Il Presidente

Iniziative culturali

Le relazioni fra mondo arabo e occidente e la modernizzazione della regione
Sala Zuccari, 27 maggio 2004
Resoconto stenografico della conferenza di Ahmad Fathi Sorour Presidente dell''Assemblea Nazionale Egiziana e Presidente dell''Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea,

I lavori hanno inizio alle ore 17,35.

MARCELLO PERA. Autorità egiziane e italiane presenti, colleghi parlamentari, signore e signori, nel porgervi il mio saluto vi ringrazio per la vostra presenza a questa conferenza nella Sala Zuccari del Senato della Repubblica.

In modo particolare, cordiale ed amichevole, desidero ringraziare il presidente Ahmad Fathi Sorour, che è il nostro ospite di oggi.

Il presidente Sorour è un buon amico dell'Italia ed anche un amico personale, se questo posso rivelare; è una figura eminente nel suo Paese, in quanto è Presidente dell'Assemblea Nazionale Egiziana e, da poco, anche dell'Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea.

C'era grande attesa per questa conferenza fin da quando ne abbiamo dato annuncio; l'odierna affluenza di pubblico, e di un pubblico così importante, dimostra l'interesse esistente per le parole del presidente Sorour. Di questo vi ringrazio tutti.

Solo poche parole di introduzione, anche per ringraziare il presidente Sorour per avere scelto, assieme a me, un argomento che è certamente molto interessante. All'inizio di questo secolo molti di noi hanno pensato che, caduto un muro, potessero facilmente cadere anche tutti gli altri; lo si pensava in virtù di un fenomeno che agisce nel mondo di oggi, quello della globalizzazione, al quale proprio qui, nella Sala Zuccari, abbiamo dedicato un ciclo di conferenze. Penso che sia ancora così, che quella fiducia nella caduta di tutti i muri sia ancora da mantenere, naturalmente purché si intenda tale imponente fenomeno della globalizzazione non nel senso della colonizzazione, ma in un'accezione più ampia, quella cioè dello scambio economico, politico e culturale.

Mentre molti di noi nutrivano questa fiducia, ma qualcosa di nuovo, di inaspettato, come spesso accade tragicamente nella storia, è accaduto: mi riferisco al fenomeno del terrorismo. Esso ha colpito in primo luogo l'America, l'11 settembre 2001; ha poi colpito quest'anno, l'11 marzo, l'Europa, la città di Madrid. Quei gruppi di terroristi hanno esplicitamente dichiarato di voler combattere una guerra contro l'Occidente proprio mentre noi, nell'Occidente, volevamo far cadere tutti i muri. Ebbene, credo che dobbiamo avere la consapevolezza del rischio che il terrorismo internazionale comporta, ma dobbiamo anche avere fiducia nei nostri princìpi e nei nostri valori, primo tra tutti quello dello scambio fruttuoso tra le culture e le civiltà, che ci anima tutti.

Noi siamo nel cuore dell'Occidente, l'Italia e l'Egitto sono nel cuore del Mediterraneo. E proprio il Mediterraneo, che è, notoriamente, il luogo di battesimo della nostra civiltà, può diventare un'area di nuove tensioni oppure una zona di confronto e di scambio. Per questo ho chiesto al presidente Sorour di parlare delle relazioni tra mondo arabo e occidente e delle prospettive dell'area medio-orientale. È un tema importante, perché presenta molteplici aspetti rilevanti, da quelli politico-strategici (si tratta di rendere stabile un'intera parte del mondo) a quelli di carattere economico (si tratta di intensificare gli scambi economici), di carattere culturale (si tratta di far conoscere meglio le culture che sono nate in questo lago di civiltà che è il Mediterraneo), e anche di carattere religioso, perché si tratta, in quest'ultimo caso, di evitare che le religioni diventino un altro muro, anziché uno dei modi con cui gli uomini possono parlarsi.

Da quando ci siamo incontrati ed abbiamo a lungo conversato al Cairo con il presidente Sorour, fatti nuovi sono accaduti; era il mese di marzo e tutti eravamo assai preoccupati, ma fatti nuovi sono accaduti. La comunità internazionale relativamente al problema dell'Iraq sta maturando una politica di maggiore coinvolgimento delle Nazioni Unite: è un fatto nuovo, che si sta sviluppando in questi giorni sotto i nostri occhi. Un altro elemento importante è il ruolo che personalmente il presidente dell'Egitto Mubarak ha inteso giocare come protagonista in questa crisi: tutti ricordiamo le sue recenti dichiarazioni. Inoltre, anche grazie al ruolo dell'Egitto, la Lega Araba ha assunto posizioni sicuramente promettenti per la soluzione di questa crisi.

Ecco perché noi siamo molto interessati a quello che il presidente Sorour dirà: ci aiuterà sicuramente a conoscere meglio il suo punto di vista e consentirà a noi di manifestargli i nostri sentimenti non soltanto di comprensione, ma anche di amicizia.

L'Egitto è un protagonista nel Mediterraneo, è un protagonista per la soluzione della crisi che riguarda il Vicino Oriente; da parte sua, l'Italia, assieme all'Egitto, agli altri Paesi arabi (qui presenti con i loro rappresentanti, che ringrazio per avere accolto il nostro invito) e a tutti coloro che si affacciano su questo piccolo, ma importante lago che è il Mediterraneo, vuole giocare anch'essa un ruolo da protagonista.

La ringrazio, signor Presidente, per essere venuto tra noi e le cedo subito la parola (Applausi.).

Avverto che il presidente Sorour parlerà in arabo ed è prevista la traduzione simultanea. La conferenza del presidente Sorour sarà immediatamente disponibile in italiano sul sito Internet del Senato, così come è nostro costume fare.

AHMAD FATHI SOROUR. Nel nome di Allah clemente e misericordioso, onorevole Marcello Pera, Presidente del Senato della Repubblica italiana, onorevoli senatori, onorevoli deputati, eccellenze diplomatiche, eminenti personalità qui presenti, signore e signori, è per me una grande opportunità trovarmi con voi a parlare in una sala del Senato, a Roma; città millenaria e affascinante, protagonista di avvenimenti storici nel corso dei millenni, città ricca di testimonianze delle conquiste della civiltà umana.

Mi è gradito ringraziare il presidente Pera per il suo invito e per aver scelto, d'accordo con me, un tema importante per la conferenza odierna; un tema che abbiamo concordato due mesi fa quando non immaginavamo che la tensione sarebbe cresciuta.

Signore e signori, ci incontriamo oggi in un momento critico, nel quale le speranze e i tentativi dell'Europa e del mondo arabo si concentrano nella stessa direzione. È evidente che i rapidi cambiamenti politici, economici e sociali impongono a noi tutti una grande responsabilità e dobbiamo accelerare il passo della nostra collaborazione.

I legami e i rapporti tra l'Europa e il mondo arabo non sono recenti, non hanno alle spalle pochi secoli ma risalgono a migliaia di anni fa, prima che l'Europa assumesse la sua forma attuale e prima ancora che il mondo arabo apparisse come una sola Nazione o come un insieme di Stati accomunati da molti aspetti.

Tornando indietro con la memoria a più di 5.000 anni fa, possiamo ammirare ciò che hanno offerto gli Egizi all'umanità: una civiltà stupefacente che comprendeva la scrittura, scienze come la chimica, la matematica, la medicina e l'astronomia; una società molto evoluta, basata su una vita sociale stabile, che ha lasciato monumenti e reperti che suscitano ancora l'incantato stupore di tutti. Conosciamo ciò che la civiltà egizia ha offerto al mondo grazie al lavoro assiduo di scienziati europei, come Champollion, e a numerose missioni archeologiche italiane, francesi e britanniche, che operarono senza sosta per scoprire tesori meravigliosi.

Nell'antichità il Mediterraneo acquistò il meritato appellativo di "lago delle civiltà" e "centro del mondo antico". Per lungo tempo ad Est i Fenici esplorarono il mondo per finalità commerciali, mentre nel sud gli Egizi costruirono la loro forte civiltà e nel nord si sviluppò la civiltà greca, alla quale seguì l'impero romano che illuminò il cammino dell'umanità.

Diversamente dalle civiltà dell'Estremo Oriente, vi fu uno scambio tra le civiltà del Mediterraneo, accomunate da un unico tessuto di sapienza e di conoscenza. Lo scambio di conoscenze fu veicolato da filosofi come Aristotele, da storici come Erodoto, noto come il padre della storia, e da conquistatori come Alessandro Magno.

La nostra vita parlamentare deve molto ai Greci e ai Romani che gettarono le basi degli odierni sistemi di governo rappresentativo e di amministrazione moderna.

La storia dell'Egitto è quasi la storia del Mediterraneo, il che ha spinto qualcuno ad affermare che la storia del Mediterraneo può essere sintetizzata nella storia di Alessandria d'Egitto. Grande fu il ruolo della biblioteca alessandrina per il progresso delle scienze e l'Egitto, per iniziativa del presidente Mubarak, ha tenuto molto a riaprire questa biblioteca affinché possa tornare ad esercitare un ruolo di irradiazione culturale.

Questa regione diventò culla delle religioni del mondo; le credenze che nacquero intorno a questo lago diffusero nel mondo l'elemento spirituale che contraddistingue questa parte del globo.

Anche nel Medioevo vi furono interazioni positive; la storia ha registrato contributi degli arabi e della regione del Medio Oriente in diversi campi. L'enciclopedia medica di Ibn Sina fece compiere un salto qualitativo allo sviluppo delle scienze; nella chimica vanno ricordati gli studi di Gaber Ibn Hayan e nell'algebra quelli di Khwarezmi. I numeri che oggi utilizziamo si chiamano giustamente numeri arabi. Altri esempi potrebbero essere fatti nell'ambito della geografia, della filosofia e delle belle arti.

Riconoscendo il patrimonio europeo, gli arabi costruirono nell'Ottocento un'accademia speciale per la traduzione delle conoscenze greche, nota come «casa della sapienza», che vuol dire casa della conoscenza e della saggezza.

Con il Rinascimento, l'Europa e il mondo intero vissero un meraviglioso periodo di progresso, di sviluppo, di grandi conquiste. Si susseguirono scoperte geografiche che estesero i confini del vecchio mondo, arrivando al nuovo mondo. La rivoluzione industriale moderna con le sue invenzioni e le sue conoscenze ha comportato nuove caratteristiche sociali ed economiche che rappresentano un dono dell'Europa a tutta l'umanità.

Nei secoli successivi tra l'Europa e il mondo arabo vi furono conflitti, rappresentati da invasioni e conquiste coloniali, ma perfino questi scontri hanno avuto innegabili lati positivi. Gli arabi hanno tratto stimoli da tali conquiste per riavviare un processo di sviluppo e recuperare un ritardo imputabile al fatto di aver trascurato i contributi della scienza.

La campagna napoleonica in Egitto e in Medio Oriente, iniziata nel 1798, ha avuto una chiara impronta coloniale, ma l'Egitto seppe fare tesoro di quella conquista per avviare una nuova fase di benessere e di progresso. La scoperta della Stele di Rosetta da parte dello scienziato francese Champollion, che aprì le porte alla conoscenza della scrittura geroglifica, può essere considerata una delle conseguenze positive della campagna francese in Egitto.

Nel 1805, il governo di Mohamed Ali inviò missioni scientifiche presso le università europee e con il governatore Ismaele fu avviata la fondazione di istituzioni sul modello europeo. Risale a questo periodo la rappresentazione al Cairo dell'opera di Verdi l'"Aida".

Questo è il passato, ma quel che è passato è passato. Cerchiamo di guardare, ora, a cosa abbiamo dinanzi a noi. Vediamo dove è l'Europa e dove si trovano i Paesi arabi oggi. Si impone a noi tutti la situazione politica attuale, essendo una questione centrale. Gli arabi, dal punto di vista geografico, rappresentano il "cortile" dell'Europa e pertanto la stabilità nel mondo arabo e nella regione del Mediterraneo tutto sommato si traduce in una stabilità in Europa. E qui si affaccia il drammatico conflitto arabo-israeliano che, nella storia recente, dura da mezzo secolo; ha destabilizzato tutta la Regione, creando destabilizzazione in tutto il mondo e determinando una tensione continua ed una emorragia delle sue risorse naturali. Il ruolo dell'Europa è vitale; serve più Europa, più di prima, per porre termine a questo conflitto, affinché il processo di pace possa divenire realtà.

Signore e signori, gli Stati arabi sperano, auspicano che l'Europa svolga un ruolo, che eserciti la sua pressione per riattivare la road map, per realizzare la pace, per dare ai palestinesi i loro diritti, la loro sovranità e il loro Stato libero. Nel Nord­Est è in corso un altro conflitto gravissimo, che sta registrando un crescendo molto forte, perché nell'Iraq c'è una distruzione totale, con un enorme numero di perdite di vite umane da parte di tutte le parti impegnate e coinvolte, con la distruzione totale di uno dei Paesi più belli del mondo, soprattutto ricchissimo sul piano culturale. La storia dell'Iraq è stata rapinata: i suoi musei sono stati rapinati. Non è il caso di dilungarmi ulteriormente affermando che il perdurare della tensione nel Mediterraneo si rispecchierà negativamente sulla stabilità e sulla sicurezza nell'Europa stessa.

Sono fiducioso e convinto che concordate con me sul fatto che i Paesi arabi ed i Paesi europei sperano che in un giorno prossimo la situazione in Iraq si stabilizzerà, che quel Paese potrà di nuovo aggiungersi al concerto delle nazioni, che gli iracheni possano di nuovo avere un autogoverno libero. A livello mondiale, il mondo intero registra un fenomeno di una estrema gravità: mi riferisco al terrorismo. Ormai è una responsabilità comune di noi tutti lottare contro il terrorismo, prosciugare le sue risorse, mettere un termine alle sue aggressioni e ad ogni sua forma, ivi inclusi l'individuale e quella di gruppo, ma anche quella di Stato.

L'Egitto svariate volte ha condannato, mediante il presidente Mubarak, questa situazione e ha ribadito la necessità di una politica mondiale contro il terrorismo. Aveva anche invitato, a suo tempo, ad organizzare una conferenza internazionale sul terrorismo, per presentare e preparare una serie di raccomandazioni impegnative o che per lo meno impegnassero tutti gli Stati a lottare contro il terrorismo stesso.

Altrettanto importante è la democratizzazione, che rappresenta una meta principale, prioritaria in tutto il Medio Oriente; nel Medio Oriente tutti i popoli sperano in provvedimenti che possano rafforzare la democrazia, che possano garantire un dialogo civile in cui ci sia spazio per le differenze. Forse l'Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea, in questa regione, potrà svolgere un ruolo centrale nell'intensificare il dialogo democratico tra il Nord e il Sud, mentre cercherà di ribadire ancora una volta la necessità di rispettare i diritti umani, a prescindere dall'etnia, dall'appartenenza religiosa, dal credo o dalla condizione sociale, e dal fatto che le persone sono libere o detenute nelle carceri.

Dal punto di vista economico l'Europa è, senza dubbio, il partner commerciale principale degli Stati arabi, anzi è un partner principale per molti Paesi, come per l'Egitto, e questo di per sé è uno strumento di sviluppo, per l'autosviluppo, per rafforzare la collaborazione e la sussidiarietà, per il benessere di tutti. Questo è un settore vitale e colgo l'occasione (questa ottima occasione) per esprimere il nostro compiacimento per il contribuito dato dall'Unione Europea, avviando molte iniziative economiche, sostenendo molti progetti di sviluppo nei Paesi arabi e mediterranei, per accrescere lo sviluppo economico, per ammodernare l'industria, per combattere la povertà.

Ma ciò nonostante, l'aiuto europeo alla regione deve prendere in considerazione due questioni centrali. Anzitutto, bisogna continuare ad incoraggiare le piccole e medie imprese, che rappresentano la locomotiva dell'economia, perché sono molto duttili e flessibili, presentando una situazione completamente diversa rispetto ai colossi e ai giganti economici. In secondo luogo, non bisogna mai dimenticare che bisogna lavorare insieme per combattere la disoccupazione nella nostra regione: è una bomba ad orologeria, che deve essere disinnescata quanto prima, per cominciare ad avviare per davvero lo sviluppo economico e la stabilità sociale. Abbiamo bisogno, allo stesso tempo, di lavorare insieme per mettere un termine all'immigrazione illegale, al lavoro infantile, allo sfruttamento e al maltrattamento dei bambini. Tutti questi sono elementi fondamentali per garantire una base equa per la concorrenza e per difendere i diritti umani fondamentali. Questa costituisce una opportunità, che definirei d'oro, unica, per i Paesi partner (vale a dire l'Europa ed i Paesi arabi) per allargare i confini dei loro mercati, per utilizzare nel modo migliore gli accordi del commercio internazionale, per incoraggiare e incentivare il commercio, per aprire spazi a prodotti in grado di competere, nei due sensi; vi è un interesse specifico degli Stati arabi nell'allargare la cerchia delle proprie esportazioni agricole e dei prodotti semilavorati per offrirli al consumatore europeo ad un costo inferiore.

Passo ora ad esaminare l'aspetto socio­culturale. La regione araba guarda all'Europa, essendo un partner, perché l'Europa ha sempre avuto un interesse genuino nel realizzare una complementarità sociale tra Nord e Sud, soprattutto considerato che l'Europa ha dato dei contributi effettivi sul piano culturale nella nostra regione. A titolo di esempio, i turisti europei e, soprattutto, quelli italiani sono la fetta più importante di visitatori, ma anche più gradita, in Egitto, così come è stato in passato. Ma la sfida principale e attuale davanti al mare Mediterraneo è la riduzione del gap culturale, soprattutto a livello delle scienze e della tecnologia. Questo, in aggiunta all'importanza del dialogo culturale tra le varie parti mediterranee. È importante che ci sia un dialogo culturale vero tra tutti i Paesi del Mediterraneo.

Accenno, en passant, ad un primo errore, alla confusione tra Islam e alcune ondate di terrorismo. Si è creato un clima malsano: c'era un desiderio di aggressione contro l'Islam, che può impedire qualsiasi forma di dialogo o persino di coesistenza. In secondo luogo, il dialogo culturale è ineluttabile, per porre termine ed eliminare il rischio di questo spettro di scontro tra le civiltà del Nord e del Sud, tra quelle dell'Est e dell'Ovest. Questo scontro tra le civiltà è una lettura erronea, perché l'Occidente è in grado, nonostante le sue contraddizioni, di essere un protagonista. È giunta l'ora che ci sia un dialogo culturale in un clima sano, in cui vengano autorizzate nuove dinamiche, perché ognuno di noi possa scoprire l'altro, il suo mondo, la sua cultura, perché i popoli del Mediterraneo ­ soprattutto i Paesi arabi ­ rappresentano una pluralità culturale, genuina nella storia dell'umanità.

Gli arabi vogliono interagire con le varie civiltà: egizia, greca, romana, cristiana e arabo­islamica. Ho avuto l'opportunità di prendere la parola il 29 novembre 1999, all'Accademia Nazionale dei Lincei, nel corso di un incontro organizzato con il patrocinio della Camera dei deputati per esaminare il dialogo delle civiltà. In quell'occasione, tutti hanno affermato in coro che non è vero che vi sia uno scontro di civiltà, perché le civiltà sono un prodotto della storia, la quale è opera dei popoli ed è patrimonio dell'umanità. La concordia non è il frutto di trattative, ma è il frutto di una serie di civiltà consecutive. È indispensabile, pertanto, iniziare a costruire un ordine mondiale che accetti la diversità culturale, religiosa e di pensiero.

Come uomo di legge, mi preme fortemente insistere sulle interazioni tra il codice antico egizio e quello romano, come viene sottolineato nel Codice giustinianeo, che è stata fatto proprio dalla Scuola di Bologna; questi sono stati i fondamenti anche del Codice napoleonico.

Signore e signori, nel periodo recente gli Stati Uniti d'America e alcuni partner europei hanno assunto iniziative riguardanti la riforma nel mondo arabo. Il punto di vista dell'Egitto, espresso dal presidente Mubarak, è che il mondo arabo non è contrario alla riforma, né alla democratizzazione, ma è contrario al fatto che questo possa essere un pretesto per ignorare la causa fondamentale dell'instabilità nella regione, che richiede la soluzione del conflitto arabo-israeliano. Tale conflitto è uno degli elementi essenziali che hanno ritardato la riforma da noi tutti auspicata. L'Egitto sostiene tutte le tendenze ad avviare la riforma, a patto che scaturiscano dal nostro interno e non ci vengano imposte.

Il presidente Mubarak ha inaugurato una conferenza, nel marzo scorso, alla biblioteca alessandrina, in occasione della quale ha espresso il suo punto di vista sulla democratizzazione, sul rispetto dei diritti umani, sul progresso tecnico-scientifico; si è dichiarato favorevole a concedere un ruolo eminente alle istituzioni della società civile.

La riforma è una necessità per i popoli, per la regione e per il mondo. La riforma è un dovere per la stabilità nella regione, che richiede la soluzione del conflitto arabo-israeliano. Tale conflitto è uno degli elementi essenziali che hanno ritardato la riforma da noi tutti auspicata. L'Egitto sostiene tutte le tendenze ad avviare la riforma a patto che scaturiscano dal nostro interno e non ci vengano imposte.

L'iniziativa per un Grande Medio Oriente, che promette democrazia e benessere, è basata sul concetto di egemonia e sull'intenzione di dettare dall'esterno il cambiamento; ciò, però, contraddice il concetto stesso di democrazia e trascura totalmente il processo di Barcellona. Inoltre, non si può applicare lo stesso parametro ad un insieme di Paesi disomogenei tra loro, perché con ciò si ignorerebbero l'identità araba e, nello stesso tempo, i focolai di tensione presenti nel Medio Oriente che hanno gettato un'ombra lunga sulla regione. Tutto ciò, inoltre, trascura una realtà innegabile, cioè l'impossibilità di imporre soluzioni o progetti di riforma senza che questi siano stati fatti propri dai popoli e siano consoni alle loro aspirazioni e volontà.

L'alternativa vera e sana a tutto ciò è rappresentata dalla collaborazione internazionale per avviare le riforme nazionali, senza separare i tentativi di riforma dalla soluzione della questione medio-orientale per realizzare una pace giusta ed equa e la creazione dello Stato indipendente di Palestina. La riforma non è possibile senza restituire agli iracheni l'autodeterminazione e senza rimuovere i pericoli che minacciano la nazione araba. A tale scopo, è necessario eliminare le armi di distruzione di massa dalla regione.

Il processo di Barcellona ha incluso tutti i concetti di riforma, i quali sono stati sostenuti da noi tutti e non ci sono stati dettati (anche perché abbiamo partecipato a tale processo).

Non ho bisogno di sottolineare che l'instabilità internazionale rappresenta un pericolo per le democrazie nazionali. Bisogna evitare, inoltre, di utilizzare due pesi e due misure. Non si può separare dalla stabilità e dalla riforma il livello nazionale da quello internazionale.

Signore e signori, le relazioni storiche che legano il mondo arabo all'Europa includono alcune sfide che richiedono sforzi congiunti. In cima a tali sfide vi è la preoccupazione che avvertiamo noi tutti in relazione ad alcune minacce all'ambiente. Occorre compiere maggiori sforzi per porre fine all'inquinamento e per aumentare la consapevolezza necessaria a guidare e ad educare il consumatore. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso gli aiuti dei Paesi industrializzati ai Paesi più poveri, per incentivare i progetti di tutela dell'ambiente. I Paesi industrializzati dopotutto, con la loro tecnologia, hanno provocato i danni all'ambiente e allo strato di ozono, hanno provocato l'inquinamento; dunque, è compito dei Paesi industrializzati compensare il danno arrecato all'ambiente.

Ricordiamo sempre che non abbiamo ereditato questo pianeta dai nostri antenati, ma lo abbiamo preso in prestito e lo dobbiamo consegnare ai nostri nipoti.

È importante accennare anche ad un altro aspetto che richiede ulteriori sforzi comuni, anche se ha registrato progressi tangibili nella regione durante l'ultimo decennio. Mi riferisco al fatto di assicurare alla donna il diritto all'istruzione, all'assistenza sanitaria, nonché altri diritti essenziali. Questo è il primo punto nell'agenda dei lavori che riguarda le società rurali e le regioni più arretrate.

Signore e signori, molto rimane ancora da dire per quanto riguarda le relazioni fruttuose tra Europa ed Oriente: è un viaggio che risale a molti anni addietro. In questa breve relazione ho voluto fornire solo alcune indicazioni, dal momento che tale tema non richiede minuti né ore, ma interi giorni.

È grande, comunque, la nostra speranza che il futuro possa portare il meglio a noi tutti.

Caro onorevole Marcello Pera, signore e signori, vi ringrazio per la cortese attenzione (Vivi applausi).

MARCELLO PERA. Comunico che il presidente Sorour desidererebbe avere uno scambio di opinioni con questo uditorio. Pertanto, chiunque intenda porre qualche domanda può farlo perché il presidente Sorour ci presta ancora un po' del suo tempo.

MOHAMED NOUR DACHAN. Sono il Presidente dell'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia. Mi rallegro per questo incontro che considero molto importante. Innanzi tutto, intendo sottolineare che condivido le considerazioni espresse dai nostri due Presidenti.

In secondo luogo, comunico che il desiderio della comunità islamica italiana è sempre stato quello di essere il ponte tra queste due culture, queste due civiltà e queste due rive del Mediterraneo.

Speriamo che l'attuale momento di difficoltà passi rapidamente. Credo che tutti abbiamo sentito quello che ha detto il presidente Sorour, e cioè che l'Islam è il primo a condannare il terrorismo. Si sta cercando invece di far passare una falsità per realtà, affermando che l'Islam equivale al terrorismo. Spero che tutti i presenti collaborino per cancellare questa idea. Noi della comunità islamica in Italia, di qualsiasi associazione, siamo disposti ad iniziare e continuare a fungere da ponte per questo dialogo.

Ringrazio il presidente Pera per questo invito e il presidente Sorour per la sua presenza.

AHMAD FATHI SOROUR. Concordo pienamente con quanto lei ha detto sulla distinzione da fare tra Islam e terrorismo. L'Islam condanna il terrorismo in tutte le sue forme. La presenza di estremisti non si verifica solo per la religione islamica. Tutte le religioni hanno avuto degli estremisti tra i propri figli; in tutti i credo religiosi ci sono dei pazzi. La religione è in bocca ai saggi, di certo non in bocca agli stolti o agli estremisti.

EMILIO COLOMBO. Vorrei iniziare il mio intervento ricordando che ho avuto l'onore di parlare all'Assemblea che lei presiede nella mia qualità di Presidente del Parlamento europeo. Rammento che fu una giornata meravigliosa.

Vorrei richiamare la sua attenzione sulle seguenti considerazioni. Appena si costituì e cominciò a funzionare la Comunità economica europea, tra i Paesi del Mediterraneo sorse la preoccupazione che la politica agricola comune impedisse le importazioni - particolarmente quelle ortofrutticole - da parte dei Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. L'Italia era entrata nella Comunità soprattutto con la speranza di avere mercati agricoli senza dazi e senza contingenti in Europa. Noi, insieme con altri Paesi, abbiamo sostenuto la conclusione di una serie di accordi di cooperazione prima con la Grecia e la Turchia, e poi con gli Stati del Maghreb, gli Stati del Mashrak e Israele, perché si evitasse ogni barriera alle vostre importazioni. Dico questo per significarle l'atmosfera che lei trova qui in Italia.

Vorrei ricordare anche un altro episodio. Nel luglio 1980 l'Italia, avendo la Presidenza della Comunità economica europea, propose una Dichiarazione europea, che venne approvata da tutti i nove Stati partecipanti, per una soluzione del problema del Medio Oriente basata sul riconoscimento dello Stato di Israele e dello Stato palestinese, e dette impulso a queste trattative. Allora ero Ministro degli affari esteri e devo dire che avemmo anche qualche diversità di opinione con gli americani; fu difficile introdurre Arafat come interlocutore.

Purtroppo, ancora oggi vediamo che sia per le difficoltà esistenti tra il popolo palestinese e lo Stato di Israele, sia per un minore impegno statunitense, sia per qualche negligenza europea, quel trattato che dette l'impulso ai negoziati di Camp David ancora non è arrivato ad una conclusione. Sulla sponda opposta del Mediterraneo, come ho affermato una volta in Senato, i figli di Abramo si uccidono ancora fra di loro. Credo che questo sia uno degli elementi più importanti ai fini del continuo accrescersi di questa disparità di vedute; non vorrei adoperare l'espressione molto più elevata di "scontro di civiltà", di cui talvolta si parla. Conosco il presidente Mubarak e so quanto egli ha operato per evitare tutto questo.

Presidente Sorour, lei crede che in questa fase sia possibile riprendere quei negoziati in modo più incisivo, conoscendone il valore? Inoltre, lei crede che i Paesi arabi possano partecipare ad una eventuale forza multinazionale in Iraq, che accompagni il processo di riconquista o riaffermazione della sovranità irachena, nella pace e nella reciproca comprensione?

AHMAD FATHI SOROUR. Anzitutto, la ringrazio per il suo prezioso contributo. Per quanto riguarda l'accordo del 1980, prima ci furono dei tentativi per attuarlo; ora di nuovo ci sono la road map, gli ostacoli e la mancata attuazione. Lei mi ha posto una domanda sulla possibilità di una ripresa dei negoziati. Questo è quello che chiedono i palestinesi, ma Israele attualmente non vuole i negoziati. Sappiamo bene, inoltre, che Israele stesso registra delle divergenze: Sharon ha voluto attuare un ritiro da Gaza, ma il suo stesso partito lo ha sconfessato. Prima accusavano i palestinesi di non essere d'accordo fra di loro, ora vediamo che gli israeliani discordano tra loro. Allora, con chi possiamo parlare, di chi dobbiamo fidarci? Noi vogliamo i negoziati e, se dovesse esserci un attacco terroristico da una delle due parti, dovremmo continuare a negoziare, perché i nemici della pace sono presenti dappertutto. Dobbiamo resistere contro i nemici della pace e sconfiggerli.

Per quanto riguarda la forza multinazionale, anzitutto l'occupazione angloamericana deve terminare il 30 giugno, come ha detto il presidente Bush. La sovranità deve tornare al popolo iracheno, ma tale processo deve avvenire tramite l'ONU. Noi, in quanto Presidenti dei Parlamenti dei sette Paesi vicini, abbiamo proposto quanto segue: l'ONU dovrebbe indicare un Governo provvisorio, incaricato di gestire la situazione e sorvegliare l'elezione di un Parlamento, il quale avrà il compito di scrivere una Costituzione; una volta terminata la Costituzione permanente, il Governo e il Parlamento saranno sciolti e si svolgeranno le elezioni secondo la Costituzione permanente. Successivamente, si procederà alla formazione di un Governo indipendente.

Ma se l'ONU dovesse prendere l'iniziativa, la parola spetterà solo ad essa. L'ONU potrà decidere di inviare forze di pace, caschi blu. In quel caso, non ci sarebbe nulla in contrario. Se le forze presenti portano la bandiera dell'ONU, questo è in conformità con il diritto internazionale. Pertanto avrà termine l'occupazione, l'ultima parola passerà all'ONU, si procederà alla formazione del Governo e al ristabilimento della sicurezza. Se questo dovesse avvenire, sarebbe, a mio avviso, una soluzione meravigliosa, una soluzione per la prima volta in conformità con il diritto internazionale, che è stato tante volte violato.

MARIO SCIALOJA. Come membro del consiglio di amministrazione del Centro islamico culturale d'Italia, ringrazio il presidente Sorour per la sua esposizione, che ha toccato con molto equilibrio e profondità tutti i problemi che oggi agitano la regione medio-orientale e che complicano la soluzione dei problemi sul tappeto.

Egli ha parlato giustamente della spinta presente in seno alle società arabe per un'apertura democratica e sociale alla modernità. Sappiamo che questa è anche una richiesta dell'Occidente, non solo degli Stati Uniti, ma anche dell'Europa.

Purtroppo oggi questo processo di apertura democratica - chiamiamolo così - è ostacolato da molti problemi ancora aperti, non solo il problema iracheno, che speriamo possa essere risolto con l'intervento delle Nazioni Unite in breve tempo, ma soprattutto il problema palestinese, che si trascina da cinquant'anni.

La domanda che le rivolgo è la seguente: è realistico pensare ad un'evoluzione democratica delle società arabe anche prima che sia risolto il problema palestinese? L'Egitto è un grande Paese arabo e certamente può giocare un ruolo importantissimo al riguardo. Mi auguro veramente che possa facilitare l'opera di tutti e avviare a soluzione questo annoso problema.

AHMAD FATHI SOROUR. Lei ha parlato dello sviluppo. Sì, i Paesi arabi devono avviare un processo di evoluzione e di sviluppo; sì, i Paesi arabi vogliono fare proprio questo. In Egitto, in particolare, ci sono state numerose riforme politiche nell'ultimo periodo. Stiamo continuando questo processo, la democrazia non può fermarsi.

Quattro anni fa si sono tenute elezioni legislative sotto lo stretto controllo della magistratura. Sono stati i magistrati che hanno seguito il processo elettorale e questa in fondo è una riforma politica.

Ugualmente, da noi esiste una stampa libera. C'è una stampa nazionale che critica fortissimamente il Governo, a volte in maniera anche più incisiva della stampa di opposizione.

Abbiamo la democrazia, vi è un processo di riforma politica in corso, ma non diciamo che abbiamo terminato: stiamo continuando su questa strada e non ci vogliamo assolutamente fermare. Se non dovessimo evolvere in tal senso, non potremmo vivere accanto agli altri. Lo sviluppo è una questione di vita o di morte - ne siamo ben consapevoli - per vivere in quest'epoca di globalizzazione. Noi crediamo fermissimamente nella necessità di questa evoluzione.

GIANNI DE MICHELIS. Tra le molte cose interessanti che il presidente Sorour ci ha detto ve ne è una che mi pare di particolare attualità. Egli ha fatto almeno due volte riferimento al processo di Barcellona, in qualche modo contrapponendo quel processo come modo giusto per discutere anche della questione delle riforme tra europei e Paesi arabi alla Greater Middle East Iniziative americana, che apparirebbe troppo unilaterale e quindi naturalmente meno adatta a far crescere il confronto su questo tema decisivo, il vero grande tema che abbiamo di fronte per far prevalere la pace sul conflitto.

Presidente Sorour, le pongo la seguente domanda: visto che siamo alla ricerca di scelte e di azioni concrete da sviluppare in questo momento per far prevalere la logica del dialogo su quella dello scontro, visto che abbiamo alle spalle un vertice della Lega Araba che ha affrontato tali temi e visto che il processo di Barcellona, pur comprendendo questo capitolo, in realtà negli ultimi anni ha battuto un po' il passo e che l'ultimo summit di Napoli a Presidenza italiana non ha detto molto in proposito, non sarebbe il caso oggi, su iniziativa anche di Paesi come l'Egitto e l'Italia, di chiedere in questo forum in particolare, anche in via straordinaria, al di fuori del normale calendario degli incontri, di affrontare tale tema?

Ciò potrebbe consentire di non perdere l'apertura venuta da parte occidentale e di evitare un blocco nell'assenza di dialogo che, per una serie di errori che sono stati commessi, rischia di compromettere l'evoluzione su questo tema decisivo.

AHMAD FATHI SOROUR. Sì, tutto ciò è possibile, a partire dal processo di Barcellona, attraverso le relazioni bilaterali e i contatti. La conferenza nella biblioteca di Alessandria del marzo scorso ha visto la partecipazione di intellettuali occidentali ed arabi. La dichiarazione di Alessandria ha delineato i tratti generali della riforma.

Ci può essere un dialogo tra politici dell'Egitto e dell'Italia in Europa per discutere dei modi migliori per trattare alcune questioni. Il dialogo è necessario, ma è una questione aperta perché dobbiamo prendere coscienza di alcuni elementi. Perché abbiamo risposto di no al Grande Medio Oriente? Non perché siamo contro le riforme, ma perché innanzi tutto esso include Stati disomogenei fra di loro. Non vi è un'identità comune fra tutti questi Paesi, dunque metterli insieme in quello che viene chiamato Grande Medio Oriente provoca il timore che sia danneggiata o uccisa l'identità araba e che si crei una specie di insalata mista, un miscuglio di Stati disomogenei che non hanno nulla in comune.

In secondo luogo, quest'iniziativa ha separato la fine del conflitto arabo-israeliano e le riforme. Se fosse sorta dopo la creazione dello Stato palestinese e dopo la fine dello scontro arabo-israeliano, allora sarebbe stato naturale accettarla, ma il conflitto va avanti. Allora è un'iniziativa che ignora e trascura del tutto lo sviluppo come modo più sensato di aggredire il problema politico.

Inoltre, essa costituisce un'ingerenza nelle questioni interne, più del necessario. L'Europa accetterebbe un'iniziativa araba per le riforme in Europa, per qualunque tipo di riforma? Chiaramente verrebbe rifiutata. Pertanto bisogna adottare il dialogo; il dialogo è necessario per questo.

GIULIO ANDREOTTI. Presidente Sorour, abbiamo tutti apprezzato l'impostazione da lei data ai vostri rapporti con l'Europa, in particolare con l'Italia, ossia un'impostazione innanzi tutto culturale per quanto riguarda la storia reciproca dei nostri Paesi. Abbiamo alcune università, in particolare l'Università di Torino, all'avanguardia degli studi sull'Alto Egitto. È una tradizione che continua.

In secondo luogo, ritengo che voi abbiate dato tanto alla causa della pace e alla risoluzione pacifica del terribile problema della Palestina; avete dato il contributo più alto perché il presidente Sadat ha pagato con la vita quella iniziativa, come del resto lo stesso presidente Begin ha pagato per gli Accordi di Oslo. Ciò dimostra che quello che lei ha detto, che non bisogna mai confondere l'Islam con i fondamentalisti islamici, è un punto di enorme importanza.

In questo periodo, poi, tra le tante cose negative che ci hanno preoccupato ce n'è una positiva: un certo collocamento della Jamahiriya libica in rapporti migliori con l'Occidente, in modo particolare con l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America.

Noi, per tanti anni, siamo stati accusati di debolezza perché non avevamo smesso di avere un dialogo con la Libia. Questo è un qualcosa che, negli ultimi tempi, credo debba essere sottolineato in modo positivo.

Vorrei ancora dirle che ho avuto modo, nel passato, di osservare il suo apporto personale ai lavori dell'Unione interparlamentare. Si tratta di un'organizzazione che consente - con una elasticità che i rapporti tra i Governi non hanno, perché sono più rigidi - di avere un colloquio e un approfondimento dei temi. Purtroppo, da alcuni anni gli americani non partecipano più all'Unione interparlamentare. Io ritengo che lei, con l'autorevolezza che ha, anche come Presidente del Parlamento egiziano, possa insistere presso gli americani perché ritornino a partecipare a questi due appuntamenti annuali che hanno sempre ottenuto un certo risultato.

Vorrei dire, infine, che la cosa più importante è il non confondere la religione e la politica. Ricordo che quando il presidente Nasser adottò una terribile norma, e cioè che per essere a capo di una scuola bisognava essere arabo, ci fu per qualche giorno il timore che la scuola dei salesiani ad Alessandria d'Egitto dovesse chiudere. Però, con buona volontà, si trovò un salesiano libanese, quindi arabo, e pertanto il problema fu risolto pacificamente.

AHMAD FATHI SOROUR. La ringrazio, presidente Andreotti, per queste preziose parole che faccio mie. Per quanto riguarda l'Unione interparlamentare internazionale e la mancata partecipazione del Congress americano, è una vecchia storia. Quando sono stato eletto Presidente dell'Unione interparlamentare, ho notato che l'America non pagava la sua quota. Mi sono recato personalmente presso il Congress americano, ho incontrato Al Gore, che era allora Presidente del Senato, che si convinse a pagare la quota americana. Dopodiché hanno smesso di pagare e credo che non abbiano nemmeno il diritto di voto; forse gli Stati Uniti verranno allontanati o espulsi dall'Unione interparlamentare.

A quanto mi è dato di capire, però, alcuni Stati sono molto disturbati dagli interventi dell'Unione interparlamentare affermando che bastano in questo caso i Governi; ma i Governi spesso dicono che i Parlamenti li disturbano perché esercitano una funzione di controllo. Dunque basta il controllo parlamentare all'interno dei loro Paesi e non vogliono altre azioni di disturbo né ulteriori azioni di controllo nei forum internazionali.

In quanto Presidente, quando ho firmato l'Accordo con il Segretario generale dell'ONU per collaborare con noi, la Gran Bretagna e la Francia hanno protestato dicendo che occorreva lasciare ai Governi il compito di gestire le relazioni con l'ONU. Non volevano che i Parlamenti intervenissero, non volevano disturbi né interventi vari, era sufficiente il ruolo interno dei Parlamenti.

Per quanto riguarda la questione degli Stati Uniti, vorrei fare alcune osservazioni: durante i tempi della Guerra fredda gli Stati Uniti partecipavano sempre alle riunioni interparlamentari perché in quel forum criticavano l'URSS. Ora quel forum non è più necessario per criticare Mosca; credo però che, se verranno aggrediti e criticati, dovranno presentarsi per difendersi. Noi non vogliamo attaccare né criticare l'America, vogliamo che l'Unione interparlamentare sia un luogo di dialogo e chiediamo dunque all'America di dialogare. È questo che vogliamo.

Credo anche che una personalità eminente come il presidente Andreotti potrà forse dare un suo contributo a convincere il Congress a partecipare all'Unione interparlamentare per dialogare con noi.

LUIGI RAMPONI. Signor presidente Sorour, la ringrazio per la sua illustrazione. Parlando del processo di democratizzazione che, in fondo, è la domanda più ricorrente nell'ambito della comunità occidentale, è pensabile che, ad un certo punto, i popoli arabi riescano a realizzare un processo di democratizzazione che non trovi eccessivi ostacoli da parte dell'atteggiamento religioso e da parte di certi atteggiamenti tradizionali di quell'area? Giustamente lei dice sì a Barcellona, ma soprattutto attualmente, attraverso quanto è stato deciso nell'ambito della Conferenza nella biblioteca di Alessandria, gli Stati arabi dicono che non hanno nessun bisogno che qualcuno dica da fuori come realizzare questo processo: io concordo assolutamente in questo.

Ho letto questa relazione e vi ho trovato la risposta a quel quesito che ho detto essere fondamentale, che molte volte noi ci poniamo. Sono stato anche meravigliato, debbo dire, per il livello avanzatissimo di visioni nel campo sociale e culturale, ma anche nel campo economico, politico ed istituzionale. Però non ho la possibilità di capire bene quali effettivamente siano le connessioni tra quanto è stato dichiarato da 160 illustri pensatori, che rappresentavano 18 Paesi arabi alla biblioteca alessandrina, e quanto in realtà vi sia di capacità di recepimento da parte dei singoli Governi degli Stati arabi, pur rispettando le differenze alle quali anche lei ha fatto cenno. È chiaro, lei ha citato l'esempio delle loro elezioni, che sono avvenute sotto il controllo della magistratura, ma questo è un esempio assai poco frequente negli altri 20 Stati arabi. Quindi, vi sono livelli diversi.

Allora desidero chiedere, grazie all'esperienza che lei certamente ha e grazie anche alla visione complessiva della realtà del mondo arabo, se ritiene che il messaggio che esce dalla biblioteca di Alessandria troverà audience, seppure nel rispetto dei diversi punti di partenza, in tutti i Paesi arabi interessati.

AHMAD FATHI SOROUR. La ringrazio per i suoi commenti positivi. Credo che il messaggio della biblioteca alessandrina abbia già un valore morale intrinseco, ma dal punto di vista politico avrà una forza di impatto e di imposizione (che non deve essere per forza con mezzi coercitivi perché l'imposizione può avvenire anche attraverso una pressione sociale e politica).

Quel documento ha visto la luce nella biblioteca di Alessandria che in passato è stata un faro per l'umanità, è nata in Egitto e il suo luogo naturale è l'Egitto. Quel documento ora viene diffuso in tutti i Paesi arabi ed è un'iniziativa che nasce dall'interno. Se io fossi uno di coloro che prendono l'iniziativa dall'esterno, avrei detto "attuate la vostra iniziativa e non quella nostra, che è esterna".

Il documento alessandrino è un piano a lunga scadenza che deve essere attuato dai Paesi arabi. Le giovani generazioni hanno letto questo documento ed eserciteranno pressioni sui propri Governi; credo che quel documento non sia solo inchiostro sulla carta. Nuove leve sorte nel mondo arabo hanno studiato all'estero quel documento: dinanzi ai loro occhi questo documento, che è stato approvato dal Presidente della Repubblica Araba d'Egitto, ormai ha un alto valore morale, quello che viene chiamato un impegno morale, e deve essere attuato. Se non dovesse essere applicato dai Governi, essi saranno costretti a farlo grazie ai popoli. I Governi intelligenti dovrebbero rendersi conto di questo e metterlo in applicazione.

'ABD AL WAHID PALLAVICINI. Come presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana la ringrazio, presidente Pera, per permettermi di esprimere la voce dell'Islam italiano. Rivolgo un saluto al presidente Sorour, ma forse il mio intervento è più diretto a lei, presidente Pera. Abbiamo sentito all'inizio fare sempre la giusta distinzione fra l'Islam e il terrorismo, ma ci sembra che non basti dirlo: bisognerebbe darci la possibilità di dire che cos'è l'Islam e - come abbiamo sentito dal presidente Andreotti - bisogna riuscire a distinguere la religione dalla politica e non solo, anche l'appartenenza confessionale dall'appartenenza geografica, storica, etnica o culturale. Abbiamo, infatti, la tendenza a identificare l'Oriente o il mondo arabo con l'Islam e l'Occidente e il mondo europeo con il Cristianesimo, mentre sappiamo benissimo che vi sono molti arabi cristiani, così come abbiamo il diritto di essere noi, veramente italiani, anche musulmani in questa terra che pure ospita il centro del Cristianesimo.

A noi viene sempre chiesto: cosa fate voi italiani per evitare questo malinteso di una identificazione dell'Islam con il terrorismo? Noi facciamo quello che possiamo, ma chiediamo alle autorità italiane, che sono sempre le nostre autorità, anche se noi siamo musulmani, la possibilità di una maggiore visibilità, di una maggiore forza di voce, soprattutto con riferimento a quelle richieste, che abbiamo presentato sempre al nostro Governo e che sono sul punto di essere esaudite, di un riconoscimento, finalmente, dell'unica organizzazione religiosa islamica italiana, nel senso che possa essere riconosciuta come voce di fronte alle altre voci dell'Islam in Italia, che rappresentano piuttosto la voce dei nostri confratelli immigrati o quella di Stati esteri.

MARCELLO PERA. Grazie molte, presidente Sorour. Ringrazio davvero cordialmente tutti gli amici intervenuti a questa Conferenza nella Sala Zuccari del Senato. (Generali applausi).

La conferenza termina alle ore 18,50

(A cura del Servizio dei resoconti e della comunicazione istituzionale)



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