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Scaffale della memoria

Jessie White Mario, The poor of Naples

marioIn occasione del centocinquantenario dell'Unità non si può non accennare alle tante donne che, al pari degli uomini, hanno avuto un ruolo rilevante nel processo di costruzione dello stato nazionale italiano. Sono state un gruppo numeroso, di diverse estrazioni sociali, unito nell'intento di costruire un paese in cui riconoscersi e trovare espressione. Le donne sono dunque presenti nella storia del Risorgimento e vi hanno partecipato attraverso una molteplice varietà di scelte, di atteggiamenti e di ruoli; la maggior parte sono protagoniste sconosciute all'interno di quella che è una storiografia ancora troppo maschile.

Tra le tante che hanno contribuito alla causa nazionale si annovera l' inglese Jessie White Mario, moglie del patriota Alberto Mario, che si dedicò con passione al riscatto politico e civile dell'Italia. Jessie iniziò ad occuparsi della causa italiana sin dal 1856, quando, su suggerimento di Mazzini, cominciò a curare una rubrica dal titolo Italy for Italians sulle colonne del quotidiano londinese Daily news. Formatasi politicamente nell'ambiente repubblicano, partecipò all'impresa dei Mille, alternando l'attività di infermiera a quella di giornalista. Compiuta l'unificazione, il suo impegno politico non si esaurì ma si rivolse ai 'nuovi italiani', in particolare al popolo partenopeo che dalla recente annessione usciva ancora più misero e degradato di prima. Spinta da Pasquale Villari, affrontò i temi della questione meridionale e della questione sociale con due inchieste: la prima, pubblicata nel 1877, per l'editore fiorentino Le Monnier, dal titolo La Miseria in Napoli e la seconda, pubblicata nel 1895 nell'opera collettiva The poor in great cities, dal titolo The poor in Naples.

Jessie White Mario, così come altri scrittori, ha denunciato, con occhio critico e spietato, una realtà conosciuta ma largamente ignorata dagli uomini politici dell'epoca: la povertà e l'arretratezza in cui versavano tutte le province meridionali. Al momento dell'annessione la situazione al Sud era caratterizzata da una grave arretratezza economica: in agricoltura, il latifondo conviveva con la polverizzazione della proprietà terriera, tale, spesso, da impedire di superare la barriera di un'economia di sussistenza, mentre l'industria risultava poco sviluppata anche per l'inconsistenza delle infrastrutture. Anziché modificare le condizioni di vita delle popolazioni partenopee, intervenendo sugli aspetti strutturali dell'arretratezza, il governo centrale optò per una politica tributaria che andò a ledere ancora di più la già precaria situazione del meridione. La grandinata di tasse che si abbatté sui cittadini impedì l'accumulazione di risparmio e di capitale, bloccando il potenziale sviluppo industriale del Sud. Per Napoli, la perdita del rango di capitale, con il trasferimento del baricentro politico al Nord, ebbe conseguenze anche di carattere economico, con la crisi del complesso delle attività commerciali e artigianali che avevano gravitato attorno alla corte borbonica. Lo stato di indigenza che derivò da questa situazione è al centro dell'inchiesta della Mario, la quale visitò di persona i bassifondi di Napoli per conoscere e descrivere con perizia la realtà delle cose. La sua seconda inchiesta prende in esame anche le conseguenze della Legge per il risanamento di Napoli, varata nel 1884 per cercare di porre un freno al degrado cittadino attraverso una nuovo assetto urbanistico della città. La legge in questione proponeva in sostanza la bonifica dei quartieri più poveri attraverso la loro demolizione e la costruzione di una strada principale dalla stazione centrale al centro cittadino. In realtà alle spalle dei grandi palazzi umbertini la situazione rimase immutata: essi servirono solo a nascondere meglio il degrado e la povertà di quei rioni. Come la Mario ha sottolineato nelle pagine della sua inchiesta e come hanno ribadito numerosi altri intellettuali dell'epoca, la miseria di Napoli non fu debellata ma soltanto confinata dietro il paravento della città 'per bene'.

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