Onorevoli Senatori. -- Il disegno di legge che si sottopone all'attenzione del Parlamento si prefigge di dare attuazione all'articolo 49 della Costituzione, nel modo il più possibile rispettoso della libertà di associazione dei cittadini e dell'autonomia dei partiti stessi.

Il tema della disciplina giuridica dei partiti politici venne affrontato dai Costituenti già nella I sottocommissione, dove, il 20 novembre 1946, fu approvato un ordine del giorno proposto da Dossetti che faceva riferimento alla necessità di affermare il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici. Costantino Mortati, nella seduta dell'Assemblea del 22 maggio 1947, propose, con il collega Ruggiero, un emendamento, poi respinto, che recitava: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale» (La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, Camera dei deputati, III, Roma, 1970, p. 4159). In quella stessa seduta Moro, intervenendo a favore dell'emendamento Mortati, sostenne la proposta di costituzionalizzare il vincolo democratico interno, sulla base della considerazione che «se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell'ambito della vita politica del Paese» (La Costituzione..., cit., p. 4164). I Costituenti erano d'accordo nel riconoscere il ruolo fondamentale dei partiti ma divisi sul fatto di sottoporli a regole e verifiche sulla loro vita interna. Sulle decisioni dei nostri Costituenti pesò indubbiamente il clima politico di quegli anni con l'inizio della guerra fredda e la rottura intervenuta tra i partiti che avevano dato vita al Comitato di liberazione nazionale (CLN), con l'esclusione del Partito comunista italiano (PCI) e del Partito socialista italiano (PSI) dal governo. Alla fine la democraticità del sistema apparve meglio tutelata dalla «lacuna della legge» piuttosto che da una integrale attuazione legislativa dell'articolo 49 della Costituzione, aprendo ad una concezione «privatistica» del partito politico.

La regolamentazione giuridica del partito politico è ancora un tema di attualità perché il ruolo che la Costituzione gli affida è rimasto fondamentalmente inalterato dal dopoguerra ad oggi nonostante nel tempo siano mutate profondamente le forme e i modi di partecipazione dei cittadini alla vita politica. Dallo scandalo di «tangentopoli», all'inizio degli anni '90, nell'ultimo ventennio è cresciuto nell'opinione pubblica un sentimento di diffidenza e di ostilità nei confronti dei partiti tradizionali che ha allontanato gli elettori dalle urne e dalle forme classiche di partecipazione alla attività politica. La sfiducia montante nei confronti dei partiti e della classe politica è un fenomeno che interessa non solo l'Italia ma tutte le democrazie moderne, ed ha favorito l'emergere di movimenti populisti, diversi tra loro, ma quasi tutti caratterizzati da una forte connotazione antipartitica.

La crisi profonda che attraversa il rapporto tra società e politica non ha fatto venire meno la funzione principale che svolgono i partiti nei sistemi democratici: promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita della comunità. Se gli eventi degli ultimi anni hanno messo in discussione il partito come modello unico di partecipazione alla democrazia, non sono comunque emerse alternative sostenibili, anzi molto spesso quei movimenti e quelle liste civiche che si proponevano come alternativa si sono rivelati afflitti dagli stessi fenomeni degenerativi che caratterizzano quei partiti tradizionali tanto contestati.

I partiti politici restano lo strumento principe di cui dispongono i cittadini per concorrere a determinare la politica del Paese. «Solo l'illusione o l'ipocrisia può credere che la democrazia sia possibile senza i partiti politici» (Kelsen).

Caduto il Muro di Berlino e venuta meno la conventio ad excludendum, è la questione morale a spingere a favore di una disciplina che renda più trasparente e regolare la vita interna delle forze politiche, «una nuova cultura della legalità esige, insieme alla questione morale, che i partiti appaiano e siano sub legge» (L. Elia, Per una legge sui partiti, in Studi in memoria di Franco Piga, Giuffré, Milano, 1992, I, p. 411).

Con approvazione della nuova legge elettorale, l'«Italicum», il tema della regolazione giuridica dei partiti torna di attualità, dal momento che non sono più le coalizioni i soggetti elettorali decisivi del sistema, ma i singoli partiti. Partiti che non sono più quei partiti di massa che hanno scritto la nostra Costituzione ma sempre di più, per usare un'espressione entrata a far parte del lessico quotidiano, «partiti personali» (M. Calise, La democrazia del leader, il Mulino, n. 2/2015). Nei partiti in cui si realizza una personalizzazione della leadership, a questa deve corrispondere necessariamente una democratizzazione della loro vita interna. Questo processo è vitale per la qualità della democrazia a tal punto da meritare una disciplina di tipo pubblicistico. I partiti che intendono candidarsi alla guida del Paese dovranno farlo dando prova di essere democratici e trasparenti, innanzitutto nella loro vita interna. Dovranno essere disciplinate le procedure di ammissione e di espulsione dal partito, l'ambito di applicazione della regola maggioritaria e la tutela delle minoranze, le modalità di selezione delle candidature alle cariche pubbliche e, in particolare, le modalità di scelta del leader. Un premio dato alla lista significa un premio dato al leader di questo partito, il quale deve avere gli strumenti statutari non solo per sceglierlo ma per cambiarlo se necessario.

Sono queste le ragioni che giustificano una legge statale, cornice sulla democrazia «interna» nei partiti politici, ovvero sulle loro attività che più direttamente si ricolleghino alla formazione degli organi rappresentativi della Repubblica (L. Elia, op. cit. p. 408). Se la partecipazione alle elezioni è ritenuta un elemento necessario dell'operare dei partiti nel nostro ordinamento costituzionale, è evidente che l'intervento nella competizione elettorale non è sufficiente ad esaurire la funzione attribuita dalla Costituzione all'attività partitica.

Con questo disegno di legge, nel dare attuazione all'articolo 49 della Costituzione, attraverso il riconoscimento della personalità giuridica ai partiti che scelgono liberamente di agire con metodo democratico come è ormai regolamentato dalle norme vigenti (decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio, 2014, n. 13) non si escludono dal gioco politico coloro che, nel rispetto della libertà di associazione, scelgano altre forme organizzative, costituzionalmente garantite.

In questo quadro assume particolare rilievo il rapporto tra l'articolo 49 e il diritto di associazione sancito dall’articolo 18 della Costituzione. Secondo la dottrina prevalente, il diritto di associarsi in partiti politici si configura come un'espressione particolare del più generale diritto dei cittadini di associarsi liberamente; pertanto, i limiti al diritto di associazione contenuti nell'articolo 18 (proibizione delle associazioni segrete, di carattere militare o per fini vietati dalla legge penale) sono applicabili anche ai partiti politici e non sarebbero ammissibili da parte della legge ordinaria ulteriori limitazioni oltre a quelle indicate tassativamente dalla Costituzione. Così come non sarebbe neanche possibile introdurre alcuna forma di autorizzazione, dal momento che il primo comma dell'articolo 18 prevede che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, «senza autorizzazione».

Allo stato attuale nel nostro ordinamento i partiti sono «enti di fatto, non riconosciuti». Con l'acquisizione della personalità giuridica sarebbe assicurata una maggiore trasparenza e democraticità, attraverso una più adeguata valutazione della attività interna, nell'interesse innanzitutto degli iscritti.

Quali sono le principali differenze tra i cosiddetti «enti riconosciuti» (associazioni, fondazioni e società) e gli «enti di fatto»?

Una primissima differenza percepibile in termini formali tra enti dotati di personalità giuridica ed enti non riconosciuti risiede nella diversa partizione scelta dal codice civile: il titolo II del libro I del codice civile è infatti suddiviso in vari capi, dei quali i primi due dedicati alle persone giuridiche, mentre il capo III, assai scarno, è dedicato alle associazioni non riconosciute e ai comitati (articoli da 36 a 42). Alla diversa partizione del codice corrispondono regimi piuttosto differenti.

Sicuramente una delle differenze più vistose consiste nel fatto che un ente diviene persona giuridica solo attraverso il riconoscimento formale, per atto pubblico, da parte dell'ordinamento statale. In questo senso, la dottrina giuridica è abbastanza concorde nel ritenere che il riconoscimento dell'autorità amministrativa abbia valore costitutivo, e non meramente dichiarativo, della personalità giuridica. Tale riconoscimento può avvenire in modi diversi, a seconda dello scopo perseguito dall'ente: il riconoscimento può avere infatti la natura di provvedimento concessorio (come nel caso degli enti senza scopo di lucro) ovvero di provvedimento normativo (come nel caso delle società di capitali). In ogni caso deve esservi un provvedimento dell'autorità amministrativa con cui avviene il riconoscimento. Fino al 2000, ai sensi dell'articolo 12 del codice civile esso avveniva con decreto del Presidente della Repubblica. Con il decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, si è previsto che il riconoscimento avvenga mediante iscrizione in un apposito registro istituito presso le prefetture. Va altresì segnalato che poiché il riconoscimento avviene sulla base dell'atto costitutivo e dello statuto, qualsiasi loro modificazione successiva deve essere approvata dall'autorità nelle stesse forme che il decreto del Presidente della Repubblica. n. 361 del 2000 ha previsto per la loro costituzione. Ai sensi dell'articolo 1, commi 3 e 4, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica: «Ai fini del riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell'ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo. La consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda». Pertanto al riconoscimento -- elemento formale necessario per l'attribuzione della personalità giuridica -- sono connaturati una serie di controlli di legittimità, e talvolta anche di merito, che possono essere svolti dall'autorità amministrativa, o come vedremo, anche da quella giurisdizionale.

Diverso è il sistema di pubblicità. Una volta acquisita la personalità giuridica, l'articolo 33 del codice civile già prevedeva che associazioni e fondazioni siano iscritte in un pubblico registro e che la mancata registrazione determini la responsabilità personale degli amministratori per le obbligazioni dell'ente.

Diverso è anche il sistema di controlli conseguente al riconoscimento. Ai sensi dell'articolo 23 del codice civile le deliberazioni dell'assemblea dell'ente riconosciuto, contrarie alla legge, allo statuto o all'atto costitutivo, possono essere annullate su istanza dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero. Forse questo è uno dei controlli più incisivi che possono essere esercitati dall'autorità giurisdizionale a fronte del riconoscimento. È lo stesso pubblico ministero che di propria iniziativa può impugnare un atto assembleare che ritenga contrario alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto. Ai sensi poi dell'articolo 23, ultimo comma, del codice civile, l'autorità governativa può sospendere l'esecuzione delle delibere contrarie all'ordine pubblico o al buon costume.

Una delle differenze sostanziali più rilevanti tra enti con e senza personalità giuridica concerne la cosidetta «autonomia patrimoniale perfetta». Negli enti riconosciuti il grado di autonomia del patrimonio dell'ente rispetto a quello dei suoi membri è massimo, e si ravvisa una completa distinzione tra il patrimonio sociale e il patrimonio degli associati. In tal senso per il singolo individuo è più conveniente essere membro di un ente dotato di personalità giuridica, perché dal punto di vista economico non si rischia se non per la parte di capitale apportato all'ente, rimanendo il patrimonio personale del tutto estraneo. Tuttavia, a fronte dei vantaggi derivanti dall'autonomia patrimoniale perfetta, la legge richiede una serie di adempimenti, dalla tenuta dei libri contabili, ad oneri di pubblicità, alla formazione del bilancio.

Come abbiamo visto gli enti riconosciuti senza scopo di lucro (associazioni e fondazioni) sono sottoposti a un penetrante controllo sia ad opera dell'autorità amministrativa, sia ad opera dell'autorità giurisdizionale (F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, XVIºed., 2013). Essi si distinguono dagli enti non riconosciuti proprio per il sistema di pubblicità, la tenuta delle scritture contabili, i controlli volti ad assicurare la correttezza della gestione, il concreto perseguimento di uno scopo altruistico (laddove non ci sia scopo di lucro).

Nulla di tutto ciò avviene per gli enti non riconosciuti, che non sono soggetti ad alcun controllo, né in sede di costituzione, né successivamente, durante la loro vita, salvo che per alcune regole generali dell'ordinamento relative a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni sono rimesse agli accordi tra gli associati (articolo 36 del codice civile) che possono disciplinare anche l'estinzione, la devoluzione e la liquidazione dell'ente.

Se fino a poco tempo fa i partiti erano certamente ascrivibili alla categoria degli enti non riconosciuti, alla luce di tutte le differenze sopra prospettate oggi essi sembrano difettare più dell'elemento formale del riconoscimento della personalità giuridica, che non di tutta una serie di requisiti sostanziali, tipici degli enti dotati di tale personalità.

A partire, infatti, dal decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante, «abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, la disciplina dei partiti è profondamente mutata: sono state introdotte nuove regole per assicurare standard minimi di democraticità interna, trasparenza e controllo sulle spese dei partiti.

I partiti che intendano avvalersi dei benefici previsti dal decreto-legge (detrazioni per le erogazioni liberali e destinazione del 2 per mille dell’IRPEF) sono tenuti a dotarsi di uno statuto redatto nella forma dell'atto pubblico, che deve avere un contenuto minimo indicato dal decreto stesso come, ad esempio: il simbolo, l'indirizzo della sede legale nel territorio dello Stato, il numero, l'attribuzione e la composizione degli organi deliberativi esecutivi e di controllo; i diritti e i doveri degli iscritti; le modalità di selezione delle candidature; le misure disciplinari adottabili; la promozione della presenza delle minoranze negli organi collegiali esecutivi e della parità tra i sessi; le regole che assicurano la trasparenza, con particolare riguardo alla gestione economico-finanziaria. I partiti dovranno, altresì, rispettare alcuni requisiti minimi idonei a garantire la trasparenza, come ad esempio la trasmissione dello statuto alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, per verificare la presenza all'interno dello stesso statuto degli elementi che ne garantiscano la conformità ai princìpi di democrazia interna e trasparenza. Solo dopo tale verifica sarà possibile procedere alla registrazione nel registro nazionale dei partiti politici, consultabile pubblicamente via internet. Qualora lo statuto non sia ritenuto conforme alle disposizioni, la Commissione invita il partito ad apportare le modifiche necessarie e, qualora le modifiche apportate non siano conformi alla legge, può negare, con provvedimento motivato, l'iscrizione al registro.

I partiti sono stati progressivamente sottoposti dal legislatore a controlli assai più penetranti di quelli previsti nei confronti dei meri enti non riconosciuti, anche se tali controlli non sono ancora equiparabili a quelli previsti dal nostro ordinamento giuridico per gli enti dotati di personalità giuridica, come il potere di impugnazione del pubblico ministero previsto dall'articolo 23 del codice civile nei confronti delle delibere assembleari degli enti riconosciuti.

È nostra intenzione favorire, per chi vuole percorrere questa strada, la promozione di partiti che promuovano realmente la partecipazione democratica, riconoscendo e tutelando i diritti dei loro aderenti, eventualmente anche prevedendo forme e modalità differenziate di adesione.

Un'opzione, questa, che ovviamente tenga conto dei mutamenti sociali e delle nuove forme di aggregazione ma che sia al contempo un'alternativa ai partiti «di plastica» o ai movimenti populistici con leadership personalistiche. Nessuna nostalgia per il passato, dunque, ma la ricerca di nuovi strumenti per favorire il ritorno alla partecipazione anche attraverso le primarie, le consultazioni on line, i referendum tematici, con partiti che diventino finalmente «case di vetro», attraverso statuti che garantiscano efficacemente la democrazia interna dei partiti.

«L'esercizio dei diritti dei cittadini, l'adempimento dei loro doveri e i caratteri democratici del sistema possono essere garantiti solo se la lotta politica e l'esercizio del potere politico si svolgono all'interno dei confini della Costituzione.

E quindi solo se i partiti, soggetti di quella lotta e titolari di quel potere, si muovono nello spirito della Costituzione» (L. Violante).

L'iscrizione nel registro di cui al decreto-legge n. 149 del 2013 determina l'acquisizione della personalità giuridica e conseguentemente, per quanto non espressamente previsto dal presente disegno di legge, si applicheranno ai partiti politici le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti per le associazioni dotate di personalità giuridica, contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361.

Analogamente a quello che avviene per le società commerciali, che acquistano la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese, abbiamo ritenuto opportuno sottrarre i partiti politici all'autorità dei prefetti, attribuendo tale autorità, come è più logico, alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, prevista dalla legge 6 luglio 2012, n. 96 (articolo 9, comma 3). La Commissione è composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente della Corte di cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei conti; tutti i componenti sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata. La Commissione è nominata, sulla base delle designazioni così effettuate, con atto congiunto dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

L'acquisizione della personalità giuridica costituisce condizione per la presentazione delle candidature e delle liste di candidati per l'elezione alla Camera dei deputati, come è oggi disciplinata a seguito dell’approvazione del cosiddetto «Italicum» (legge 6 maggio 2015, n. 52) e, lo ripetiamo, per l'accesso ai benefici previsti dal decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13.

Infine è prevista una delega al Governo per la redazione di un testo unico nel quale, con le sole modificazioni necessarie al coordinamento normativo, sono riunite le disposizioni del decreto-legge n. 149 del 2013 e le altre disposizioni legislative vigenti in materia di partiti politici. Una delega analoga era già stata prevista dalla legge 6 luglio 2012, n. 96, ma non era mai stata esercitata dal Governo. La necessità di riproporla deriva dal fatto che nel nostro ordinamento sono ancora vigenti disposizioni in materia che risalgono addirittura alla legge 2 maggio 1974, n. 195, sopravvissuta in parte al referendum abrogativo del 1993. Negli ultimi decenni si è continuato a legiferare in materia producendo una stratificazione di norme tra le quali anche per gli addetti ai lavori è sempre più difficile districarsi. Da qui la necessità di raccogliere in un testo unico le norme concernenti: la disciplina dell'attività politica e lo svolgimento delle campagne elettorali, anche in relazione alla regolamentazione della comunicazione politica; le agevolazioni in favore di candidati alle elezioni, di partiti, movimenti politici e gruppi politici organizzati e la rendicontazione delle spese sostenute in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie; l'attività di controllo e la disciplina sanzionatoria.