Pubblicato il 9 aprile 2013, nella seduta n. 10
Note: (Testo 3)
DE PETRIS , STEFANO , PIGNEDOLI , PUPPATO , CIRINNA' , PETRAGLIA , DE CRISTOFARO , URAS , CERVELLINI , BAROZZINO , MARTINI , VALENTINI , PAGLIARI , CASSON , BERGER , DIRINDIN , VACCARI , CHITI , GIACOBBE , MANCONI , FEDELI
Il Senato,
premesso che:
l'agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l'agricoltura italiana registra risultati migliori dell'industria e dell'economia nel suo complesso, in termini sia di contributo alla crescita economica che di occupazione; ancora meglio si posiziona l'industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell'industria in generale; l'export si conferma il motore dell'agroalimentare italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (con un incremento del 5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente;
le performance attuali del settore dipendono da fattori sia generali del sistema Paese che specifici del settore, caratterizzato dalla profusione di un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione diffusa a livello internazionale per la quale si tende a considerare la produzione agricola solo in termini di commodity; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dalle produzioni transgeniche, a prescindere dalle conseguenze che ne derivano, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti dalle stesse multinazionali;
ad oggi i nodi da sciogliere connessi al settore transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e per l'agricoltura del Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell'impossibilità di coesistenza tra le colture geneticamente modificate con quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione, che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull'uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
un'eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe, inoltre, come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il modello agricolo italiano, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno, ma ancor più all'estero, che danno vita a quel made in Italy così stimato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
la direttiva n. 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, per quanto concerne sia l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati (Ogm), sia l'emissione deliberata di Ogm nell'ambiente, e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da Ogm attraverso l'applicazione della clausola di salvaguardia;
la stessa direttiva sull'emissione deliberata di Ogm è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della Commissione interministeriale di valutazione;
lo stesso decreto, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta clausola di salvaguardia mediante la quale le autorità nazionali preposte, per l'Italia i Ministeri dell'ambiente, delle politiche agricole e della salute, possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
la direttiva europea costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l'articolo 22 è previsto che gli Ogm autorizzati in conformità alla direttiva devono poter circolare liberamente all'interno dell'Unione, mentre con l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti»;
successivamente l'Unione europea ha compiutamente regolamentato le procedure concernenti l'autorizzazione e la circolazione degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati con il citato regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio;
con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale con la sentenza n. 116/2006 ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L'intervento della Corte ha causato un pericoloso vuoto normativo poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni disposizione nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva n. 2001/18/CE. Per la Corte uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati, solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette ad evitare la presenza accidentale di Ogm in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione e iscritti nel catalogo comune;
fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva n. 2001/18/CE, attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee, che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni Ogm sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
anche le Regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva n. 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
a tal proposito la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della stessa direttiva in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 e, tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro stesso a rappresentare al Ministro dell'ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto all'autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale;
il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l'adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e del Friuli ci sono 52.000 sacchi di mais transgenico autorizzato dalla UE Mon810, sufficienti a coltivare 32.000 ettari, pronti per le semine di primavera;
in presenza di rischi concreti, per il sistema agricolo nazionale, di inquinamento da colture transgeniche, che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria ed incompleta, lo stesso Ministro delle politiche agricole, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente, in qualità di autorità nazionale in materia, di guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di Ogm in Italia; ad oggi 8 nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di Ogm autorizzate nei loro territori;
in realtà l'ultimo Rapporto del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura (ISAA) sullo status globale della commercializzazione di colture biotech/Ogm del febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo 5 Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare Ogm, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute ha inoltrato alla Direzione generale Salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole a norma dell'art. 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003,
impegna il Governo:
1) ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'art. 54 del regolamento (CE) n.178/2002, al fine di impedire ogni forma di coltivazione in Italia del mais transgenico Mon810 e di altri Ogm eventualmente autorizzati a livello europeo, a tutela della salute umana, dell'ambiente e della sicurezza del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
2) a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'impiego straordinario di reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato per potenziare, d'intesa con le Regioni, le attività di controllo sui prodotti sementieri in corso di distribuzione e sull'eventuale presenza non autorizzata di sementi transgeniche.