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Marcinelle, cinquant'anni dopo

Testo pubblicato nel volume «Nocera. Où la lampe passe, le mineur doit passer» (edizioni "Archivio Opere Uniche", Roma 2006, Prefazione del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano), catalogo delle opere dedicate alla tragedia di Marcinelle

30 Giugno 2006

La più giovane vittima della tragedia di Marcinelle era un ragazzo di appena quattordici anni. Oggi ne avrebbe sessantaquattro, se quel terribile 8 agosto del 1956 le gallerie a mille metri di profondità non avessero ingoiato duecentosessantadue vite, tra cui la sua.

Centotrentasei erano gli italiani. Sessantasette dell'Abruzzo, la mia terra. Quella strage nei tunnel affollati dal popolo dei "musi neri", così venivano chiamati per la polvere di carbone che copriva i loro volti, sconvolse l'Europa che stentatamente muoveva i primi passi verso l'unità. Ma, soprattutto, si abbatté come un orribile uragano sul nostro Paese. L'Italia stava risorgendo. Voleva rinascere e riscattarsi. Il cammino era lungo e difficile. Tanti, troppi suoi figli erano costretti ad abbandonare terra e famiglia in cerca di lavoro e di futuro all'estero. Molti, come i martiri di Marcinelle (ed i numerosi che negli anni successivi sono morti nelle viscere del Belgio scavando carbone) non tornarono più a casa.

Allora ero giovane, studente all'università. Me lo ricordo quel mercoledì. Faceva molto caldo. Non vi era, a quel tempo, la possibilità di rifugiarsi nelle località di villeggiatura. Si stava a casa, in città o nei paesi, con gli amici: questa era la vacanza e ci bastava. All'improvviso la normalità di un giorno d'estate venne interrotta dall'irrompere, attraverso la radio, della notizia del disastro in miniera. Rammento l'angoscia perché sapevamo tutti che "lassù" lavoravano tanti dei nostri compaesani e decine di migliaia di italiani. Durò diversi giorni perché solo successivamente, il 23 agosto, si ebbe il quadro impressionante della tragedia: dei 275 uomini scesi nei pozzi sono 13 si erano salvati.

Fu una tragedia europea perché, con gli italiani, morirono minatori belgi, polacchi, tedeschi, greci, francesi, ungheresi e poi un inglese, un olandese, un russo ed un ucraino. Ma fu, soprattutto, una tragedia italiana.

E' bene non dimenticare; per noi e per i nostri figli e nipoti. A loro, soprattutto, abbiamo il dovere di rammentare il sacrificio che la Repubblica ha compiuto per progredire nel benessere e nella crescita. Il sacrificio di uomini e donne. Spesso, come nel caso di Marcinelle, quel sacrificio è stato pagato caramente, con la vita. Dobbiamo rammentare quanta strada ha fatto, da allora, la difesa dei diritti dei lavoratori e, insieme, quanta forza ha mostrato il nostro popolo. Allora popolo di emigrati. Oggi popolo che vive una condizione tale da apparire meta ambita e disperatamente cercata da donne e uomini di altri paesi la cui economia e la cui società non consente un presente dignitoso e tantomeno un futuro, un futuro qualsiasi.

Ricordare ci aiuta anche a vincere la tentazione di chiudere le nostre porte, di superare il rischio di cascare nelle fosse maleodoranti del rifiuto dell'altro, del diverso da noi.

E, infine, ci è monito per camminare con determinazione sul sentiero dell'Europa unita, patria comune, terra condivisa perché bagnata dall'acqua della solidarietà, della giustizia, dello sviluppo, della tolleranza.

L'iniziativa dell'Inca - Cgil e l'arte di Antonio Nocera ci sono di grande aiuto su questa strada. Perciò dobbiamo essere loro particolarmente grati.

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