Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 528
Dossier

Servizio studi

A.S. n. 2888

Note sull'A.S. n. 2888 "Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali"

Riferimenti:

  • A.S. 2888

Classificazione Teseo: CONSIGLIERI REGIONALI, PARLAMENTARI, VITALIZI

Premessa

Giunge all'esame del Senato il disegno di legge A.S. n. 2888, approvato dalla Camere dai deputati il 26 luglio 2017, recante Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e consiglieri regionali.

Per quanto riguarda i trattamenti dei parlamentari, tale proposta:

  • 'legifica' la disciplina del trattamento (finora recata da deliberazioni degli Uffici di presidenza delle due Camere);
  • pone disposizioni più stringenti, rispetto alla riforma dei vitalizi approntata da ciascuna Camera nel 2012, in ordine ai requisiti, dal momento che: preclude la possibilità di scontare gli anni di mandato ulteriori rispetto ai cinque anni, in termini di anticipazione del trattamento (dal sessantacinquesimo anno di età a scalare fino al sessantesimo anno di età); fa rinvio ad una normativa generale, nella quale l'età per la percezione del trattamento previdenziale è ormai superiore a sessantacinque anni;
  • pone disposizioni più stringenti, ancora rispetto alla riforma del 2012, in ordine alla modulazione temporale della determinazione del trattamento con il calcolo contributivo, prevedendone l'applicazione integrale anche per i periodi contributivi inerenti al mandato o frazioni di mandato precedenti il 1° gennaio 2012, così travolgendo il meccanismo pro rata allora allestito, nonché per i trattamenti in essere.

Per un inquadramento giuridico di alcune preliminari questioni

L'indennità parlamentare e la sua proiezione (correntemente definita vitalizio o quel che ad esso subentri) oltre la cessazione del mandato, pare materia connotata dalla compresenza di una duplice riserva, di legge e di regolamentazione parlamentare.

La riserva di legge è, per l'indennità parlamentare, posta dall'articolo 69 della Costituzione.

La riserva di regolamentazione parlamentare di contro discende dalla collocazione (secondo la Costituzione) dell'indennità parlamentare entro quell'ordito di prerogative parlamentari che, l'un l'altra rinviantesi, tutelano l'indipendenza dell'organo parlamentare quale espressione, tanto più in una forma di governo parlamentare, della sovranità popolare.

Le due riserve si 'intarsiano' dunque tra loro.

Invero la corrente dottrina costituzionalistica propende per l'esistenza, nella materia cui sia riconducibile l'emolumento correntemente definito vitalizio o quel che ad esso subentri, di una sola delle due riserve, o di legge (ritenendola sancita dall'articolo 69 della Costituzione, che alla materia dell'indennità parlamentare ricondurrebbe qualsivoglia emolumento legato alla funzione) o di regolamentazione parlamentare (ritenendola sancita dal medesimo articolo 69 della Costituzione, in quanto esso tratta della sola indennità parlamentare, e non di altro: secondo questa seconda interpretazione, la fonte legislativa nemmeno sarebbe abilitata ad intervenire in materia di vitalizi: così ad esempio Pace, Gallo, Ainis, in alcuni pareri pro veritate resi nel 2015).

Per sciogliere questa irriducibile dicotomia di opinioni, parrebbe non esservi altra soluzione che una raffigurazione ad 'intarsio', si è accennato, tra le due riserve, quella di legge e quella di regolamentazione parlamentare.

Ancorché la presenza di una riserva di legge di per sé obblighi le Camere, esse sono (anche alla luce del dispositivo della legge n. 1102 del 1948 prima, indi della legge n. 1261 del 1965 che l'abrogò, oggi vigente) in definitiva 'arbitre' dell'estensione dell'una come dell'altra riserva.

Così il cosiddetto vitalizio parlamentare è stato fino ad oggi disciplinato esclusivamente con delibere degli Uffici di Presidenza delle due Camere (i medesimi organi interni cui la legge ordinaria ha affidato la determinazione delle voci componenti l'indennità parlamentare).

Le due Camere concordemente decidono di auto-vincolarsi in una forma più 'rinforzata' ricorrendo maggiormente alla legge (che per essere modificata richiede l'esercizio paritario e congiunto da parte di entrambe le Camere della funzione normativa primaria) o in forma più 'flessibile', ricorrendo ad atto di regolamentazione interna, modificabile dall'organo che lo ha deliberato.

Non è peraltro che si abbia una incomunicante separazione tra giustiziabilità costituzionale della legge da un lato, e non giustiziabilità costituzionale della regolamentazione interna dall'altro, in quanto quest'ultima ricadente nel regime dell'autodichia.

Come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 120 del 2014, "l'indipendenza delle Camere non può infatti compromettere diritti fondamentali né pregiudicare l'attuazione di principi inderogabili". E richiamando precedente sentenza (la n. 379 del 1996): "il confine tra i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un alto, e legalità-giurisdizione, dall'altro) è posto sotto la tutela di questa Corte, che può esser[ne] investita, in sede di conflitto di attribuzione".

Permane profilo assai controverso nella dottrina costituzionalistica la natura giuridica di quel che è correntemente detto vitalizio parlamentare, altrimenti definibile come indennità di fine mandato. Sul punto la dottrina presenta molteplici orientamenti, lungi dal fornire univoca soluzione.

Tuttavia un inquadramento logico-giuridico potrebbe tracciarsi, sulla scorta di una considerazione: l'indennità di mandato parrebbe non assimilabile ad una remunerazione lavorativa, giacché non vi sono un rapporto di lavoro, un contratto di lavoro, un datore di lavoro. Il trattamento oltre la fine del mandato parrebbe conseguentemente recare insiti elementi non appieno assimilabili a quelli propri di un trattamento pensionistico obbligatorio.

La funzione sostanzialmente retributiva dell'indennità (in corso di mandato) è profilo soggettivo, la cui rilevanza è per l'ordinamento secondaria rispetto alla dimensione pubblicistica dell'istituto, posto al crocevia di più precetti costituzionali: l'eguaglianza sostanziale ai fini dell'accesso alle cariche elettive (art. 3 Cost.); la libertà di voto per l'elettore, il quale possa scegliere tra un'offerta politica non limitata di fatto ad un ceto politico di soli abbienti (art. 48 Cost.); la libertà di mandato, franco da condizionamenti di ordine economico (art. 67 Cost.).

Il medesimo discorso vale per il trattamento una volta cessato il mandato, il quale costituisce di quell'altra indennità una sorta di proiezione. Come l'assenza di emolumento disincentiverebbe l'accesso al mandato parlamentare o il suo pieno libero svolgimento, rispetto all'esercizio di altra attività che sia lavorativa remunerativa; così l'assenza di un riconoscimento economico futuro del mandato parlamentare svolto varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale per un'attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale.

La Corte costituzionale ha riconosciuto - nella sentenza n. 289 del 1994 - "la diversità di natura e di regime che distingue gli assegni vitalizi dalle pensioni ordinarie".

Quella sentenza ebbe ad oggetto proprio i vitalizi parlamentari. Ancorché precedente rispetto a modifiche (assai rilevanti) nella disciplina di questi intervenute in tempo successivo, quella sentenza non parrebbe 'datata' nel suo filo argomentativo.

Rilevava la Corte costituzionale: "La diversità tra assegno vitalizio e pensione - pur variando in relazione alla diversa tipologia dei vitalizi previsti dalla legislazione in vigore - assume, d'altro canto, un'evidenza particolare in relazione ai vitalizi spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, dal momento che questo particolare tipo di previdenza ha trovato la sua origine in una forma di mutualità (Casse di previdenza per i deputati ed i senatori istituite nel 1956) che si è gradualmente trasformata in una forma di previdenza obbligatoria di carattere pubblicistico, conservando peraltro un regime speciale che trova il suo assetto non nella legge, ma in regolamenti interni delle Camere".

Può aggiungersi in sede di commento che la specialità del regime dei vitalizi (o di quel che loro subentri, alla stregua di indennità oltre la fine del mandato) non risieda peraltro solo nella fonte che li disciplini, piuttosto (mutuando ancor da un passaggio della sentenza n. 289 del 1994) nel fatto che "l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico".

E tale indennità "nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego".

La puntuale disciplina dell'erogazione può oscillare tra i due poli di una configurazione mutualistica oppur previdenziale. Ma rimane, di là della concreta disciplina degli emolumenti conseguenti alla cessazione di determinate cariche, che tra questi e le pensioni ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico "non sussiste una identità né di natura né di regime giuridico", ebbe a dire la Corte costituzionale in quella sentenza.

Ove da quanto esposto si ricavasse che una legge possa disciplinare il trattamento di fine mandato - benché con ciò si innovi una pluridecennale prassi regolatoria con atti interni delle Camere - ed abbia discrezionale margine di scelta nella determinazione della puntuale disciplina - la quale permane improntata comunque a peculiare specialità della materia, per sua natura non contigua e non interferente rispetto ad altre più generali - rimarrebbe ad ogni modo che la libertà di determinazione da parte della legge non potrebbe dirsi illimitata.

Infatti l'istituto dell'indennità, nel suo nesso con l'esercizio attuale o passato del mandato parlamentare, rinvia ad una dimensione pubblicistica in cui entrano in gioco principi (libertà di accesso al mandato parlamentare, libertà di suo esercizio, libertà di designazione ad esso da parte dell'elettore) che hanno spessore costituzionale.

Inoltre, dovrebbe aggiungersi, altro è la determinazione di una disciplina valevole solo per il futuro, altro la determinazione di una disciplina valevole anche per il passato, incidente sui trattamenti in corso.

Ancorché né retribuzione né pensione, l'indennità così di mandato come di fine mandato costituiscono un introito per il percettore, il quale ben può farvi affidamento nella definizione di un progetto di vita.

Rileva qui quanto delineato nella giurisprudenza costituzionale riguardo ai trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo.

La Corte costituzionale ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla 'cristallizzazione' normativa ed ha riconosciuto al legislatore la facoltà di intervenire con scelte discrezionali, anche emanando disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina di rapporti di durata, ed anche se l'oggetto di tali rapporti sia costituito da diritti soggettivi perfetti.

D'altro canto, la Corte ha scandito che l'intervento del legislatore non possa trasmodare in un regolamento irrazionale, "frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica" (così ad esempio la sentenza n. 310 del 2013).

Pertanto, può commentarsi, una legge che si accinga a prevedere una disciplina con effetto retroattivo, è tenuta a fornire criteri sufficientemente definiti e stringenti affinché dall'applicazione per il passato non discendano effetti di portata tale da ledere il bene (tale non solo per l'individuo coinvolto) della sicurezza giuridica, "da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto" (secondo definizione della citata sentenza n. 310 del 2013).

La Corte costituzionale inoltre ha avuto modo di intervenire in più occasioni (si veda ad esempio le sentenze n. 116 del 2013 e n. 173 del 2016) in tema di contributi di solidarietà. Essi sono prelievi su pensioni: per essi, come per altre misure quale ad esempio il 'blocco' della progressione economica, la Corte ha ravvisato "nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza" (così la citata sentenza n. 310 del 2013).

I limiti alla discrezionalità del legislatore individuati per essi dalla Corte parrebbero potersi riferire anche alla materia che qui ne occupa, in ordine al calibramento degli effetti retroattivi di una nuova disciplina. Sono limiti, ancora una volta, conseguenti ai principi di ragionevolezza e di affidamento.

Excursus storico, dai primi del Novecento ad oggi

L'indennità parlamentare fu introdotta nell'ordinamento italiano nel 1912, a corredo della riforma voluta da Giolitti di estensione del suffragio a quasi-universale maschile.

Si deliberò con quella legge elettorale che i deputati ricevessero (dalla ventura legislatura) 2.000 lire quale compenso per spese di corrispondenza e 4.000 lire come indennità di mandato. Non avrebbe avuto titolo a quest'ultima indennità il deputato percettore di stipendio, retribuzione, assegno o pensione a carico di una pubblica amministrazione (se tali emolumenti fossero stati inferiori a 4.000 lire, l'indennità sarebbe stata pari alla differenza).

Invero lo Statuto albertino statuiva la gratuità del mandato parlamentare (articolo 50: “Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità”). Ma in assenza di un procedimento rafforzato per la sua modificazione, si riteneva che lo Statuto potesse esser modificato dalla legge ordinaria, deliberata dal Parlamento interprete della volontà della Nazione.

L'indennità fu allora introdotta per la sola Camera dei deputati. Per il Senato del Regno (che era di nomina regia e vitalizio) sarà dapprima autorizzata (con la legge 5 aprile 1920, n. 395) l'assegnazione di un gettone di presenza. Indi la legge 24 maggio 1925, n. 790 stabilì che a ciascun senatore e deputato fosse corrisposta una somma annua di 15.000 lire "a titolo di rimborso di spese inerenti al loro ufficio" (e che di tale somma non fosse ammessa né rinuncia né cessione né sequestro).

In Assemblea Costituente fu discusso nella II Sottocommissione (nella seduta del 20 settembre 1946) se l'indennità parlamentare dovesse essere prevista in Costituzione (di contrario avviso Lussu) ed essere oggetto di riserva di legge (per una riserva di regolamento parlamentare invece si pronunciava il relatore Conti).

A destare il maggior dibattito fu la proposta (infine respinta) di Calamandrei, di differenziare l'importo dell'indennità a seconda della condizione economica del parlamentare. Per suo conto il relatore Mortati riteneva che dovesse figurare una connessione tra l'indennità e il dovere del parlamentare di dedicare la maggiore e migliore parte della sua attività all'esercizio del mandato.

La formulazione infine approvata in II Sottocommissione fu: "I deputati [ancora doveva esser definita la composizione del Senato e la modalità di sua elezione] ricevono una indennità nella misura fissata dalla legge per garantire loro in ogni caso l'indipendenza economica e il doveroso adempimento del mandato".

All'esame dell'Assemblea plenaria giungerà diversa formulazione: "I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge".

Anche in Assemblea plenaria il maggior dibattito fu innescato dalla proposta di attribuire una indennità più elevata ai parlamentari sprovvisti di altri redditi, formulata (insieme con alcune previsioni in materia di incompatibilità) da Calamandrei (il quale esordiva: "Onorevoli colleghi, io non so se voi abbiate una impressione, che io ho vivissima: cioè che l'opinione pubblica non ha, in questo momento, molta simpatia e molta fiducia per i deputati. Vi è intorno a noi un'atmosfera, che tutti quanti avvertiamo, di sospetto e di discredito. Fondamentalmente al centro di questa atmosfera c'è la convinzione diffusa che molte volte l'esercizio del mandato parlamentare, il quale è conferito per il raggiungimento di scopi di pubblico interesse, possa servire a mascherare il soddisfacimento di interessi personali; e diventi un affare, una professione, un mestiere"). Contro quell'emendamento insorse Lucifero, così come dissentì Ruini (secondo il quale l'indennità non doveva essere considerata come uno stipendio bensì "a rimborso di spese; ne deriva logicamente che dovrebbe essere conferita indipendentemente dalla situazione finanziaria di coloro cui è attribuita").

Dopo i diversi interventi succedutisi, Calamandrei ritirò l'emendamento (per la parte relativa all'indennità). La formulazione sottoposta all'Assemblea plenaria fu approvata, divenendo (salvo lieve perfezionamento linguistico in sede di drafting) l'articolo 69 della Costituzione.

La legge attuativa fu la n. 1102 del 1948 (con previsione di una indennità mensile di 65.000 lire, nonché di un rimborso spese per i giorni di seduta cui i parlamentari partecipassero - diaria questa da determinarsi dagli Uffici di presidenza delle rispettive Camere).

Successivamente, innanzi ad una soverchia dilatazione del rimborso spese trasformatosi di fatto in emolumento principale, fu approvata la legge n. 1261 del 1965 - tuttora vigente - che ha mantenuto la 'bipartizione' in indennità per il libero svolgimento del mandato (in quote mensili) e in diaria per rimborso spese, ambedue da determinarsi da parte degli Uffici di presidenza delle Camere, tuttavia in limiti allora per la prima volta stabiliti, commisurati al trattamento complessivo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di sezione della Corte di cassazione (diminuito del 10 per cento, per effetto dell'articolo 1, comma 52 della legge n. 266 del 2005) e, per la diaria, alla loro indennità di missione giornaliera.

Per quanto concerne il vitalizio parlamentare, è alla metà degli anni Cinquanta che risale l'istituzione (con disposizioni degli Uffici di Presidenza di ciascuna Camera) di una Cassa di previdenza per il Senato (nel 1954) ed una Cassa di previdenza per i deputati (nel 1956).

Esse furono unificate in una Cassa di previdenza per i parlamentari nel 1960.

L'istituto ebbe dunque in origine un'impronta mutualistica.

Nel 1968 la Cassa unica fu soppressa. Con deliberazioni ancora degli Uffici di Presidenza delle Camere furono adottati il regolamento della previdenza per i deputati (il 30 ottobre 1968) ed il regolamento per la previdenza ed assistenza ai senatori e loro familiari (il 23 ottobre 1968). Si delineava così una forma previdenziale obbligatoria di carattere pubblicistico, mediante corresponsione di assegni vitalizi per i parlamentari cessati dal mandato.

Senza ripercorrere la successione di disposizioni interne (con alcuni snodi nel 1994, 1997, 2010), vale rammentare il turning point della disciplina, segnato dalla riforma del 2012.

Si tratta del regolamento interno del Senato approvato con la deliberazione del Consiglio di Presidenza del 31 gennaio 2012 (recante "Regolamento delle pensioni dei Senatori"), così come del regolamento interno della Camera approvato con la deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del 30 gennaio 2012 ("Regolamento per il trattamento previdenziale dei deputati").

Tali atti hanno operato una marcata rivisitazione della materia, con il superamento dell'istituto dell'assegno vitalizio e l'introduzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, di un trattamento basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente analogo a quello pensionistico vigente per i pubblici dipendenti.

Il nuovo sistema di calcolo contributivo si applica integralmente ai parlamentari eletti dopo il 1° gennaio 2012. Per i parlamentari invece allora in carica, nonché per i parlamentari già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si applica un sistema pro rata, determinato dalla somma della quota di assegno vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, e di una quota corrispondente all'incremento contributivo riferito agli ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato.

I parlamentari cessati dal mandato comunque conseguono il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni di età e a seguito dell'esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni effettivi. Per ogni anno di mandato ulteriore, l'età richiesta per il conseguimento del diritto è diminuita di un anno, con il limite all'età di 60 anni.

A tal fine, i parlamentari sono assoggettati d'ufficio al versamento di un contributo pari all'8,80 per cento dell'indennità parlamentare lorda.

La riforma del 2012 ha così posto una puntuale disciplina del trattamento oltre la fine del mandato, tale da segnarne una 'convergenza' ed equiparazione massime rispetto ad un trattamento pensionistico ordinario.

Sulla materia può infine ricordarsi come, il 7 maggio 2015, il Consiglio di Presidenza del Senato e l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati abbiano ciascuno approvato una delibera avente ad oggetto la disciplina della corresponsione di fine mandato a parlamentari condannati in via definitiva per reati di particolare gravità (dopo che il decreto legislativo n. 235 del 2012 ebbe a connettere ad alcune fattispecie la perdita del requisito di elettorato passivo, nella forma di incandidabilità sopravvenuta).

In quegli atti delle Camere è stato previsto il venir meno della corresponsione, per i parlamentari condannati in via definitiva per reati di mafia, terrorismo e contro la pubblica amministrazione (escluso l'abuso d'ufficio), con pene superiori ai due anni. Per gli altri reati, occorre vi sia stata una condanna definitiva con pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni.

La cessazione del trattamento a sua volta non si applica qualora per il parlamentare condannato in via definitiva intervenga la riabilitazione, la quale consente (decorsi almeno tre anni di esecuzione della pena) di ottenere l’estinzione degli effetti penali della condanna e delle pene accessorie.

Da ultimo, il 22 marzo 2017 l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati ha deliberato che, per un triennio (a decorrere dal 1° maggio 2017), sugli assegni vitalizi e sui trattamenti previdenziali diretti e di reversibilità corrisposti ai deputati cessati dal mandato e loro aventi diritto, si applichi un contributo straordinario, nella parte eccedente l'importo di 70.000 euro lordi annui. È contributo in quattro scaglioni (del 10 per cento per i primi 10.000 euro eccedenti quella soglia, del 20 per cento per i secondi 10.000 euro eccedenti, indi del 30 e del 40 per cento).

Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati (A.S. n. 2888): articoli 1 e 2

Il 26 luglio 2017 la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura un disegno di legge recante "Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali".

Tale proposta, come si evince dal titolo, 'legifica' la disciplina del trattamento di fine mandato parlamentare (finora recato da deliberazioni degli Uffici di presidenza delle due Camere), tenendo ferma l'abolizione dei vitalizi (già decretata da atti interni delle due Camere nel 2012) e prevedendo in loro luogo un trattamento previdenziale - applicantesi anche ai trattamenti in essere - basato sul sistema contributivo vigente per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni statali.

Medesime previsioni sono dettate - quali principi fondamentali - per i titolari di cariche elettive nelle Regioni.

Le disposizioni si applicano non solo per il futuro, ossia agli eletti in carica successivamente alla data di entrata in vigore; si applicano altresì agli eletti in carica già al momento dell'entrata in vigore; e si applicano anche agli eletti che, alla data di entrata in vigore, siano cessati dalla carica.

Dunque la disciplina dispiega un effetto retroattivo.

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione, l'articolo 1, comma 2 del disegno di legge fa menzione de "i titolari di cariche elettive", secondo dicitura invero non coincidente con il titolo del disegno di legge, che menziona parlamentari e consiglieri regionali.

La nuova disciplina posta dal disegno di legge persegue il fine di "rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di contrastare la disparità di criteri e trattamenti previdenziali".

L'articolo 2 novella la legge n. 1261 del 1965, la quale reca la "Determinazione dell'indennità spettante ai membri del Parlamento", a norma dell'articolo 69 della Costituzione.

Il testo vigente prevede che l'indennità parlamentare sia costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza (cui si aggiunge una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno).

La novella ora aggiunge che l'indennità parlamentare si componga, oltre che di quelle quote mensili, anche di un "trattamento previdenziale differito", calcolato in base ai criteri vigenti per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Secondo tale dettato, il trattamento previdenziale differito figura come una componente dell'indennità parlamentare. Così la fonte legislativa 'entra' nella disciplina di questa materia, affermando su di essa la propria riserva quale discendente dall'articolo 69 della Costituzione.

Una disciplina posta altresì per le Regioni: articolo 3

La disciplina circa il trattamento previdenziale differito basato sul sistema contributivo quale vigente per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni statali, è intesa dal disegno di legge come valevole - nella forma di principio di coordinamento di finanza pubblica (di cu all'articolo 117, terzo comma della Costituzione) - anche per le Regioni, per i "titolari di cariche elettive".

Entro sei mesi, le Regioni (e le Province autonome) sono tenute - ai sensi dell'articolo 3 del disegno di legge - ad adeguare la disciplina di vitalizi e trattamenti previdenziali alla disciplina qui posta, anche riguardo alla rideterminazione dei trattamenti già in essere (oggetto dell'articolo 12).

Clausola di compatibilità con gli Statuti e le relative norme di attuazione è posta per le Regioni ad autonomia speciale (e per le Province di Trento e Bolzano).

In caso di inadempienza da parte delle Regioni, si prevede quale sanzione la decurtazione nei trasferimenti statali di una somma pari alla metà di quella destinata dalla Regione o Provincia ai vitalizi e ai trattamenti previdenziali, comunque denominati, per i titolari di cariche elettive.

Tale decurtazione opera per ciascun esercizio finanziario, a decorrere dal 2017. Parrebbe di intendere che il venir meno dell'inadempienza comporti la cessazione della decurtazione (ma è profilo suscettibile di chiarimento, anche per intendere quel che accada per l'anno finanziario in cui si realizzi infine l'adempimento).

Come per i parlamentari, così per i consiglieri regionali l'istituto dei vitalizi risulta già abrogato.

Dapprima il decreto-legge n. 138 del 2011 dispose (all'articolo 14, comma 1, lettera f)) il passaggio (entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva) al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali.

Indi il decreto-legge n. 174 del 2012 come convertito in legge rese (con l'articolo 2, comma 1, lettera m)) vieppiù 'stringente' quella prima previsione, vincolando all'attuazione di essa (come di altre disposizioni) la concessione di una serie di trasferimenti erariali alle Regioni a decorrere dal 2013. Inoltre, previde il commissariamento delle Regioni in caso di mancata attuazione delle misure di risparmio. Un'ulteriore sanzione consisteva nella decurtazione di una quota dei trasferimenti erariali, corrispondente alla metà delle somme destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del Consiglio regionale e di quelli della Giunta.

Erano esclusi dall'ambito di applicazione della nuova disciplina i "trattamenti già in erogazione".

Nelle more dell'attuazione del passaggio al sistema contributivo per i consiglieri, le Regioni avrebbero potuto prevedere o corrispondere trattamenti pensionistici o vitalizi in favore di coloro che avessero ricoperto la carica di presidente della Regione, di consigliere regionale o di assessore regionale solo a condizione che avessero compiuto 66 anni di età ed avessero ricoperto tali cariche, anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni.

La Corte costituzionale, con le sentenze n. 198 del 2012 e n. 23 del 2014, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con riferimento alle predette disposizioni, dalle Regioni, che lamentavano come la previsione del passaggio ad un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali costituisse non un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ma una disposizione di dettaglio. In quelle sentenze la Corte ha affermato che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, nell'esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica, «lo Stato deve limitarsi a porre obiettivi di contenimento senza prevedere in modo esaustivo strumenti e modalità per il loro perseguimento, in modo che rimanga uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011); che i vincoli imposti con tali norme possono «considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un “limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentenza n. 236 del 2013, sentenza n. 182 del 2011, nonché sentenze n. 297 del 2009; n. 289 del 2008; n. 169 del 2007)»; che la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato (sentenze n. 236 del 2013 e n. 326 del 2010)».

Circa il rapporto tra principi fondamentali e disciplina di dettaglio la Corte ha rilevato che «la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007)» (sentenza n. 16 del 2010); in quest'ottica, «possono essere ricondotti nell'ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario» (sentenze n. 52 del 2010, n. 237 del 2009 e n. 417 del 2005).

A livello regionale, sono state approvate da parte delle Regioni, negli ultimi anni, previsioni normative volte a superare l'istituto degli assegni "vitalizi" per i consiglieri regionali ed a ridisciplinare l'intera materia.

È stato inoltre adottato nel 2014 un ordine del giorno dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, volto ad individuare parametri minimi e comuni per le leggi regionali da adottare sull'istituto dell'assegno vitalizio, con l'obiettivo di disporre di un quadro interregionale omogeneo.

Quell'ordine del giorno prevede in particolare la riduzione temporanea dei vitalizi (triennio 2015-2017) in base a percentuali ivi indicate, e che a decorrere dall'entrata in vigore della legge regionale, l'assegno vitalizio competa ai consiglieri cessati dal mandato che abbiano compiuto 65 anni di età e che abbiano corrisposto il contributo per un periodo di almeno cinque anni di mandato svolto nel Consiglio regionale.

Sul versamento dei contributi previdenziali dei parlamentari: articolo 4

Il disegno di legge dispone l'assoggettamento dei parlamentari al versamento dei contributi previdenziali ai fini della determinazione del trattamento previdenziale.

I contributi sono trattenuti d'ufficio sull'indennità parlamentare loro spettante.

Inoltre si prevede che nel caso in cui i parlamentari optino non già per l'indennità parlamentare bensì per il trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza (facoltà di opzione accordata ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali, dall'articolo 68 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale ne prevede il collocamento in aspettativa per la durata del mandato) essi possano chiedere di essere ammessi al versamento di contributi, allo scopo di ottenere la valutazione del mandato parlamentare ai fini previdenziali.

In tal caso, le trattenute si effettuano sulle competenze accessorie.

Quest'ultima previsione ricalca quanto già previsto dai regolamenti interni delle due Camere del 2012 in materia previdenziale.

Requisiti per il trattamento previdenziale: articolo 5

L'articolo 5 disciplina i requisiti per il trattamento previdenziale dei parlamentari.

Riguardo al requisito inerente all'anzianità di mandato e di contribuzione, i commi 1 e 3 confermano, in termini quasi identici, le norme vigenti nei regolamenti interni di Camera e Senato(1) . Per il requisito anagrafico, invece, si prevede, nel comma 2, una nuova disciplina, con riferimento ai soggetti che diventeranno membri del Parlamento nelle legislature successive a quella in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

Resta fermo, ai fini in oggetto, il requisito della cessazione del mandato parlamentare.

Più in particolare, il comma 1 conferma che il trattamento è subordinato all'esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni (anche relativi a più legislature), con arrotondamento ad 1 anno intero dell'eventuale frazione di anno superiore a 6 mesi. Riguardo all'arrotondamento, il comma 1 richiede il versamento per intero dei contributi inerenti all'anno medesimo. Sembrerebbe opportuno chiarire se la norma preveda il versamento, da parte del soggetto beneficiario dell'arrotondamento, anche della quota di contribuzione a carico dell'organo parlamentare di appartenenza; si ricorda che, ai fini dell'arrotondamento, le norme vigenti dei regolamenti interni richiedono il versamento della sola quota di contribuzione a carico del parlamentare.

Il comma 3 prevede - così come le norme dei regolamenti interni - che l'anzianità di mandato e di contribuzione del parlamentare subentrato a seguito di annullamento di elezione di un altro parlamentare includa il periodo della legislatura compreso tra la data in cui si sia verificata la causa di annullamento e la data del subentro; il comma 3 richiede, per tale ipotesi, il pagamento per intero dei contributi anche per il periodo della legislatura in cui non sia stato esercitato il mandato, mentre le norme vigenti dei regolamenti interne di Camera e Senato attribuiscono il beneficio della contribuzione figurativa. Sembrerebbe opportuno chiarire se la norma richieda il versamento, da parte del parlamentare, anche della quota di contribuzione a carico dell'organo parlamentare di appartenenza. In ogni caso, sotto il profilo letterale, sembra opportuna una riformulazione del medesimo comma 3, in quanto esso, da un lato, fa riferimento all'attribuzione di contribuzione figurativa e, dall'altro lato, richiede il versamento per intero dei contributi.

Resta fermo (così come negli attuali regolamenti interni) che, per le ipotesi di subentro in corso di legislatura diverse dalla fattispecie di annullamento di elezione, non sono previste norme di deroga all'ordinario requisito di anzianità di mandato e di contribuzione.

Il comma 2, come accennato, pone un nuovo requisito anagrafico, con riferimento ai soggetti che diventeranno membri del Parlamento nelle legislature successive a quella in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. Per i parlamentari che esercitino o che abbiano esercitato il mandato fino alla legislatura in corso alla suddetta data, si applicano i requisiti anagrafici vigenti - in base ai regolamenti interni delle Camere - alla medesima data. Potrebbe essere ritenuto opportuno chiarire se la locuzione “fino alla legislatura in corso", adoperata dalla disposizione in esame, comprenda anche i parlamentari che abbiano esercitato il mandato esclusivamente in legislature precedenti quella in corso.

Si ricorda che, in base alla disciplina attuale dei regolamenti interni, il requisito anagrafico di riferimento è costituito dal compimento dei 65 anni ed è ridotto di un anno, fino al limite di 60, per ogni anno di mandato ulteriore rispetto alla soglia di 5 anni effettivi.

Il nuovo requisito anagrafico è determinato mediante rinvio a quello vigente per la pensione di vecchiaia dei lavoratori e lavoratrici dipendenti nell'ordinamento generale. Tale requisito è attualmente pari a 66 anni e 7 mesi - ovvero, fino al 31 dicembre 2017, a 65 anni e 7 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato - ed è periodicamente soggetto ad adeguamenti (definiti con decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali) in base agli incrementi della speranza di vita(2) ; in ogni caso, a decorrere dal 2021, il requisito non può essere inferiore a 67 anni(3) .

Sempre con riferimento ai requisiti per il trattamento previdenziale (ed anche alle relative ipotesi di mancato conseguimento dei medesimi), potrebbe essere opportuno chiarire, considerato anche che l'articolo 1, comma 1, l'articolo 2, e l'articolo 12, comma 4, del disegno di legge operano rinvii generali alla disciplina pensionistica vigente per i dipendenti statali, se trovino applicazione, per i soggetti in esame, gli istituti generali della ricongiunzione, della totalizzazione e del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi, nonché l'istituto dell'indennità una tantum, previsto(4) per i dipendenti statali cessati dal servizio senza il conseguimento dei requisiti per il trattamento previdenziale.


1) L'attuale regolamento interno del Senato sul trattamento previdenziale dei senatori è stato approvato con la deliberazione del Consiglio di Presidenza del 31 gennaio 2012, mentre l'attuale regolamento interno della Camera in materia è stato approvato con la deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del 30 gennaio 2012.

2) Il prossimo adeguamento decorre dal 1° gennaio 2019, mentre i successivi saranno operati con cadenza biennale (cfr. l'art. 24, comma 13, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214).

3) Cfr. l'art. 24, comma 9, del citato D.L. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214 del 2011.

4) Cfr., in merito, la circolare INPS n. 131 del 19 novembre 2012.

Criteri di calcolo del trattamento previdenziale ed aliquote contributive: articoli 6 e 7

L'articolo 6 e i commi 1, 2 e 4 dell'articolo 7 disciplinano i criteri di calcolo del trattamento previdenziale dei parlamentari (oltre a confermare il principio che esso è corrisposto in 12 mensilità). I criteri in oggetto trovano applicazione, ai sensi del successivo articolo 12, commi 1 e 2, anche per i trattamenti previdenziali o vitalizi, comunque denominati, già in essere, mediante rideterminazioni operate dalle Camere entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge (cfr. infra).

I criteri previsti corrispondono a quelli già stabiliti dai vigenti regolamenti interni di Camera e Senato ai fini dell'applicazione del cosiddetto sistema contributivo. In base a questi ultimi, i criteri in oggetto si applicano secondo il principio del pro rata, con riferimento ai periodi contributivi inerenti al mandato o frazioni di mandato successivi al 31 dicembre 2011(5) e con applicazione dei criteri vigenti nei precedenti regolamenti interni per gli altri periodi. Le norme in esame del disegno di legge prevedono, invece, l'applicazione dei criteri suddetti del sistema contributivo per l'intera anzianità inerente ai mandati, nonché con riferimento, come accennato, ai trattamenti dei parlamentari già in essere. Si rileva che, nell'evoluzione delle discipline pensionistiche nell'ordinamento italiano, riguardo ai criteri di calcolo di trattamenti futuri, i casi precedenti di deroga al suddetto principio del pro rata sembrano aver riguardato esclusivamente la riduzione delle misure del trattamento oltre determinati importi (oltre che alcuni interventi di interpretazione autentica di norme); per quanto riguarda la rideterminazione di trattamenti già liquidati, i casi precedenti sembrano essere rappresentati esclusivamente dall'applicazione di contributi di solidarietà, a carico dei trattamenti eccedenti determinati importi (riguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale sulle condizioni per la legittimità di tali contributi, cfr. la sentenza n. 173 del 5-13 luglio 2016).

Sempre con riferimento ai criteri di calcolo del trattamento, si ricorda che l'attuale disciplina interna della Camera (in base alla deliberazione dell'Ufficio di Presidenza della Camera del 22 marzo 2017) prevede, per il periodo 1° maggio 2017-30 aprile 2020, un contributo di solidarietà (con aliquote crescenti) sulle quote di trattamento eccedenti determinati importi.

Come accennato, i criteri del sistema calcolo contributivo di cui all'articolo 6 e ai commi 1, 2 e 4 dell'articolo 7 corrispondono a quelli già previsti dai regolamenti interni di Camera e Senato, nonché a quelli stabiliti dall'omologa disciplina relativa alla generalità dei lavoratori. Si segnala, tuttavia, che, riguardo alla determinazione della base imponibile contributiva e del conseguente montante contributivo individuale (per il calcolo del trattamento), il comma 2 dell'articolo 7 fa riferimento esclusivamente all'indennità parlamentare (con esclusione di ogni ulteriore indennità di funzione o accessoria), mentre le norme generali relative ai lavoratori dipendenti includono, in linea di massima, tutti gli emolumenti retributivi.

Il comma 3 dell'articolo 7 opera un rinvio mobile alle misure delle aliquote contributive stabilite per i dipendenti statali - sia a carico del lavoratore sia a carico dell'amministrazione di appartenenza -; tali aliquote si applicano anche ai fini del calcolo del trattamento previdenziale, come specifica il comma 1 dello stesso articolo 7. Tali aliquote contributive sono attualmente identiche a quelle previste dai suddetti regolamenti di Camera e Senato, ad eccezione della misura aggiuntiva di un punto percentuale, che, in base al rinvio alle misure vigenti per i dipendenti statali, troverebbe applicazione, a carico del parlamentare, sulla quota di imponibile contributivo eccedente un determinato limite (pari, nel 2017, a 46.123 euro)(6) . Di conseguenza, la misura delle aliquote contributive, in base al comma 3, è pari complessivamente al 33% (di cui 24,2 punti a carico dell'organo parlamentare di appartenenza e 8,8 punti a carico del parlamentare), ovvero al 34% per la quota di imponibile eccedente il suddetto limite (su tale quota la percentuale a carico del parlamentare è, quindi, pari a 9,8 punti); anche l'aliquota di computo (per la determinazione della misura del trattamento previdenziale) è articolata, dunque, in due valori (33% e 34%, a seconda della fascia di imponibile). Sembrerebbe opportuno chiarire i termini in cui l'articolazione dell'aliquota di computo in due valori si applichi con riferimento alle quote di anzianità di mandato e di contribuzione pregresse.

Si ricorda che nel sistema contributivo il calcolo della pensione si basa sui contributi versati dal lavoratore (e dal datore di lavoro) durante tutta la vita lavorativa.

In sostanza, ogni anno occorre:

  • individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti (o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati o da altri soggetti);
  • calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell'aliquota di computo (pari ad esempio, per i lavoratori dipendenti, al 33%). Tale somma darà l'entità dell'accantonamento annuale;
  • determinare il montante individuale, che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno, opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione (dato dalla variazione media quinquennale del PIL nominale, con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare);
  • applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione (cioè, il parametro che, ai fini dell'applicazione del metodo contributivo, è utilizzato per convertire in pensione annua il montante individuale maturato). I coefficienti determinano, quindi, la percentuale del montante da corrispondere come pensione annua in tutti i casi di calcolo contributivo.

I suddetti coefficienti di trasformazione variano in base all'età anagrafica al momento del pensionamento e sono costruiti tenendo conto della speranza di vita media e del tasso di crescita del PIL di lungo periodo. I coefficienti sono stati rideterminati, da ultimo, con il decreto direttoriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 22 giugno 2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016 (per il triennio 2016-2018)(7) . Il valore del coefficiente di trasformazione è legato all'età posseduta (al momento del pensionamento), aumentando al crescere della stessa. Più specificamente, si considera il limite inferiore di 57 anni (età inferiore) per arrivare ad un valore massimo del coefficiente in corrispondenza dei 70 anni (età superiore).


5) Cfr. l'art. 4 dell'attuale regolamento interno del Senato sul trattamento previdenziale dei senatori (approvato con la deliberazione del Consiglio di Presidenza del 31 gennaio 2012) e l'art. 4 dell'omologo regolamento interno della Camera (approvato con la deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del 30 gennaio 2012).

6) La suddetta aliquota aggiuntiva è stata introdotta, con riferimento a tutti i regimi pensionistici dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, che prevedano aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori al 10 per cento (nonché con riferimento ai lavoratori autonomi iscritti a gestioni INPS), dall'art. 3-ter del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 1992, n. 438. Tale articolo è esplicitamente richiamato dalle norme a cui fa rinvio il comma 3 del presente articolo 7.

7) I coefficienti sono determinati con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze; la cadenza della revisione è triennale e, per le rideterminazioni successive a quella decorrente dal 1° gennaio 2019, biennale. Cfr., in materia, l'art. 1, comma 11, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, e l'art. 24, comma 16, del citato D.L. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214 del 2011.

Termini di decorrenza del trattamento previdenziale: articolo 8

L'articolo 8 disciplina i termini di decorrenza del trattamento previdenziale in maniera identica alle disposizioni vigenti dei regolamenti interni di Camera e Senato. Le norme distinguono i seguenti casi: maturazione dei requisiti anagrafici successivamente alla fine del mandato; maturazione già sussistente al momento di cessazione del mandato, con determinazione di termini diversi di decorrenza a seconda che il mandato sia cessato per fine della legislatura o per altri motivi.

Sospensione del trattamento previdenziale: articolo 9

È prevista la sospensione dell'erogazione del trattamento previdenziale del parlamentare in godimento in caso di elezione o nomina ad altra carica pubblica.

Secondo la normativa oggi vigente tale sospensione dell'erogazione è prevista qualora il parlamentare sia rieletto al Parlamento nazionale, sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale, ovvero sia nominato componente del Governo nazionale, assessore regionale o titolare di incarico istituzionale per il quale la Costituzione o altra legge costituzionale prevede l'incompatibilità con il mandato parlamentare.

La sospensione è inoltre attualmente prevista in caso di nomina ad incarico per il quale la legge ordinaria preveda l'incompatibilità con il mandato parlamentare, ove l'importo della relativa indennità sia superiore al 50 per cento dell'indennità parlamentare.

Tale regime di sospensioni costituisce una deroga rispetto alla normativa generale, nell'ambito della quale le ipotesi di divieto di cumulo della pensione con altri redditi sono state ormai abolite.

Ebbene, il disegno di legge estende la sospensione totale a tutte le cariche incompatibili con il mandato parlamentare (sia quelle definite incompatibili per norma costituzionale sia quelle per legge ordinaria) ed a prescindere dall'ammontare dell'indennità.

Inoltre introduce la sospensione anche in relazione alla nomina in organi di amministrazione di enti pubblici o di enti privati in controllo pubblico.

Tuttavia, in quest'ultimo caso, la sospensione si ha solamente se l'ammontare dell'indennità superi quella del trattamento previdenziale.

Il comma 2 prevede che, una volta concluso l'incarico che ha provocato la sospensione dell'erogazione del trattamento previdenziale, quest'ultimo riprenda a partire dalla cessazione dell'incarico medesimo.

Inoltre, dispone in ordine alla rivalutazione del trattamento previdenziale nei periodi di sospensione.

Nel caso di rielezione al Parlamento nazionale, il trattamento previdenziale è integrato da contributi dovuti nel corso del nuovo mandato.

Negli altri casi, è rivalutato alla stregua della disciplina recata dall'articolo 11 (vedi infra).

Trattamenti in favore dei superstiti: articolo 10

L'articolo 10 disciplina i trattamenti in favore dei superstiti dei parlamentari, rinviando alle norme vigenti in materia per i lavoratori dipendenti e autonomi (ivi comprese quelle relative alla verifica dei requisiti e alle modalità di liquidazione e di rivalutazione), mentre gli attuali regolamenti interni di Camera e Senato recano un'autonoma disciplina in materia.

Secondo la disciplina generale, la pensione ai superstiti è la prestazione che spetta al coniuge (o al soggetto che aveva contratto con il defunto un'unione civile), ai figli, nonché ai nipoti minori (se erano a carico del nonno o nonna defunto), e, in mancanza, ai genitori e (mancanti anche questi ultimi) ai fratelli e sorelle del lavoratore, ove ricorrano le condizioni e i requisiti posti per ciascuna categoria di aventi diritto.

La pensione ai superstiti può essere di: "reversibilità" se il defunto era già titolare di pensione diretta (vecchiaia, anzianità, invalidità del vecchio ordinamento, inabilità); "indiretta", se il defunto non era già titolare di pensione.

Più specificamente, per la pensione di reversibilità i requisiti contributivi e assicurativi risultano per definizione soddisfatti se il defunto era già titolare di pensione diretta (vecchiaia, anzianità, inabilità, ma non dell'assegno ordinario di invalidità, che non è reversibile, in quanto non ha natura di pensione); in caso di pensione indiretta, i requisiti assicurativi e contributivi risultano soddisfatti se il defunto alla data della morte poteva far valere almeno 15 anni di contribuzione oppure 5 anni di contribuzione, dei quali ultimi almeno 3 nel quinquennio precedente la data del decesso.

La pensione spetta: al coniuge (o al soggetto che aveva contratto con il defunto un'unione civile); ai figli che alla data della morte del genitore siano minori, studenti, universitari oppure inabili e a carico del dante causa; ai nipoti minori che erano a carico del nonno o nonna defunto. In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti, la richiamata pensione spetta ai genitori o (qualora manchino anche essi) ai fratelli e alle sorelle (questi ultimi solo se inabili e a carico).

La pensione ai superstiti è calcolata sulla base della pensione che spettava o che sarebbe spettata al defunto, applicando una determinata percentuale (per esempio: 60% per il caso di solo coniuge; 80% per il caso di coniuge con un figlio avente diritto; 100% per il caso di coniuge con due o più figli aventi diritto). La misura del trattamento è ridotta in relazione a determinati importi del reddito del beneficiario (tali riduzioni non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore età, studenti ovvero inabili).

Rivalutazione dei trattamenti previdenziali: articolo 11

L'articolo 11 concerne la rivalutazione dei trattamenti previdenziali dei parlamentari. Esso fa rinvio alla disciplina in materia di cui all'art. 11 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni. Sembrerebbe opportuna una più chiara definizione di tale profilo, considerato che attualmente la disciplina generale in materia di rivalutazione (cosiddetta perequazione automatica) dei trattamenti pensionistici è posta da fonti legislative successive rispetto a quella suddetta(8) . Potrebbe, inoltre, essere ritenuto opportuno esplicitare che l'articolo 11 in esame si applica anche ai trattamenti in favore dei superstiti dei parlamentari.

Si ricorda che le norme interne vigenti dei regolamenti di Camera e Senato prevedono la rivalutazione integrale dei trattamenti, con decorrenza dal 1° gennaio di ciascun anno, sulla base delle variazioni dell'indice generale dei prezzi al consumo (indice ISTAT).


8) Nell'ordinamento generale, la normativa a regime in materia di perequazione automatica è posta dall'art. 69, comma 1, della L. 23 dicembre 2000, n. 388; tuttavia, per gli anni 2014-2018, si applica una disciplina diversa, stabilita dall'art. 1, comma 483, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni.
In ogni caso, la perequazione automatica fa riferimento all'importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici del soggetto e viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. Più in particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all'anno precedente. Ai fini dell'applicazione del meccanismo di rivalutazione, si tiene conto altresì dell'importo degli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi.
La disciplina transitoria di cui al suddetto comma 483 riconosce la perequazione secondo le seguenti misure percentuali:

  • 100% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia pari o inferiore a 3 volte il trattamento minimo INPS;
  • 95% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 3 volte e pari o inferiore a 4 volte il predetto trattamento;
  • 75% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 4 volte e pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo;
  • 50% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 5 volte e pari o inferiore a 6 volte il trattamento minimo;
  • 45% (40% nel 2014) per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 6 volte il trattamento minimo.
Le misure percentuali si applicano, in base alle norme di cui al suddetto comma 483, sull'importo complessivo del trattamento pensionistico (o dei trattamenti) del soggetto - anziché sulle singole fasce di importo -, con una clausola di chiusura, consistente nella garanzia che la perequazione non possa essere inferiore a quella che si applicherebbe qualora l'importo complessivo del trattamento (o dei trattamenti) fosse pari al limite sottostante l'importo complessivo concreto del soggetto.
La disciplina a regime in materia di perequazione automatica, posta, come detto, dall'art. 69, comma 1, della L. n. 388 del 2000, prevede: l'applicazione della perequazione nella misura del 100% per la fascia di importo complessivo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il minimo INPS; nella misura del 90% per la fascia di importo complessivo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il predetto minimo; nella misura del 75% per la fascia di importo complessivo dei trattamenti superiore a 5 volte il medesimo minimo.

Rideterminazione dei trattamenti già in essere e norme finali: articolo 12

Il comma 1 dell'articolo 12, come accennato, prevede che le Camere ridetermino, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, gli importi dei vitalizi e dei trattamenti previdenziali già in essere, adottando il sistema contributivo di cui ai precedenti articoli. Si osserva che la disposizione, letteralmente, fa riferimento alle Camere, mentre la disciplina legislativa di cui alla L. 31 ottobre 1965, n. 1261, relativa all'indennità dei parlamentari, fa riferimento, per le determinazioni inerenti a quest'ultima, agli Uffici di Presidenza delle Camere.

In merito alle rideterminazioni in oggetto, il medesimo comma 1 specifica che:

  • qualora l'età anagrafica del titolare del trattamento in essere non sia contemplata nelle tabelle relative ai coefficienti di trasformazione richiamate dal precedente articolo 6, si applica il coefficiente riferito all'età anagrafica più prossima;
  • in ogni caso, la rideterminazione non può dar luogo ad un trattamento di importo superiore a quello percepito al momento di entrata in vigore della presente legge;
  • fermo restando quest'ultimo limite massimo, l'importo (derivante dalla rideterminazione) non può essere inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione (del sistema contributivo in oggetto) con riferimento all'imponibile contributivo ed alle aliquote contributive validi nella legislatura in corso alla suddetta data di entrata in vigore. Sembrerebbe di intendere che il valore determinato mediante i suddetti aliquote e imponibile costituisca una base annua di computo, che debba essere moltiplicata (ai fini della determinazione dell'importo minimo in oggetto) per ogni anno (o frazione di anno) di contribuzione. Potrebbe essere ritenuta opportuna la definizione di una norma di chiusura, per l'ipotesi in cui nel corso della corrente legislatura cambino i valori dell'imponibile contributivo o le misure delle aliquote contributive.

In merito ad alcuni profili del presente comma 1, si rinvia alla scheda relativa ai precedenti articoli 6 e 7.

Il comma 2 dell'articolo 12 fa salvo il diritto al trattamento per i parlamentari cessati dal mandato e che già beneficiano del medesimo trattamento, ferma restando la rideterminazione dell'importo secondo il sistema contributivo, ai sensi del precedente comma 1. Potrebbe essere ritenuto opportuno esplicitare se la norma di salvezza comprenda anche i trattamenti già in essere in favore dei superstiti dei parlamentari.

Più in generale, sembrerebbe opportuno chiarire se il ricalcolo secondo il sistema contributivo dei trattamenti già in essere comprenda anche i trattamenti in favore dei superstiti dei parlamentari, considerato che, da un lato, la formulazione generale di cui al comma 1, primo periodo, sembrerebbe includerli e che, dall'altro lato, il comma 2 fa riferimento (sempre in materia di ricalcolo secondo il sistema contributivo) esclusivamente ai membri del Parlamento (e non anche ai loro superstiti).

Per i parlamentari cessati dal mandato e non ancora titolari di trattamento, il successivo comma 3 specifica che trovano applicazione (oltre al sistema di calcolo contributivo) i requisiti anagrafici di cui all'articolo 5, comma 2. Potrebbe essere ritenuto opportuno valutare se, nell'ambito di tali soggetti, sussistano casi di ex parlamentari (o di superstiti di ex parlamentari) che siano, in base alle norme interne tempo per tempo vigenti, in attesa di conseguire, al compimento di una determinata età anagrafica, il trattamento e che non siano in possesso dei requisiti di anzianità di mandato e di contribuzione di cui al precedente articolo 5, commi 1 e 3.

Il comma 4 dello stesso articolo 12 dispone che, per quanto non previsto dalla presente legge, si applichino le norme in materia pensionistica valide per i dipendenti statali; un rinvio a queste ultime norme è posto altresì - con riferimento ai criteri di calcolo e al sistema contributivo - dai precedenti articoli 1, comma 1, e 2.

Il comma 5 specifica che, in considerazione della difformità tra la natura e il regime giuridico dei trattamenti pensionistici, comunque denominati, dei titolari di cariche elettive e quelli dei trattamenti pensionistici ordinari, la rideterminazione di cui al presente articolo 12 non può in alcun caso essere applicata alle pensioni in essere e future dei lavoratori dipendenti e autonomi.

Entrata in vigore: articolo 13

Ai sensi dell'articolo 13, la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

_____________________

Disposizioni in materia di vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei componenti delle Camere e dei consiglieri regionali

A.C. n. 1093 e abb.

Audizione del direttore della direzione "Diritti

finanziari e sociali dei deputati" del Parlamento

europeo, Lorenzo Mannelli

26 maggio 2016


Pensione di anzianità statutaria

  1. Disposizioni giuridiche specifiche- Articoli 14 e16 dello Statuto
  • Articoli da 49 e 50 della MASD

  1. Principi fondamentali:

  • Gli ex deputati al Parlamento europeo che hanno percepito un'indennità statutaria per almeno un anno hanno automaticamente diritto a una pensione di anzianità ai sensi dello Statuto.
  • I diritti pensionistici ammontano al 3,5% dell'indennità parlamentare per ogni anno completo di esercizio del mandato sino a un massimo del 70%.
  • La pensione è erogabile dal primo giorno del mese successivo a quello in cui l'ex deputato raggiunge l'età di 63 anni.
  • La domanda di pensione deve essere presentata entro sei mesi dall'inizio del diritto.
  • Scaduto tale termine, alcuni diritti vanno perduti come indicato in appresso.

  1. Incompatibilità

La pensione di anzianità statutaria è compatibile con tutte le forme di pensione o di reddito, eccetto:

  • il mandato al Parlamento europeo; in caso di rielezione al Parlamento europeo, viene sospeso il pagamento della pensione. I diritti alla pensione di anzianità che il deputato acquisisce a titolo del nuovo mandato si aggiungono ai diritti acquisiti prima della rielezione.
  • l'indennità transitoria statutaria.
  • le pensioni di altri parlamenti: la pensione di anzianità percepita in virtù di un mandato che un ex deputato ha esercitato in un altro parlamento simultaneamente al mandato presso il Parlamento europeo è dedotta dalla pensione di anzianità, sulla base dell'importo delle due pensioni prima della detrazione fiscale.

  1. Domanda di pensione di anzianità

Le domande di pensione di anzianità devono essere presentate entro sei mesi dopo l'inizio del diritto. Scaduto tale termine, la data di effetto del beneficio della pensione è fissata al primo giorno del mese in cui è pervenuta la domanda.

Durata del mandato Percentuale dell'indennità:

Importo lordo mensile

1 anno 3,5% € 287,45

18 mesi 5,25% € 431,18

5 anni 17,5% € 1.437,28

Pensione di anzianità statutaria

Indennità Art. 10 dello Statuto 8.213,02€

Durata del mandato

% dell'indennità

Importo imponibile mensile

Imposta comunitaria

Pensione

netta

1 anno

3,50%

287,46€

0,00€

287,46€

18 mesi

5,25%

431,18€

0,00€

431,18€

5 anni

17,50%

1.437,28€

0,00€

1.437,28€

10 anni

35,00%

2.874,56€

134,95€

2.739,61€

15 anni

52,50%

4.311,84€

475,94€

3.835,90€

20 anni

70,00%

5.749,11€

840,51€

4.908,60€

Gli ex deputati al Parlamento europeo che hanno percepito un'indennità statutaria per almeno un anno hanno automaticamente diritto a una pensione di anzianità ai sensi dell'articolo 14 dello Statuto.

I diritti pensionistici ammontano al 3,5% dell'indennità parlamentare per ogni anno completo di esercizio del mandato sino a un massimo del 70%.


Old age

Survivor

Orphan

Invalidity

Deferred pensioners

Statutory

Beneficiaries

142

7

8

1

326

Average monthly pension (€)

1.268

3.388

251

2.740

-

FID-Annexes I + II

Beneficiaries

-

38

3

4

-

Average monthly pension

-

4.805

778

6.138

-

PEVIDE-IT

Beneficiaries

152

46

0

-

67

Average monthly pension

3.013

2.160

-

-

-

PEVIDE-FR

Beneficiaries

160

29

3

-

73

Average monthly pension

1.508

1.100

707

-

-

PECODE

Beneficiaries

644

84

10

-

262

Average monthly pension

1.829

1.124

221

-

-

Total annual payments (€)

Statutory

2.501.542

FID-Annexe I (SURVIDE)

2.207.741

FID-Annex II (invalidity)

281.721

PEVIDE

10.675.654

PECODE

15.835.230

Camera dei deputati

XVII Legislatura

BIBLIOTECA – LEGISLAZIONE STRANIERA

A P P U N T I

Appunto 34/2015 17 settembre 2015

Le indennità di fine mandato e i vitalizi percepiti dai deputati delle Camere basse e dai membri dei Consigli/Assemblee regionali in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna

Francia

  1. Membri dell’Assemblée nationale

L’Assemblée nationale (AN) dispone ogni anno l’erogazione di stanziamenti per la “Caisse des pensions des anciens députés”: tale ente si configura come una “société annexe” distinta dall’AN, ma che non possiede personalità giuridica: è prevista per fini di mera contabilità. Le entrate della Caisse sono essenzialmente di tre tipi: le “contributions de l’AN”, ossia i contributi versati dall’AN in qualità di “datore di lavoro”; la “subvention de l’AN”, necessaria per il perfetto equilibrio dei conti; le “cotisations”, ossia i contributi (obbligatori e facoltativi) versati dai singoli deputati.

Nel 2013 l’AN ha versato alla Cassa delle pensioni per gli ex-deputati complessivamente € 58.334.369. L’importo versato costituisce la somma di due voci di entrata della Cassa: le “contributions de l’AN” (€ 14.958.848); la “subvention de l’AN” (€ 43.375.521)(9) .

  1. Consiglieri regionali

Il trattamento pensionistico previsto per i consiglieri regionali è disciplinato dagli artt. L4135-22 – L4135-25 del Codice generale delle collettività territoriali (Code général des collectivités territorials).

Art. L4135-22

I membri del consiglio regionale possono costituire una pensione di rendita alla cui gestione debbono partecipare i consiglieri affiliati.

La costituzione della pensione di rendita è per metà a carico del consigliere interessato e per l’altra metà a carico della regione.

Il tetto massimo delle aliquote dei contributi è stabilito mediante decreto del Consiglio di Stato.

Art. L4135-23

I membri del consiglio regionale sono iscritti al piano pensionistico integrativo istituito per gli operatori non titolari degli enti pubblici.

Le pensioni versate in applicazione del presente articolo sono cumulabili in modo illimitato con qualsiasi altra pensione.

Art. L4235-24

Per l’applicazione degli articoli da L. 4135-22 a L. 4135-23, i contributi delle regioni e dei rispettivi consiglieri sono calcolati sull’importo delle indennità effettivamente percepite da questi ultimi in applicazione delle disposizioni di cui alla sezione 3 del presente capitolo o di qualsiasi altro testo che disciplina l’indennità delle loro funzioni.

I contributi dei consiglieri sono personali ed obbligatori.

Art. L4135-25

Le pensioni di anzianità già liquidate ed i diritti dei consiglieri regionali acquisiti prima del 30 marzo 1992 continuano ad essere versati dalle istituzioni e dagli enti presso cui sono stati costituiti o trasferiti. All’occorrenza, le spese corrispondenti sono coperte in particolare mediante una sovvenzione d’equilibrio versata dagli enti interessati.

I consiglieri di cui al precedente comma, in funzione o che hanno maturato dei diritti ad una pensione di anzianità prima del 30 marzo 1992, possono continuare a versare i contributi a tali istituzioni ed enti.

L’ente nel quale il consigliere esercita il proprio mandato contribuisce entro il limite previsto all’articolo L. 4135-22.

Come si evince dal testo delle norme sopra riportate, i consiglieri regionali che ricevono un’indennità di funzione sono affiliati al regime di pensione complementare, che nel caso di specie fa capo all’IRCANTEC (Institution de retraite complémentaire des agents non titulaires de l'État et des collectivités publiques).

I consiglieri hanno acquisito il diritto alla pensione in seguito all’approvazione della Loi n. 2012-1404 di finanziamento della sicurezza sociale per il 2013. La legge del 2012 ha, infatti, esteso il diritto di costituzione della pensione di rendita a tutti coloro che sono stati eletti a livello locale (inclusi dunque i consiglieri regionali), alla cui gestione devono partecipare gli eletti affiliati. Le aliquote di entrambi i contributi, metà a carico della regione, metà a carico dell’eletto, sono state fissate all’8% dal Decreto n. 2000-318, del 7 aprile 2000 (ora art. R4135-24 del Codice generale delle collettività territoriali).

Nel 2014 sono migliorate per gli eletti a livello locale le condizioni di cumulo delle indennità con la pensione di vecchiaia. L’art. 19 della Loi n. 2014-40 du 20 janvier 2014 garantissant l'avenir et la justice du système de retraites Loi n. 2014-40 (Legge di garanzia del futuro e dell’equità del sistema pensionistico) esclude, infatti, le indennità di funzione dai redditi presi in considerazione nel calcolo dei cumuli.

Germania

  1. Membri del Bundestag

Ai sensi del § 18 della Legge sullo status giuridico dei deputati (Gesetz über die Rechtsverhältnisse der Mitglieder des Deutschen Bundestages - Abgeordnetengesetz - AbgG), del 18 febbraio 1977, un membro del Bundestag uscente, che abbia esercitato il suo mandato per almeno un anno, riceve una indennità di fine mandato (Übergangsgeld). Tale indennità viene corrisposta nella misura di una mensilità dell’indennità parlamentare (prevista dal § 11, comma 1 AbgG) per ogni anno di appartenenza al Bundestag, fino ad un massimo di 18 mesi. Non sono considerati eventuali periodi antecedenti per i quali sia stata già corrisposta un’indennità di fine mandato. Ai fini del calcolo, l’appartenenza al Bundestag superiore a sei mesi vale come un intero anno. In base a quanto stabilito dal comma 3, l’indennità di fine mandato può essere pagata in un’unica soluzione oppure versando metà dell’importo mensile per il doppio del periodo dovuto.

Ai sensi del § 19 AbgG, il parlamentare uscente, che abbia fatto parte del Bundestag per almeno un anno, riceve, al 67° anno di età, una indennità di anzianità (Altersentschädigung). Qualora un membro abbia svolto più mandati non consecutivi, si sommano i vari periodi di appartenenza. Dal nono fino al diciottesimo anno di appartenenza al Bundestag, il diritto all’indennità di anzianità matura con un anno di anticipo. Secondo quanto previsto dal § 20 AbgG l’ammontare dell’indennità di anzianità erogata è pari al 2,5% dell’indennità parlamentare mensile, per ogni anno di mandato, fino a un massimo di 27 anni (67,5% dell’indennità). A tal fine, i deputati non versano alcun contributo.

La materia è stata peraltro oggetto di alcune recenti riforme. Dal 1° gennaio 2008 la pensione erogata ai deputati non costituisce più l’intera prestazione previdenziale, ma si limita a coprire gli anni di mandato parlamentare durante i quali i deputati devono rinunciare, in tutto o in parte, alla loro attività professionale. Infatti, per l’intera durata del mandato, ai deputati non vengono versati contributi all’assicurazione pensioni obbligatoria, e il periodo di appartenenza al Bundestag non viene considerato periodo di servizio ai sensi della normativa previdenziale vigente per i pubblici dipendenti. In considerazione del suo carattere di prestazione previdenziale integrativa, dal 1° gennaio 2008 l’indennità di anzianità matura già dopo un anno di appartenenza al Bundestag. In precedenza, era necessario un periodo di mandato minimo di otto anni.

Infine, la Trentesima modifica della legge sullo status giuridico dei deputati (Dreißigstes Gesetz zur Änderung des Abgeordnetengesetzes) dell’11 luglio 2014 ha introdotto, con il nuovo comma 4 del § 19 AbgG, la possibilità di anticipare l’indennità di anzianità al raggiungimento del 63° anno di età, con un décalage dello 0,3% per ogni mese mancante al compimento dell’età prevista dalla legge (67 anni). Di conseguenza è abrogata la disposizione (secondo periodo del comma 3) che prevede di maturare con un anno di anticipo l’indennità di anzianità per i deputati che abbiano esercitato il mandato parlamentare per un periodo compreso tra otto e diciotto anni. È stato inoltre abbassato al 65% dell’indennità parlamentare mensile l’importo massimo erogabile dell’indennità di anzianità. Queste modifiche entreranno in vigore il giorno della prima seduta della nuova legislatura, presumibilmente nell’ottobre 2017.

Nell’attuale legislatura (18a), il Bundestag è composto da 631 membri. La spesa prevista per le pensioni per il 2015 è di € 43.675.000(10) .

Analogamente a quanto stabilito per i deputati del Parlamento federale, anche per i membri dei Parlamenti regionali (Landtage) è prevista un’indennità di fine mandato e un’indennità di anzianità.

A titolo esemplificativo, sono riportati di seguito i dati e le norme in materia pensionistica riguardanti i rappresentanti uscenti dei Parlamenti della Baviera e del Baden-Württemberg.

  1. Membri del Consiglio regionale della Baviera

Ai sensi del § 11 della Legge sullo status giuridico dei membri del Consiglio regionale (Landtag) della Baviera (Gesetz über die Rechtsverhältnisse der Mitglieder des Bayerischen Landtags - Bayerisches Abgeordnetengesetz - BayAbgG) del 6 marzo 1996, un membro uscente del Landtag che ne abbia fatto parte per almeno un anno, riceve un’indennità di fine mandato. Quest’ultima viene corrisposta nella misura di una mensilità dell’indennità di membro del Landtag, ai sensi del § 5 della legge, per ogni anno di appartenenza, per un massimo di 18 mesi. Anche per i membri del Parlamento bavarese, ai fini del calcolo, un’appartenenza superiore a sei mesi vale come un intero anno.

Ai sensi del § 13 della legge, il membro uscente, che abbia fatto parte del Landtag per almeno 10 anni, riceve al 67° anno di età (§ 12) una pensione pari al 33,5% dell’indennità di parlamentare mensile (che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, ammonta a € 7.244). Per ogni anno in più, fino al 20esimo anno di appartenenza, l’ammontare dell’indennità di anzianità aumenta del 3,825%.

Il Landtag della Baviera è composto da 180 deputati. Per il 2015 la spesa prevista per le pensioni è di € 14.541.000(11) .

  1. Membri del Consiglio regionale del Baden-Wüttenberg

Ai sensi del § 10 della Legge sullo status giuridico dei deputati del Landtag del Baden- Württemberg (Gesetz über die Rechtsverhältnisse der Mitglieder des Landtags (Abgeordnetengesetz – AbgG) del 12 settembre 1978, un membro del Parlamento regionale, che ne abbia fatto parte per almeno un anno, ha diritto ad un’indennità di fine mandato (pari all’indennità parlamentare mensile che ammonta a € 6.462) (§ 5) per un minimo di tre mesi. L’indennità di fine mandato è corrisposta nella misura di una mensilità per ogni ulteriore anno di appartenenza, fino ad un massimo di due anni. Ai fini del calcolo, un’appartenenza superiore a sei mesi vale come un intero anno.

Al fine di finanziare l’indennità di anzianità, i membri del Parlamento regionale ricevono un contributo aggiuntivo mensile (Vorsorgebeitrag) di € 1.585 eu ro, che va ad aggiungersi all’indennità parlamentare di € 6.462 (§ 5). Tale contributo non è versato ai deputati del Landtag che siano membri del Governo regionale o segretari di Stato.

Il Parlamento del Baden-Württemberg è composto da 138 deputati. Per il 2015 la spesa per l’indennità di anzianità per gli ex membri del Landtag ammonta a € 1.897.700(12) .

Regno Unito

Il regime pensionistico applicabile ai membri del parlamento nazionale e ai componenti delle assemblee legislative istituite nelle tre maggiori componenti territoriali del Regno Unito (Scozia, Galles e Irlanda del Nord) presentano profili sostanzialmente omogenei.

  1. Membri della House of Commons

Alla Camera dei Comuni, le prestazioni previdenziali per gli ex membri sono poste a carico della separata gestione del Parliamentary Contributory Pensions Fund (PCPF, ora MPs’ Pension Scheme). Il fondo è amministrato, con il supporto segretariale fornito da rappresentanti dell’amministrazione parlamentare, da gestori fiduciari (trustees) nominati dall’IPSA (Independent Parliamentary Standards Authority, autorità indipendente preposta dal 2009 alla determinazione e all’erogazione delle indennità parlamentari, delle pensioni e dei rimborsi ai membri del parlamento) e dal Minister of Civil Service (poiché accedono ai trattamenti del fondo anche i titolari di cariche pubbliche e di governo).

In base a dati riferiti all’anno finanziario 2012-2013, il fondo ha effettuato prestazioni previdenziali per un ammontare di 21.641.000 sterline. Nello stesso periodo, i parlamentari hanno versato contribuiti in misura variabile dal 7,75% al 13,75% della loro indennità a seconda del tasso di incremento concordato, e il Tesoro ha contribuito in misura del 29 % dell’indennità pensionabile. Il fondo patrimoniale del PCPF è stato di 523.500.000 sterline al 31 marzo 2013.

Lo schema pensionistico vigente alla Camera dei Comuni (qui rilevante per le regole specificamente concernenti il Benefits Scheme) è stato oggetto di recenti modifiche, adottate a seguito di una consultazione pubblica (ed entrate in vigore l’8 maggio 2015) per renderne omogenea la disciplina della previdenza pubblica.

La prestazione erogata, a carattere vitalizio, è tipologicamente conforme al modello, di comune applicazione nel settore del lavoro dipendente, che fa riferimento alla media rivalutata delle retribuzioni percepite durante l’attività lavorativa (Career Average Revalued Earning), e non più – come in precedenza – sull’ultima retribuzione percepita. La pensione (cosiddetta “defined benefit pension”) è pertanto determinata sulla base del reddito pensionabile computato per ogni anno di attività, di volta in volta rivalutato secondo gli indici dell’inflazione (revaluation increase).

Volendone richiamare gli aspetti essenziali, si segnala che il contributo individuale corrisponde, di norma, all’11,09% degli emolumenti pensionabili (pensionable salary) a fronte del quale è attribuito all’interessato un credito pensionistico pari a 1/51 di tale reddito, costituito dall’indennità parlamentare di base nonché dall’indennità aggiuntiva eventualmente corrisposta per le cariche ricoperte all’interno della Camera.

Il partecipante al fondo acquisisce titolo all’erogazione pensionistica quando abbia cessato di essere membro della Camera dei Comuni, non si sia candidato a successive elezioni politiche e abbia raggiunto l’età di pensionamento (normal retirement date, ovvero 65 anni), oppure abbia requisiti minimi di età (minimum retirement age, 55 anni) o versi in particolari condizioni di salute; in queste ipotesi, l’accesso anticipato al trattamento comporta progressive riduzioni del suo importo.

In altri casi, il pensionamento anticipato (early retirement age) rappresenta una fattispecie residuale, poiché esso è consentito - con abbattimenti proporzionali della pensione corrisposta – agli ex membri della Camera (oppure del Parlamento Europeo o di una delle tre assemblee legislative regionali) e ai titolari di cariche pubbliche (office holder) i quali, tra il 1991 e il 2004, abbiano maturato in servizio almeno quindici anni di versamenti contributivi.

Il trattamento pensionistico, su richiesta dell’interessato formulata precedentemente alla sua prima erogazione periodica, può avere luogo parzialmente in un’unica soluzione (lump sum), con importo calcolato sulla prestazione corrisposta annualmente e contestuale riduzione dei ratei (per ogni 12 sterline corrisposte in unico pagamento, ciascun rateo pensionistico è ridotto in misura di una sterlina).

In caso di morte del partecipante al fondo pensionistico, il fondo medesimo somministra benefici assicurativi e previdenziali ai familiari del dante cause o alle persone da lui designate, la cui natura ed entità variano a seconda del momento del decesso (durante il mandato oppure successivo alla cessazione della carica, e, nella seconda ipotesi, in costanza o meno di trattamento pensionistico). La misura della pensione di reversibilità riconosciuta al coniuge o partner superstite o ad altri beneficiari è determinata con diversi criteri di calcolo: essa è variabile, in linea generale, dall’80% del trattamento dovuto al dante causa, riconosciuto in presenza di figli, al 37,5% del trattamento medesimo, con riduzioni progressive del 2,5% per ogni anno di differenza di età – eccedente i dodici anni - tra quest’ultimo e il beneficiario più giovane, e con il limite massimo di decurtazione pari al 50% della pensione.

Mette conto segnalare, per completezza (benché non costituisca un istituto previdenziale) che, al momento della cessazione della carica e di mancata rielezione, l’ex membro della Camera dei Comuni percepisce una tantum una “indennità di reinserimento” (resettlement payment). Per il futuro, il relativo importo ammonterà a due volte l’indennità di licenziamento stabilita dalla legge (statutory redundancy pay), ovvero ad una somma che, per i deputati, può stimarsi nella misura di circa 15.000 sterline. Questo è l’approdo di iniziative riformatrici gradualmente adottate dalla summenzionata Independent Parliamentary Standards Authority (IPSA): infatti, all’inizio della legislatura corrente tale indennità ammontava ad una mensilità per ogni anno di mandato parlamentare fino a un massimo di sei mesi, mentre ancor prima essa era corrisposta a tutti gli ex membri – anche al momento del loro pensionamento -, in misura pari alla remunerazione di un anno moltiplicata per gli anni di esercizio del mandato parlamentare.

Inoltre, al deputato non rieletto è conferita una somma per le spese di chiusura (winding up) concernenti i propri uffici e collaboratori, previa documentazione delle spese. Questa erogazione (come si è premurata di precisare la stessa IPSA in un comunicato pubblicato sul suo sito l’11 maggio 2015) non rappresenta un beneficio individuale di spettanza dell’ex parlamentare e da questi discrezionalmente utilizzabile, bensì il contributo che gli è riconosciuto per le documentate spese finali riferite alla conclusione del mandato esercitato.

  1. Membri delle assemblee legislative di Scozia, Galles e Irlanda del Nord

Il Parlamento scozzese e le altre assemblee legislative a carattere regionale (National Assembly for Wales, Northern Ireland Assembly), istituiti a partire dal 1998 nel quadro del processo di devolution che ha caratterizzato l’evoluzione istituzionale del Regno Unito, disciplinano in autonomia il regime pensionistico dei propri membri. La relativa disciplina non si discosta, nelle linee fondamentali, da quella vigente per i membri della Camera dei Comuni, eccettuati taluni aspetti collegati alla possibilità, per i membri di queste Assemblee regionali, di essere membri anche della Camera dei Comuni oppure del Parlamento europeo (con conseguente non sovrapponibilità dei periodi contributivi). Elemento comune degli schemi pensionistici da queste adottati è l’erogazione del relativo trattamento in forma vitalizia e su base annuale, attraverso ratei mensili che solo in parte possono essere commutati in conferimenti da effettuare in unica soluzione.

In Scozia, il Parlamento ha disciplinato la materia con lo Scottish Parliamentary Pensions Act 2009, con cui è stata innovata la disciplina del fondo previdenziale (Scottish Parliamentary Contributory Pension Fund) riservato ai membri dell’Assemblea e ai titolari di determinate cariche pubbliche. Gli aderenti al fondo conferiscono contributi previdenziali in misura variabile – su opzione degli interessati - da un minimo del 6% a un massimo dell’11% della loro indennità o remunerazione.

L’età di pensionamento è fissata, di norma, a 65 anni; è ammesso l’accesso anticipato alla pensione, con requisito minimo di età di 55 e decurtazione del 4% per ogni anno mancante ai 65. La prestazione previdenziale è sospesa in caso di rielezione del beneficiario o della sua assunzione di cariche pubbliche.

L’entità del trattamento dipende dalla contribuzione e dalla durata di partecipazione al fondo, ma non può superare il limite massimo di due terzi dell’ultima indennità percepita. Su richiesta del beneficiario, può essergli corrisposta in un’unica soluzione una somma pari al 25% della rendita pensionistica di un anno; l’opzione, tuttavia, non incide sul trattamento riconosciuto agli eventuali superstiti a titolo di reversibilità. Il trattamento di reversibilità è corrisposto in misura proporzionale calcolata sulla pensione annuale dovuta al beneficiario, pari, rispettivamente, ai 5/8 in favore del coniuge o partner superstite, e di 3/16 per ciascun figlio a carico (fino a 23 anni di età). Al trattamento previdenziale per i superstiti si saldano benefici di tipo assicurativo, poiché in caso di decesso dell’aderente durante il mandato, il fondo eroga alle persone da lui designate una somma una tantum (death benefit lump sum) pari all’importo più alto tra l’indennità percepita nel precedente quadriennio e l’ammontare dei contributi versati al fondo, con l’aggiunta degli interessi composti.

I membri dell’Assemblea Nazionale del Galles partecipano al fondo pensionistico ad essi dedicato (National Assembly for Wales Members’ Pension Scheme) e usufruiscono del relativo trattamento sulla base della loro contribuzione (che può essere integrata con la ricongiunzione di contributi versati in altri fondi o attraverso versamenti volontari aggiuntivi). Secondo le vigenti regole del fondo, la pensione è percepita dall’avente diritto a 65 anni di età, nella misura massima di due terzi dell’ultima remunerazione. E’ tuttavia possibile accedere al trattamento a 60 anni di età e dopo aver maturato 20 anni di anzianità come membro dell’assemblea (oppure in una diversa combinazione dei requisiti dell’età anagrafica e dell’anzianità di servizio che prevede soglie più alte di età – fino a 64 anni – e corrispondenti riduzioni dell’anzianità di servizio – fino a 16 anni). Ulteriori forme di pensionamento anticipato possono applicarsi, con contestuali riduzioni del trattamento, al compimento dei 55 anni di età (per coloro che hanno aderito al fondo prima del 2006, l’età minima è di 50 anni).

L’erogazione, come già detto, ha luogo attraverso assegni mensili; il beneficiario può tuttavia optare per il conferimento in un’unica soluzione di una somma pari al 25% dell’importo annuale della pensione, con contestuale riduzione dei ratei pensionistici. La somma corrisposta in tal modo (lump sum) è considerata in parte esente dall’imposizione fiscale.

Il beneficio pensionistico non è trasferibile a terzi. In caso di morte del beneficiario, al coniuge superstite (o al partner) è erogato un trattamento di reversibilità pari a 5/8 della pensione dovuta.

L’Assemblea dell’Irlanda del Nord (Norther Ireland Assembly) è abilitata dal Northern Ireland Act 1998 (art. 48) a disciplinare il regime pensionistico per i propri membri (i quali possono contemporaneamente essere membri della Camera dei Comuni oppure del parlamento Europeo).

Il relativo trattamento è erogato dal fondo (Assembly Members’ pension Scheme) costituito per i membri dell’Assemblea, la cui operatività ha risentito degli effetti dei periodi di sospensione dell’Assemblea intervenuti (in presenza delle particolari condizioni stabilite dalla legge istitutiva) durante il processo di pace faticosamente perseguito nella regione.

Il contributo previdenziale dovuto dall’aderente oscilla, a seconda dell’anno di adesione al fondo e di sue particolari opzioni, da un minimo del 6% a un massimo del 12,5% dell’indennità che gli è corrisposta. L’entità del trattamento è determinata in base all’articolata combinazione di coefficienti di calcolo che fanno riferimento all’ultima remunerazione percepita, nella misura, rispettivamente, di 1/50 e di 1/40 del relativo ammontare moltiplicato per il numero di anni di servizio validi a pensione. L’erogazione, anche nel caso nord-irlandese, può avere luogo, su istanza degli interessati (con meno di 75 anni), parzialmente in un’unica soluzione a valere sul trattamento previdenziale annuale, con riduzione corrispondente dei ratei.

Spagna

  1. Membri del Congreso de los diputados

I membri del Congreso de los Diputados non hanno generalmente diritto a trattamento pensionistico, se non in casi limitati.

La spesa pensionistica del Parlamento spagnolo in favore degli ex parlamentari ammonta a € 1.284.954,96. Il dato si riferisce alle pensioni percepite complessivamente sia dagli ex deputati che dagli ex senatori ed è ricavato da un calcolo redazionale effettuato sulla base degli importi mensili corrisposti a ciascuno dei 104 ex parlamentari (deputati e senatori) aventi diritto, il cui elenco è contenuto nel documento “Pensiones parlamentarias” (31 luglio 2015). Gli importi attuali variano da un minimo di € 14,73 a un massimo di € 2.987,69 mensili. Si veda anche il Reglamento de pensiones parlamentarias y otras prestaciones económicas a favor de los ex-parlamentarios (2006), modificato da ultimo nel luglio 2011.

Per quanto riguarda le indennità di fine mandato, esiste una indemnización por cese, equivalente a una mensilità dell’assegnazione costituzionale per ciascun anno di mandato parlamentare o frazione superiore ai sei mesi e fino a un limite di ventiquattro mensilità. L’importo dell’assegnazione costituzionale per il 2015 è di € 2813,87. Al 31 agosto 2015 vi è un solo ex parlamentare che beneficia di tale indennità.

  1. Membri dei Parlamenti delle Comunità autonome

Per quanto concerne il profilo delle autonomie regionali, si tenga presente che la Spagna ha 17 Comunità autonome(13) , i cui organi sono dettagliatamente regolati dai relativi Statuti di autonomia. Gli organi rappresentativi delle Comunità autonome(14) hanno denominazione differenti (ad esempio: Parlamento de Andalucía, Parlamento de Cataluña, Asamblea de Madrid, Cortes de Castilla-La Mancha), i loro componenti variano dai 33 deputati di Castiglia-La Mancia e di La Rioja fino ai 135 deputati del Parlamento catalano(15) .

Per i profili legati alle varie indennità dei deputati delle singole Assemblee vi è quindi una situazione molto variabile.

In Andalusia i deputati del Parlamento al cessare della funzione hanno diritto, su richiesta dell’interessato, a un’assegnazione economica temporanea (asignación económica temporal) di una mensilità delle proprie retribuzioni fisse e periodiche per ogni anno di esercizio del mandato, da un minimo di tre fino a un massimo di dodici(16) .

Nella Comunità della Murcia i membri dell’Assemblea regionale hanno diritto a un’indennità di fine mandato (indemnización por cese)(17) . I membri dell’Assemblea che abbiano ricoperto la carica senza svolgere altre attività (régimen de dedicación exclusiva) per un periodo di almeno due anni e che perdano la condizione di deputato per fine del mandato o scioglimento della Camera o rinuncia, hanno diritto, previa richiesta, a tale indennità. La quantificazione corrisponde a un’indennità di 30 giorni dell’assegnazione stabilita per i deputati, per ogni anno di esercizio della carica senza aver svolto altre attività e fino a un limite massimo di 12 mensilità. L’indennità di fine mandato è incompatibile con qualsiasi retribuzione a carico del bilancio delle pubbliche amministrazioni, di enti, organismi o imprese da esse dipendenti, o a carico degli organi costituzionali nonché con qualsiasi retribuzione proveniente da attività privata. Essa è altresì incompatibile con la pensione o con il sussidio di disoccupazione.

Per quanto concerne il profilo pensionistico, non è prevista in linea generale la concessione di pensioni ai membri delle Assemblee delle Comunità in quanto tali, se non con qualche limitata eccezione. Ad esempio, in alcune Comunità tale possibilità è concessa solo agli organi di vertice, quali gli ex Presidenti della Comunità, sebbene sempre più raramente. Si cita il caso della Catalogna, in cui gli ex Presidenti all’età di 65 anni hanno diritto a percepire una pensione vitalizia (pensión vitalicia) consistente in un’assegnazione mensile pari al 60% della retribuzione mensile corrispondente dall’esercizio della carica di Presidente della Comunità (art. 3 della Ley 6/2003, de 22 de abril, del Estatuto de los ex presidentes de la Generalidad).

Sono altresì possibili per i membri delle Assemblee regionali, in diverse Comunità, dei piani di previdenza complementare a carico del bilancio dell’Assemblea, in base ad apposita convenzione sottoscritta tra il Parlamento autonomico e l’Amministrazione della Sicurezza sociale(18) .

SERVIZIO BIBLIOTECA - Ufficio Legislazione Straniera

tel. 06/6760. 2278 – 3242 ; mail: LS_segreteria@camera.it


9) Fonte: AN, Règlement des comptes de l’excercice 2013. Rapport du Collège des questeurs à la Commission spéciale chargée de vérifier et d’apurer les comptes”, p. 82

10) Fonte: Legge sul bilancio federale per il 2015, Einzelplan 02, Kap. 0201, par. 411 12 -011 (p. 9 del Piano).

11) Fonte: Legge sul bilancio regionale 2015 -2016, Einzelplan 01, Kapitel 01 02, Titel 411 61-3 (p. 22). Per il 2016 la spesa prevista è di € 14.325.000.

12) Fonte: Legge sul bilancio regionale 2015 -2016, Kapitel 0101, Titel 41101. Per il 2016 si prevede una spesa di € 1.975.100.

13) Le Comunità autonome spagnole sono: Andalusia, Aragona, Asturie, Isole Baleari, Canarie, Cantabria, Castiglia-La Mancia, Castiglia e León, Catalogna, Comunità Valenciana, Estremadura, Galizia, La Rioja, Comunità di Madrid, Regione di Murcia, Navarra e Paesi Baschi. Vi sono inoltre le città autonome di Ceuta e di Melilla.

14) Anche le due città autonome hanno dei propri organi rappresentativi.

15) Per uno sguardo d’insieme si veda la pagina di Wikipedia (es) “Parlamento autonómico de España”.

16) Si veda il documento “Régimen económico y ayudas de los Diputados 2015”.

17) Si veda la pagina “Régimen Económico”.

18) Si veda anche il Real Decreto 705/1999, de 30 de abril, por el que se modifica la regulación relativa a la suscripción del convenio especial con la Administración de la Seguridad Social por los Parlamentos de las Comunidades Autónomas en favor de sus miembros.