Legislatura 14ª - Disegno di legge N. 2830

Onorevoli Senatori. – Lo scandalo Parmalat ha messo in moto una serie di iniziative legislative e regolamentari essenzialmente lungo tre assi:
        1) controlli esterni: diversa suddivisione di poteri tra le varie autorità, aumento dei poteri di indagine e sanzionatori per alcune di esse;

        2) controlli interni: norme più severe sulle incompatibilità, ad esempio tra la revisione e certificazione del bilancio e la consulenza; e sugli obblighi di informazione a carico degli operatori;
        3) sanzioni penali: da inserire recependo la direttiva europea sugli abusi di mercato; da inasprire secondo alcuni settori sia dell’opposizione che della maggioranza per i reati esistenti nel nostro ordinamento, segnatamente per quello di falso in bilancio.

    È rimasto in secondo piano invece il problema di come agire lungo l’asse delle regole di corporate governance, un asse non alternativo ma complementare a quelli citati. Eppure, secondo quanto scrive l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in premessa al suo ultimo (gennaio 2004) documento di raccomandazioni sul tema, la corporate governance è un elemento chiave per migliorare l’efficienza economica e la crescita, nonché per proteggere i risparmi privati. In effetti, fioriscono gli studi che dimostrano la correlazione tra buone regole di governance societaria, diritti dei soci e forza del mercato dei capitali.

    Le frodi societarie, invero, danneggiano in primo luogo gli azionisti, o tutti o alcuni di essi rispetto ad altri, e coloro che detengono titoli di debito delle società quotate, in particolar modo gli obbligazionisti.
    Le società di capitali sono, essenzialmente, un insieme di contratti; nelle frodi societarie vengono violati i diritti di alcuni dei partecipanti a questi contratti a danno di altri. Siccome le regole di corporate governance definiscono proprio i diritti dei vari partecipanti al contratto di società, e i modi che essi hanno di farli valere, agendo su di esse si mettono in moto meccanismi correttivi.
    Sono meccanismi interni alle società, azionati dagli stessi titolari di questi diritti, ciò che comporta un duplice vantaggio: si riduce la necessità di interventi da parte di organismi esterni, con un minore costo per la collettività intera; e si evita di caricare di adempimenti e controlli la totalità delle imprese in modo indiscriminato. Aggravi quali le preventive autorizzazioni da parte di organi pubblici o societari, gli adempimenti di obblighi informativi, la compilazione di moduli e prospetti di vario genere, non solo rappresentano un onere aziendale, ma possono indurre comportamenti opposti ai fini che si intende perseguire: ad esempio scoraggiano la quotazione in borsa, vale a dire proprio quel passo da tutti ritenuto necessario per la crescita e la trasparenza delle imprese italiane.
    Orbene, i princìpi di corporate governance mirano in generale a risolvere i problemi che nascono dalla separazione tra proprietà e controllo: in primo luogo, evitare che chi gestisce ed esercita il controllo derubi i proprietari delle azioni. Se ad avere il controllo è un manager, le regole di corporate governance mireranno ad allineare gli interessi dei manager con quelli dei soci, evitando che i primi perseguano più il proprio interesse che quello dei secondi, cioè la massimizzazione del valore aziendale. Se invece si è in presenza di un socio di controllo in grado di dettare le scelte degli organi esecutivi e di influenzare la sorveglianza dei controllori interni (sindaci e revisori), la preoccupazione consiste nell’evitare che tale azionista di maggioranza distolga risorse aziendali a suo beneficio. Vi sono inoltre altri attori – in particolar modo gli obbligazionisti – i quali, pur avendo interessi divergenti dai soci (i primi sono creditori dei secondi), nella loro veste di risparmiatori sono accomunati dalla necessità di avere una rappresentazione chiara e veritiera della situazione economica dell’impresa, necessità che coincide con il buon funzionamento del mercato.
    Negli ultimi anni si sono varati leggi e regolamenti importanti che trattano dei diritti di queste due figure, soci di minoranza ed obbligazionisti: il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, il nuovo codice societario, di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, il codice di autodisciplina della borsa italiana. Il verificarsi di scandali come quello Parmalat (e per altri versi anche quello Cirio) deve indurre anche a dare maggiore forza ed efficacia a quei testi (tramutando anche in legge alcune prescrizioni oggi solo raccomandate dai codici di autodisciplina).
    Nei contratti, e quindi anche nei rapporti all’interno delle società, prioritaria è la volontà delle parti, nessuno potendo definire meglio di esse i propri interessi. Ma esistono problemi di azione collettiva: specialmente nelle società con azionariato diffuso i costi di negoziazione di un accordo buono per tutti sarebbero proibitivi. Il legislatore, nel porre le regole di diritto societario, deve quindi immaginarsi quale sarebbe l’assetto di regolamentazione dei propri interessi che le parti sceglierebbero se potessero sedersi attorno ad un tavolo poiché questo, con ogni probabilità, sarebbe l’ottimale.
    Una volta che queste regole vengono poste, tuttavia, ciò non deve precludere alle parti la possibilità di accordarsi ad hoc per meglio proteggere i propri interessi.
    Gli interventi che noi proponiamo nel presente disegno di legge rafforzano i diritti degli azionisti e degli obbligazionisti delle società quotate, rispetto a quanto prevede la legislazione vigente. Peraltro le parti possono derogare alle disposizioni proposte e prevedere il ripristino delle norme attuali, a patto che ciò avvenga con l’approvazione da parte di una maggioranza qualificata in assemblee straordinarie, ciò che assicura pubblicità alla decisione dei soci di usare della facoltà di deroga.
    Un primo gruppo di norme aumenta i diritti degli azionisti di minoranza. In particolare:

        – si riduce dal 5 per cento all’1 per cento la quota di capitale necessaria per iniziare un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (articolo 1);

        – si rende più agevole richiedere l’inserimento di altri punti all’ordine del giorno delle assemblee (articolo 2);
        – si rende possibile ai soci porre specifiche questioni a cui debba rispondere la società di revisione (articolo 3);
        – si attribuisce all’assemblea, come regola generale e non eccezionale, il compito di stabilire l’ammontare complessivo delle remunerazioni degli amministratori, ivi compresi gli amministratori delegati, lasciando al consiglio la determinazione dei singoli emolumenti (articolo 4);
        – si conferisce al rappresentante comune degli obbligazionisti il diritto di incaricare una società di revisione di compiere una verifica sui libri contabili, con spese detratte dai pagamenti per gli interessi (articolo 5).

    Un secondo gruppo di norme riguarda la trasparenza delle operazioni societarie ed in particolare i comportamenti degli investitori istituzionali:
        – è istituito un comitato per il controllo interno, composto in maggioranza da amministratori indipendenti, con diretto accesso alle informazioni sociali, e ai dipendenti della società (articolo 6);

        – gli investitori istituzionali che agiscono come fiduciari altrui (ad esempio fondi pensione o fondi di investimento) rendono pubblico come hanno esercitato il loro diritto di voto nelle assemblee delle società quotate in cui investono (articolo 7);
        – sempre gli investitori istituzionali devono rendere nota la loro struttura di corporate governance, e l’eventuale presenza dei più rilevanti conflitti di interesse che possono influenzare l’esercizio dei propri diritti di azionisti (articolo 8);
        – le società quotate adottano il modello di organizzazione e controllo per la prevenzione dei reati previsto dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (articolo 9).

    Attivare i propri diritti ha tuttavia un costo: per compensarlo e per evitare che i diritti rimangano astratti, abbiamo previsto una norma di chiusura, inderogabile, che consente al giudice, nelle sentenze che riconoscono danni a seguito di cause di responsabilità verso amministratori, sindaci, liquidatori, direttori generali o nei confronti della società a seguito della commissione di reati societari, di riconoscere agli attori i cosiddetti danni punitivi (fino a tre volte l’importo del danno emergente e del lucro cessante) (articolo 10).

    Ogni norma ha un costo, e questo vale anche per le presenti proposte. Tuttavia, agire sul lato della corporate governance, rispetta i princìpi fondamentali della libertà di contratto, previene l’introduzione di troppo gravosi oneri di compliance preventiva e stimola le scelte consapevoli e l’attenzione dei primi attori dei mercati finanziari: gli investitori.