Il Presidente: Discorsi

Ripensando il principio di separazione. Religione e politica in Europa

Convegno "L'Europa: radici e confini"

Universita Europea di Roma

7 Giugno 2005

1. Il principio di separazione

Del tema di questo Convegno, prendero la parte che riguarda le radici. E di questa parte, mi concentrero sulla fase moderna e sulla situazione attuale. So di dire cose che in gran parte ho gia detto e scritto, e me ne scuso, ma ritengo che sia utile tornare sull'argomento. Anche perche queste cose sono difficili, la ricerca deve continuare e il confronto proseguire.

E noto che da quattro secoli l'Europa si basa su quella che e stata definita la "sintesi di Westfalia". Li, nel 1648, si affermo un principio che ha fatto epoca, il principio di separazione tra sfera politica dello Stato, autonomo nei suoi poteri, e sfera religiosa dei cittadini, libera e indipendente dentro i confini dello Stato. Piu o meno nello stesso periodo, nella cultura europea, si ando affermando, dopo il processo a Galileo, un analogo principio di separazione, quello tra la sfera scientifica e la sfera religiosa. Secondo le celebri parole del cardinal Baronio citate da Galileo nella lettera a madama Cristina di Lorena del 1615, la Scrittura insegna , cioe non parla di astronomia bensi di salvezza delle anime.

Con il passare del tempo, prima teorizzate da grandi studiosi poi reclamate da competenti, addetti ai lavori e cittadini, versioni diverse dello stesso principio di separazione si moltiplicarono: ad esempio, tra verita di fede e verita di scienza; verita di morale e verita di diritto; verita divine e verita di stato; verita private e verita pubbliche.

Specialmente nel campo della cultura, il principio della separazione aveva, e continua ad avere, uno scopo ottimistico: se si separano le sfere di competenza, ciascuna con propri metodi, procedure e finalita, c'e da credere che non ci saranno interferenze e conflitti; e se non ci saranno interferenze e conflitti, c'e da credere che ciascuna sfera progredira al meglio delle sue possibilita senza vincoli posti dall'altra sfera.

Cosi in effetti sono andate le cose, con quei progressi enormi in tutti i campi - dalla scienza, alla tecnica, al diritto, alla politica, all'economia - che hanno fatto dell'Europa e poi dell'intero Occidente la civilta della massima espansione e attrazione.

Ma, come sempre accade, quando c'e progresso, qualcuno ne fa le spese. Dal principio della separazione, a trarre piu vantaggi e stato lo spirito positivo che si e esteso a tutti i campi, mentre a subire piu perdite e stata la religione, la quale si e invece gradualmente ritirata in recinti sempre piu piccoli, fino a trovarsi rinchiusa in quella che, prima di diventare Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger aveva definito il "ghetto della soggettivita".

Rispetto a questo andamento, la novita di oggi in Europa e duplice. Da un lato, avanza una richiesta di identita del cittadino europeo, in parallelo ai processi di allargamento, di unificazione, di immigrazione. Dall'altro lato, si afferma una crescente domanda religiosa come componente di tale identita. In giro per il vecchio Continente c'e un risveglio spirituale, un bisogno di credere, una necessita di definirsi.

Guardiamoci attorno. Centinaia di migliaia e milioni di persone, soprattutto giovani, sono rimasti attratti dalla figura del Papa appena deceduto e sono sfilati davanti alla sua bara. Gruppi sempre piu vasti di popolazione si interrogano su se stessi e cercano guide spirituali. Il laicismo imposto con la legge e sempre meno accettato. La tolleranza vissuta come indifferenza e sempre piu respinta. Molti laici si cimentano con problemi un tempo relegati a mere questioni private di fede. L'indifferenza etica e sempre meno tollerata. E nascono tante domande e tanti dubbi. Ad esempio, se sia davvero tollerante difendere il diritto alla moschea o al velo o agli altri simboli per gli immigrati senza chiedere il rispetto reciproco dei propri luoghi e simboli di culto cristiano. Se sia veramente liberale togliere il crocifisso dalle scuole. Se sia veramente laico conferire pari dignita etica a tutte le culture. O perche un gay pride sia considerato una manifestazione di identita mentre una processione cattolica un residuo folcloristico. O perche sia piu disdicevole offendere la religione degli altri che la propria.

Il fenomeno e innegabile ed e in crescita. E pone problemi nuovi. Come orientarci in questo risveglio religioso che coinvolge anche le coscienze dei laici, almeno di coloro che sanno distinguere la laicita dal laicismo? Come trattare questo fenomeno che mette in discussione l'assioma a lungo mantenuto della teoria delle relazioni internazionali, secondo cui la religione e un fatto privato irrilevante?

2. La separazione come imperativo

Per evitare di trovarci impreparati, dobbiamo ripensare quelle categorie interpretative del mondo che si sono affermate con la cultura di Westfalia e che abbiamo bevuto col latte materno. In particolare, dobbiamo interrogarci sul principio di separazione e cercare risposte nuove e diverse da quelle della frammentazione, della ghettizzazione e della incomunicabilita delle competenze, delle fonti e delle autorita cui alla fine esso ha dato luogo. Personalmente, come contributo alla discussione, avanzo le risposte che seguono.

In primo luogo, non dovremmo mettere in discussione la separazione fra Stato e Chiesa. Al contrario, questa separazione dobbiamo mantenerla, perche e preziosa per la nostra convivenza e tolleranza. Gli Stati teocratici, quelli in cui il precetto religioso e legge statale, sono dispotici e illiberali, e comunque sono piu dispotici e piu illiberali degli Stati democratici.

In secondo luogo, non dovremmo respingere la separazione fra politica e religione. La proliferazione dei saperi e il loro progresso si deve a questa separazione, cosi come ad essa si deve una relativamente pacifica convivenza tra le sfere culturali separate. Se altri casi Galileo non si sono piu presentati, neppure quando avrebbero potuto sorgere, si deve proprio, oltre che alla prudenza dei soggetti, allo spirito di convivenza che la separazione ha indotto.

E pero, in terzo luogo, dopo tanta desuetudine e di fronte al fenomeno della rinascita religiosa, dobbiamo tornare a porci una domanda. Che cosa, propriamente, significa "separazione"? Due risposte credo dovrebbero essere escluse.

La prima: separazione non puo significare divisione. Cio e impossibile in linea di principio e anche di fatto. Si consideri, ad esempio, un legislatore che sia chiamato a definire un reato, poniamo l'omicidio. Questo reato individua un disvalore sociale (sopprimere le persone), questo disvalore si definisce in relazione ad un corrispondente valore (rispettare le persone), e il valore a sua volta richiede la propria giustificazione. Dove risiede questa giustificazione del valore? In una societa di tradizione cristiana come la nostra, alla fine, il reato di omicidio rimanda al comandamento divino "Non uccidere". Ma cio significa che la sfera della legislazione politica non e di fatto, ne puo essere per principio, divisa dalla sfera della fede religione. Se all'inizio non ci fosse quel comandamento divino, alla fine non ci sarebbe quella norma penale.

Qui occorre essere attenti a non fraintendere. "Non uccidere" non e una norma di legge perche "Non uccidere" e una norma di fede giudaico-cristiana. Non siamo di fronte ad un comandamento religioso che abbia immediato corso e valore nel campo penale. Il cammino e assai piu lungo e complesso. All'origine abbiamo una legge divina, mosaica, che afferma un valore; questo valore diventa credo di individui e patrimonio di popoli; questo credo e patrimonio generano una cultura; quella cultura reclama diritti; e alla fine quei diritti reclamati diventano norma positiva. La separazione fra religione e politica resta, perche la norma positiva penale e dettata dallo Stato e non da un'autorita religiosa, ma, dalla sequenza dei fatti, risulta chiaro che la separazione non e divisione, e piuttosto contiguita, lenta assimilazione, graduale assorbimento.

Vediamo la seconda risposta. Piu o meno per le stesse ragioni per cui separazione non significa divisione, non significa neppure estraneita. Si consideri un altro caso, quello del legislatore che deve prendere posizione in un qualunque tema di spiccato contenuto etico, come sono oggi quelli di bioetica. In base a che cosa decidera? Se e un legislatore democratico e non dispotico, decidera in base ai sentimenti piu diffusi, alle opinioni piu radicate, alle convinzioni piu sentite e dunque in base ai valori piu accettati e condivisi nella societa, compresi i valori religiosi. Se la separazione fra religione e politica significasse estraneita dell'una all'altra, il legislatore non avrebbe principi cui riferirsi e con cui decidere. In generale, vale una regola: una religione, la quale sia divenuta costume e pratica e abito, inevitabilmente tracima oltre la soggettivita, va oltre la sfera privata degli individui, investe i corpo sociale. E quella religione che fosse diventata modo di essere civile tracimerebbe piu di tutte, perche i suoi insegnamenti diventerebbero costumi civili, al tempo stesso politici e religiosi.

Ma, allora, se non e ne divisione ne estraneita, come altrimenti dobbiamo considerare la separazione fra politica e religione? Credo che il modo intellettualmente piu appropriato e praticamente piu utile sia di concepirla come un imperativo o un avvertimento: non oltrepassare un certo limite perche altrimenti i valori della tolleranza, del rispetto, della convivenza sono a rischio.

Cosi inteso, il principio di separazione fra religione e politica dice che c'e un certo limite oltre il quale una fede religiosa trasportata nell'ambito politico produce intolleranza e diminuisce la liberta di tutti e ciascuno. Il principio di separazione pero non fissa quel limite in astratto e una volta per tutte. Esso non dice dove deve essere posto. Il "dove" - ad esempio, dove la scienza si deve fermare davanti alla religione o dove il diritto si deve fermare davanti alla morale - e un punto da stabilire di volta in volta, e un confine che si sposta continuamente con il cambiare storico delle circostanze, delle convenienze, delle opportunita, delle sensibilita. E a causa di questo spostamento che cio che oggi, su un determinato tema, ad esempio di bioetica, sembra una interferenza intollerabile della religione sulla politica o sulla scienza, domani potra apparire una convivenza opportuna, o al contrario, cio che oggi sembra una tolleranza reciproca conveniente domani potra essere avvertito come una intrusione e una prevaricazione inaccettabile.

Insomma, il principio di separazione pone la laicita dello Stato e della politica come consapevolezza di un limite da non oltrepassare. Ma il limite e affidato alla nostra prudenza. Laico e quello Stato che avverte l'esigenza di questo limite, e prudente e quello Stato laico che, al momento giusto, fissa il confine al punto giusto.

3. Una sfida per laici e credenti

La domanda che ora mi pongo e: noi politici e intellettuali e cittadini degli Stati europei lo stiamo mettendo, questo limite, nel confine giusto? Abbiamo consapevolezza che la cultura separatista di Westfalia e in crisi e percio occorre dare spazio diverso ai sentimenti religiosi dei nostri popoli?

Per quanto riguarda l'Europa, la risposta e dubbia. Posti di fronte alle domande: "Chi sei tu, vecchio Continente?", "Chi fur li maggior tua?", "Sei ancora il continente cristiano di Pietro e Paolo, di Cirillo e Metodio, di San Benedetto, e di tanti altri protagonisti della evangelizzazione?", i cento padri della Costituzione europea hanno preferito tirarsi fuori d'impaccio e imboccare la vecchia strada della separazione.

C'e un punto che - assieme al rifiuto del richiamo alle radici giudaico-cristiane nel Preambolo del Trattato - la dice lunga su come il laicismo degli Stati abbia volentieri imposto e le Chiese, compreso quella cattolica, abbiano forse altrettanto volentieri accettato la vecchia cultura della separazione. E l'art.52 del Trattato costituzionale europeo. Esso dice:

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Che cosa significa? Significa che l'Unione europea tutela diritti temporali di chiese o associazioni. In altri termini, significa che l'Unione rispetta, nei singoli Stati membri, le religioni in essi ammesse secondo le modalita in essi stabilite. In altri termini ancora, significa che l'Europa del 2004 torna a qualcosa di simile all'Europa del 1555, quella della pace di Augusta: cuius regio, eius religio.

Questa oggi e la formula separatista dei concordati. Che questa formula sia andata bene agli stati laicisti si comprende, perche per i laicisti la religione deve essere un fatto privato che non si puo esibire in pubblico e che vale un prezzo del prelievo fiscale purche non si esibisca in pubblico.

Che questa formula sia stata accettata dalle Chiese europee, anche dalla Chiesa cattolica, forse si comprende pure, non solo perche i benefici temporali sono sempre attraenti, ma anche perche essi consentono quel tanto di autonomia che e necessaria alla missione.

Ma che la formula concordataria dell'art.52 basti a dare forma istituzionale, cittadinanza politica, accoglienza civile alla rinascita religiosa europea e fortemente da dubitare. E credo che dovrebbero dubitarne tutti. I laici, che dovrebbero essere interessati a non vedere affievoliti tanti valori di convivenza che hanno radici cristiane. E i credenti, che dovrebbero riflettere su quali modi, strumenti, spazi, diversi da quelli temporali e concordatari consueti, si aprono oggi alla propria fede. Gli uni per non ricadere in quel laicismo che li sta narcotizzando. Gli altri per sfuggire dal ghetto in cui si sono rinchiusi.

Per operazioni di questo genere, dall'una e dall'altra parte occorre coraggio. E purtroppo, tanto coraggio in giro non c'e. Avverto piuttosto un senso di resa. Oggi l'uomo europeo e occidentale sembra un penitente che si batte in continuazione il petto. Se ci sono fondamentalisti e terroristi che gli hanno dichiarato la jihad, allora - pensa il penitente - deve esserci una ragione. Se c'e una ragione, allora essa nasce da uno squilibrio sociale. Se c'e uno squilibrio sociale, allora qualcuno l'ha provocato deliberatamente. Se qualcuno l'ha provocato deliberatamente, allora l'Occidente nazionalista, imperialista, colonialista e colpevole. E se l'Occidente, alla fine, e colpevole di aver provocato la jihad, allora si merita la jihad.

Adottando questo modo di ragionare, l'Occidente trova sempre un "ma" per bloccarsi, paralizzarsi, giustificarsi. Alcuni gruppi islamici ricorrono al terrore? Brutta cosa, ma l'imperialismo americano e di per se terroristico. Rapiscono e uccidono? Azione certamente da condannare, ma si dimentica che sono resistenti che trattano bene gli uomini e le donne di pace. Ricorrono a kamikaze? Azione esecranda, non c'e dubbio, ma lo fanno per disperazione.

Io credo che questo modo di pensare e agire debba essere respinto. Soprattutto ora che, anche in Europa, la rinascita religiosa torna a riaffacciarsi nelle coscienze individuali e a voler reclamare i suoi diritti nella societa, la cultura della resa non rappresenta solo un freno alla nostra identita. Essa e anche un abbassamento delle nostre difese di fronte all'esplosione, talvolta violenta e intollerante, delle identita altrui.

Il dialogo fra credenti e laici, soprattutto laici liberali, che da noi, in Italia piu che altrove, e cominciato in modo promettente dovrebbe aiutare a respingere la cultura della resa e dell'indifferenza. Ma un dialogo, se e autentico, e una sfida intellettuale che richiede coraggio da entrambe le parti. Ce l'hanno, questo coraggio, i laici o si sentono ancora confortati dai pigri recinti di Westfalia? Ce l'hanno, lo stesso coraggio, i credenti o si sentono ancora protetti dalle gabbie dei concordati? Vogliono gli uni e gli altri procedere in mare aperto, confrontarsi davvero, interrogarsi davvero, mettersi in discussione davvero?

Io spero di si, che lo vogliano, perche la posta e alta: con la nostra identita, e in gioco il nostro futuro.



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