Legislatura 14 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-05066
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Atto n. 4-05066
Pubblicato il 23 luglio 2003
Seduta n. 448
SODANO CALOGERO, MELELEO, SEMERARO, CICCANTI, CHERCHI, MAFFIOLI, KOFLER, SANZARELLO, DEMASI, OGNIBENE, PEDRIZZI, GABURRO, RUVOLO, FORTE, COZZOLINO, CONTESTABILE, MEDURI, BATTAGLIA ANTONIO, CRINO', SALZANO, GRECO, NESSA, FEDERICI, FORLANI, GUZZANTI, IANNUZZI, D'IPPOLITO, CHIRILLI, ZORZOLI, ZICCONE, TREMATERRA, RONCONI, RIZZI, BOREA, CALLEGARO, IERVOLINO, DANZI, CASTAGNETTI, FABBRI, SCOTTI, PASTORE, MANFREDI, GENTILE, CURTO, MORSELLI, COMPAGNA, ULIVI, CANTONI, PALOMBO, CARRARA, BRIGNONE, FIRRARELLO, MENARDI, GIRFATTI, SAMBIN, ARCHIUTTI, MAINARDI, FALCIER, TREDESE, ASCIUTTI, BOSCETTO, COSTA, DE RIGO, MINARDO, PICCIONI, FERRARA, PROVERA. - Ai Ministri delle attività produttive e dell'ambiente e della tutela del territorio. -
Premesso:
che la scelta antinucleare operata 15 anni fa dal nostro Paese si trova oggi di fronte a sfide che segneranno il futuro dell’intero continente, tanto sul piano dei rapporti economici internazionali, quanto su quello delle politiche ambientali;
che è ormai impossibile obliterare le crescenti difficoltà di approvvigionamento di energia considerato che oggi l’Unione europea importa la metà del suo fabbisogno, ma con gli attuali ritmi di crescita, nel giro di 30 anni, le importazioni rischiano di salire al 70 per cento del fabbisogno complessivo, con un tasso di dipendenza del 70 per cento per il gas e del 90 per cento per il petrolio;
che questa tendenza si accentuerà nel tempo; infatti, a parte le riserve di gas e petrolio del Mare del Nord, in gran parte già in via di esaurimento, l’Unione europea anche nella sua composizione allargata dispone solo di risorse carbonifere;
che il Libro verde della Commissione europea già nel novembre 2000 aveva denunciato il continuo aumento della dipendenza energetica dell’Unione dall’esterno ed evidenziato i rischi economici, sociali, ecologici e fisici di questa dipendenza mostrando uno scenario in cui l’Unione europea non dispone di mezzi efficaci per influenzare il mercato internazionale;
che questi dati appaiono purtroppo incontestabili e la stessa speranza nell’impiego delle energie rinnovabili – com’è noto – non può rappresentare che una risposta molto parziale ai problemi di approvvigionamento; infatti, secondo le stime più ottimistiche, fra 20 anni non più del 10 per cento del fabbisogno complessivo potrà essere coperto da fonti rinnovabili;
che è giustificata, quindi, la preoccupazione diffusa nei Paesi dell’Unione europea la quale ha dovuto prendere atto della pericolosità – per lo stesso futuro del pianeta, quanto meno volendo rispettare un cauto principio di precauzione – delle emissioni di gas serra tanto che i Paesi europei si impegneranno presto, con la ratifica del Protocollo di Kyoto, a una drastica riduzione – entro il 2012 – delle emissioni di CO2, pari complessivamente all’8 per cento rispetto al livello di emissioni raggiunto nel 1990;
che tale impegno pone i singoli Paesi europei dinanzi ad una responsabilità politica di grande rilievo internazionale, sia per il ruolo avuto dall’Unione europea nel difficile negoziato, sia per il forte livello di sensibilizzazione dell’opinione pubblica europea sui problemi dell’inquinamento atmosferico e delle variazioni climatiche;
che da queste mutate condizioni sui due versanti, energetico ed ambientale, deriva la ripresa della riflessione sul nucleare – energia la cui produzione non determina, come è noto, emissioni di CO2 – e sulla possibilità di conseguire, proprio attraverso un maggior ricorso al nucleare, gli obiettivi imposti dal Protocollo di Kyoto;
che ciò, fra l’altro, mette in evidenza una forte contraddizione interna tra coloro che non possono semplicemente presentarsi come i paladini del Protocollo di Kyoto e, al tempo stesso, mantenere il ruolo tradizionale di inflessibili oppositori di ogni opzione nucleare;
che fuori dall’Europa vi sono oramai chiari segnali di un diffuso interesse verso nuovi investimenti nucleari: in Cina o in Giappone ed anche negli stessi Stati Uniti, dove una riconsiderazione dell’opzione antinucleare sembra oggi tutt’altro che impossibile;
che il dibattito sull’opzione nucleare è stato, dunque, riaperto anche nel nostro continente e nei prossimi anni costituirà sicuramente uno dei temi di maggiore impatto strategico;
che l’energia nucleare rappresenterebbe – sul piano della lotta all’inquinamento e su quello della riduzione dei costi, nonché dell’indipendenza dalle aree geopoliticamente più critiche – la soluzione da privilegiare anche in considerazione del fatto che l’evoluzione tecnologica riesce ormai a garantire livelli di sicurezza molto elevati;
che emergono, tuttavia, altri aspetti – non sottovalutabili – che impongono una grande prudenza: in primo luogo, il problema dello smaltimento delle scorie; in secondo luogo, la vulnerabilità degli impianti nucleari rispetto ad attacchi terroristici, messa in luce tragicamente dagli attentati dell’11 settembre e dalle minacce terroristiche che tuttora continuano a manifestarsi;
che, infine, occorre considerare che le installazioni nucleari – sia sul piano sociale e tecnologico, sia sul piano economico – richiedono un controllo centralizzato dei numerosi fattori in gioco e prediligono assetti monopolistici del mercato energetico. Non è un caso che tale opzione sia oggi privilegiata in Paesi come l’Iran o la Cina e che fra i Paesi europei il più nuclearizzato sia la Francia, in cui prevale ancora un assetto monopolistico del mercato energetico;
che in Italia, com’è noto, i tre referendum del novembre del 1987 hanno determinato un indirizzo che ha escluso la prosecuzione di ogni programma nucleare nel nostro Paese;
che delle quattro centrali elettronucleari che erano state realizzate a partire dalla fine degli anni ’50, Latina, Trino Vercellese, Caorso e Garigliano, quest’ultima fu fermata per modifiche nel 1978 e non più riavviata e le altre 3 furono fermate, in successione, a partire dal 1988 a seguito del referendum;
che in conseguenza di quella scelta, che pure aveva alla base legittime preoccupazioni di carattere ambientale anche a seguito del grave incidente di Cernobyl in Ucraina, abbiamo dovuto sostenere costi economici altissimi, che – nella parte tradottasi direttamente in aggravi tariffari – pesano ancora oggi sui consumatori;
che l’Italia ha dovuto affrontare i costi dello smaltimento delle scorie (senza peraltro ancora pervenire alla creazione di quel deposito nazionale, sempre più urgente, che consentirebbe uno smaltimento in condizioni di effettiva sicurezza), continuando però ad importare energia dalle centrali nucleari francesi poste a pochi chilometri dal nostro confine;
che il problema deve oggi essere posto, invece, fuori dagli schematismi ideologici, in termini completamente nuovi;
che la normativa vigente, come modificata da uno dei tre referendum del 1987, impedisce oggi all’ENEL di partecipare ad attività nucleari all’estero. In seguito alla approvazione del terzo dei quesiti abrogativi del 1987 – del tutto irrilevante ai fini della sicurezza del nostro territorio – l’Ente nazionale per l’energia elettrica, allora sotto il pieno controllo dello Stato ed unico ente elettrico italiano, dovette interrompere tutte le proprie attività nel settore e rinunciare alla sua partecipazione nell’impianto elettronucleare francese Super-Phoenix, in quanto privato della facoltà di promuovere la costituzione di società con compagnie o enti stranieri o di assumervi partecipazioni al fine di realizzare o gestire impianti elettronucleari;
che tutto ciò non mancò di avere effetti negativi, anche occupazionali, sull’intera industria elettronucleare italiana, che da allora di fatto fu praticamente smantellata;
che uno dei tre referendum sul nucleare abrogò infatti una parte dell’articolo unico della legge 18 dicembre 1973, n. 865, che – sostituendo l’articolo 1, comma settimo, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 – aveva abilitato l’ENEL alla realizzazione e all’esercizio di impianti elettronucleari;
che, successivamente, l’articolo 34 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), sostituì nuovamente il comma settimo dell’articolo 1 della legge n. 1643, ma non dispose la cessazione di quel divieto che conseguiva dall’esito del referendum;
che oggi gli interroganti ritengono maturi i tempi per una revisione di quella decisione anche in considerazione delle mutate condizioni climatiche che attualmente hanno portato l’intero paese in uno stato di emergenza con gravi danni all’agricoltura, alle industrie e alle centrali termoidroelettriche, come dichiarato anche di recente dalla Protezione Civile;
che tale situazione comporta continui appelli ai cittadini per limitare i consumi, di acqua e di energia, consumi che invece aumentano esponenzialmente a causa delle elevatissime ed insopportabili temperature,
si chiede di conoscere:
quali siano gli intendimenti in proposito dei Ministri in indirizzo;
se si ritenga opportuno riconsiderare l’utilizzo dell’energia nucleare anche in considerazione del fatto che il nucleare come fonte di energia viene comunque utilizzato dal nostro Paese che lo importa dalla Francia e dall’Austria.