Legislatura 17ª - Dossier n. 33
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Gli ultimi sviluppi della crisi ucraina(4)
L’acutizzazione delle tensioni
Gli ultimi giorni della crisi internazionale intorno all’Ucraina hanno visto il progressivo indurimento delle posizioni dei paesi dell’Europa occidentale, sostanzialmente coincidenti con quelle degli Stati Uniti, ove però sembra rimanere qualche margine di maggior prudenza. Particolarmente rilevante appare l’evoluzione della posizione tedesca, che progressivamente si è allineata al Regno Unito, alla Francia e alla Polonia nell’ammonire la Russia a non assecondare il referendum per l’adesione della Crimea. Assai rilevante appare poi la posizione cinese, la quale, evidentemente per le preoccupazioni squisitamente interne in relazione alle numerose minoranze nazionali del proprio territorio, sembra disallinearsi rispetto alla tradizionale collocazione di solidarietà con la Russia.
In dettaglio, il 10 marzo aerei ricognitori d’alta quota Awacs della NATO hanno iniziato a percorrere i cieli di Polonia e Romania per un monitoraggio della situazione ucraina: gli Stati Uniti chiedevano nel contempo ai russi concrete prove d’impegno per una soluzione diplomatica della questione, anzitutto fermando l’afflusso di truppe in Crimea, e non dando corso all’adesione della penisola a Mosca. Sul fronte dell’Unione europea l’Alto rappresentante per la politica estera Ashton ha espresso preoccupazione per l’incremento dell’intervento militare russo in Crimea e gli episodi di violenze ad esso collaterali.
In Crimea intanto il governo locale procedeva a chiudere tredici emittenti favorevoli al governo di Kiev, mentre si decretava l’ufficialità della lingua russa per i documenti di circolazione fino ad oggi redatti in ucraino. Tutto ciò mentre proseguiva l’azione di militari russi senza mostrine ufficiali e di miliziani filorussi per il controllo delle basi militari e dei punti strategici della penisola. Di rilievo l’opposizione apertamente espressa dei Tatari di Crimea al referendum, rispetto al quale hanno annunciato di non voler partecipare e di non voler riconoscerne il risultato.
4) A cura del Servizio Studi della Camera dei deputati.
La dichiarazione di indipendenza della Crimea e le reazioni internazionali
L’11 marzo il Parlamento di Sinferopoli giungeva a dichiarare l’indipendenza dall’Ucraina, anticipando in qualche modo il referendum previsto per il 16 marzo: la dichiarazione è stata approvata con 78 voti su 81 e, particolare importante, cita espressamente la questione del Kosovo come precedente che faciliterebbe la conformità al diritto internazionale della secessione della Crimea. In realtà proprio il caso del Kosovo rischia di essere per Mosca e i filorussi di Crimea un boomerang, in quanto la Russia – insieme per la verità a decine di altri paesi, tra cui alcuni Stati membri della UE - non ha mai riconosciuto l’indipendenza della ex provincia serba.
Inoltre, il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 22 luglio 2010 che aveva legittimato l’indipendenza del Kosovo - parere anche esso espressamente richiamato nella delibera del Parlamento di Crimea -, si basava sulla non contraddizione di tale evento nei confronti della risoluzione 1244 delle Nazioni Unite che aveva posto fine al conflitto del 1999: ma si trattava appunto di un conflitto sanguinoso giunto al culmine di un decennio di pesanti discriminazioni contro la maggioranza albanese del Kosovo, che prima dell’indipendenza era stato amministrato per quasi un altro decennio come protettorato dalla Comunità internazionale.
A fronte di questi sviluppi l’Unione europea, preparandosi ad accelerare il percorso sanzionatorio contro la Russia, annunciava l’eliminazione entro pochi mesi dei dazi doganali su più del 90% dei prodotti dell’Ucraina – che dovrebbe fruttare a Kiev circa mezzo miliardo di euro l’anno -, quale primo atto del pacchetto di aiuti all’Ucraina. Per quanto concerne la Russia, il ministero degli esteri si è espresso per la legittimità della dichiarazione d’indipendenza della Crimea.
Il 12 marzo si è svolta la visita a Washington del neopremier ucraino Iatseniuk, preceduta da una forte presa di posizione congiunta del G7 e dell’Unione europea, nella quale si definisce l’annessione della Crimea alla stregua di una chiara violazione della Carta dell’ONU, invitando Mosca a desistere dalle proprie iniziative nei confronti della Crimea e preannunciando il non riconoscimento del risultato di un eventuale referendum in loco. Tale consultazione, infatti, non sarebbe stata adeguatamente preparata e sarebbe invalidata dall’ipoteca militare rappresentata dalle cospicue truppe russe già dispiegate nella regione.
Per quanto riguarda Iatsemiuk, questi ha incontrato il presidente Obama, ma anche i vertici della Banca mondiale del Fondo monetario internazionale, per verificare la disponibilità al sostegno finanziario del paese nella difficilissima situazione economica che si affianca alla crisi politica e dei rapporti con Mosca.
Va ricordato che sia la Camera dei rappresentanti che il Senato statunitensi hanno chiesto con chiarezza all’Amministrazione USA di imporre sanzioni commerciali non solo ad alti responsabili politici e burocratici della Russia, ma anche contro banche e organizzazioni commerciali controllate dallo Stato russo. In realtà, nonostante la netta dichiarazione di sostegno all’Ucraina rilasciata da Obama dopo l’incontro con Iatseniuk, gli Stati Uniti hanno una posizione relativamente possibilista, motivata probabilmente da una valutazione realistica sia del grande peso politico e militare del paese, sia della complessità delle questioni internazionali ancora sul tappeto: alienarsi per un lungo periodo il sostegno russo potrebbe rappresentare per Washington particolarmente controproducente - basta citare il caso del conflitto siriano e la questione dei rapporti con l’Iran.
A fronte di una situazione che ha consigliato all’Aeroflot e alle altre compagnie aeree russe di modificare le rotte di sorvolo sull’Ucraina, Mosca ha reagito il 13 marzo al rafforzamento del dispositivo aereo della NATO sui cieli di Polonia, Romania e Lituania con nuove manovre militari nelle regioni occidentali confinanti con l’Ucraina, e con l’invio di una decina di aerei da combattimento in Bielorussia. A tutto ciò, Kiev ha risposto istituendo la Guardia nazionale, che dovrebbe essere formata da 60.000 uomini alle dipendenze del ministero dell’interno. Una vittima si è registrata in tanto nell’Ucraina orientale, a Donetsk, in seguito a scontri tra manifestanti filorussi e fedeli al governo di Kiev.
Gli Stati Uniti e la Germania hanno marciato di comune accordo con discorsi nei rispettivi parlamenti del segretario di Stato John Kerry e di Angela Merkel, preannunciando serie misure di carattere economico suscettibili di danneggiare la Russia. Il premier ucraino ha parlato di una inaccettabile aggressione da parte di uno Stato vicino e dell’appartenenza indiscutibile della Crimea all’Ucraina, nonostante l’imminente referendum, definito artificioso e falso. La Russia, per bocca del presidente Putin che presiedeva un incontro del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha dichiarato di non avere alcuna colpa nella crisi in atto, nella quale sarebbe stata solo coinvolta. Peraltro gli Stati Uniti facevano circolare nel Consiglio di sicurezza una bozza di risoluzione sull’illegittimità del referendum di annessione della Crimea alla Russia.
A fronte di questi sviluppi l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha congelato il processo di adesione della Russia, mentre la Corte dei diritti umani del Consiglio d’Europa accoglieva a Strasburgo un ricorso dell’Ucraina contro la Russia, e richiedeva ai due paesi di astenersi da misure di reciproca ostilità, particolarmente di carattere militare, che si configurerebbero come violazione dei diritti della popolazione civile.
Avvicinandosi sempre più la consultazione referendaria in Crimea, il premier locale Aksionov si augurava l’accettazione da parte ucraina del risultato scontato a favore di Mosca: in caso contrario, Aksionov si diceva pronto a ogni eventualità. Aksionov non rinunciava neanche a invitare le province dell’Ucraina sudorientale a dar vita anch’esse a referendum per l’annessione alla Russia, polemizzando con l’Unione europea, le cui sanzioni dichiarava di non temere. Queste esternazioni avevano una risposta sul piano informatico, quando alcuni hacker evidentemente contrari alla Russia davano luogo ad attacchi informatici ai siti del Cremlino, del ministero degli esteri e della Banca centrale russa, nonché ad alcuni siti istituzionali della Crimea.
Sul piano diplomatico, si registrava un ulteriore fallimento con l’incontro di John Kerry e di Serghiei Lavrov nella residenza dell’ambasciatore statunitense a Londra: sei ore di colloqui approdavano a conferenze stampa separate, nelle quali le parti ribadivano le rispettive posizioni. Lavrov, in particolare, escludeva qualunque intento di invasione dell’Ucraina sudorientale da parte russa, ridimensionando in parte dichiarazioni uscite del suo stesso dicastero, ma ribadiva che Mosca rispetterà il risultato del referendum della Crimea, che Putin definiva nuovamente conforme ai principi del diritto internazionale in un colloquio telefonico con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-moon.
Il referendum sull’annessione della Crimea alla Russia
Il 15 marzo, mentre Mosca assisteva alla mobilitazione pacifista di decine di migliaia di persone, regolarmente autorizzata; nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la Russia poneva come previsto il veto sulla risoluzione contro il referendum in Crimea, toccando peraltro un forte isolamento, in ragione dell’astensione della Cina sul documento. La giornata si era aperta con la notizia di due vittime per nuovi scontri nella notte tra filorussi e militanti di estrema destra ucraini nella città di Kharkiv, assai vicina alla frontiera con la Russia.
Nel tardo pomeriggio Kiev denunciava lo sconfinamento di truppe russe nella regione di Kherson, chiedendone il ritiro immediato e preannunciando di voler reagire con ogni mezzo possibile.
Il 16 marzo si aprivano i seggi per il referendum in Crimea, preceduti dall’attacco di hacker ucraini ma favorevoli alla Russia contro i siti web della NATO, che non avrebbe avuto effetti sull’operatività dei siti medesimi. Intanto il ministro ucraino della difesa ad interim Teniukh denunciava che il numero di soldati russi presenti in Crimea aveva raggiunto quasi il doppio del limite di 12.500 consentito dagli accordi in vigore, collegati alla presenza della flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli.
Con il referendum in svolgimento, in un colloquio telefonico con la cancelliera tedesca Merkel il Presidente russo ripeteva che Mosca avrebbe rispettato l’esito del referendum, che si sarebbe svolto nel pieno rispetto delle norme del diritto internazionale. Significativamente, tuttavia, si diceva preoccupato per le tensioni nelle regioni dell’Ucraina sudorientale, innescate da gruppi estremisti con il permesso del governo di Kiev.
A Putin si aggiungeva la voce di Lavrov, che in una telefonata con il suo omologo statunitense John Kerry lo invitava a fare pressioni sul governo di Kiev per fermare le azioni contro i filorussi e i russi che si trovano in Ucraina. Uno spiraglio emergeva tuttavia nel colloquio sul punto di favorire una riforma costituzionale in Ucraina sotto supervisione internazionale, che preveda il rispetto degli interessi di tutte le regioni del paese.
Il Governo ucraino richiedeva intanto all’OSCE (Organizzazione sulla cooperazione e la sicurezza in Europa), magari mediante una sessione straordinaria, di deliberare l’invio di urgenza di osservatori nell’Ucraina sudorientale e in Crimea: su tale eventualità anche il presidente russo Putin e la cancelliera tedesca Merkel si erano intrattenuti telefonicamente.
Il presidente della commissione elettorale centrale di Crimea, Mikhail Malishev, ha annunciato il 17 marzo i risultati definitivi del referendum, cui ha partecipato l’83,1% degli aventi diritto.
I voti favorevoli alla riunificazione con la Russia sono stati 1.233.000 circa, pari al 97,47% dei voti validi, mentre i voti contrari sono stati 32.000 circa (il 2,53%).
Gli ultimi sviluppi
Il 17 marzo il Parlamento della Crimea ha approvato (con 88 voti a favore su 95), in una sessione straordinaria, i risultati della consultazione proclamando la Repubblica di Crimea come Stato sovrano indipendente nel quale la città di Sebastopoli ha uno status particolare; il Parlamento ha inoltre chiesto al Cremlino di accettare nella Federazione Russa la Repubblica resasi indipendente dall’Ucraina. Tuttavia la Russia non può incorporare la Crimea su semplice richiesta di essa, poiché in base al diritto internazionale solo uno Stato già sovrano può richiedere di entrare a far parte di un altro Stato. Ecco dunque che il decreto firmato dal presidente Putin si limita a riconoscere l’indipendenza e la sovranità della Crimea, almeno in un primo tempo.
Contestualmente, il Parlamento ha deciso di nazionalizzare le proprietà statali ucraine situate in Crimea e ha dichiarato il rublo valuta ufficiale della Crimea, a partire dal 17 marzo, riconoscendo parallelamente, ma solo fino al gennaio 2016, la validità della moneta ucraina (grivnia ucraina).
Ciononostante USA e UE hanno ribadito l’illegittimità del referendum e si sono schierate a favore della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina.
I ministri degli Esteri della UE, riuniti il 17 marzo a Bruxelles, hanno approvato sanzioni contro 21 personalità russe e crimee. Tra le misure varate dai Ventotto ci sono il congelamento dei visti e dei beni detenuti all’estero.
Sulla base di un ordine firmato dal Presidente Obama il 6 marzo scorso, il dipartimento del Tesoro USA ha dal canto suo imposto le sanzioni, che prevedono divieto di visti e congelamento dei beni, a undici tra politici e alti funzionari russi e ucraini. Si tratta di sette russi: Dmitry Rogozin (vicepremier) Vladislav Surkov e Sergey Glazyev (consiglieri di Putin, considerati eminenze grigie del Cremlino), Leonid Slutsky (presidente della commissione Affari Interni della Duma), Andrei Klishas (presidente della commissione Affari Costituzionali del Consiglio della Federazione - il Senato russo), Valentina Matviyenko (presidente del Consiglio della Federazione), Yelena Mizulina (deputata della Duma).
I quattro ucraini sono: l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych, il suo fedelissimo Viktor Medvedchuk, e i leader separatisti della Crimea Sergei Aksyonov, che si è proclamato premier della Crimea e Vladimir Konstantinov, Speaker del parlamento della Crimea.
Particolarmente rilevante è apparsa la presa di posizione di Mikhail Gorbaciov a favore del referendum della Crimea: secondo l’ex segretario generale del PCUS, infatti, il “regalo” della penisola all’Ucraina nel 1954 fu un errore storico di Krusciov, che allora la popolazione locale non poteva assolutamente contestare. Il referendum non avrebbe fatto altro che correggere quell’errore. Gorbaciov si è poi detto deluso della posizione delle potenze occidentali, e particolarmente degli USA, che insisterebbero nello sforzo di imporre la propria supremazia sui alcuni territori della ex Unione Sovietica, dimenticando la rilevanza geopolitica mondiale della Russia.
Mentre il 18 marzo anche il Giappone si univa al fronte delle sanzioni contro Mosca, congelando i previsti negoziati bilaterali su grandi progetti di investimento e sulla collaborazione nel campo dell’utilizzazione pacifica dello spazio; il presidente Putin informava il Parlamento russo in via ufficiale della richiesta della Crimea di entrare a far parte della Federazione. Subito dopo Putin ha disposto solennemente al Cremlino per l’approvazione della bozza di accordo con la Crimea relativa all’annessione della penisola alla Federazione russa – era intanto stato annullato l’incontro a Mosca dei ministri degli esteri e della difesa della Russia con gli omologhi francesi. Per Sebastopoli è previsto uno status federale analogo a quello vigente per Mosca e San Pietroburgo.
Il riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Federazione russa ha immediatamente provocato reazioni da parte dell’Ucraina dell’Occidente, accomunate dalla condanna della condotta russa e dal non riconoscimento dell’annessione. Secondo il ministro degli esteri italiano Federica Mogherini si tratta di un grave sviluppo negativo della crisi, suscettibile di porre la Russia in un precoccupante isolamento in ragione delle sue azioni unilaterali e prive di giustificazione. In Crimea intanto una sparatoria davanti a una base ucraina alla periferia della capitale Simferopoli provocava due morti e due feriti.
Mentre proseguiva l’occupazione progressiva delle basi ucraine da parte dei russi, apparentemente senza combattimenti - nel contesto della quale il 19 marzo sarebbe stato posto agli arresti il capo della flotta ucraina Serhiei Gaiduk, con un gesto distensivo del ministro della difesa russo che ne chiesto la liberazione ai dirigenti della Crimea – l’Ucraina ha annunciato di voler abbandonare, come già fece la Georgia dopo la guerra con i russi del 2008, la Comunità degli Stati indipendenti. Kiev ha inoltre chiesto all’ONU di dichiarare la Crimea zona demilitarizzata, proprio nell’imminenza della visita del segretario generale Ban Ki-moon a Mosca.
Gli Stati Uniti, come anticipato dal vicepresidente Joe Biden, potrebbero inviare truppe negli Stati baltici al fine di rassicurarli contro possibili minacce da parte russa. Il presidente Obama ha però chiarito che ciò non significa per gli USA voler intervenire militarmente in Ucraina. Assai più netta la presa di posizione del segretario generale della NATO Rasmussen, che ha accusato la Russia di aggressione militare e ha definito la crisi della Crimea la più grave minaccia alla sicurezza dell’Europa dai tempi della Guerra Fredda.
Più sfumata invece la posizione del Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, per il quale è necessario tenere aperto un canale di dialogo con la Russia proprio per evitare l’incubo di un ritorno alla Guerra Fredda.
Per quanto attiene ai riflessi nel nostro Paese della crisi ucraina, va ricordato il rischio che essa comporta anche per i progetti dell’ENI con la Russia, in primis il gasdotto Southstream: pessimismo è stato espresso a tale proposito dall’amministratore delegatole dell’ENI Paolo Scaroni il 20 marzo, durante un’audizione presso la Commissione Attività produttive della Camera. In particolare, Scaroni ha messo in luce come siano in pericolo le autorizzazioni da parte dell’Unione europea indispensabili per portare avanti il progetto Southstream.
Sul fronte delle sanzioni la giornata del 20 marzo ha registrato una nuova puntata: infatti, mentre l’Ucraina elevava ulteriormente il livello di allerta delle proprie forze armate, e si diceva pronta a rispondere militarmente a ogni tentativo di nuove annessioni dei propri territori sudorientali, il presidente USA firmava un decreto per estendere la “lista nera” contro gli alti funzionari russi e le persone vicine all’entourage di Putin.
Per converso, Mosca adottava una serie di sanzioni contro dirigenti e politici americani vicini al presidente Obama. Accortamente più sfumato l’atteggiamento del Cremlino verso i paesi europei, per quanto questi abbiano annunciato nel Vertice dei Capi di Stato e di governo di Bruxelles l’estensione della lista di persone colpite dal blocco ai visti per il territorio europeo e dal congelamento dei beni ivi detenuti, nonché la sospensione del G8: infatti non sfugge a Mosca la differenza di accenti tra Stati Uniti e Unione europea, con quest’ultima evidentemente più timorosa degli effetti negativi di un ulteriore inasprimento sanzionatorio contro la Russia. Proseguiva intanto il cammino istituzionale per la piena integrazione della Crimea nella Russia, con l’approvazione del trattato di annessione da parte della Duma. Nella mattinata del 21 marzo il Senato russo procedeva del pari all’approvazione del trattato, che veniva promulgato poche ore dopo dal presidente Putin. Nel frattempo tuttavia il premier ucraino Iatseniuk aveva firmato a Bruxelles la parte politica dell’Accordo di associazione con l’Unione europea.
La tensione tra Russia ed Ucraina si traslava immediatamente anche sul piano economico-finanziario: infatti il premier russo Medvedev ricordava il debito dell’Ucraina con la Russia, pari a 16 miliardi di dollari, soprattutto relativi a forniture di gas non pagate. Subito dopo Iatseniuk ribadiva che la perdita della Crimea, con la nazionalizzazione di ingenti proprietà dello Stato ucraino, equivaleva a un danno di centinaia di miliardi di dollari: Iatseniuk minacciava poi un ricorso a breve termine alla giustizia internazionale per ottenere il relativo risarcimento.
In realtà entrambi i contendenti fronteggiano uno scenario economico difficile, peraltro assai più pesante per l’Ucraina: le sanzioni hanno provocato un calo della Borsa di Mosca, mentre le principali agenzie internazionali hanno abbassato il rating russo da stabile a negativo. D’altra parte l’Ucraina si trova a fronteggiare l’annullamento dello sconto del 30% sul gas russo, mentre con l’annessione della Crimea mille metri cubi di gas russo costeranno a Kiev ulteriori 100 dollari, per il venir meno della necessità del permesso ucraino alla flotta russa del Mar Nero di permanere fino al 2042 nella base di Sebastopoli. L’Armenia intanto procedeva a riconoscere l’annessione della Crimea alla Federazione russa e, come reazione, vedeva richiamato a Kiev l’ambasciatore ucraino.
Il Vertice europeo di Bruxelles, oltre alla sottoscrizione della parte politica dell’Accordo di associazione, riscontrava un rinnovato appoggio dell’Unione europea a Kiev, decretando anche la libera vendita dei prodotti della Crimea nel territorio europeo solo se transitati in Ucraina – e in caso contrario, annunciando pesanti penalizzazioni. La Francia dal canto suo ha annunciato la sospensione della cooperazione militare con Mosca e gli Stati membri hanno ricevuto mandato, unitamente alla Commissione, di mettere allo studio ulteriori misure calibrate in campo economico, da attuare in caso di una nuova escalation militare da parte russa. La Commissione europea, inoltre, si è vista conferire l’incarico di mettere a punto entro giugno un piano per ridurre al maggior grado possibile la dipendenza energetica dalla Russia.
Va comunque rilevato come una delle proposte uscite dal Vertice europeo, ovvero l’invio di una missione OSCE in Ucraina, operativa dal 23 marzo, sia stata accolta dalla Russia.
Il 22 marzo a Kiev vi è stata la visita del ministro degli esteri tedesco Steinmeier e del primo ministro canadese Harper, che hanno recato sostegno al nuovo corso ucraino, in un contesto in cui restano alti i timori sia per l’attacco della Russia alle ultime basi ucraine che resistono in Crimea, sia per le nuove esercitazioni militari lanciate da Mosca, che potrebbero collegarsi a focolai separatisti nuovamente manifestatisi nella parte sudorientale dell’Ucraina, segnatamente a Donetsk e Kharkiv, dove migliaia di manifestanti hanno chiesto di tenere referendum analoghi a quello della Crimea.
La conquista delle basi ucraine nella penisola del Mar Nero - che secondo il Ministero della difesa russo sarebbe giunta a controllare 147 strutture militari e 54 unità navali, tra le quali un sottomarino e otto navi da guerra – vede senz’altro una parte dei militari impegnati in una qualche forma di resistenza, quasi sempre inefficace. D’altro canto però numerosi militari ucraini sono stati fortemente agevolati dalla Russia ad entrare nel proprio esercito mantenendo il grado originario, e per di più con un trattamento retributivo notevolmente superiore.
Il 23 marzo è emersa un’ulteriore preoccupazione, soprattutto da parte della NATO, per un intervento delle truppe russe ammassate al confine orientale dell’Ucraina - che secondo il capo delle forze NATO in Europa, generale Breedlove, sarebbero consistenti e pronte al combattimento - nel territorio secessionista moldavo della Transnistria, abitata da russofoni e dalla quale nei giorni precedenti erano venuti appelli a Mosca per un’annessione analoga a quella della Crimea. Nella stessa giornata il presidente della Bielorussa Lukashenko ha dichiarato, in una sorta di riconoscimento di fatto, che la Crimea è ormai parte del territorio russo: conseguentemente, anche l’ambasciatore a Minsk è stato richiamato dall’Ucraina.
Il 24 marzo si è avuta da parte dell’Ucraina la presa d’atto della situazione sul terreno in Crimea: il Consiglio di sicurezza nazionale, d’accordo con il ministero della difesa di Kiev, ha annunciato il ritiro delle proprie rimanenti truppe dislocate nella penisola. Poche ore prima circa duecento soldati russi avevano assaltato la base navale di Feodosia, prendendone possesso, ma stavolta provocando il ferimento di alcuni soldati di Kiev. Il ministro della difesa russo Shoigu, primo esponente del governo a recarsi in Crimea dopo l’annessione, ha proceduto a nominare l’ex capo di stato maggiore della marina ucraina Berezovski vicecomandante della flotta russa del Mar Nero – Berezovski era stato tra i primi a giurare fedeltà alle nuove autorità della Crimea filorussa.
Sempre il 24 marzo, in margine ai lavori del Vertice sulla sicurezza nucleare dell’Aja, si sono riuniti i Capi di Stato e di governo del G7, i quali hanno deciso di non incontrare più Putin finché persisterà nell’atteggiamento attuale nei confronti dell’Ucraina. È così stato cancellato il Vertice annuale G8 previsto a Sochi, mentre il G7 si terrà a Bruxelles nel mese di giugno. La decisione del G7 è stata spiegata con la chiara violazione del diritto internazionale costituita dall’atteggiamento russo verso la Crimea: l’annessione viene condannata e non riconosciuta. Il comunicato finale del G7 minaccia anche di intensificare le sanzioni con un crescente impatto sull’economia russa. Nel comunicato ha trovato però spazio anche un riferimento alla via diplomatica che deve restare aperta - e non manca la soddisfazione per l’accettazione russa della missione dell’OSCE in Ucraina.
Inoltre, durante il Vertice sulla sicurezza nucleare vi è stato un importante segnale di un possibile inizio di distensione, con l’incontro del ministro degli esteri russo Lavrov con il suo omologo ucraino Deshizia, il primo contatto diretto al massimo livello tra i due paesi. Il 25 marzo, nonostante la dura presa di posizione del G7 del giorno precedente, la Russia, per bocca del portavoce di Putin Peskov, si è detta pronta e interessata a riprendere i contatti al più alto livello con i partner del G8. Peskov ha inoltre dichiarato che, non essendovi più secondo la Russia un potere legittimo a Kiev, Mosca non si sente più obbligata a rispettare l’accordo per lo sconto sulle forniture di gas firmato in dicembre da Putin e Ianukovich, né tantomeno l’accordo per l’affitto dall’Ucraina della base di Sebastopoli, che ora è parte integrante del territorio russo.
Nella stessa giornata del 25 marzo si sono avute le dimissioni del ministro della difesa ucraino ammiraglio Teniukh - che il parlamento in una prima votazione aveva rifiutato -, cui subentra il generale Koval. Teniukh si è assunto la responsabilità della conduzione sfortunata della resistenza delle truppe ucraine in Crimea all’arrivo dei russi.
E’ emersa intanto la forte preoccupazione degli Stati Uniti e della NATO per il concentramento di truppe russe sui confini ucraini: Rasmussen ha sostenuto che l’alleanza Atlantica avrebbe tutti i piani pronti per difendere gli Stati membri e sostenere i suoi partner. La posizione di Rasmussen è stata rafforzata dal presidente Obama durante una conferenza stampa all’Aja, nella quale il capo dell’Amministrazione USA ha assicurato agli alleati garanzie mediante appositi piani di emergenza. Obama si è spinto a citare l’articolo 5 del Patto Atlantico, che prevede il sostegno di tutti gli alleati a un paese della NATO che dovesse subire un attacco militare.
La più recente attività parlamentare
Il 4 marzo, innanzi alle Commissioni esteri congiunte della Camera del Senato, il Ministro degli esteri Mogherini riferiva sulla situazione dell’Ucraina, con particolare riferimento al Consiglio straordinario dei ministri degli esteri UE del giorno precedente, nel quale erano emerse preoccupazioni per l’escalation militare, suscettibile di condurre ad una nuova guerra fredda con la Russia, e anche ad una possibile e non augurabile divisione dell’Ucraina. Il dibattito in seno al Consiglio, secondo il Ministro degli esteri, aveva riguardato più che gli obiettivi i modi per conseguirli, ovvero il mantenimento di una dimensione politica e di una rete internazionale per tenere a freno le iniziative della Russia, ma anche possibili pericolose reazioni ucraine. In quest’ottica il Ministro annunciava lo svolgimento per il giorno successivo di un Consiglio NATO-Russia. Nella panoplia delle possibilità diplomatiche veniva prospettata, soprattutto dalla Germania, l’ipotesi di un dialogo diretto tra Mosca e Kiev, come anche lo svolgimento della missione OSCE accordata da Putin alla cancelliera tedesca Merkel. Per quanto concerne il sostegno all’Ucraina, il Consiglio esteri straordinario poneva alcune condizioni, tra le quali la necessità di urgenti riforme interne, utili anche a facilitare gli aiuti finanziari di cui il l’Ucraina ha un grande bisogno, ma che trova oggettive difficoltà nella situazione economica dell’Europa. Il Ministro chiudeva il proprio intervento, in replica, richiamando l’attenzione sui rischi dell’eventuale completo isolamento della Russia, mentre, in relazione all’Unione europea, ribadiva come obiettivo necessario e qualificante del prossimo semestre italiano di Presidenza dell’Unione il rafforzamento della politica estera e della politica di sicurezza e difesa dell’Europa.
L’11 marzo la Commissione Esteri della Camera, nel quadro dell’indagine conoscitiva sulla proiezione dell’Italia e dell’Europa nei nuovi scenari geopolitici, ha svolto l’audizione di rappresentanti di alcuni enti di ricerca a carattere internazionalistico (CESI, IAI e ISPI) con particolare riferimento alle conseguenze della crisi in Ucraina.
Il 18 marzo il Ministro degli esteri è tornata a soffermarsi tra l’altro sulla situazione creatasi attorno alla crisi ucraina, nell’occasione dell’audizione sulle linee programmatiche del suo Dicastero svolta dalle Commissioni esteri congiunte della Camera e del Senato. Il Ministro ha continuato a rivendicare l’azione dell’Italia per la ricerca di una posizione comune a livello multilaterale, e in questo quadro ha riferito in ordine ai lavori del Consiglio dei ministri degli affari esteri della UE del 17 marzo, nel quale ha ravvisato posizioni unitarie e consapevoli di tutti i partecipanti, concretizzatesi nella decisione di imporre sanzioni contro la Russia, nonché di procedere alla firma della parte politica dell’Accordo di associazione dell’Ucraina alla UE e all’invio di una missione di osservatori OSCE sul terreno. Il Ministro ha inoltre ricordato la convergenza dei paesi europei per sostenere una proposta di risoluzione in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, respinta il 14 marzo solamente per il veto scontato della Russia. È stato inoltre ricordato il giudizio della Commissione di Venezia per la democrazia del Consiglio d’Europa, che ha decretato l’illegittimità del referendum in Crimea. Più prudente l’On. Mogherini è stata in ordine al coinvolgimento della NATO e del G8 nella questione ucraina: il Ministro ha salutato con favore la dichiarazione delle autorità di Kiev che escludono un’adesione a pieno titolo dell’Ucraina all’Alleanza atlantica. Per quanto concerne il G8, l’On. Mogherini ha ribadito la sospensione dei lavori preparatori, e non già il superamento del formato a otto - inclusivo della Russia – di tale consesso internazionale. Realisticamente, infine, pur ribadendo l’obiettivo fondamentale del rispetto della legalità internazionale - violata sia dalla presenza militare russa in Crimea sia dallo stesso referendum - il Ministro non ha nascosto il pessimismo di fronte alle posizioni espresse dal presidente Putin, alle quali si deve rispondere con una visione delle relazioni internazionali basata sulla consapevolezza dell’interdipendenza reciproca e in una logica di cooperazione.
Quanto dichiarato dal Ministro Mogherini veniva sostanzialmente ribadito il 19 marzo dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel corso delle sue comunicazioni all’Assemblea di Montecitorio riguardanti, tra l’altro, la preparazione del Vertice europeo di Bruxelles del 20 e 21 marzo.