Legislatura 19ª - Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari - Resoconto sommario n. 31 del 12/03/2024

Il relatore, senatore DURNWALDER (Aut (SVP-PATT, Cb)), nell'illustrare la proposta conclusiva, fa preliminarmente presente che occorre ripercorrere i passaggi salienti della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 27 luglio 2023, con la quale la Consulta ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, per avere quest'ultima acquisito agli atti del procedimento penale (iscritto al n. 3745 del registro generale delle notizie di reato del 2019, pendente nei confronti del senatore Matteo Renzi e di altri soggetti), corrispondenza scritta riguardante il medesimo senatore Renzi, senza previa autorizzazione del Senato (in quanto mai richiesta), menomando con ciò le attribuzioni garantite a quest'ultimo dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione.

Il conflitto era stato sollevato su proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (Doc. XVI, n. 9 della XVIII legislatura) ed approvato dall'Assemblea nella seduta del 22 febbraio 2022.

Il ricorso, dapprima dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 261 del 2022, è stato poi deciso con la predetta sentenza n. 170 del 27 luglio 2023, nella quale la Consulta ha accolto le doglianze del Senato in relazione alla corrispondenza riguardante il senatore Renzi, costituita da messaggi di testo inviati tramite l'applicazione WhatsApp, nonché da posta elettronica.

Invero la Corte ha respinto la tesi del Tribunale resistente secondo cui si sarebbe di fronte a una generica acquisizione di documenti, ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale, non rientrante quindi nel novero degli atti per i quali l'articolo 68 della Costituzione esige il placet della Camera di appartenenza del parlamentare. Le argomentazioni del Tribunale, secondo cui la comunicazione è "degradata" a mero documento quando non più in itinere, sono state ritenute dalla Consulta una soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall'articolo 15 della Costituzione nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all'invio segue immediatamente - o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile - la ricezione. La considerazione dei messaggi scambiati tramite lo smartphone come corrispondenza si impone quindi, secondo la Corte costituzionale, a maggior ragione allorché si tratti di delimitare specificamente l'area della corrispondenza di e con un parlamentare, per il cui sequestro l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione richiede l'autorizzazione della Camera di appartenenza. A tale conclusione la Corte addiviene esaminando la propria giurisprudenza intesa a inquadrare l'autorizzazione al sequestro di corrispondenza dei parlamentari come una prerogativa "strumentale […] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari", volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere "indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività" (sentenza n. 390 del 2007 e successive). Se tale è la ratio della prerogativa, limitarla alle sole comunicazioni in corso di svolgimento significherebbe darne una interpretazione così restrittiva da vanificarne la portata: condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare potrebbero derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario.

Inoltre la Corte, dopo aver ripercorso la propria giurisprudenza in base alla quale ha esteso la tutela costituzionale della corrispondenza, ai sensi dell'articolo 15 e del terzo comma dell'articolo 68, anche ai dati esteriori delle comunicazioni (quelli, cioè, che consentono di accertare il fatto storico che una comunicazione vi è stata e di identificarne autore, tempo e luogo) - problema postosi particolarmente in rapporto ai tabulati telefonici (per l'articolo 68 viene citata la sentenza n. 38 del 2019) - ne fa derivare la conclusione che se, dunque, l'acquisizione dei dati esteriori di comunicazioni già avvenute (quali quelli memorizzati in un tabulato) gode delle tutele accordate dagli articoli 15 e 68, terzo comma, della Costituzione, è impensabile che non ne fruisca, invece, il sequestro di messaggi elettronici, anche se già recapitati al destinatario; tale operazione consente infatti di venire a conoscenza non soltanto dei dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche del loro contenuto, e dunque con attitudine intrusiva tendenzialmente maggiore.

A sostegno delle proprie conclusioni la Corte di legittimità delle leggi richiama la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che non ha esitato a ricondurre nell'alveo della "corrispondenza" tutelata dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione "statica", ed anche gli SMS e messaggi di posta elettronica contenuti in uno smartphone (Corte EDU, sentenza Saber, paragrafo 48).

Sulla base delle esposte considerazioni la Corte costituzionale conclude quindi che l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione tuteli la corrispondenza dei membri del Parlamento - ivi compresa quella elettronica - anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico".

Di conseguenza, per tale punto la Corte ha dichiarato che non spettava alla Procura di Firenze sequestrare e acquisire agli atti del procedimento penale la corrispondenza riguardante il senatore Matteo Renzi, costituita da messaggi di testo scambiati tramite l'applicazione WhatsApp e dai messaggi di posta elettronica, annullando il relativo atto di sequestro in parte qua.

Al contrario, per quanto concerne l'acquisizione dell'estratto del conto corrente bancario personale del senatore, la Corte ha confermato l'operato del Tribunale di Firenze, in quanto ha qualificato lo stesso conto corrente come "documento", ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale.

Infine occorre precisare che la Corte costituzionale ha fornito anche delle indicazioni quanto alle modalità operative concrete dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003: quando si è di fronte al sequestro di "contenitori" di dati informatici appartenenti a terzi - telefoni cellulari, computer o di altri dispositivi - nella cui memoria sono conservati, tra l'altro, messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti, gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre - in confronto al terzo non parlamentare - il sequestro del "contenitore" (nella specie, del dispositivo di telefonia mobile); nel momento, però, in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma del richiamato articolo 4 della legge n. 140 del 2003.

Inoltre, in accordo con quanto sostenuto nella relazione della Giunta, la Corte ha sostenuto che l'autorizzazione va chiesta, nei termini dianzi delineati, a prescindere da ogni valutazione circa la natura "mirata" o "occasionale" dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare (distinzione elaborata dalla stessa Corte in rapporto alle intercettazioni di conversazioni di membri del Parlamento, con conseguente limitazione alle prima categoria dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva all'esecuzione dell'atto): tale distinzione non è, infatti, riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza che qui viene in esame. Infatti, diversamente che nel caso delle intercettazioni - le quali consistono in una attività prolungata nel tempo di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l'atto investigativo è disposto - in tal caso si discute dell'acquisizione di messaggi comunicativi uno actu e già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene, quindi, in ogni caso operante la guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione.

Premesso l'orientamento della Consulta in relazione al sequestro di corrispondenza relativa al senatore Renzi, la cui richiesta è stata reiterata dall'autorità giudiziaria nel caso in esame, occorre svolgere alcune considerazioni in relazione al requisito del fumus persecutionis, elemento la cui rilevata sussistenza potrebbe indurre a negare l'autorizzazione relativa al sequestro del materiale de quo da parte della Giunta.

La dottrina e la giurisprudenza parlamentare distinguono tre tipologie di fumus persecutionis: il fumus di primo grado (inteso come la soggettiva intenzione persecutoria del magistrato, dovuta ad esempio ad un'inimicizia o ad un'avversione personale), il fumus di secondo grado (ossia le modalità particolari dell'azione promossa dai magistrati atta a far trapelare, da elementi oggettivi, il fumus stesso, ad esempio dalla ripetizione di azioni investigative sul medesimo titolo di reato, tutte terminate con decisioni favorevoli all'indagato) ed infine il fumus di terzo grado (attinente alla manifesta infondatezza dell'attività dell'autorità giudiziaria). Va ribadito a proposito del fumus di terzo grado che la Giunta non deve sostituirsi al Giudice per le indagini preliminari nella valutazione della sussistenza o meno delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale, non potendo quindi estendere il proprio sindacato agli eventuali profili di infondatezza dell'ordinanza. L'unica eccezione ammessa a tale approccio è quella relativa agli aspetti di infondatezza caratterizzati da una parvenza manifesta e macroscopica, percepibile ictu oculi e in maniera indubbia e idonei quindi a connotare un fumus persecutionis di terzo grado.

Nel caso della richiesta di sequestro di corrispondenza relativa al senatore Renzi, una delle "figure sintomatiche" in grado di evidenziare il fumus di secondo grado, come detto, può evincersi anche dalla ripetizione di atti di ricerca della prova, specie quando gli stessi risultano illegittimi a seguito del vaglio della Corte di Cassazione, dimostrando un'attenzione investigativa eccessiva caratterizzata da un ripetuto non corretto esercizio del potere di indagine relativamente alla Fondazione Open, con la precisazione che la predetta "non correttezza" emerge per tabulas dalla lunga serie di decisioni di annullamento pronunciate in tale contesto dalla Corte di Cassazione.

Sotto tale profilo, si rende altresì opportuno rilevare che in plurime occasioni i provvedimenti di sequestro emessi dal Tribunale di Firenze nell'ambito di giudizi penali che hanno interessato la Fondazione Open per profili assimilabili o comunque in qualche modo collegati con quelli contestati al senatore Renzi nel procedimento de quo, sono stati oggetto di annullamento da parte della Cassazione penale.

Tale elemento risulta particolarmente significativo ai fini della configurabilità del fumus di secondo grado.

In particolare, con la sentenza n. 28796 del 15 settembre 2020, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze l'ordinanza del 16 dicembre 2019, con cui era stato confermato il decreto di perquisizione e sequestro probatorio di documentazione informatica nei confronti di M.C., componente del consiglio direttivo della Fondazione Open, in relazione al reato di finanziamento illecito ai partiti.

Il Tribunale aveva ravvisato la sussistenza del fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti in relazione all'attività svolta dalla Fondazione Open (alla quale risultavano erogati contributi e che, a sua volta, aveva sostenuto spese - riguardanti iniziative riferibili ad un partito politico - e corrisposto somme in favore del medesimo partito e di parlamentari appartenenti allo stesso Gruppo), qualificando la Fondazione quale articolazione politico-organizzativa del partito.

La Corte di Cassazione ha in primo luogo osservato che gli interventi legislativi succedutisi nel tempo dal 2013, con cui era stata progressivamente riconosciuta l'equiparazione delle fondazioni politiche ai partiti, assumevano rilievo "agli effetti dell'applicazione delle specifiche norme per le quali è stabilita l'equiparazione", ossia nella direzione del rafforzamento degli obblighi diretti ad assicurare la trasparenza delle contribuzioni in favore di quegli enti e del contrasto di potenziali fenomeni corruttivi, mentre analogo effetto non si era prodotto quanto all'applicazione della disciplina penale prevista dall'articolo 7 della legge n. 195 del 1974; infatti, attesa la "diversità ontologica tra partito e fondazione politica", solo in ipotesi di ravvisata sussistenza di "elementi che valgano a conferire all'ente un contenuto e un'operatività concretamente diversa rispetto a quella apparente e dichiarata" poteva rilevare l'attività della Fondazione politica quale "schermo" per l'esecuzione di erogazioni destinate a un partito (sia attraverso erogazioni immediatamente riversate al partito, o a taluno dei soggetti indicati dall'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 659 del 1981, sia mediante lo svolgimento di attività espressive della qualifica dell'ente in termini di articolazione politico-organizzativa del partito, destinatario di erogazioni dirette a finanziare il partito o i suoi esponenti).

La Corte ha pertanto rilevato che il provvedimento del Tribunale del riesame aveva erroneamente considerato significative dell'inquadramento della Fondazione nella struttura del partito talune contribuzioni a sostegno di iniziative del partito o di suoi esponenti, con motivazione carente quanto all'individuazione e alla valutazione degli elementi, raccolti nel corso delle indagini, dimostrativi della funzione svolta dalla Fondazione come "strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti".

Secondo la Corte, si sarebbe resa necessaria una "rigorosa verifica dell'azione della fondazione, del tipo di rapporto con il partito o con i suoi esponenti, della rilevanza della sua operatività ai fini dell'azione del partito e dei suoi esponenti, della sostanziale mancanza di una funzione diversa e autonoma, manifestatasi costantemente negli anni, anche alla luce di una analisi dell'attività svolta e delle entrate e delle uscite ad essa connesse".

Con la sentenza n. 29409 del 26 maggio 2021 la Seconda sezione penale della Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso presentato da M.C., ha disposto l'annullamento della seconda ordinanza con cui è stato nuovamente confermato il decreto di sequestro impugnato, rinviando per un nuovo giudizio al Tribunale di Firenze.

La Corte di Cassazione in questa sentenza ha rilevato che il "provvedimento impugnato - nell'affermare che la Fondazione Open avrebbe svolto la funzione di strumento per la raccolta del denaro da destinare a supporto delle attività politiche di Matteo Renzi, dovendosi escludere che la fondazione avesse avuto una diversa operatività - non si confronta con le deduzioni difensive che avevano messo in rilievo, al contrario, il costante impegno, organizzativo e finanziario, profuso dalla fondazione nel sostenere annualmente gli eventi della Leopolda, incontri a carattere eminentemente politico con programmazione di numerosi laboratori, eventi di discussione, occasioni di partecipazione della società civile, diretti a stimolare il confronto su temi oggetto delle attività espressamente previste dallo statuto della fondazione, senza peraltro alcun collegamento con le attività del Partito democratico".

La Corte ha, infatti, rilevato che «il provvedimento non si è fatto carico di valutare questo dato storico [il finanziamento delle manifestazioni annuali della Leopolda], ampiamente documentato dalla difesa, che doveva essere posto a raffronto con attività di tipo diverso svolte dalla fondazione, per apprezzare se, e in che misura, vi fosse deviazione dagli scopi statutari della fondazione nello svolgimento delle sue attività; in conseguenza, risulta travisata l'analisi, di rilevanza decisiva, dell'andamento dei flussi finanziari della fondazione, necessaria per stabilire se la fondazione potesse aver assunto la funzione di "schermo intermedio", utile per occultare forme di finanziamento illecito ai partiti (mancando la correlazione tra le uscite e le specifiche destinazioni delle risorse della fondazione, considerando gli impieghi finalizzati alla realizzazione delle manifestazioni annuali indicate dal ricorrente)».

A fronte del nuovo rigetto della richiesta di riesame della difesa, emesso dal Tribunale di Firenze in sede di rinvio, e di conseguente conferma del decreto di sequestro probatorio, la Sesta sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11835, depositata il 30 marzo 2022, ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata ed il decreto di perquisizione.

In estrema sintesi la Suprema Corte, nei limiti propri del sindacato cautelare (e, dunque, prescindendo da ogni valutazione sulla fondatezza dell'accusa), ha affermato che il Tribunale del riesame, nel qualificare la Fondazione Open quale "articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)", non si sia uniformato ai principi di diritto affermati dalla stessa Corte nelle sopracitate sentenze n. 28796 del 15 settembre 2020 e n. 29409 del 26 maggio 2021 e, in particolare, non abbia considerato compiutamente la disciplina dettata per le fondazioni politiche dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013 e, segnatamente, la loro natura e le loro prerogative.

Nel caso di specie quindi la Corte, nel disporre l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e del decreto di sequestro probatorio, ha motivato la sua decisione formulando distinti rilievi sia in ordine alla mancata verifica, da parte del Tribunale, circa un'eventuale attività distonica della Fondazione rispetto al modello legale - tale da consentire di considerarla quale "articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)" -, sia in relazione alla carenza della dimostrazione, sia pure in termini di fumus commissi delicti, del carattere illecito del finanziamento e sia, infine, riguardo alla distonia tra i beni in sequestro e il reato per il quale la misura cautelare era stata disposta.

In relazione a tale ultimo profilo, si precisa infatti che la Corte, nell'evidenziare che, nel caso di specie, era stato posto a fondamento della perquisizione domiciliare e del sequestro un reato incentrato sull'inosservanza di obblighi di trasparenza, ha rilevato che "la generalizzata acquisizione del materiale informatico [di M.C.] pare, dunque, irrelata rispetto alle verifiche documentali necessarie per affermare la sussistenza del reato di finanziamento illecito dei partiti, tanto da fare assumere al vincolo cautelare reale carattere esplorativo e sproporzionato […]".

Ciò premesso, la violazione ripetuta dei principi di diritto affermati in precedenti sentenze relative alla Fondazione Open costituisce un evidente indice sintomatico di un fumus persecutionis, desumibile dall'ostinazione a non uniformarsi alle indicazioni di diritto della Suprema Corte.

Si può peraltro aggiungere che il carattere "esplorativo e sproporzionato" del sequestro - anch'esso rilevato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11835 del 2022 - costituisce un ulteriore indice sintomatico rilevante della persecutorietà investigativa, "irrelata rispetto alle verifiche documentali necessarie per affermare la sussistenza del reato".

Si segnala inoltre che anche ulteriori provvedimenti di sequestro, assunti dal Tribunale di Firenze sempre nell'ambito di procedimenti coinvolgenti la Fondazione Open, sono stati oggetto di annullamento da parte della Suprema Corte.

Con la sentenza 15 settembre 2020, n. 30225, la Sesta sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio l'ordinanza e il decreto di sequestro emessi nei confronti di un soggetto terzo rispetto alle indagini (che riguardavano alcuni componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open in relazione ai reati di traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti). Con riguardo a tale ultima contestazione, è stato ritenuto dalla Corte che sia sostanzialmente mancata, da parte del Tribunale, l'individuazione del nesso di pertinenzialità tra l'ipotesi di reato e i beni sottoposti a sequestro. In particolare, partendo dal fatto che il destinatario del sequestro era un soggetto terzo rispetto ai reati ipotizzati, e che non è di per sé illecito il finanziamento accertato, effettuato individualmente, non sarebbe stato spiegato perché fosse rilevante l'apprensione di mail e supporti informatici in uso a quest'ultimo, per approfondire sul piano investigativo un fatto-reato a lui non riconducibile. È stata infatti ribadita l'illegittimità di un sequestro avente primari fini esplorativi e volto ad acquisire la notizia di reato in ordine ad un illecito non individuato nella sua specificità fattuale.

Con la sentenza 22 settembre 2020, n. 34265, la stessa Sesta sezione della Cassazione penale ha anche in questo caso annullato senza rinvio l'ordinanza ed il decreto di perquisizione e sequestro assunti nei riguardi di soggetti terzi che avevano eseguito alcuni versamenti in favore della Fondazione Open, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del Presidente della Fondazione stessa, indagato per i reati di finanziamento illecito ai partiti e traffico di influenze illecite.

In estrema sintesi, la Suprema Corte, dopo aver tra l'altro evidenziato come il Tribunale, pur investito di specifiche questioni relative alla pertinenza delle cose sequestrate ed alla adeguatezza a proporzionalità del mezzo di ricerca della prova, non aveva spiegato perché, a fronte di isolati versamenti in favore della Fondazione Open da parte di persone terze estranee, dovesse considerarsi legittimo, rispetto al reato per cui si procedeva (non rispetto ad altri possibili reati, ai quali non è stato fatto alcun riferimento), un sequestro "onnivoro ed invasivo di una serie indifferenziata di dati personali", ha ritenuto che il sequestro oggetto dell'ordinanza impugnata fosse "strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva, rispetto al fatto per cui si investigava, rispetto al ruolo che in detto fatto avrebbero avuto [i] ricorrenti, rispetto al suo oggetto", finendo per assumere, sul piano quantitativo e qualitativo, una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato.

Il carattere "onnivoro ed invasivo" del sequestro, riscontrato dalla Corte di Cassazione, è nel caso di specie rilevante, atteso che l'autorità giudiziaria procedente rispetto a soggetti finanziatori della Fondazione Open ha posto in essere atti non indispensabili ("onnivori") sul piano investigativo ed inutilmente sproporzionati ("invasivi") rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva. Il fatto che il sequestro "onnivoro ed invasivo" riguardasse privati finanziatori della Fondazione, e non direttamente Renzi, non sminuisce la rilevanza di tale elemento al fine dell'odierna valutazione in merito al fumus persecutionis di secondo grado; si ribadisce infatti che quest'ultimo si caratterizza proprio per essere un "fumus di contesto", un fumus evincibile anche da situazioni "correlate". E non si può non evidenziare che sullo sfondo di tale sequestro "onnivoro ed invasivo" c'era, sia pure indirettamente, la Fondazione Open e, in ultima analisi, lo stesso Renzi.

Da tutti gli elementi fin qui evidenziati, emerge un quadro sintomatico piuttosto articolato, caratterizzato da un "attacco investigativo" al senatore Renzi ed alla Fondazione Open, con una pluralità di atti investigativi puntualmente annullati dalla Cassazione per una serie di carenze evidenziate con precisione in tutte le sentenze fin qui richiamate.

È appena il caso di precisare che il fumus non richiede una probatio persecutionis di tipo assoluto, essendo intrinsecamente connaturato al concetto ontologico di fumus un sospetto di persecutorietà plausibile alla luce di parametri di ragionevolezza e di verosimiglianza. Nel caso di specie, esula quindi dai compiti della Giunta trovare elementi probatori dell'effettiva sussistenza di tale elemento, essendo sufficiente il mero "plausibile sospetto" della stessa, in altri termini il mero fumus persecutionis.

Si precisa infatti che, nell'ambito in cui si muove la Giunta, ossia quello delle immunità, non si compiono accertamenti, ma si utilizza il criterio della plausibilità, richiamato anche dalla Corte costituzionale in un contesto diverso, ma sempre attinente alla materia delle immunità (sentenza n. 188 del 2010, in particolare punti 4, 5 e 6 della parte in diritto). Come è noto ed ovvio, la Giunta non può infatti utilizzare gli strumenti di accertamento a disposizione dell'autorità giudiziaria, acquisendo ad esempio testimonianze per accertare la persecutorietà o meno di determinate iniziative giudiziarie.

L'unico modulo valutativo che la Giunta ha a disposizione è quindi quello della plausibilità o della verosimiglianza.

Orbene, nel caso di specie la soglia della plausibilità appare sicuramente raggiunta e trova un collegamento logico-argomentativo nelle citate sentenze della Corte di Cassazione, che hanno annullato atti giudiziari del Tribunale di Firenze. Si tratta quindi di una plausibilità per così dire "estrinseca" - ossia rilevata da un altro organo giudiziario, in particolare dalla Suprema Corte - ed in quanto tale più pregnante: la Corte di Cassazione ha infatti più volte censurato l'operato del Tribunale di Firenze rispetto alla questione della Fondazione Open e di tale elemento non si può non tener conto ai fini della valutazione del fumus persecutionis.

In altri termini, si tratta di un fumus persecutionis di secondo grado incentrato sul ripetuto non corretto esercizio del potere di indagine, di un fumus "di contesto", specifico e puntuale, reso evidente da diverse pronunce della Corte di Cassazione su vicende relative alla Open, pronunce che assurgono a vero e proprio elemento sintomatico di una persecutorietà (rectius, elemento sintomatico di un fumus di persecutorietà).

A ben vedere la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 27 luglio 2023, citata nelle premesse, evidenzia un agere indebitamente intrusivo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, che, pur dinanzi ad una precisa lettera del parlamentare coinvolto, ha acquisito il materiale probatorio senza interpellare ex ante la Camera di appartenenza del senatore Matteo Renzi (acquisendo, quindi, già ingiustamente conoscenza del contenuto dei messaggi di testo inviati tramite WhatsApp e posta elettronica); in aggiunta va sottolineato il mancato rispetto dei parametri formali-procedurali indicati dalla Corte costituzionale per la proposizione della richiesta di sequestro delle comunicazioni contenute nei supporti informatici.

A tale proposito infatti si rammenta - come evidenziato in precedenza - che la Corte costituzionale, nell'accogliere il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, ha dichiarato che la Procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell'ambito di un procedimento penale a carico dello stesso parlamentare e di terzi.

Come infatti già indicato in dettaglio nella descrizione della sentenza n. 170 del 2023, tali messaggi sono stati ritenuti dalla Consulta riconducibili alla nozione di "corrispondenza", costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori.

Pertanto - ha precisato la Corte - gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro di "contenitori" di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet, ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro.

Riportando le parole testuali della Corte, "l'autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi (...) in una autorizzazione ex post ai fini dell'utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito"; tale autorizzazione è invero prevista dall'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 solo in rapporto alle intercettazioni e all'acquisizione di tabulati telefonici e non pure al sequestro di corrispondenza (e comunque, precisa la Corte, l'autorizzazione "successiva" deve intendersi riferita alle sole intercettazioni "occasionali", cosi come delineato nella sentenza n. 390 del 2007).

La spiegazione del diverso regime autorizzatorio da parte della Camera di appartenenza del parlamentare si spiega, secondo la Consulta, con la circostanza che, rispetto al sequestro di corrispondenza, la natura "occasionale" o "mirata" dell'atto non viene in considerazione, risultando per esso in ogni caso necessaria l'autorizzazione preventiva, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003.

Tanto premesso, la Consulta ha disposto l'annullamento del sequestro dei messaggi di testo che riguardavano il senatore Renzi, considerando altresì che l'annullamento del sequestro di ulteriori messaggi - rientranti nell'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale - era già stato precedentemente disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 11835 del 18 febbraio-30 marzo 2022 (già riportata supra in relazione al fumus persecutionis).

Esaminando tale ultima decisione della Suprema Corte, si rinvengono ulteriori argomenti a sostegno dell'argomento del mancato rispetto, da parte dell'autorità giudiziaria, del meccanismo procedurale nella proposizione dell'attuale richiesta di sequestro: nel punto 15 delle motivazioni in diritto della sentenza n. 11835 del 2022 si indica espressamente che all'annullamento senza rinvio dei provvedimenti di sequestro impugnati deve conseguire la restituzione al ricorrente dei beni acquisiti, ivi compresa la copia integrale del contenuto dei supporti informatici.

Nel passaggio successivo si richiama altresì la giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di sequestro di materiale informatico, nella quale si afferma che la mera reintegrazione del titolare nella disponibilità del bene fisico, oggetto di un sequestro probatorio, non elimina il pregiudizio determinato dal vincolo cautelare sui diritti fondamentali alla riservatezza, al segreto e alla "disponibilità esclusiva del patrimonio informativo", tutelati anche dall'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Sezioni Unite n. 40963 del 20 luglio 2017). Pertanto, conclude la Suprema Corte, la restituzione conseguente all'annullamento del sequestro probatorio deve "aver ad oggetto non solo i supporti materiali sequestrati, ma anche i dati estrapolati dagli stessi".

Da tutto quanto esposto si deduce che la richiesta di sequestro avente ad oggetto la corrispondenza del senatore Renzi è viziata anche per motivi procedurali e formali, in quanto l'autorità giudiziaria detiene già i messaggi relativi al senatore e ne conosce il contenuto, chiedendo solo la possibilità di utilizzarli nel processo, mentre i meccanismi delineati dalla Consulta e dalla Suprema Corte imponevano la distruzione degli stessi e la richiesta al Senato di acquisizione ex novo del materiale informativo.

Infine, un ultimo aspetto formale concerne la carenza motivatoria della richiesta di autorizzazione in questione in ordine alla valutazione della "necessità" dell'atto di sequestro (sentenza della Corte costituzionale n. 188 del 2010) in relazione al bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco, tenendo conto, in particolare, dell'interesse allo svolgimento delle indagini e alla salvaguardia del materiale probatorio, da un lato, e dell'esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà ed indipendenza della funzione parlamentare, dall'altro.

In considerazione di tutte le motivazioni fin qui espresse, ed in particolar modo delle decisioni precedentemente richiamate della Corte di Cassazione, che è più volte intervenuta sulla specifica vicenda all'esame della Giunta per censurare i provvedimenti dell'autorità giudiziaria diretti all'acquisizione del materiale probatorio, il relatore propone pertanto che venga respinta la richiesta di sequestro in questione.