenti asilo (CARA); Centri di primo soccorso ed assistenza (CSPA).
I Centri di identificazione ed espulsione (CIE) (un tempo Centri di permanenza temporanea ed assistenza, CPTA), sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione disciplinati dall'articolo 14 del Testo unico.
I Centri di accoglienza (CDA) sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L'accoglienza nel Centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l'identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l'allontanamento.
I Centri di primo soccorso ed assistenza (CSPA) sono strutture localizzate in vicinanza dei luoghi di sbarco destinate all'accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore).
I Centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA) sono strutture che ospitano per un periodo limitato lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
Vi sono poi gli hotspot.
L'approccio basato sui "punti di crisi" (hotspot) è stato introdotto dall'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015.
Esso persegue una conduzione con maggior rapidità delle operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo (secondo un metodo che prevede il coinvolgimento dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), di Frontex, Europol ed Eurojust, chiamate a lavorare 'sul terreno' con gli Stati membri, svolgendo attività complementari). L'accordo sulla creazione dei punti di crisi è stato raggiunto in occasione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015.
Secondo la Roadmap italiana del settembre 2015, redatta dal Ministero dell'interno in attuazione dell'Agenda, dopo l'identificazione negli hotspot, "le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione".
Successivamente (giugno 2016) il Ministero dell'interno ha emanato procedure operative standard (SOP) di attuazione dell'approccio hotspot.
In Italia a dicembre 2016 risultano attivi gli hotspot di Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo.
Il sistema di accoglienza è stato in parte ridisegnato dal decreto legislativo n. 142 del 2015, inteso al recepimento di due direttive dell'Unione europea in materia di protezione internazionale (la n. 32 e la n. 33, del 2013: rispettivamente direttiva 'procedure' e direttiva 'accoglienza', nel lessico dell'Unione).
In ampia misura - riguardo alle strutture - tale disciplina muove sulla falsariga del "Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di stranieri extracomunitari" (definito con intesa tra Stato, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014), inserendo la previsione di 'hub' temporanei appositamente destinati ad accoglienza straordinaria (in caso di saturazione delle strutture ordinarie, a seguito di flussi ravvicinati e numerosi).
Inoltre il decreto legislativo n. 142 reca disposizioni su profili quali: l'accoglienza delle persone vulnerabili, primi fra tutti i minori, specie se non accompagnati; le procedure di esame delle domande di protezione internazionale; la durata dell'accoglienza nella pendenza di ricorso giurisdizionale; il trattenimento del richiedente.
Riguardo al trattenimento, i casi di sua applicabilità sono determinati dall'articolo 6: di questo, i commi 2 e 3 delineano una applicazione del trattenimento che si direbbe, nell'insieme, più estesa rispetto a quanto innanzi previsto dall'articolo 21 del decreto legislativo n. 25 del 2008. Altre disposizioni dell'articolo 6 disciplinano, del trattenimento, la procedura di convalida e i termini.
Il decreto legislativo n. 142 del 2015 dispone altresì, tra le sue molteplici previsioni, in materia di allontanamento ingiustificato da parte dello straniero dalla struttura di accoglienza (posto che i migranti ospitati in strutture di prima accoglienza o in strutture temporanee allestite in situazioni di emergenza non possono allontanarsene, pena la decadenza dalle condizioni di accoglienza disciplinate dalla normativa) (articolo 13).
Ancora, il medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015 reca disposizioni in materia di accoglienza e di suo sistema sul territorio, designato con l'acronimo SPRAR (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati), il quale si basa sulla rete di enti locali che vi aderiscono (fu istituzionalizzato dalla legge n. 189 del 2002).
Si tratta della 'seconda accoglienza' (laddove la 'prima accoglienza' è assicurata nelle strutture in cui dovrebbero confluire i cittadini di Paesi terzi già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento, per consentire loro la formalizzazione della domanda di protezione internazionale; i centri di 'prima accoglienza' possono essere gestiti da enti locali, anche associati, unioni o consorzi di Comuni, enti pubblici o enti privati che operano nel settore dell’assistenza dei richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell’assistenza sociale).
La 'seconda accoglienza' fa capo soprattutto allo SPRAR, che ha il suo referente nel Ministero dell’interno che dirama periodicamente il bando, ancorché vi giochino un ruolo peculiare le autorità locali (la rete SPRAR si basa su domande di contributo da parte degli enti locali per la realizzazione dei progetti), i quali vi partecipano presentando progetti di accoglienza (secondo criteri stabiliti da un decreto del medesimo ministero).
La capacità di accoglienza SPRAR è stata progressivamente incrementata nel tempo, passando dai 3.000 posti nel 2012, ai 9.400 nel 2013, ai 19.600 nel 2014, fino ai 22.000 nel 2015. Al novembre 2016 risultano finanziati 652 progetti (508 ordinari, 99 per minori non accompagnati, 45 per persone con disagio mentale o disabilità), affidati a 555 enti locali titolari di progetto (491 comuni, 27 Province, 13 Unioni di Comuni, 4 Comunità Montane e 20 altri enti tra ambiti territoriali e sociali, consorzi intercomunali, società della salute), con il coinvolgimento complessivamento di più di 1.000 Comuni. Risultano così finanziati 26.012 posti (23.399 ordinari, 2.039 per minori non accompagnati, 574 per persone con disagio mentale o disabilità).
La ripartizione per Regione è risultata: Sicilia, 4.803 posti; Lazio, 4.442; Calabria, 2.997; Puglia, 2.625; Lombardia, 1.553; Campania, 1.549; Piemonte, 1.344; Emilia-Romagna, 1.230; Toscana, 912; Marche, 817; Veneto, 654; Molise, 558; Liguria, 526; Basilicata, 520; Umbria, 444; Friuli Venezia-Giulia, 405; Abruzzo, 286; Sardegna, 208; trentino Alto-Adige, 149.
Il decreto ministeriale 20 dicembre 2016 ha assegnato le risorse agli enti locali richiedenti la prosecuzione dell’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati nell’ambito dei progetti SPRAR per il prossimo triennio 2017 2019 (dopo che il decreto ministeriale del 10 agosto 2016 aveva introdotto nuove disposizioni circa le modalità di accesso da parte degli enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo e approvato le linee guida per il funzionamento dello SPRAR).
La legge n. 45 del 2016 ha istituito una Giornata nazionale della memoria delle vittime dell'immigrazione.
È il 3 ottobre, giorno in cui (nel 2013) si ebbe un tragico naufragio di migranti a pochi chilometri dalle coste dell'isola di Lampedusa, con 366 vittime.
Tra le disposizioni poi giunte, può ricordarsi l'articolo 12 del decreto-legge n. 193 del 2016, oltre che per l'incremento per il 2016 delle risorse per i centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri nonché per i Comuni che accolgano i richiedenti protezione internazionale, anche per la previsione (comma 2-bis) volta ad accordare priorità ai Comuni che accolgano richiedenti protezione internazionale, in sede di distribuzione degli spazi finanziari ceduti dalle Regioni di appartenenza (attraverso una modifica in tal senso dell'articolo 1, comma 729, della legge n. 208 del 2015).
L'articolo 1, comma 630 della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) ha introdotto la facoltà di destinare una parte delle risorse (nel limite massimo di 280 milioni di euro) relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, alle attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati.
Tali risorse si intendono aggiuntive rispetto a quelle già stanziate nella sezione II del bilancio. Quest'ultima opera - rispetto agli stanziamenti di competenza a legislazione vigente nel 2017 - un rifinanziamento di 320 milioni di euro per il 2017 per le attività di trattenimento ed accoglienza degli immigrati.
Le previsioni della spesa a legislazione vigente per la missione n. 27 "Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti" ammontano a circa 2.864 milioni. Essa registra un incremento, rispetto alle previsioni 2016, di circa il 22 per cento.