Il Presidente: Interventi in Assemblea e in occasioni istituzionali

Auguri di Natale al Quirinale

Discorso pronunciato al Quirinale in occasione dello scambio di augùri di fine anno con il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

18 Dicembre 2003

Signor Presidente,

Le formulo gli augùri più cordiali per le prossime festività, anche a nome del Presidente della Camera, del Consiglio dei ministri, della Corte costituzionale e di tutti i presenti. E le rinnovo la mia stima personale e il rispetto della sua funzione.

L'occasione è d'obbligo per i bilanci. I temi principali da ricordare di questo 2003 credo che siano la guerra all'Iraq di Saddam Hussein, l'Europa e noi.

1. La guerra all'Iraq

Sulla guerra il mondo si è diviso prima. Si è diviso il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Si sono divisi i paesi europei. Si sono divise le opinioni pubbliche. Si sono divise maggioranze e opposizioni e, in alcuni paesi europei, si sono divisi anche gli stessi partiti o coalizioni al governo.

Al fondo, i punti delle divisioni erano tre.

Il primo era: la guerra a Saddam Hussein era legittima? Era una guerra preventiva? Era una guerra di aggressione ad uno stato sovrano? Era autorizzata da organismi internazionali riconosciuti o solo da una occasionale "coalizione di volenterosi", com'è stata definita?

Il secondo punto era: la guerra a Saddam Hussein era giustificata, opportuna, utile, necessaria? L'Iraq di Saddam era uno stato canaglia? Era una dittatura che minacciava la stabilità dell'area, che ospitava mezzi di distruzioni di massa, che favoriva il terrorismo, da quello palestinese agli altri dei fondamentalisti islamici? Oppure no?

Il terzo punto era forse il più importante e profondo.

Nell'attacco dell'11 settembre e nella conseguente guerra prima all'Afganistan dei Talebani e poi all'Iraq di Saddam erano sotto tiro gli Stati Uniti, oppure era minacciata la nostra stessa civiltà occidentale, quella basata sulla libertà, la democrazia, l'uguaglianza, la tolleranza, la solidarietà, l'integrazione? E se è questo che era in gioco, fino a che punto una civiltà minacciata ha diritto di difendersi, e con quali strumenti?

Era comprensibile che su questi interrogativi il mondo si dividesse prima. È meno comprensibile che si sia diviso anche dopo, e che lo rimanga anche adesso che il dittatore Saddam è stato catturato. Invece è accaduto. Vi sono divisioni sulla ricostruzione dell'Iraq, sul ruolo della coalizione, sull'impegno di altri paesi in quest'opera, sui tempi e sui modi del trasferimento dei poteri agli iracheni.

Il fondo della questione sembra a me sempre lo stesso, ed è che le divisioni che si sono verificate sono soprattutto di tipo culturale, fra chi, da un lato, ha ritenuti seriamente minacciati i nostri princìpi e i nostri valori fino al punto di difenderli con l'arma estrema, e coloro invece che hanno ritenuto l'11 settembre un episodio, sia pur drammatico e tragico, delle relazioni internazionali, da trattare perciò con le consuete armi della diplomazia e della politica, o magari con mal dissimulata sottovalutazione. Non è un caso, io credo, che entro e a lato di questa divisione culturale siano nate le polemiche sull'antiamericanismo, l'imperialismo americano, la globalizzazione, la civiltà occidentale, l'antisemitismo. L'anno si chiude e purtroppo questi nodi non sono ancora sciolti.

2. L'Europa divisa

Qui il discorso porta al secondo punto, l'Europa. L'unione Europea si è trovata a darsi una Costituzione nel momento della sua massima divisione. E, come ho già avuto modo di dire e scrivere, è da considerarsi miracoloso che, nonostante ciò, essa abbia trovato un ampio accordo all'interno della Convenzione che ha preparato il Trattato costituzionale. Quel Trattato, al suo apparire, fu variamente giudicato: come un passo avanti sensibile, come un compromesso promettente, come un compromesso invece insufficiente o addirittura controproducente per gli sviluppi futuri. Credo che furono lungimiranti coloro che, pur sollevando riserve, sostennero fin dall'inizio l'opportunità di firmarlo rapidamente, per il timore che il nobile desiderio di ottenere di più si scontrasse con la realtà che invece prometteva assai di meno.

La realtà, alla fine, ha purtroppo prevalso sull'ideale. L'Europa già divisa dalla guerra a Saddam ha partorito ulteriori divisioni: sul modo di impostare e risolvere i problemi del dopoguerra e anche sul suo stesso modo di stare assieme secondo le regole del trattato di Maastricht, le quali regolano il pilastro apparentemente più robusto dell'Unione, quello economico-finanziario. Al fondo di queste ulteriori divisioni si intravedevano le immagini di due Europe divise da interessi nazionali e da prospettive non compatibili.

In questa situazione obiettiva, il cammino della nostra Presidenza era in salita fin dall'inizio. Giustamente, io credo, l'Italia ha giocato un ruolo di cerniera, quale si addice ad un paese fondatore, fautore dell'allargamento e sostenitore di strette relazioni con gli Stati Uniti. L'impresa era difficile ed è stata mancata, nonostante l'impegno e importanti risultati conseguiti, in particolare quello della difesa europea e la collaborazione con la Nato.

Più che sulle responsabilità, credo convenga ora riflettere sui problemi obiettivi. E questi problemi sono vari ma infine sempre gli stessi: le relazioni euro-atlantiche, forse troppo ottimisticamente nascoste dallo slogan Â"siamo tutti americaniÂ" pronunciato all'indomani dell'11 settembre, l'allargamento ai nuovi Paesi, anch'esso forse troppo frettolosamente dipinto come una riunificazione dell'Europa, la politica estera, quella fiscale, quella sociale, fin dall'inizio considerate da alcuni dominio esclusivo degli stati nazionali. Credo che fino a quando i governi europei non produrranno politiche comuni su questi temi e non mostreranno una convergenza sufficiente sarà difficile andare oltre gli attuali Trattati. Almeno nella fase iniziale, come del resto accadde ai primordi dell'Europa dei sei, le istituzioni seguono le politiche, non le precedono.

E però, nonostante la temporanea fermata del processo che si è verificata a Bruxelles, occorrerà insistere e non arrendersi. Un particolare ruolo propulsore spetta a chi ha più responsabilità ed esperienza storica. Anche a noi, dunque. Occorre che questo ruolo sia svolto. Ma occorre anche evitare i rischi che esso si porta con sé. Il rischio di non offrire un ancoraggio ai paesi dell'Est europeo appena usciti dal comunismo. Il rischio di mettere un'Europa contro l'altra. Il rischio di produrre velocità diverse e, con il tempo, non più recuperabili. Il rischio di creare egemonie e gerarchie. Il rischio di innescare ritorsioni. Anche i Fondatori dell'Europa ebbero un ruolo propulsore, ma quel ruolo esso lo svolsero non in modo critico o polemico o contrario all'interesse di altri paesi. Oggi potrebbe essere diverso e, per evitare che le divergenze diventino fratture, occorre essere assai prudenti.

3. Il bipolarismo in Italia

Siamo all'ultimo tema. Le divisioni soprattutto sulla guerra si sono prodotte anche nel nostro paese, dopo che il Governo ha deciso di appoggiare politicamente la posizione della coalizione dei volenterosi senza partecipare ad azioni belliche. Vedremo se dai prossimi dibattiti parlamentari una posizione comune nel nome di un interesse nazionale condiviso emergerà.

Il tragico attacco terroristico che è costato la vita ai nostri soldati e Carabinieri a Nassiriya ha prodotto una vasta reazione. La maggior parte dell'opinione pubblica, molte forze politiche, le forze armate, la stessa Chiesa cattolica hanno reagito testimoniando non solo pietà per le vittime e solidarietà ai familiari, ma anche un forte sentimento di dignità e unità nazionale. E di approvazione per l'opera dei nostri militari inviati in Iraq per contribuire alla sua ricostruzione, garantire la sua sicurezza, assecondarne la transizione ad un regime di libertà.

È augurabile che questo sentimento sia un viatico per la nostra azione all'estero e che una maggiore concordia si produca anche nella politica interna. Non ripeto in proposito cose già dette più volte. Il bipolarismo italiano ha bisogno ancora di consolidarsi mediante la piena legittimazione reciproca. Le riforme costituzionali che sono iniziate in Senato, in un clima che non è di contrapposizione ma di confronto e di reciproca attenzione, lasciano sperare che si apra un terreno in cui il nostro bipolarismo possa crescere e diventare adulto. Non c'è ragione perché anche in Italia, come dappertutto in Europa, ciò non avvenga.

Grazie, Signor Presidente, e augùri cordiali per la sua persona e la sua funzione.



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