Legislatura 13ª - Disegno di legge N. 3245
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SENATO DELLA REPUBBLICA
  XIII LEGISLATURA
N. 3245
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori FASSONE, SALVI, DE LUCA Michele, BONFIETTI, SENESE, MICELE, CALVI e RUSSO
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 29 APRILE 1998
Nuova disciplina della prescrizione del reato e della pena
ONOREVOLI SENATORI. - 1. - Varie vicende giudiziarie recenti, di contenuto e di significato assai diverso fra loro, convergono nel far considerare necessario un ripensamento globale della materia della prescrizione del reato e della pena.
La prescrizione del reato nel processo penale, da evento eccezionale quale era stata concepita alle origini, si é progressivamente trasformata in epilogo normale, o almeno diffuso, soprattutto per le contravvenzioni e per i delitti di limitata gravità. Per questo tipo di reati, se l'imputato intende percorrere tutti i gradi della giurisdizione, la sua aspettativa di estinzione per decorso del tempo é elevatissima.
Ció produce un duplice fenomeno negativo. Da un lato, il processo (ieri di pretura, oggi di tribunale in composizione monocratica, chiamato a trattare i reati puniti con pena meno grave) non viene alleggerito da un ampio ricorso ai riti alternativi, poiché la prospettiva della prescrizione é piú allettante dello "sconto" di pena ad essi connesso: e questo intasa il dibattimento, allungandone i tempi e rendendo ancora piú solida l'aspettativa di prescrizione, nella tipica situazione del circolo vizioso. Il risultato é preoccupante poiché molte delle materie già pretorili hanno acquisito una notevole rilevanza sociale (edilizia, urbanistica, inquinamento, sicurezza ed igiene del lavoro, tutela del consumatore, e simili), e l'azzeramento dei risultati giudiziari in questi campi é causa di grave danno.
Dall'altro lato, il "beneficio" della quasi certa prescrizione é appannaggio essenzialmente dell'imputato che puó permettersi di esperire tutti i gradi del processo e di contrastare la pretesa punitiva con le risorse di una difesa agguerrita: dunque é vantaggio fruito soprattutto da imputati abbienti e precluso agli altri, con evidente alterazione di fatto del principio di eguaglianza.
Quanto, invece, alla prescrizione della pena, la disciplina vigente produce l'effetto di consentire l'esecuzione della stessa a distanza di tempo anche elevatissima dal fatto per cui é condanna, in tal modo assoggettando ad espiazione persone che possono essere divenute affatto diverse dal momento in cui commisero il reato. Questo accade perché al termine necessario a prescrivere il reato (che presenta un massimo teorico di trent'anni) si somma un tempo ulteriore (anch'esso esteso sino a trent'anni), che rende smisurato l'intervallo tra il reato e l'espiazione. É assai problematica la funzione rieducativa della pena (a termini dell'articolo 27 della Costituzione) quando tra reato e sanzione si inserisce un simile percorso di vita.
2. - Si rende pertanto necessaria una rimeditazione sui due istituti.
La disciplina vigente della prescrizione del reato é imperniata su tre proposizioni. Innanzi tutto, il tempo necessario a far maturare la prescrizione é scaglionato in misura proporzionale alla gravità del reato, e le varie misure temporali stanno ad indicare che il procedimento deve iniziare prima che esse siano interamente decorse. In secondo luogo, é prevista una serie di atti che hanno la funzione di interrompere la prescrizione, facendola decorrere ex novo . In terzo luogo, lo scorrimento del termine finale dovuto agli atti interruttivi incontra comunque un limite rigoroso, nel senso che detto termine, per quanti siano gli atti interruttivi, non puó mai eccedere la metà del termine di base.
Il sistema si presta a varie obiezioni. Da un lato, il meccanismo progressivo secondo cui é individuato il termine di base comporta un tempo persino eccessivo per i reati piú gravi (vent'anni per la "fascia" di cui all'articolo 157, primo comma, n. 1), del codice penale), mentre questo tempo é sicuramente insufficiente per i reati meno gravi (due o tre anni per le contravvenzioni).
Dall'altro lato, il fatto che lo slittamento dei termine, per effetto degli atti interruttivi, sia limitato al 50 per cento del termine di base penalizza ingiustamente l'esercizio dell'azione penale, anche quando questa si manifesta attraverso una serrata attività processuale. Se accade che il reato venga a conoscenza dell'autorità di polizia o dell'autorità giudiziaria dopo un certo lasso di tempo (cosicché sia già incolpevolmente consumata una gran parte del termine di base) l'impegno dello Stato é normalmente inefficace, perché il "tetto" della metà - coniugato con un sistema nel quale le impugnazioni sono universali - impedisce di arrivare al giudicato in tempo utile. Inoltre, nei reati contravvenzionali la dilatazione é cosí contenuta (dodici o diciotto mesi) da rendere praticamente impossibile la conclusione del processo dentro il termine massimo.
Di piú: il meccanismo vigente (termine di base ampio, ma ristretto quanto all'estensione per effetto di atti interruttivi) deresponsabilizza l'autorità giudiziaria, che gestisce il primo segmento processuale, abilitandola a scaricare nel segmento successivo il rischio della prescrizione. E correlativamente incoraggia le impugnazioni anche affatto pretestuose, che diventano strumento non per correggere l'errore della prima sentenza, ma per vanificarne gli effetti, per quanto essa sia ritenuta corretta. La disciplina é tale che incentiva i vari soggetti processuali a interpretare malamente i rispettivi ruoli.
3. - Le proposte di modifica sono sul tappeto da lungo tempo. Da taluni si propugna un puro e semplice allungamento dei termini, quanto meno a proposito delle contravvenzioni e dei delitti meno gravi. Da altri si suggerisce di sterilizzare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, impedendone la declaratoria. Da altri ancora, di allungare sensibilmente i termini nei gradi successivi al primo.
Nessuna di queste soluzioni sembra appagante. Alla prima si puó replicare che la semplice dilatazione dei termini finirebbe con l'essere assorbita dalla cronica lunghezza dei processi, senza benefici strutturali. Alla seconda, che non si possono lasciare i giudizi di impugnazione sciolti da qualsiasi vincolo temporale. Alla terza, che presenterebbe profili punitivi per l'esercizio del diritto di impugnazione.
Appare allora preferibile una riforma lineare, che si limiti a disciplinare la prescrizione penale sulla falsariga di quella operante da decenni in campo civile. In base agli articoli 2934, 2943 e 2945 del codice civile, i diritti si prescrivono in un certo tempo, determinato dalla legge. Vengono elencati atti aventi efficacia interruttiva. Per effetto dell'atto interruttivo inizia un nuovo termine di prescrizione, senza "tetto" complessivo. Ovviamente, il legame temporale tra un atto interruttivo ed il seguente é dato, appunto, dal termine necessario a prescrivere.
Nel processo penale il meccanismo esige qualche correttivo, perché la ripresa del termine di prescrizione, alla sola condizione che l'atto interruttivo intervenga nell'arco del termine di base, porterebbe ad una dilatazione eccessiva. Si puó allora configurare una quantità di tempo-base, ragguagliata alla gravità del reato (come già oggi avviene, ma con latitudine piú ridotta per le fasce alte, piú ampia per quelle basse). Si puó configurare una serie di atti idonei ad interrompere la prescrizione (come già oggi avviene, ex articolo 160 del codice penale). E si puó infine stabilire che lo "sforamento" del termine di base non sia delimitato da una misura fissa (e cioé la metà del medesimo), ma dalla pretesa che gli atti interruttivi si leghino gli uni agli altri in sequenza ravvicinata, che riveli l'effettivo dispiegarsi della pretesa punitiva senza ritardi e negligenze.
A questa stregua, rimane bensí necessario continuare a definire un termine massimo comunque invalicabile, perché il processo penale non puó avere mai una durata astrattamente indefinita. Ma questo termine massimo puó essere individuato in quello piú ampio di tutti, in base al meccanismo principale (e cioé il termine di quindici anni, maggiorato del 50 per cento). All'interno di questo, invece, la garanzia del "tempo ragionevole " entro il quale il processo si deve concludere é collocata nei termini intermedi, combinati con la successione ravvicinata degli atti interruttivi che ne giustificano la dilatazione.
4. - Il nodo di piú difficile soluzione attiene al legame temporale che deve connettere i vari atti interruttivi. La formula piú semplice parrebbe quella di stabilire una misura di tempo (ad esempio un anno) entro la quale deve essere compiuto ciascuno di essi dopo il primo (che, ovviamente, deve collocarsi all'interno del termine di base). Ma sarebbe una soluzione troppo rigida, e inadeguata per difetto e per eccesso.
Sembra allora opportuno ridisegnare il sistema come segue. All'interno del termine di base (semplificato nelle quattro fasce di 15, 10, 5, e 3 anni) la disciplina non muta rispetto a quella vigente, e gli atti interruttivi continuano a produrre l'effetto di fare ridecorrere il termine (articoli 160, terzo comma, del codice penale). Una volta varcato questo termine, esso continua a spostarsi in avanti solamente se gli atti interruttivi intervengono entro una determinata cornice, modellata su quanto già il codice prescrive: gli atti di indagine preliminare devono susseguirsi entro due anni (ex articoli 405, 406 e 407 del codice di procedura penale); la sentenza dibattimentale deve essere pronunciata entro due anni dal provvedimento che dispone il giudizio ( ex articoli 303 e 304 del codice di procedura penale.); gli altri atti interruttivi, diversi dai precedenti, devono succedersi ad intervalli non maggiori di un anno.
In tal modo si conciliano le due aspettative fondamentali: quella dell'imputato, a non patire una indefinita soggezione processuale, é tutelata dall'esigenza che l'attività giudiziaria inizi entro un tempo definito (che per i delitti piú gravi é piú breve di quello attuale), e comunque si snodi senza ritardi tra un atto saliente ed il successivo; quella dello Stato, a non vedere vanificata la propria pretesa punitiva allorché esso é operoso, é fatta salva dallo scorrimento del termine, in conseguenza di una reale e tempestiva concatenazione degli atti espressivi della sua volontà di attivarsi.
5. - Accanto a queste innovazioni, l'intervento riformatore deve prendere in considerazione anche un fenomeno distorsivo oggi frequente. In forza del secondo comma dell'articolo 157 del codice penale "per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilito dalla legge per il reato ... tenuto conto ... della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti". Ció significa che, mentre durante il processo l'aspettativa di prescrizione ha una certa misura temporale, ragguagliata al nomen iuris per cui si procede, questa misura puó ridursi sensibilmente quando, nella sentenza di condanna, vengano concesse delle attenuanti non oggettivamente legate alla qualificazione iniziale (tipicamente, ma non solo, le attenuanti generiche, la cui introduzione nel codice penale - non a caso - é successiva al varo del medesimo ed alla sua sistematica; e tanto piú lo é il meccanismo del bilanciamento tra circostanze nella forma amplissima sancita dal decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 220); ovvero quando, in un grado successivo, le attenuanti, già dichiarate equivalenti alle aggravanti, vengano ritenute prevalenti sulle stesse.
Questo fenomeno dimezza imprevedibilmente i tempi della prescrizione, per effetto di valutazioni estranee alla struttura del reato (che invece ha orientato il legislatore nel definire il termine, collegando quantità di tempo e quantità di pena edittale astratta), e lega la prescrizione a valutazioni discrezionali del giudice, che finiscono con l'operare retroattivamente. Il "tempo ragionevole", di cui parla l'articolo 6, primo comma, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950, resa esecutiva in Italia dalla legge 4 agosto 1955,n. 848, deve essere riguardato anche come tempo sul quale si possa fare ragionevole affidamento, senza che l'attività giudiziaria, compiuta sulla base di un'aspettativa di legge, sia vanificata a posteriori dalla dichiarazione di circostanze non valutabili né preventivabili nel momento in cui gli atti processuali vengono compiuti (in forza di queste considerazioni l'articolo 157, secondo comma, del codice penale é stato recentemente denunciato alla Corte costituzionale per violazione dell'articolo 112 della Costituzione).
Appare pertanto necessario intervenire su detta norma, aggiungendo al termine del secondo comma del citato articolo 157 una proposizione che neutralizzi gli effetti sulla prescrizione conseguenti all'applicazione di circostanze attenuanti soggettive, che non siano obiettivamente valutabili all'atto del rinvio a giudizio.
6. - La prescrizione della pena puó modellarsi in coerenza con quanto ora detto.
Il sistema delineato dall'articolo 172 del codice penale si snoda su quattro proposizioni essenziali:
a)
la pena della reclusione si prescrive in un tempo proporzionale alla sua entità ("il doppio della pena inflitta");b) sono comunque previsti un minimo (dieci anni) e un massimo (trenta), oltreché una misura fissa per l'arresto e per le pene pecuniarie (cinque o dieci anni);
c) questo termine decorre dal giorno in cui la condanna é divenuta irrevocabile;
d) é prevista una causa di interruzione del termine, per il caso che il condannato si sottragga all'esecuzione della pena, ma solo nel caso in cui la stessa sia già iniziata.
Anche questo sistema si presta a non poche obiezioni. Innanzi tutto, una volta che la sentenza sia passata in giudicato, non v'é motivo di prevedere un lungo termine di prescrizione della pena in generale. La messa in esecuzione della condanna non richiede attività impegnative, se non per il caso che il condannato vi si sottragga. Dunque, quel che occorre sancire é l'interruzione e la ripresa del termine ogni qual volta avvenga questa sottrazione, sia prima sia dopo l'inizio dell'esecuzione; ed altresí quando intervenga un rinvio dell'esecuzione per cause processuali o per le ragioni di cui agli articoli 146 e 147 del codice penale.
Ma, fatto questo, é illogico prevedere un termine massimo di trenta anni, che possono cumularsi ad altrettanti come termine di prescrizione del reato. Piú corretto appare l'ancorare bensí il termine al passaggio in giudicato della sentenza (come già ora accade), ma anche al fatto-reato, per non dare luogo ad un'espiazione di pena che intervenga su una persona grandemente diversa da quella che ha commesso il reato. A questa stregua si ritiene conveniente:
a)
mantenere, in linea generale, il ragguaglio tra il tempo necessario per prescrivere e l'entità della pena inflitta (il doppio, come attualmente): questo meccanismo si lega ad una "presunzione di interesse all'esecuzione" che cresce con il crescere della sanzione inflitta;b) mantenere la presenza di un termine minimo e massimo, ma diversamente modellati. Il termine minimo é necessario affinché per le pene brevi esso non diventi evanescente, ma puó essere ridotto da dieci a cinque anni, ampiamente sufficienti per la messa in esecuzione, quando non vi siano fatti ostativi (per i quali si provvede come indicato nella lettera d). Il termine massimo é pur esso necessario affinché si ponga un limite alla soggezione, ma deve essere individuato con riferimento non solo al giudicato, bensí anche al reato commesso. Ció significa che, quale che sia l'entità della pena inflitta, e quale che sia il tempo richiesto per celebrare il processo, l'esecuzione non puó avere inizio dopo un certo intervallo dal fatto.
c) continuare, in linea generale, a far decorrere il termine dal momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile, salvo un aggancio invalicabile con il fatto;
d) bilanciare la riduzione del termine con un sistema di cause di sospensione o di interruzione, ogni qual volta l'esecuzione non possa di fatto avere luogo. Questo accade tipicamente quando il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione, durante la stessa (come già oggi é previsto), o anche prima del suo inizio: tale correttivo é evidentemente necessario per non favorire il callido ostruzionismo. Accanto a questa situazione, peraltro, si deve considerare anche il rinvio dell'esecuzione ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale; la sospensione per infermità psichica sopravvenuta (articolo 148 del codice penale), o per ragioni processuali (articolo 666, comma 7, del codice di procedura penale), o per qualsiasi causa.
Quanto allo specifico istituto applicabile, mentre la norma vigente non definisce il meccanismo limitandosi ad ancorare il dies a quo alla condotta del condannato, sembra doversi ravvisare una causa di sospensione, poiché si tratta non di attività giudiziarie dimostrative di una volontà (sí che il termine debba ricominciare a decorrere), ma di situazioni di fatto impeditive o neutralizzative della pretesa.
Ció posto, poiché si deve cercare un termine massimo di prescrizione della pena che sia il meno possibile lontano dal fatto-reato, occorre individuarlo in coerenza con quanto stabilito in tema di prescrizione del reato, e quindi consentire preliminarmente che il processo si concluda nel tempo massimo che la legge gli ha assegnato, essendo illogico che esso possa svolgersi in funzione della (eventuale) irrogazione di una pena che non potrebbe essere applicata perché prescritta. Dunque, la prescrizione della pena non potrà maturare prima dei ventidue anni e sei mesi che costituiscono il termine piú lungo previsto per la prescrizione del reato, e dovrà collocarsi al di là del predetto di una misura sufficiente alla messa ad esecuzione.
Tuttavia, se si vuole essere rispettosi della premessa di ordine costituzionale, il termine di prescrizione della pena dovrà valicare il meno possibile il termine massimo di prescrizione del reato. Per cui, considerando un "tempo tecnico" contenuto per la messa in esecuzione della condanna (atteso che gli eventuali impedimenti sono neutralizzati dalle cause di sospensione), si puó stimare in sei mesi questo additivo procedurale (ovviamente solo nella situazione estrema in cui il processo abbia consumato l'intero termine di prescrizione del reato), e di riflesso configurare un tempo totale di ventitré anni, al di là del quale la pena é comunque prescritta.
In tal modo l'architettura complessiva si scandisce in tre proposizioni scalari. In primo luogo, il tempo di prescrizione della pena rimane ordinariamente legato al suo modulo tipico, che é il doppio della quantità irrogata. In seconda istanza, esso si comprime progressivamente, nei valori alti, in proporzione al tempo impiegato per la celebrazione del processo, facendo peró sempre salvo il minimo (cinque anni), almeno sino a che la conclusione dei processo avvenga entro il ragguardevole termine di diciotto anni. Ció offre una sufficiente tutela all'esigenza di mettere ad esecuzione qualsiasi pena, tenuto conto che ogni termine viene tutelato dai mec canismi di sospensione contro eventuali comportamenti elusivi del condannato o altri impedimenti.
In terza ed ultima ipotesi, solo nel caso in cui il tempo richiesto per giungere alla condanna definitiva superi anche la soglia dei diciotto anni (ipotesi piuttosto eccezionale), anche il termine minimo viene progressivamente sacrificato, e tuttavia non mai al di sotto di sei mesi, che é misura comunque sufficiente per la messa ad esecuzione, se non vi é dolosa sottrazione o altro ostacolo.
7. - Quanto al regime transitorio, soccorrono i princípi generali, per cui non si ritene necessaria una apposita normativa.
| DISEGNO DI LEGGE |
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Art. 1. 1. I commi primo e secondo dell'articolo 157 del codice penale sono sostituiti dai seguenti: "La prescrizione estingue il reato: a) in quindici anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a venti anni;b) in dieci anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; c) in cinque ami se si tratta di altri delitti; d) in tre anni se si tratta di contravvenzioni. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti. Non si tiene conto delle circostanze attenuanti soggettive che non siano obiettivamente valutabili al momento della richiesta di rinvio a giudizio". |
| Art. 2. 1. L'articolo 160 del codice penale é sostituito dal seguente: "Art. 160. - (Interruzione della prescrizione) . - Il corso della prescrizione é interrotto da uno dei seguenti atti in qualunque stato e grado del procedimento venga compiuto: a) l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto;b) l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice; c) l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio; d) il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione; e) la richiesta di rinvio a giudizio; f) il decreto penale di condanna; g) l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato; h) il decreto di fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena; i) la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo; l) il decreto che dispone il giudizio immediato; m) il decreto di citazione a giudizio; n) il decreto che dispone il giudizio; o) il decreto di fissazione dell'udienza preliminare; p) la sentenza che definisce il grado del giudizio; q) l'atto di impugnazione. La prescrizione interrotta incomincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se piú sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi. |
| Art. 3. 1. I primi quattro commi dell'articolo 172 del codice penale sono sostituiti dai seguenti: "La pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta, e non inferiore a cinque anni: La pena della multa si estingue nel termine di cinque anni. |