Legislatura 15ª - 2ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 116 del 17/10/2007

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE SULL'ATTO DEL GOVERNO N.134

 

(Estensore: Manzione)

 

 

 

                                                                                                            Roma, 17 ottobre 2007

 

 

Schema di decreto legislativo recante: "Recepimento della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali" (n. 134)

 

            La Commissione giustizia, esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo:

            visto il parere della Conferenza permanente fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, tenuto conto delle osservazioni formulate dalle Commissioni del Senato competenti - in particolare- dalle Commissioni Igiene e Sanità e dalla Commissione per le Politiche dell'Unione Europea;

            valuta positivamente lo schema di decreto legislativo in titolo, attuativo della direttiva comunitaria 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, e finalizzato a garantire a coloro che hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro – quale lavoratore subordinato o autonomo- con gli stessi diritti e le stesse condizioni dei cittadini di quest’ultimo( ferma restando la possibilità per lo Stato membro c.d. di stabilimento di imporre particolari condizioni di esercizio, non discriminatorie ma obiettivamente giustificate e proporzionate, cui il professionista "migrante" dovrà attenersi).

La Commissione formula peraltro le seguenti osservazioni:

a) esprime innanzitutto perplessità in merito alla norma di cui all'articolo 25 dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri ove si prevede che alla individuazione delle c.d. "piattaforme comuni ", ovvero dei criteri per uniformare i curricula formativi previsti nei vari Stati comunitari,  partecipino -nel caso di professione già regolamentata- gli ordini, i collegi e le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale (previsione che secondo alcuni sarebbe incongrua in relazione ai diversi compiti attribuiti da un lato agli ordini e ai collegi, che hanno per legge il compito di occuparsi della disciplina strutturale della professione, e dall'altro alle associazioni di categoria, che hanno un ruolo più specificamente culturale e sindacale, e che non sembra quindi opportuno inserire tra i soggetti consultati ai fini dell'elaborazione delle piattaforme comuni), ed -in caso di professione non ancora regolamentata in Italia - esclusivamente le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale. Tale norma, conducendo di fatto al riconoscimento di professioni non regolamentate, potrebbe configurare un eccesso di delega rispetto alla direttiva, atteso che l'ambito di applicazione di quest'ultima è limitato alle professioni c.d. regolamentate. Si auspica, pertanto, una revisione della previsione, nel senso di limitare la partecipazione ai tavoli delle conferenze di servizi per la definizione delle piattaforme comuni, ai soli profili professionali già riconosciuti in Italia. Seppure volesse "superarsi" tale preliminare rilievo, residuerebbero perplessità sotto il profilo contenutistico, atteso che risulta ancora in fieri il percorso di riforma delle professioni finalizzato alla individuazione dei criteri per il futuro riconoscimento di tali associazioni. La norma in esame finirebbe - paradossalmente - per configurare tali associazioni (non ancora riconosciute in Italia) quali interlocutori legittimati a livello europeo, potendosi anche astrattamente configurare il loro riconoscimento surrettizio. Tra lo schema di decreto in esame ed i provvedimenti volti a riformare le professioni, vi è una stretta correlazione della quale non può non tenersi conto. Una soluzione gradatamente alternativa, che tenga conto della necessità di valorizzare il ruolo di tali associazioni ed al tempo stesso della diversità di natura e funzioni rispetto a quelle proprie degli ordini e dei collegi, potrebbe al più identificarsi nel prevederne la consultazione unicamente per le professioni non regolamentate. Ma tale ipotesi alternativa potrebbe essere astrattamente considerata solo a condizione che vengano integrati i criteri di cui al comma 3 della norma, quanto alla valutazione ed al riconoscimento della rappresentatività, mediante l' inserimento nello statuto dei presupposti per l'accesso e l'esercizio della professione, sia sotto il profilo dei titoli di studio che sotto quello del controllo e della vigilanza della attività svolta dai componenti;    

b) manifesta l' opportunità di individuare l’autorità competente ad accertare il possesso della conoscenza linguistica da parte del prestatore "migrante" in Italia, quale requisito per l’esercizio della professione nel territorio nazionale; a tale necessità si affianca la assoluta opportunità di verificare -preliminarmente alla adozione del provvedimento in esame ( che è di ampia apertura al riconoscimento dei titoli)-, che anche gli altri Paesi europei stiano muovendosi in analoga direzione e con comparabile apertura, evitando il rischio che i nostri giovani professionisti si trovino ad essere ulteriormente penalizzati sul mercato interno non potendo neppure ottenere di svolgere la propria professione in altri Paesi comunitari;

c) in caso di prestazione in regime temporaneo o occasionale di una professione sensibile per la sicurezza o la salute pubblica, sarebbe opportuno prevedere l'obbligo - e non la mera facoltà - di effettuare una verifica preventiva della qualifica, che può –poi- concludersi con una prova attitudinale finalizzata a colmare le differenze sostanziali riscontrate;

d) per l’accesso alla figura di infermiere coordinatore, sarebbe opportuno anzitutto prevederne una precisa individuazione – oggi soggetta ad eccessiva discrezionalità – e prescrivere per l’accesso a tale posizione una preparazione superiore rispetto alla laurea triennale, configurabile in un master o nella laurea specialistica;

e) si raccomanda altresì una particolare attenzione affinché sia salvaguardato il livello professionale delle 22 categorie riconosciute dal nostro ordinamento nel comparto sanitario, evitando di stabilire improprie equivalenze con professioni o profili esistenti in altri Paesi, ma non più attuali nel nostro, in modo soprattutto da non consentire che professioni per le quali in Italia è richiesta la laurea breve o il diploma universitario possano essere esercitate da soggetti privi di titoli equivalenti;

f) manifesta poi l'esigenza di estendere l'obbligo di aggiornamento permanente - previsto per il professionista italiano - al professionista migrante, tenendo nel debito conto quanto premesso nell' atto in esame ...." la direttiva non pregiudica le misure necessarie a garantire un elevato grado di tutela della salute dei consumatori, anche alla luce di quanto prevede la nostra Carta Costituzionale";

g) sembrerebbe poi opportuno garantire una sede di confronto tra Stato e Regioni per la valutazione delle istanze di riconoscimento di qualifiche professionali di rilevante complessità, con l'espressa previsione che le stesse dovranno essere valutate congiuntamente ad un rappresentante delle Regioni e delle Province, designato in sede di Conferenza Stato  - Regioni  e Province autonome;

h) quanto alleattività che implicano competenze e conoscenze generali, commerciali o professionali, per le quali – quindi – il riconoscimento dipende non dal possesso di un attestato  di competenza o di un titolo di formazione, ma dalla dimostrazione della esperienza professionale basata sull’esercizio effettivo dell’ attività in questione in un altro Stato membro, ed oggetto di riconoscimento da parte della regione, la disciplina dei rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, in particolare l' autonomia organizzativa di cui godono le Regioni nella individuazione delle scelte procedimentali ( così come delineata dalla Costituzione), induce a configurare lo strumento della conferenza di servizi da parte della autorità regionali come meramente facoltativo, e non imposto dal legislatore statale; lo stesso dicasi per la scelta del tipo di provvedimento con cui le autorità regionali provvedono al riconoscimento della qualifica. La norma di cui all'articolo 16 potrebbe, pertanto, essere emendata nel senso di prevedere che le Regioni individuino le modalità procedimentali di valutazione dei titoli di loro competenza, assicurando forme equivalenti ( rispetto alla conferenza di servizi) di partecipazione delle altre autorità interessate, e che le stesse si pronuncino con proprio provvedimento;   

i) nella relazione illustrativa del d. lgs. in esame si precisa che "non fanno parte del campo di applicazione della direttiva", quindi, dello schema di decreto legislativo proposto, le attività in materia di trasporto, di intermediari di assicurazione e revisore dei conti perché già disciplinati da specifiche norme comunitarie. Onde evitare possibili questioni ermeneutiche dell'articolo 1 rubricato "oggetto", dopo aver espressamente escluso dall'ambito di applicazione del provvedimento quelle "professioni regolamentate il cui esercizio è riservato dalla legge a professionisti partecipi - sia pure occasionalmente - dell'esercizio di pubblici poteri", pare necessario precisare che il ddl non trova -parimenti- applicazione per le attività  in materia di trasporto, di intermediari di assicurazione e revisore dei conti, continuando le stesse ad essere disciplinate da specifiche norme comunitarie;

l) quanto al riconoscimento, infine, di alcune qualifica particolari, quali ad esempio il maestro di sci, premesso che l'Italia gode di una deroga alle direttive che impongono il riconoscimento delle qualifiche ottenute all'estero e che legittima l' imposizione di particolari corsi o periodi di formazione a chi - in possesso del relativo titolo ottenuto in altro Stato dell'Unione Europea - intenda svolgere tale professione, appare opportuno evitare che tale deroga possa trovare un' applicazione discriminatoria nei confronti dei cittadini italiani che abbiano ottenuto il titolo all'estero ( concretatesi nella richiesta di titoli ulteriori, non richiesti agli altri cittadini comunitari che abbiano ottenuto il titolo nel loro o in altro paese comunitario). Sembra assolutamente doveroso, pertanto, sancire il principio secondo cui nessuna disposizione dell'adottando decreto legislativo possa essere interpretata nel senso di consentire discriminazioni nei confronti di cittadini italiani, come di altri stati membri, quanto alle modalità di riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute in uno Stato dell' Unione.