Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 837 del 13/06/2017

PIGNEDOLI (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNEDOLI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, vice ministro Olivero, oggi non parliamo solo di futuro dell'agricoltura per gli agricoltori: una politica che va dalla gestione dei terreni e dal loro nutrimento e arriva alla salute delle persone non può essere considerata più di settore o di categoria, ma appartiene a tutta la società. Non è un caso che nel dibattito in Europa c'è chi propone una nuova definizione e parla di una nuova politica agricola e alimentare, per dare il senso dell'interrelazione delle diverse fasi della filiera alimentare. Oggi c'è un dibattito in corso sulla revisione di metà percorso della PAC, che nel regolamento omnibus ha aperto alla possibilità di importanti modifiche: semplificazioni, misure di mercato, gestione del rischio.

Il nostro Paese, il nostro Governo e il Parlamento hanno dato un contributo importante nell'inserimento di novità e di cambiamenti incisivi, ma siamo nella fase conclusiva del programma 2014-2020 e dobbiamo cominciare a confrontarci sul post 2020, in un'Europa che vive cambiamenti radicali, dal terrorismo ai movimenti antieuropeisti, dentro dinamiche internazionali che inaugurano nuovi protezionismi e lanciano preoccupanti segnali di destabilizzazione. In questo scenario, non sono possibili continuità o piccole manutenzioni all'impostazione storica della PAC: va ripensata e reimpostata. Una politica agricola che sappia tenere insieme mercato e solidarietà, globalizzazione e identità territoriali, persone singole e imprese, ma nello stesso tempo comunità e coesione. Una sfida immane ma obbligata, in un secolo che ci pone le più alte contraddizioni, un secolo dove si prefigura un aumento di fabbisogno di derrate alimentari per la forte crescita demografica, ma in compenso si assiste alla diminuzione delle terre fertili per quantità delle superfici, per diminuzione di qualità, terreni impoveriti, falde acquifere in sofferenza e compromesse.

Se la prima politica comune del 1969, con l'Europa che nasceva proprio dall'alleanza agricola, puntava sullo sviluppo di produzioni intensive per l'autosufficienza alimentare, oggi la sfida si chiama sostenibilità ambientale, protezione dei consumatori e della salute, promozione di un elevato livello occupazionale. Si chiama sostenibilità economica delle attività agricole; sostenibilità economica, senza che il pubblico si sostituisca al mercato, là dove il mercato c'è, ma aiuti a competere con nuovi fattori di competizione. Non si sostituisca, ma aiuti l'impresa a cercare di stare sui mercati. Che il pubblico intervenga invece là dove il mercato non può esserci, dove agricoltura significa manutenzione dei versanti e tenuta delle comunità. Il pubblico intervenga dove l'agricoltura è di sussistenza ed è agricoltura eroica, dove diventa strumento di inclusione sociale vero. Il pubblico sostenga là dove l'agricoltura (l'impresa) assume realmente una responsabilità sociale, dove agricoltura e territorio, agricoltura e comunità vertono su obiettivi comuni. No a risorse pubbliche intese come assistenza generica, ma date su una misurazione di utilità pubblica.

Per questo si ripensi e si reimposti una politica dello sviluppo rurale che sia meno complicazione burocratica, meno dispersione in mille misure e sottomisure non sempre controllabili e si vada invece verso obiettivi comuni, si concentrino più soggetti insieme, si concentrino le risorse, perché possano incidere sul cambiamento reale di un territorio e diventino strategia. Nel rapporto tra agricoltura e mercato, dove il mercato c'è, occorre una vera e propria inversione di rotta. Non basteranno aggiustamenti, come giustamente è stato detto. Sì, semplificazione tra i primi obiettivi, perché non possiamo tollerare che nel 2020 gli iter burocratici mangino ancora gran parte delle risorse e sviliscano gli sforzi degli operatori agricoli. Semplificazione sì, ma non basta per pensare di aver assolto al nostro compito. Occorre la consapevolezza che è d'obbligo un cambio di prospettiva e di visione, in un mercato che si è fatto mondo, che si intreccia con la finanziarizzazione dei prodotti alimentari, che accresce i rischi e la volatilità di prezzo delle materie prime.

In questo contesto, non sono più attuabili e possibili strumenti che cercano di piegare, chiudere, condizionare. Più che sostituirsi al mercato, oggi tutto l'impiego del pubblico deve essere concentrato nell'attrezzare i nuovi imprenditori agricoli europei, perché possano affrontare le nuove sfide, molte delle quali del tutto inedite: cambiamenti climatici che sconvolgono i tempi di maturazione, che in un appiattimento del clima agevolano l'adattamento di nuovi parassiti sconosciuti che facciamo fatica a contrastare. Attrezzare significa dare più peso alla formazione, alla consulenza e alla ricerca. Il commissario Hogan ha parlato di resilienza. Condividiamo, perché l'intensificarsi dei rischi cui gli agricoltori devono far fronte richiede una capacità di adattamento continuo e la capacità di attrezzarsi rispetto alle condizioni estreme.

Creare un sistema resiliente, per esempio, significa puntare sulle strategie di prevenzione e non solo sul post-crisi. Un'azienda diversificata nelle produzioni è meno vulnerabile di un'azienda basata sulla monocoltura. Un'azienda in rete con altre è meno esposta di un'azienda isolata. Resiliente è anche quello che riconcilia, ricollega strategie economiche, sociali, ecologiche ed etiche. Il lavoro di qualità è un fattore competitivo e non un vincolo obbligato.

Quindi, sostenibilità ambientale, nuovi fattori di competitività, ricambio generazionale richiedono un cambio deciso di impostazione delle risorse PAC. Per la valenza complessa che ha l'agricoltura serve una centralità, un budget adeguato, come si è detto, non una tantum, non nell'onda di una continuità dovuta, ma finalizzato a strategie che puntano ad una maggiore responsabilizzazione, che significa passare da un premio alle rendite ad un premio alla capacità di intraprendere, da un pagamento ai soggetti e al loro "storico", ad un premio alle azioni e alle innovazioni. Questo presuppone un cambiamento radicale dell'idea del produttore agricolo. In un 2017 che pensa oltre il 2020 deve esserci un cambiamento radicale del ruolo del produttore agricolo. Importanti sono l'impegno e le risorse verso i giovani, ma ciò non è sufficiente se pensiamo che il ruolo dei giovani equivalga a quello di prima.

Occorre una rivoluzione che porti ad un protagonismo forte nel sistema alimentare e questo può avvenire solo se chi produce accompagna il proprio prodotto fino al mercato, conoscendo il mercato stesso. Vendere materia prima, semilavorati, significa creare valore e regalare ad altri la redditività, significa far accollare al produttore tutti i rischi crescenti, climatici e fitosanitari, nella fase produttiva (Richiami del Presidente) e regalare ad altri, che si occupano delle fasi a basso rischio imprenditoriale, i maggiori utili: è un paradosso. Il profilo della nuova impresa agricola deve trovare un nuovo sistema imprenditoriale: non basta fare come si è sempre fatto e come facevamo. Passiamo dunque da quello che viene definito un sistema di protezione ad un sistema di promozione. Dobbiamo passare all'idea di fornire al nostro Paese e all'Europa quello che viene definito il cibo intelligente, che fa bene alla salute, fa bene all'ambiente e fa bene all'economia.

Il Gruppo del PD è a favore di questa impostazione e voterà a favore delle diverse mozioni al nostro esame. (Applausi dal Gruppo PD).