Il Presidente: Articoli

«Il premier? Lo vorrei donna»

Intervista al quotidiano "La Stampa".

20 Novembre 2006

di Fabio Martini

Per ora, nei primi sei mesi da Presidente, Franco Marini è riuscito a restare anche simbolicamente sullo scranno più alto. Dalla Casa delle libertà nessuno lo ha accusato di parzialità, ma la scarica polemica che ha investito i senatori a vita lo costringe a dismettere i panni del bipartisan a tutti i costi: «Questa polemica - dice il presidente del Senato - vorrei metterla su un binario di razionalità. E' la Costituzione che dà tre vie di accesso alla composizione del Senato e non fa il minimo cenno a ruoli diversificati tra il senatore eletto, chi è nominato a vita dal Capo dello Stato o chi è un ex Presidente della Repubblica. Per me quindi ci sono i senatori e basta. Posso capire un certo nervosismo, ma questa polemica è priva di motivazioni e anche ingiusta».

Ma, se un domani il voto dei senatori a vita divenisse determinante in modo permanente, si aprirebbe un problema politico?
«Su questo punto sono rigido: non si può sottilizzare sulla Costituzione. Non è giusto condizionare o rimproverare i senatori a vita. I senatori hanno gli stessi diritti».

Lei si è proposto la missione di far dialogare i Poli. Lo ammetta: una missione impossibile?
«Trovo incomprensibile non vedere la necessità di uno sforzo per aggiornare il sistema istituzionale italiano. Io credo che, in uno sforzo unitario di tutto il Parlamento, occorra intervenire su tre questioni: legge elettorale, federalismo, efficienza della Pubblica amministrazione. E se i due Poli si pongono obiettivi comuni su due, tre grandi questioni vitali per il Paese, questo non sconvolge la dialettica del bipolarismo».

Ma una legge elettorale approvata celermente non porterebbe allo scioglimento anticipato delle Camere?
«Io questo lo capisco. A me non interessa che si decida domattina, l'importante è decidere sin da oggi di cambiarla, quella legge. Il cittadino è messo fuori della porta e questo è pericoloso per la democrazia. Parliamone assieme. Perché non si può tornare a votare una legge che è un mostro».

Lei rilancia il federalismo fiscale proprio ora che si riapre un dialogo con la Lega. Ci risiamo: per lei assecondare il Carroccio è un altro modo per assumere un ruolo centrale?
«Non voglio fare il presuntuoso, ma ora che è ripreso il discorso sulla validità di una riforma che introduca il federalismo fiscale, mi limito a richiamare il testo di una mia intervista proprio a "La Stampa" del luglio scorso. Resto convinto che serva una riforma in grado di conferire autonomia ai territori nel gestire le proprie risorse, mantenendo al tempo stesso una forte coesione con le aree più deboli del Paese».

Ma il federalismo fiscale intacca il principio di solidarietà, uno dei collanti politici del centrosinistra: di fatto, una riforma impossibile?
«Dopo il referendum del giugno scorso, che bocciò la riforma introdotta dalla Cdl, nessuno pensa ad un federalismo che penalizzi le regioni più povere. Bisogna trovare un intreccio che non intacchi la coesione. E non basta: se vogliamo agganciare la ripresa europea, una necessità è quella posta con forza inusitata da Luca Cordero di Montezemolo alla assemblea di primavera della Confindustria: l'efficienza della struttura pubblica, centrale e periferica».

Ammetterà il sospetto: lei cuce perché non dispera di guidare un governo di larghe intese nel caso in cui Prodi cadesse. Perché negare?
«Mi cascano le braccia quando si fa questa obiezione. Le darò una risposta impegnativa: io spero che questo governo possa durare tutta la legislatura, ma se un domani dovesse accadere qualcosa, avrò il modo di dimostrare che tutte queste fantasie sono totalmente sbagliate».

Proprio al Senato, su ordinamento giudiziario, intercettazioni illegali e discorso del Papa a Ratisbona sono maturate intese bipartisan: l'embrione di un "metodo Marini"?
«No, gli attori sono i Gruppi parlamentari. Certo, da parte mia c'è stata determinazione esplicita nel favorire l'incontro. Pur nello scontro che c'è, in quei tre momenti è prevalso il dato della responsabilità comune, non certo un inciucio».

Il governo ha prodotto una Finanziaria di difficile lettura non solo per i cittadini ma anche per i parlamentari, non trova?
«C'è stato un momento critico che il governo ha dovuto affrontare, per via del condizionamento dei conti pubblici e si avverte nel Paese un'opinione larga di critica. Riconosco che si poteva mostrare da subito più chiarezza di indirizzo politico. Ma nel giudizio complessivo si vedono elementi positivi: un lavoro importante per il rientro entro i parametri europei del debito pubblico; la determinazione sul campo dell'evasione fiscale, che equivale a 6-7 punti di Pil, un fardello non più sostenibile. In ciò ha avuto anche la benedizione spirituale di quel grande personaggio che è il vescovo di Chieti, monsignor Forte, che dice: "Evadere le imposte è un peccato". E per il Sud dà delle certezze - su cuneo fiscale differenziato, lavoro femminile, infrastrutture - che nel passato sono mancate».

Lei ci crede veramente nel Partito democratico?
«Sto seguendo meno quelle vicende, ma debbo dire che sono un convertito del partito democratico. La nascita di un partito riformista può aiutare il consolidamento del bipolarismo e la riduzione della frammentazione politica».

Alle Europee 2009 lei "vede" il Partito democratico o una Federazione Ds-Margherita?
«Io vedo le difficoltà del processo, ma la Federazione non è all'altezza delle scelte rilevanti già fatte. Anche se non credo allo smantellamento delle storie dei partiti».

Al Senato si sta formando la classe dirigente del futuro partito?
«Ho una grande stima per Anna Finocchiaro. Una scelta felice proprio come alla Camera Dario Franceschini. Qui e lì per i gruppi unitari sono state scelte personalità di forte rinnovamento».

Siamo già ad una prima scrematura per le future leadership?
«Certamente. Non voglio fare elenchi, vedo diverse personalità più giovani di me che possono avere un ruolo di direzione».

I socialisti francesi hanno scelto la Royal per la sfida dell'Eliseo. Sia pure per un domani, lei ha qualche riserva su una donna leader?
«Bah, passavo per maschilista. E invece la riterrei una scelta straordinaria per la politica e di riflesso per tutta la società italiana».

Intanto, il suo sì e quello di D'Alema sono stati decisivi per il vero via libera al partito democratico. Sempre voi due?
«Ma no, tra e me e lui c'è una differenza essenziale: io ho 70 anni più qualcosa, lui è un cinquantenne. La svolta nella mia vita c'è stata quando dal numero "6" sono passato al numero "7". Sono cambiato nella mia attitudine: bisogna aiutare i giovani. Qualcuno penserà: Marini fa il furbo. E invece sono convinto che oramai si sta concludendo la mia partita politica di prima linea. E voglio "sganciare" da me D'Alema. Non come amico, ma come età! E lo ringrazio perché non ha mai reagito a questo accostamento».

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