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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 62 (Nuova Serie), aprile 2021

Liliana Segre e Gianni Marilotti sul 40. anniversario dell'elezione diretta del Parlamento europeo

Proponiamo in questo numero un'anticipazione dagli Atti - in corso di stampa nella collana "Minerva Eventi" - del convegno dedicato al "40. anniversario dell'elezione diretta del Parlamento europeo", che si è svolto il 9 maggio 2019 presso la Biblioteca del Senato nell'ambito del ciclo di seminari "Conversazioni al Senato - L'Europa che vogliamo" (a cui "MinervaWeb" ha dedicato un articolo nel n. 50, n.s., aprile 2019).

In quell'occasione i saluti istituzionali furono affidati alla Vicepresidente del Senato, senatrice Anna Rossomando, al senatore Gianni Marilotti, Presidente della Commissione per la Biblioteca e per l'Archivio storico del Senato, e alla senatrice a vita Liliana Segre.

Per gentile concessione degli autori, che ringraziamo, sono appunto questi ultimi due contributi ad essere qui riprodotti: in entrambi è centrale la figura di Simone Veil, sopravvissuta alla Shoa e prima presidente del Parlamento europeo elettivo, dal 1979 al 1982. A lei il Senato ha dedicato pochi anni fa, a breve distanza dalla sua scomparsa, un convegno e una pubblicazione L'Italia ricorda Simone Veil, Atti del Convegno [promosso dalla Commissione Affari esteri ed emigrazione del Senato, Palazzo Carpegna], Aula della Commissione Difesa, 27 luglio 2017. Roma, Senato della Repubblica, 2018). Il volume fa parte della collana editoriale del Senato "Biblioteca Europa" che include, tra le altre uscite, Donne che hanno fatto l'Europa (2017) e Europa. Dal mito al voto. Louise Weiss, Simone Veil. Discorsi, Discours, Speeches (2017), anch'essi con numerosi riferimenti a Simone Veil e il testo del suo discorso d'insediamento al Parlamento europeo.

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Liliana Segre, senatrice a vita

Un caro saluto a tutti e grazie per questo invito, particolarmente gradito, a commemorare Simone Veil. Sicuramente personaggio pubblico di rilievo, Simone, protagonista nella storia francese del Novecento, ma di primissimo piano per la stessa storia politica e civile europea.

Mi hanno sempre colpito alcuni aspetti in comune tra la sua vicenda umana e la mia. Vorrei al riguardo approfittare di questa occasione per provare a impostare un confronto fra questi aspetti comuni, perché ritengo abbiano un valore non solo biografico, relativo alla sua vicenda personale e alla mia, ma più generale, dato che riguardano alcuni passaggi drammatici della storia europea del secolo scorso.

Simone veniva da una famiglia ebraica laica, proprio come la mia, perfettamente integrata nella società francese dei primi decenni del Novecento. Anche lei aveva poca dimestichezza con le usanze ebraiche, a conferma che la persecuzione razziale ebbe carattere biologico e colpì indiscriminatamente anche le comunità con i più elevati livelli di integrazione nei paesi di residenza.

In Francia vi furono le leggi razziste, esattamente come quelle italiane, varate da Mussolini nel 1938, mentre in Francia lo furono nel 1940 ad opera del regime di Pétain, collaborazionista con i nazisti. Ma significativo è che anche in Francia, proprio come in Italia, inizialmente si sottovalutò il pericolo persino dentro la comunità ebraica. Io ricordo sempre, ero bambina ma me lo ricordo perfettamente, quando nel 1939 alcuni parenti, che avevano deciso di emigrare in America, ci suggerirono di fare altrettanto; ebbene, la mia famiglia non solo rifiutò categoricamente, ma addirittura prese in giro questi paurosi - che invece avevano capito tutto - perché in verità erano quasi tutti convinti che in Italia certe cose non sarebbero mai potute succedere.

Ma anche Simone Veil ricorda nella sua autobiografia [Simone Veil, Una vita. Roma, Fazi, 2010, ndr] che quando Raymond Aron raccontò a sua madre le violenze in corso in Germania, i falò di libri, eccetera, nessuno voleva crederci.

Come si vede la specularità fra le due situazioni è praticamente perfetta, a dimostrazione che mai nessuno è preparato al peggio, men che meno allo sterminio sistematico di una parte del genere umano.

Di certo però questi atteggiamenti fatti di incredulità e indifferenza sono sempre presenti nell'animo umano e ancora oggi rendono troppe persone insensibili ai pericoli del razzismo, dell'antisemitismo, della violenza e predispongono alla diffusione di paure irrazionali verso i diversi, gli stranieri.

Ma anche quanto al capitolo Shoah i parallelismi fra la mia vicenda e quella di Simone sono sorprendenti.

Anche lei fu espulsa dalla scuola, proprio come me, anche lei dovette studiare da privatista, anche lei si scontrò con poca solidarietà e molta indifferenza da parte di compagni di scuola, amici, conoscenti. Fu qualcosa che riscontrò anche e soprattutto al momento dell'arresto nel marzo del 1944 e poi il mese dopo con la deportazione, su un carro bestiame, verso Auschwitz. "Discesa agli inferi", la chiama.

Arrivò che aveva sedici anni, io ne avevo tredici, lei fu reclusa insieme alla madre e una sorella e si domanda angosciata: «Che fu di mio padre e di mio fratello? Non l'abbiamo mai saputo». Esattamente la mia storia: separati nella bolgia della Judenrampe, con mio papà non ci siamo mai più visti. Solo molti anni dopo, ero già adulta, quasi vecchia, ho trovato il coraggio per cercare di conoscere la data della sua morte.

Naturalmente poi anche Simone ebbe il suo numero tatuato sul braccio, era il 78.651, il mio è 75.190, normale visto che io ero arrivata a febbraio del 1944, lei ad aprile. Anche lei riuscirà a sopravvivere solo perché abile al lavoro, al lavoro da schiavi presso fabbriche di componenti belliche.

Nel gennaio 1945 i campi più orientali furono abbandonati sotto la pressione dei sovietici che avanzavano, ma l'incubo non era finito. I tedeschi costrinsero infatti i deportati superstiti alla cosiddetta "marcia della morte", cioè a spostarsi a piedi, ridotti a scheletri, verso ovest, al fine esplicito di far morire per strada quanta più gente possibile. Per chi non moriva per stanchezza e magari cadeva a terra stremato c'era solo un colpo alla testa.

Simone fu invece costretta a trasferirsi verso il campo di Bergen-Belsen che definisce "l'Inferno di Dante", in una Germania ormai sull'orlo della catastrofe, tutto era caos, epidemie, cannibalismo e morte.

Io dopo varie tappe raggiunsi ai primi di aprile un piccolo campo a nord della Germania, il campo di Malchow, che fu liberato a maggio.

Anche il ritorno a casa di Simone, come quello di tutti i sopravvissuti, fu traumatico, lei non voleva parlare, gli altri non volevano ascoltare, troppi volevano dimenticare, anche questo ci ha accomunato.

Mi è capitato spesso di dire che da Auschwitz non si esce mai, neanche decenni dopo. Anche Simone scrive: «La Shoah è onnipresente, niente si cancella. I treni, il lavoro, la prigionia, le baracche, il freddo, la mancanza di sonno, la fame, le umiliazioni, l'avvilimento, le botte, le grida, niente può né deve essere dimenticato».

Simone Veil ha avuto successivamente una luminosa carriera politica e giuridica, più volte Ministro, è stata Presidente del Parlamento europeo e membro del Consiglio costituzionale francese. Ma nelle diverse cariche da lei rivestite non ha mai tralasciato di insistere sullo stesso monito: «Mai dimenticare, sempre coltivare la memoria, la storia e la giustizia».

Consentitemi di concludere con un richiamo all'attualità: rileggendo il discorso di insediamento come Presidente del Parlamento europeo pronunciato da Simone il 18 luglio 1979, ormai quarant'anni fa, si rimane impressionati dalla preveggenza delle sue parole:

«Il Parlamento europeo, che ora è eletto a suffragio universale, in futuro sarà il portatore di una speciale responsabilità, se dobbiamo affrontare le sfide che l'Europa ha di fronte abbiamo bisogno di un'Europa capace di solidarietà, di indipendenza, di cooperazione. Per l'Europa di solidarietà intendo solidarietà fra i Popoli, le Regioni e gli individui. La nostra assemblea deve continuamente far pressione per una riduzione delle disparità esistenti, dato che un deterioramento della situazione distruggerebbe l'unità del Mercato Comune.»

[Il discorso integrale di Simone Veil è disponibile in internet in testo inglese grazie all'Archivio storico del Parlamento europeo; in testo anche francese e italiano in Europa. Dal mito al voto. Louise Weiss, Simone Veil. Discorsi, Discours, Speeches, Roma, Senato della Repubblica, 2017, pp. 68-101].

Insomma Simone Veil comprese già allora che la condizione imprescindibile per preservare l'unità europea è la solidarietà sociale o in altre parole la riduzione delle diseguaglianze economiche e a volte finanziarie. Aldilà delle affinità biografiche ed esistenziali, anche in questo pensiero di Simon Veil, all'epoca profetico ed oggi drammaticamente confermato dei fatti, mi riconosco.

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Gianni Marilotti, Presidente della Commissione Biblioteca e Archivio storico del Senato

Grazie senatrice Liliana Segre, le sue parole ci confortano in un impegno che è un impegno culturale importante, fondamentale per la crescita della nostra Nazione e per migliorare le relazioni a livello internazionale, perché questa Europa così tanto bistrattata è assolutamente fondamentale per lo sviluppo della civiltà mondiale e per l'affermazione dei diritti, sia quelli storici sia i nuovi diritti che i popoli di tutto il mondo reclamano.

[...] Avete visto nelle teche alcuni importanti atti esposti a cura dell'ASSR (Archivio storico del Senato della Repubblica), vorrei sottolineare in particolare due documenti: uno che riguarda gli Atti parlamentari che accompagnarono l'approvazione della legge per l'elezione diretta del Parlamento europeo del nostro Paese e l'altro relativo all'incontro che si tenne qui in Senato, auspice il Presidente del Senato di allora Amintore Fanfani, che invitò la Presidente del Parlamento europeo Simone Veil per tracciare un primo bilancio dei due anni e mezzo del suo mandato come Presidente di questa importante Assemblea.

Prendendo la parola alla Camera dei deputati il 10 febbraio del 1977, Altiero Spinelli era consapevole che si stava scrivendo una pagina storica molto importante, di cui però non sottaceva neanche i limiti. Infatti, egli era assolutamente consapevole che l'Unione, che la Comunità europea fino allora realizzata si basava soprattutto su un approccio economicistico e che gli Stati nazionali mantenevano ancora un'assoluta sovranità: dire assoluta sovranità significa che avevano ceduto alcuni poteri, ma non erano disposti a cederne ulteriori. Tuttavia Spinelli ebbe a sostenere in quell'occasione che se 'popolo' significa una comunità di uomini che si riconoscono in un'istituzione comune per realizzare interessi comuni, con l'elezione diretta del Parlamento europeo stava nascendo il 'Popolo europeo', che non era assolutamente in conflitto con i popoli nazionali, ma che svolgeva un ruolo maggiore, superiore, in virtù del fatto che la Nuova Europa che nasceva dalle macerie della Seconda guerra mondiale, dei disastri, dei drammi, provocati dagli accesi nazionalismi, poteva configurare un nuovo percorso.

Non dobbiamo dimenticare che il Parlamento europeo è, insieme alla Corte di Giustizia europea e alla Banca Centrale europea, una istituzione federalista, mentre il Consiglio europeo, che contempla il diritto di veto degli Stati membri, è una istituzione di tipo confederale, e la Commissione europea si muove su un piano funzionalista. Ciò per sottolineare il ruolo preminente del Parlamento europeo.

Quattro anni dopo il discorso di Altiero Spinelli, la presidente Simone Veil, delineando una prima valutazione sui due anni e mezzo di attività del Parlamento europeo, era praticamente sulla stessa linea di pensiero e, citando il filosofo Raymond Aron, [...] affermava che dell'importanza di un Parlamento - molto spesso si parla di una democrazia stanca - ci rendiamo conto quando esso è assente. Allora rispondendo alla domanda se il Parlamento europeo stava svolgendo le funzioni per cui era stato istituito chiedeva: «Cosa diverrebbe questa Comunità europea, nata come Comunità economica, se il Parlamento europeo non esistesse?».

Certo il Parlamento europeo, e di questo era consapevole, non è un'assemblea rivoluzionaria del sistema istituzionale comunitario; quell'assemblea rivoluzionaria che molti o diversi auspicavano ha dei limiti, ha poteri scarsi, prevalgono ancora gli interessi nazionali.

Però su due questioni Simone Veil insisteva, riconoscendo al Parlamento europeo due compiti fondamentali: il primo è quello di intervenire nel dibattito interno con le altre istituzioni comunitarie, Consiglio e Commissione, al fine di precisare meglio il ruolo decisivo che un Parlamento eletto a suffragio universale dovrebbe svolgere; il secondo è quello di parlare di temi riguardanti i diritti in termini alti, affrontando tematiche fondamentali che molto spesso sono trascurate dai parlamenti nazionali, e quindi assegnava al Parlamento europeo un ruolo di rappresentanza alta di questa istituzione europea nei confronti del mondo. Credo che questi compiti siano ancora oggi all'ordine del giorno del Parlamento che ci accingiamo a rieleggere [...].

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