Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00187
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Atto n. 1-00187
Pubblicato il 29 settembre 2009, nella seduta n. 259
D'ALIA , CUFFARO , CINTOLA , PINZGER , FOSSON , GIAI , PETERLINI , THALER AUSSERHOFER
Il Senato,
premesso che:
il divario tra il Sud ed il resto del Paese è sempre più evidente tanto che lo stesso Capo dello Stato ha auspicato che “una prospettiva di stabile ripresa del processo di sviluppo deve essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali” anche perché “in un contesto nel quale la crisi economica rende più difficile il bilanciamento tra i diversi obiettivi cresce l’incertezza sulle risorse disponibili e, insieme con essa, l’incertezza del quadro di riferimento delle politiche per il Mezzogiorno”;
un nuovo orientamento delle politiche di sviluppo è necessario, non solo alla luce della crisi finanziaria ed economica internazionale, ma anche dell’allargamento dell’Unione europea e della grande opportunità di sviluppo fornita dalla creazione, entro il 2010, di una area euro mediterranea di libero scambio;
nel rapporto Svimez 2009 sul Mezzogiorno particolarmente significativo è il dato riguardante la quota di Prodotto interno lordo (Pil) nazionale imputabile alle regioni meridionali che rileva come dal 1951 (23,9 per cento) al 2008 (23,8 per cento) tale quota sia rimasta immutata: in pratica, nonostante in 60 anni il Mezzogiorno sia cresciuto agli stessi ritmi del Centro-Nord non ha recuperato nulla del divario esistente;
il ritardo, oltre che rispetto al Nord, si manifesta anche nei confronti delle altre regioni deboli dell’Europa: considerando il Pil pro-capite, le otto regioni meridionali si collocano nel 2005 tra il 165° e il 200° posto, peggiorando la posizione rispetto al 1995;
il Sud sembra accusare quindi maggiormente gli effetti della crisi per la maggior fragilità del sistema economico dovuta a debolezze strutturali che affondano le radici nel tempo e che sono aggravate dall'attuale fase congiunturale. I riflessi negativi si riflettono su consumi, investimenti e occupazione. Nel 2008 il Pil ha segnato nel Mezzogiorno un decremento dell'1,1 per cento, mentre il Pil per abitante si è attestato su 17.971 euro, circa il 59 per cento del Centro-Nord, pari a 30.681 euro, con un recupero rispetto all'anno precedente, dovuto però ai flussi migratori verso il Nord;
un segnale evidente della difficile situazione in cui versa il Sud è dato proprio dal fenomeno della migrazione: si stima che dal 1997 al 2008 circa 700.000 persone abbiano abbandonato il Mezzogiorno. In particolare, al Sud, esiste poi una vera e propria "questione giovanile". Scarsa mobilità sociale, nonché un sistema economico fragile a cui si aggiungono le difficoltà della rete formativa italiana fanno del Mezzogiorno un serbatoio di risorse umane qualificate per il resto del Paese (nel 2004 partiva dal Sud il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti, tre anni più tardi quasi il 38 per cento) e costringono i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per mettere a frutto le proprie competenze;
la perdita di residenti in favore delle regioni del Centro-Nord comporta, oltre ad un ridimensionamento del capitale umano, una riduzione della ricchezza in termini di domanda per consumi ed investimenti;
nel Mezzogiorno il problema fondamentale resta comunque quello infrastrutturale. L’obiettivo, previsto nell’Allegato Infrastrutture al Documento di programmazione economica finanziaria per gli anni 2009-2012 dell'anno 2008, di dare compiutezza ad una serie di interventi infrastrutturali entro il 2012 appare, infatti, difficilmente raggiungibile;
come sottolineato nell’Allegato recante il programma delle infrastrutture strategiche al documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013, “la legge Obiettivo ed il suo sistema di procedure non riesce a correggere le distorsioni preesistenti del sistema, soprattutto perché non è stata messa in grado di recepire le innovazioni dei contratti di programma dei soggetti attuatori, dei piani di investimento e delle attività di programmazione”;
Il Mezzogiorno risulta, quindi, ancora oggi un’area scarsamente connessa non tanto per ragioni geomorfologie quanto a causa dell'esiguità delle dotazioni, della insoddisfacente qualità e non accessibilità delle infrastrutture. Le autostrade a tre corsie sono presenti solo in Campania e in misura minore in Abruzzo, solo il 7,8 per cento dell'alta velocità è localizzata al Sud, nessun aeroporto del Mezzogiorno, ad eccezione di Palermo, è collegato con una stazione ferroviaria. Se si prende in considerazione poi la legge Obiettivo, sino al 2008, una parte minoritaria delle infrastrutture risulta collocata nel Mezzogiorno: il 28 per cento, pari a 33 miliardi di euro. La recente politica dell’Esecutivo di utilizzare la spesa per investimenti finalizzata al riequilibrio economico-territoriale per far fronte a esigenze congiunturali di natura corrente, si pensi al continuo utilizzo dei fondi per le aree sottoutilizzateate (FAS) senza rispettarne il vincoli territoriale, aggrava il gap infrastrutturale;
la convinzione che la crisi avrebbe interessato le aree più industrializzate in quanto più proiettate alla competizione internazionale è smentita dai dati relativi alla seconda metà del 2008 e alla prima parte del 2009. Le imprese meridionali sembrano essere state le più colpite dal momento che nel Meridione hanno minor rilevanza i settori che nel Centro-Nord hanno tenuto meglio, a causa dell'intensificarsi della concorrenza internazionale, per una minore presenza nei mercati emergenti e per una dimensione media delle imprese inferiore a quella del Centro-Nord. Si è quindi registrato un calo del Pil industriale nel 2008 del 3,8 per cento, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo di oltre il 6 per cento. I riflessi sull’occupazione sono stati pesanti: 23.000 lavoratori del comparto auto hanno perso il lavoro al Sud nel 2008. Dal 2004 al 2008 il settore manifatturiero ha espulso quasi 33.000 lavoratori;
conseguentemente, si è registrata una brusca contrazione dell'occupazione: un decremento dell'1 per cento nel terzo trimestre 2008, un decremento dell'1,9 per cento nel quarto trimestre, dato confermato nel primo trimestre 2009. Tra gennaio 2008 e gennaio 2009 sono rimasti a casa nel Sud 114.000 lavoratori. Nel solo comparto industriale meridionale l'occupazione si è ridotta di 57.000 unità. Se si considera che nel Mezzogiorno lavora appena il 44 per cento della popolazione in età da lavoro e 3 donne su 10, ben si comprende come ciò possa rappresentare una situazione di possibile emergenza sociale. Contestualmente è cresciuto in modo esponenziale anche il ricorso alla Cassa integrazione guadagni. Questo strumento, però, non garantisce una copertura adeguata a tutti i lavoratori. Solo la metà dei disoccupati, circa 850.000, di cui 350.000 nel Sud, potrà avere un sussidio: di questi il 60 per cento nel Centro-Nord e il 40 per cento al Sud;
la crisi degli ultimi dodici mesi ha acuito inoltre le difficoltà nell’accesso al credito nelle regioni meridionali. Al Sud dal 2004 al 2006 il 9,3 per cento delle aziende ha lamentato difficoltà, contro il 3,8 per cento del Nord; nel biennio 2007-2008, il tasso di crescita su base annua dei prestiti è crollato nel Meridione dal 14,9 per cento al 7,9 per cento rispetto invece al calo dal 12,4 per cento al 10,2 per cento del dato a livello nazionale. Si assiste, inoltre, ad una diminuzione progressiva e persistente degli istituti di credito indipendenti (banche popolari o società per azioni), passati da 100 a 16 dal 1990 al 2004, mentre, nello stesso arco di tempo, le banche di credito cooperativo si sono praticamente dimezzate passando dalle 213 del 1990 alle 111 del 2004;
l’assenza di banche radicate nel territorio determina un incremento delle difficoltà di accesso al credito, con la conseguenza di un minor sviluppo per le imprese, ed un freno alla crescita di nuove realtà imprenditoriali e, nella peggiore delle ipotesi, l’impossibilità per le piccole e medie imprese di difendere i livelli occupazionali;
in tal senso, la Banca del Mezzogiorno non deve rappresentare l’ennesimo spreco di risorse ma sostenere e aiutare le imprese e le famiglie del Sud a sviluppare il loro enorme potenziale di risorse;
come paventato da Confindustria, la combinazione tra recessione e difficoltà di accesso al credito potrebbero essere fatali per le imprese meridionali che in un momento così critico potrebbero trovare nell’usura l’unico sbocco per trovare credito;
la situazione descritta genera povertà che è in gran parte meridionale, dove l’incidenza è doppia rispetto alla media nazionale e addirittura cinque volte superiore a quella del Nord. Del milione di famiglie che versano in condizioni di povertà assoluta, 443.000 sono nel Mezzogiorno. La difficoltà dei nuclei familiari del Mezzogiorno di mantenere il proprio standard di vita è testimoniato dal fatto che, nel 2008, i consumi alimentari sono calati del 2,7 per cento, un punto circa in più del Nord. Ad aggravare la situazione un Welfare la cui maggiore spesa sociale è rappresentata da quella previdenziale. Per effetto della concentrazione delle pensioni nel Centro-Nord, la spesa del Welfare per abitante è pari al Centro-Nord a 7.200, al Sud a 5.700. Il divario aumenta se si considerano i servizi socio-assistenziali per minori e anziani. Inoltre l’erogazione degli ammortizzatori sociali, che anche alla luce dei recenti interventi governativi, resta sostanzialmente legata ad una visione tradizionale di tutela a favore di chi ha avuto un'occupazione a carattere subordinato e per un periodo non irrilevante, penalizza quei territori ove il peso dei settori industriali e delle imprese medio-grandi è minore e dove è maggiore l’occupazione irregolare o sommersa. Il numero di occupati esclusi da ogni tutela è pari a 2 milioni, di questi 650.000 sono nel Mezzogiorno, se ad essi si aggiungono disoccupati e lavoratori irregolari, circa il 50 per cento della forza lavoro del Mezzogiorno è fuori dal sistema degli ammortizzatori sociali;
infatti, anche se in calo, il lavoro sommerso nel Mezzogiorno è pari al 20 per cento di quello regolare: nel 2008 sono stati 22.000 i lavoratori irregolari in meno ma il dato generale è sempre preoccupante, con una stima di circa 1 milione e 300.000 lavoratori irregolari, 1 su 5, soprattutto nel settore agricolo;
proprio l’agricoltura del Mezzogiorno risente fortemente delle gravissime conseguenze della crisi economico-finanziaria mondiale: i redditi degli agricoltori, dopo l'aumento fatto registrare nel 2008, sono ovunque in calo e le aziende agricole sono sempre più indebitate e stanno incontrando difficoltà crescenti in termini occupazionali;
per riavviare la crescita del Mezzogiorno è indispensabile migliorare la qualità del territorio intesa come gestione dell’ambiente e delle risorse naturali, vivibilità delle aree urbane e contrasto alla criminalità. In particolare appare necessario tenere alta la guardia sugli effetti del cosiddetto “scudo fiscale” che potrebbero rivelarsi particolarmente pericolosi nel Mezzogiorno ove il rientro dei capitali potrebbe alimentare le attività illecite quali, tra le altre, l’usura cui si trovano costrette a ricorrere sempre più imprese e famiglie a causa della crisi economica e delle difficoltà dell’accesso al credito;
le criticità maggiori dal punto di vista ambientale si riscontrano nella gestione delle risorse idriche, soprattutto per la maggiore esposizione delle aree meridionali ai processi di desertificazione in corso. È necessario avviare forti investimenti nelle infrastrutture idriche per colmare il ritardo accumulato in questi anni e per assicurare la competitività dell'Italia;
per la peculiare conformazione geografica, particolare rilievo assume per le prospettive di sviluppo del Meridione una migliore infrastrutturazione dei porti italiani, al fine di fronteggiare un mercato in rapida evoluzione e la concorrenza agguerrita dei porti degli altri Paesi europei e mediterranei;
il rilancio del Mezzogiorno passa anche attraverso la modernizzazione della infrastruttura di telecomunicazione, in quanto solo una infrastruttura a banda larga completa può aumentare le opportunità e la competitività delle imprese meridionali ed aprire le porte all’ingresso di investitori stranieri;
una vero e concreto sostegno potrebbe essere rappresentato dalla fiscalità di vantaggio a chi investe nel Mezzogiorno, quale strumento per promuovere sviluppo e consentire più solidarietà, tuttavia il Governo, nonostante i ripetuti annunci, non ha adottato misure concrete al riguardo. Una fiscalità differenziata potrà fornire un nuovo impulso alle imprese e all'occupazione nel Mezzogiorno;
l’Esecutivo ha, al contrario, dirottato altrove le risorse che in precedenza erano state programmate per la politica industriale, in concomitanza con la flessione delle agevolazioni al Sud. Il credito d’imposta non è stato rifinanziato. Le zone franche urbane non sono avviate. I contratti di Programma sono stati modificati rispetto al passato, oggi rappresentano uno strumento non più limitato alle aree sottoutilizzate ma esteso a tutt’Italia, i contratti di sviluppo non sono ancora decollati;
ulteriore impulso potrebbe derivare da un corretto impiego dei fondi strutturali europei. Tuttavia, giacché nel passato le regioni meridionali hanno evidenziato forti carenze nell’impiego degli stessi, è necessario affrontare e risolvere i nodi decisionali e procedurali che rallentano l’avvio e la realizzazione dei progetti per evitare che nel ciclo 2007-2013 si ripetano le medesime criticità,
una risorsa preziosa per l’economia del Meridione è rappresentata, inoltre, dal turismo, ma le sue enormi potenzialità non sono ancora pienamente sfruttate. Nel 2007 nel Mezzogiorno gli arrivi e le presenze di turisti stranieri sono aumentate del 6 e del 5 per cento rispetto l’anno precedente. Tuttavia il mezzogiorno non riesce ad esercitare una forte capacità attrattiva, a causa di difficoltà strutturali. La ricettività è ancora lontana dagli standard degli altri competitor, soprattutto Spagna e Francia, se si considerano i Paesi esteri, o della riviera adriatica o di ponente, se ci si riferisce al mercato interno; non esiste una sistema di agevolazioni per attrarre investimenti nel settore, mancano servizi e trasporti efficienti;
considerato che:
al contrario di quanto si pensi, attualmente il Sud ha un livello di spesa pubblica pro capite più basso rispetto a Centro-Nord. Nel 2008 la spesa per investimenti ha registrato una caduta pari al 2,8 per cento, ciò è conseguenza sia della manovra correttiva precedente l’esplosione della crisi che del taglio delle risorse del FAS. Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2008 la quota di spesa in conto capitale della Pubblica amministrazione nelle aree meridionali è progressivamente scesa al di sotto del 35 per cento, dieci punti in meno della soglia prefissata del 45 per cento;
il federalismo fiscale è destinato ad incidere notevolmente sugli assetti finanziari delle amministrazioni pubbliche. Tuttavia così come redatta la legge delega rischia solo di duplicare i centri di spesa e cristallizzare l’attuale assetto istituzionale confermando i meccanismi di divario tra Nord e Sud. In particolare la legge n. 42 del 2009 introduce un meccanismo di calcolo in base al quale si sostituisce la spesa storica con una modalità di finanziamento oggettiva basata sui costi di produzione. A tal riguardo sarà necessario che, nel determinarli, si tenga conto, a parità di efficienza di Enti diversi, degli effetti che tali costi subiscono per effetto dei differenti contesti ambientali e sociali;
la riforma del Titolo V della Costituzione ha fallito, determinando l’aumento della spesa locale senza un incremento dei benefici per il Sud. Uno dei capitoli che incide in maniera più negativa sul bilancio della spesa pubblica è infatti la spesa sanitaria che proprio alla luce dell’art. 117 della Costituzione è tra le materie in cui sussiste competenza ordinamentale e organizzativa da parte delle regioni;
solo da una profonda assunzione di responsabilità e autocritica da parte di tutta la classe dirigente meridionale per non aver saputo correttamente interpretare le esigenze del Mezzogiorno, soddisfarne le aspettative e promuoverne adeguatamente e svilupparne le concrete potenzialità, potrà nascere una nuova responsabilizzazione della classe politica, la cui permanenza al Governo dovrà essere legata alla valutazione degli effetti delle politiche pubbliche da essa poste in essere;
preso atto che:
il FAS rappresenta, ad oggi, il principale strumento per la realizzazione di interventi strutturali ed infrastrutturali nelle aree sottoutilizzate;
l'adozione di una strategia unitaria nella programmazione degli interventi e la flessibilità nell'allocazione delle risorse, che caratterizzano tale Fondo, hanno consentito e consentono tuttora di impostare una politica regionale nazionale coerente con i princìpi e le regole riguardanti la politica comunitaria;
il FAS è stato istituito con la legge n. 289 del 2002 (finanziaria per il 2003). L'art. 1, comma 863, della finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006) ha previsto una dotazione finanziaria con riferimento al settennio 2007-2013 pari a 64,4 miliardi di euro. L'art. 2, comma 537 della legge n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008) ha rimodulato l'ammontare delle risorse del FAS stanziate dalla manovra finanziaria precedente, fissando gli importi annuali e dichiarando tali risorse interamente e immediatamente impegnabili. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), con delibera n. 166 del 21 dicembre 2007, ha ripartito le risorse del FAS del periodo di programmazione 2007-2013 per un importo leggermente inferiore (63,3 milardi di euro) a causa dell'utilizzo di 1,1 miliardi di euro a copertura di tagli disposti dalla legge finanziaria per il 2007. Con delibera CIPE n. 112 del 18 di dicembre 2008 si è aggiornata la nuova dotazione pari a circa 54 miliardi di euro, di cui 27 miliardi destinati a programmi regionali e interregionali e 25,4 miliardi alla quota nazionale del FAS. I 25,4 miliardi della quota nazionale sono stati distribuiti dalla delibera CIPE del 18 dicembre e dalla delibera CIPE del 6 marzo 2009;
secondo la legge istitutiva, il FAS sarebbe dovuto essere ripartito esclusivamente a favore di investimenti pubblici e per finalità di riequilibrio economico e sociale sulla base del criterio territoriale di distribuzione delle risorse. Al contrario, il Governo, nel 2008 e nell'anno 2009, ha utilizzato le dotazioni FAS per finalità non coerenti con la destinazione del Fondo;
infatti le misure introdotte dal Governo per affrontare la crisi hanno trovato parziale o totale copertura finanziaria nell’ambito del FAS, letteralmente saccheggiato per un importo stimato in circa 18 miliardi di euro e destinato ad impieghi diversi da quelli previsti dalla legislazione vigente;
per far fronte infatti alla sfavorevole congiuntura economica, una quota significativa delle risorse FAS è stata stanziata su altri fondi: il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale (9 miliardi di euro), il Fondo infrastrutture (7 miliardi di euro prima 5 poi), il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (4 miliardi di euro); tali fondi, pur vincolati per legge (85 per cento in favore delle regioni del Mezzogiorno, 15 per cento in favore delle aree sottoutilizzate delle regioni del Centro-Nord) di fatto sono stati utilizzati per finalità specifiche non condizionate a particolari destinazioni territoriali. Esemplare è il caso del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione il cui finanziamento dipende in misura determinante dalle risorse FAS (49,4 per cento) e da quelle regionali Fondo sociale europeo (33,1 per cento), mentre gli stanziamenti statali coprono una quota minoritaria (17,5 per cento);
questa politica rischia di dar luogo ad una tendenza alla distribuzione delle risorse a favore delle aree più forti che potrebbe perdurare anche oltre la fase congiunturale,
impegna il Governo:
a reintegrare, entro breve termine, le risorse del FAS sottratte alle politiche per il riequilibrio economico-territoriale e lo sviluppo industriale del Mezzogiorno e a rispettare il vincolo di destinazione dell'85 per cento a favore aree meridionali;
ad individuare un nuovo e robusto programma di investimenti che siano canalizzati soprattutto verso cinque direttrici: infrastrutture, innovazione, sicurezza, formazione e ricerca, servizi;
a sollecitare l’adozione di una moratoria sui prestiti delle piccole e medie imprese, estesa a tutto il 2010, partendo proprio da quelle che operano nel Sud, al fine di evitare il rischio di un vero e proprio tracollo dell’economia nel Mezzogiorno accompagnato da un aumento della diffusione della criminalità e dell’usura;
ad adottare interventi urgenti per scongiurare l’appropriazione da parte delle organizzazioni criminali della proprietà e del know-how delle imprese meridionali, anche attraverso una forte iniezione di risorse nella Banca del Mezzogiorno;
a sostenere una effettiva e stabile cooperazione con le regioni del Sud e attivare strumenti e percorsi idonei ad eliminare le criticità emerse nel passato nell’impiego dei fondi strutturali europei;
ad avviare la realizzare di quei progetti che meglio rappresentino le priorità strategiche indicate nei Programmi operativi, regionali e nazionali;
a sollecitare, in vista dell’apertura nel 2010 dell’area di libero scambio nel Mediterraneo, l’adozione di regole comuni certe da parte dei Paesi aderenti al fine di non alterare gli equilibri settoriali che nel Meridione sono stati già resi fragili dalla crisi economica;
a vigilare che dall’applicazione dei decreti attuativi della delega sul federalismo fiscale non derivino penalizzazioni nei confronti del Sud e dei suoi cittadini;
a predisporre un nuovo sistema di procedure che agevolino la realizzazione degli investimenti infrastrutturali, con particolare riferimento alle infrastrutture di comunicazione;
a colmare il gap infrastrutturale del sistema portuale del Meridione rispetto agli altri Paesi competitor, in modo da eliminare quelle criticità che frenano lo sviluppo della portualità italiana in generale e del Sud in particolare, anche attraverso uno sviluppo delle interconnessioni modali;
a perseguire con incisività la lotta al contrasto alla criminalità organizzata sulla scia degli ottimi risultati conseguiti in questi anni, in quanto solo dalla scomparsa della criminalità è possibile programmare uno sviluppo sostenibile e sostenere le aspettative e le ambizioni dei giovani. In particolar modo il contrasto a tutte le forme di criminalità organizzata appare quanto mai necessario in questa fase di difficoltà del sistema produttivo e dell’aumento della povertà dei nuclei familiari ai fini di scongiurare che imprese e famiglie, causa il difficile accesso al credito e l’alto tasso di disoccupazione, cadano nelle maglie del racket, dell’estorsione, dell’usura o altro;
ad adottare misure che scoraggino l’esodo delle migliori intelligenze ed energie dal Sud verso altre aree del Paese o dell’estero, anche attraverso nuove forme di incentivazione fiscale o programmi che favoriscano l’impiego dei giovani meridionali sul proprio territorio;
a sollecitare interventi immediati necessari per la tenuta competitiva del settore agroalimentare e della pesca, in particolare a rifinanziare in tempi rapidi il Fondo di solidarietà nazionale al fine di dare piena attuazione ai meccanismi di gestione del rischio in agricoltura e favorire l'accesso al credito degli imprenditori agricoli e ittici sempre più alle prese con problemi di liquidità;
a rappresentare con forza presso le istituzioni europee la necessità di una rapida autorizzazione per la realizzazione di una fiscalità differenziata per le regioni meridionali quale strumento per agevolare e promuovere lo sviluppo delle aree meno industrializzate e come volano per la ripresa economica dei paesi dell’Unione europea;
ad eliminare le carenze evidenziate dal settore turistico, che rappresenta una significativa componente del Prodotto interno lordo delle regioni meridionali, attraverso l’adozione di misure volte ad attrarre investitori nel settore turistico, eliminare le criticità citate in premessa e sostenerne, con risorse adeguate, la promozione, quale leva per favorire l’aumento della domanda;
a portare a conoscenza del Parlamento le iniziative che saranno adottate nei prossimi mesi per garantire una politica nazionale di sviluppo unitaria che si sappia conciliare con un’azione costante finalizzata a ridurre il divario strutturale di sviluppo tra Nord e Sud del Paese.