Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00238

Atto n. 1-00238

Pubblicato il 11 febbraio 2010, nella seduta n. 334
Esame concluso nella seduta n. 238 dell'Assemblea (17/02/2010)

LI GOTTI , BELISARIO , GIAMBRONE , BUGNANO , CARLINO , CAFORIO , DE TONI , DI NARDO , LANNUTTI , PARDI , MASCITELLI , PEDICA

Il Senato,

premesso che:

la situazione delle carceri italiane versa in una situazione drammatica, la cui gravità è stata chiaramente sancita in Parlamento anche dall'ultima Relazione del Guardasigilli sull'amministrazione della giustizia, nella quale si evidenzia il dato di 65.067 detenuti ospitati nel 2009 nelle circa 205 strutture penitenziarie italiane, facendo così registrare un surplus di circa 22.000 detenuti rispetto ai posti compatibili con la disponibilità attuale del sistema carcerario;

secondo i dati diffusi da sindacati degli agenti di Polizia penitenziaria, al 31 gennaio 2010 risultavano detenute 65.800 persone a fronte di poco più di 43.000 posti. I detenuti con condanne definitive sarebbero circa il doppio dei detenuti in attesa di primo giudizio, cui andrebbero aggiunti gli appellanti (circa 10.000) ed i ricorrenti (circa la metà rispetto agli appellanti). Nel complesso, alla data citata, i detenuti in attesa di giudizio sfiorerebbero il 49 per cento del totale, mentre gli internati sarebbero poco meno di 2.000;

secondo tutte le statistiche disponibili, i detenuti stranieri avrebbero raggiunto il numero più alto mai registrato in Italia. Quest'ultimo dato, in parte non certo trascurabile, è dovuto ad un effetto noto come «porta girevole», dal momento che migliaia di cittadini extracomunitari vengono sistematicamente arrestati perché privi di documenti e, altrettanto rapidamente, rilasciati, con un meccanismo, imposto dalle leggi (da ultimo il cosiddetto "pacchetto sicurezza", con particolare riferimento all'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato), meccanismo tanto oneroso quanto inutile. A tal proposito, restano pochi i Paesi con cui l'Italia ha una convenzione bilaterale che consenta le estradizioni per scontare la pena nel Paese d'origine (con riferimento ai Paesi extracomunitari vale la pena di citare gli accordi bilaterali di riammissione con Marocco, Tunisia, Algeria e Nigeria);

ben 34 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta. Il sovraffollamento delle strutture - in presenza di un saldo attivo, fra detenuti in entrata ed in uscita, pari a quasi 700 unità al mese - è dunque giunto ben oltre la cosiddetta "capienza tollerabile" (stimata in 63.000 unità) con la gran parte delle strutture penitenziarie fatiscenti, obsolete o non più adatte, e tali comunque da determinare situazioni di non vivibilità né per i detenuti né per il personale dell'amministrazione penitenziaria;

in tale contesto si registra, inoltre, una gravissima carenza organica del Corpo di Polizia penitenziaria per circa 6.000 unità; situazione che riguarda anche il personale addetto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti. Il Governo prevede, per effetto della legge finanziaria per il 2010, l'assunzione di un numero di unità di Polizia penitenziaria inferiore alle carenze di organico, i cui tempi dovranno peraltro necessariamente calibrarsi sull'andamento progressivo dello stato delle costruzioni dei nuovi edifici o padiglioni penitenziari, motivo per il quale se ne prevede pertanto lo scaglionamento in circa cinque anni. La legge finanziaria per il 2010 ha inoltre abolito il blocco del turn over per le Forze di polizia consentendo, nei prossimi tre anni, l'assunzione di 1.800 agenti. Non si appaleseranno, pertanto, rilevanti effetti positivi per l'incremento organico, tenuto conto del fatto che nello stesso periodo si stima che andranno in pensione almeno 2.400 agenti di Polizia penitenziaria. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i detenuti sono diventati circa 66.000 e gli agenti di servizio sono 38.000 se si considerano i 2.000 in malattia o in aspettativa per motivi di salute o in via di pensionamento;

il Ministro della giustizia, in sede di audizione sulla situazione degli istituti penitenziari presso la II Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati, in data 14 ottobre 2008, ha affermato: "l'amministrazione penitenziaria ha, tuttavia, avviato un progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, attraverso processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative, anche con l'adozione di nuovi modelli di sorveglianza, capaci di valorizzare la flessibilità e la dinamicità del servizio istituzionale ancora oggi caratterizzato da schemi rigidi e statici". Ad oggi, sarebbe necessario conoscere gli esiti di tale progetto di recupero e razionalizzazione delle risorse umane del comparto;

valutato, inoltre, che:

l'annoso problema del sovraffollamento rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità - quindi, ha commesso reati - in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi. Sono infatti aumentati i suicidi in carcere nell'ultimo anno, così come sono in costante aumento le aggressioni nei confronti della Polizia penitenziaria, così come aumentano gli atti autolesivi. Proliferano altresì le malattie infettive, altro pericolo da non sottovalutare per tutti coloro che vivono o lavorano in carcere. A fronte di questa situazione, il Governo non fornisce adeguate e concrete risposte né normative né di tipo strutturale, sia sotto il profilo degli investimenti di adeguamento delle strutture esistenti, che in riferimento alla creazione di nuovi istituti penitenziari ove necessario;

il Ministro della giustizia, nell'ambito della citata audizione del 14 ottobre 2008 sulla situazione degli istituti penitenziari, ha affermato inoltre che "è proprio dei giorni scorsi la costituzione, ad opera del nostro capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di un gruppo di lavoro con il precipuo compito di elaborare proposte di riorganizzazione dei circuiti detentivi e di possibili interventi normativi finalizzati a ridurre il sovraffollamento carcerario". Non sono tuttavia chiari gli esiti di tale lavoro;

la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale delle carceri, il cui limite temporale è stato fissato al 31 dicembre 2010, è stata disposta dal Governo con riferimento alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992 riguardante la Protezione civile nazionale, il che comporta l'emanazione di una successiva ordinanza che conferisce al Commissario delegato poteri eccezionali in deroga alle leggi ed alle procedure ordinarie;

in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, recante "Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile", approvato in prima lettura dal Senato in data 9 febbraio 2010, il Governo ha introdotto nel provvedimento d'urgenza una disposizione con la quale si affida alla società Protezione civile SpA un ruolo importante, per quanto improprio, rispetto alla natura stessa del sistema di Protezione civile nazionale, in riferimento all'edilizia penitenziaria. Il Commissario straordinario sarebbe infatti autorizzato ad avvalersi della società Protezione civile SpA per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzione lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali attuati in esecuzione del programma degli interventi di cui all'articolo 44-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14;

in tale contesto il Governo ha annunciato un "piano carceri" di cui non si conosce l'esatta e puntuale articolazione, ma che certamente non potrà avere effetti positivi in tempi rapidi, anche con riferimento all'implementazione dell'organico al fine di assicurare la buona gestione del sistema, in termini sia di dignità del lavoro che di dignità della detenzione;

a fronte della necessità di un intervento più rapido ed efficace, oltre che meno costoso, indirizzato anzitutto alle decine di strutture penitenziarie da tempo già pronte ma mai utilizzate o alle molte strutture che sono chiuse a causa della mancanza di personale, le disposizioni introdotte per la realizzazione del piano carceri risultano inaccettabili perché legittimano il Commissario straordinario a provvedere ad adempimenti quali la localizzazione delle aree destinate all'edificazione di nuove strutture penitenziarie, in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche, nonché agli articoli 7 ed 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il provvedimento di localizzazione comporterebbe la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituirebbe decreto di occupazione d'urgenza delle aree individuate. L'approvazione delle localizzazioni costituirebbe inoltre una variante dei piani urbanistici producendo l'effetto dell'imposizione del vincolo preordinato all'espropriazione. Si dispone, inoltre, una deroga alla legislazione vigente in materia di espropriazione per pubblica utilità ed in materia di notificazioni ai proprietari ed ogni altro avente diritto o interessato. Avverso il provvedimento di localizzazione ed il verbale di immissione in possesso è ammesso esclusivamente ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Capo dello Stato, non essendo ammesse le opposizioni amministrative previste dalla normativa vigente, e, in deroga all'articolo 18 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice degli appalti), verrebbe consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al 50 per cento;

si tratta di deroghe amplissime, che ancora una volta non assicurano l'effettivo utilizzo di elenchi di fornitori e prestatori di servizio soggetti a rischio di inquinamento mafioso. I controlli antimafia sui contratti, sui subappalti e sui subcontratti sono infatti effettuati secondo linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere (previsto dall'art. 180, comma 2, del Codice degli appalti) anche in deroga al regolamento sul rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998);

le norme in questione, oltre che foriere di possibili infrazioni comunitarie, sembrano introdurre un meccanismo che, consolidando il moltiplicarsi di decreti presidenziali ed ordinanze di protezione civile in materie che nulla hanno a che vedere con le calamità naturali, a scapito del rispetto delle ordinarie regole di mercato, incentiverebbero il contenzioso senza assicurare adeguata trasparenza e capacità risolutiva agli interventi annunciati. Improvvisamente, infatti, il Governo ha tramutato l'iter ordinario del piano carceri - per cui aveva chiesto la collaborazione di Confindustria e dell'Associazione nazionale costruttori edili e, addirittura, finanziamenti di privati - in un percorso a tappe forzate, mediante l'inserimento di poteri emergenziali in un decreto-legge che, peraltro, trattava altre materie;

del "piano carceri", che secondo gli annunci del Governo dovrebbe risolvere l'emergenza carceraria, si parla dal novembre 2008. Nel gennaio 2009, il Consiglio dei ministri annunciava il via libera al piano ma ancora a fine febbraio veniva reso noto solo un programma di massima. In tale periodo i detenuti ammontavano a circa 56.000 persone. Dopo analoghi annunci a maggio, giugno, agosto, settembre, ottobre e novembre, che davano per imminente il piano, il 3 dicembre 2009 il Ministro annunciava che il piano sarebbe approdato in Consiglio dei ministri. In 12 mesi, intanto, i detenuti sono cresciuti di 10.000 unità, avendo così da soli assorbito la metà dei posti che il piano immagina di realizzare nei prossimi anni;

stando ai ritmi di crescita del numero dei detenuti, il primo carcere effettivamente utilizzabile non sarà disponibile prima del 2012, anno nel quale i detenuti avranno probabilmente superato le 90.000 unità, mentre con riferimento al personale di Polizia penitenziaria le prime assunzioni possibili saranno soltanto 350 che non compenseranno neppure le cessazioni dal servizio, che nel 2008 sono state 720 e nel 2009 circa 800. Negli ultimi otto anni gli agenti della Polizia penitenziaria sono diminuiti di oltre 5.000 unità e nel prossimo triennio si prevede che diminuiranno di altri 2.500 persone;

considerato, peraltro, che:

la popolazione delle carceri continua dunque a crescere, con tutte le relative conseguenze, mentre gli agenti penitenziari sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi ed i medici. Il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088 mentre sono 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, poiché a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 ed il concorso avviato, fin dal 2004, per l'assunzione di 39 psicologi, non ha determinato fino al 2009 alcuna assunzione. Risultano peraltro in costante aumento gli attacchi violenti al personale che ormai in molti casi è demotivato, stanco per l'eccessivo carico di lavoro e comunque non adeguatamente retribuito;

soltanto pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con 1.000 euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. Una pena che, per quanto simbolica, mette in evidenza una terribile realtà. È stato calcolato che ciascun detenuto nelle carceri italiane abbia mediamente a disposizione meno di tre metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò significa che normalmente una cella deve ospitare tre detenuti ed oggi nei penitenziari italiani ce ne sono, in media, nove in ogni cella. Tale situazione non può ritenersi compatibile con l'articolo 27 della Costituzione, con cui si sancisce che «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;

l'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti - personali, civili, politici, economici e sociali - dei cittadini dell'Unione europea. Il Parlamento europeo, in tal senso, ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto programma di Stoccolma che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni. Il Parlamento europeo chiede norme minime relative alle condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, «incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate». Auspica inoltre la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale». Sollecita anche la conclusione di accordi fra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei cittadini che hanno subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea;

l'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce «le misure alternative alla detenzione»; esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere, vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti condannati in via definitiva. Tali misure, però, non possono rappresentare la soluzione concreta e definitiva all'emergenza carceri ed al sovraffollamento, poiché il carcere deve essere un luogo di sicurezza collettiva, di rieducazione, nel rispetto della dignità dei detenuti. È pertanto essenziale che il personale che lavora in ambito penitenziario possa operare con mezzi idonei e adeguate risorse;

in riferimento alla problematica riguardante il braccialetto elettronico, il Ministro della giustizia, nel corso della citata audizione davanti alla Commissione Giustizia della Camera ha affermato che "i dipartimenti dell'amministrazione penitenziaria stanno svolgendo approfondimenti di natura tecnica, per avere la maggiore certezza elettronica sul fatto che il braccialetto funzioni, in termini di grande efficienza, così come funziona in altre zone di Europa". A dispetto delle gravi insufficienze economico-finanziarie che affliggono l'amministrazione della giustizia e l'amministrazione penitenziaria, a distanza di oltre un anno da tali dichiarazioni risulterebbe perdurante un ingente sperpero di risorse in riferimento all'utilizzo degli strumenti tecnici di controllo a distanza dei soggetti condannati agli arresti domiciliari ovvero all'obbligo di dimora (i cosiddetti braccialetti elettronici). In particolare, come riportato nell'atto di sindacato ispettivo 3-00987, sarebbe stato stipulato un contratto da 11 milioni di euro (di cui 6 solo di spese di gestione) nel 2003 tra il Ministero dell'interno e Telecom Italia per l'utilizzo, sino al 2011, di 400 braccialetti elettronici: soltanto uno su 400 sarebbe attualmente in uso, senza che, prima dell'acquisto, sia stata effettuata opportuna verifica dell'effettiva efficacia di tali strumenti;

esiste una problematica specifica connessa agli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, che si caratterizzano per una grave situazione di sovraffollamento e fatiscenza delle strutture; tali istituti sono destinati ai soggetti che, avendo commesso un reato ed essendo ritenuti infermi di mente, vengono condannati ad una misura di sicurezza all'interno degli stessi, misura che, non essendo direttamente conseguente alla pena giudiziaria comminata, ma costituendo invece un provvedimento di pubblica sicurezza, può essere prorogata più volte. Secondo dati forniti da diverse associazioni nazionali che si occupano di detenzione carceraria, gli internati di questi centri sono passati da 1.200 a 1.600 nel giro di pochi mesi e le medesime associazioni riportano dati allarmanti riguardanti episodi di coercizione;

valutato, infine, che:

come già ribadito, l'articolo 27, comma terzo, della Costituzione sancisce solennemente che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Tale indiscutibile principio di carattere finalistico ed educativo non può identificarsi, sotto il profilo statuale, solo con il pentimento interiore, con qualsiasi pena ed in qualsiasi condizione carceraria. Deve, pertanto, intendersi come concetto di relazione, rapportabile alla vita sociale e che presuppone un ritorno del soggetto nella comunità esterna. Rieducare il condannato significa riattivare il rispetto dei valori fondamentali del giusto rapporto con gli altri; deve intendersi come sinonimo di "recupero sociale" e di "reinserimento sociale". Ciò può avvenire solo in un quadro in cui siano evitate tutte le forme mascherate di amnistia e siano assicurate la certezza del diritto e della pena;

tra le altre, la sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 1990 ha individuato nel fine rieducativo della pena il principio che deve informare di sé i diversi momenti che siglano il processo ontologico di previsione, applicazione, esecuzione della sanzione penale. La Corte ha affermato che «in uno Stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stessa della pena». Ed ancora che «la necessità costituzionale che la pena debba "tendere" a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Inoltre, nella sentenza n. 343 del 1987 la Corte ha osservato come «sul legislatore incombe l'obbligo "di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle"»,

impegna il Governo:

ad informare il Parlamento sugli esiti dell'annunciato progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, con particolare riferimento ai processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative e all'adozione di nuovi modelli di sorveglianza, capaci di valorizzare la flessibilità e la dinamicità del servizio istituzionale;

a reperire le necessarie risorse finanziarie per salvaguardare i livelli retribuitivi degli operatori della giustizia e del settore carcerario, nonché per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie, in luogo del ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;

ad informare il Parlamento sui lavori e i risultati del gruppo istituito con il precipuo compito di elaborare proposte di riorganizzazione dei circuiti detentivi e di possibili interventi normativi finalizzati a ridurre il sovraffollamento carcerario;

a valutare la possibilità di una diversa utilizzazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici che si rivelino non adattabili procedendo, ove necessario, alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altri siti, assicurando il pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria vigente;

ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa, e che abbiano tra i propri obiettivi quello di istruire in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute. Una cultura della Polizia penitenziaria improntata in questo senso, oltre ad apportare un beneficio all'intero sistema e a dargli un indirizzo più attento al trattamento in generale, eviterebbe inutili conflittualità spesso all'origine di rapporti disciplinari ostativi di benefici penitenziari e modalità alternative di espiazione della pena;

a convocare i sindacati di Polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;

ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è esiguo ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia, che non può più attendere;

a disporre le opportune verifiche all'interno degli istituti penitenziari al fine di accertare che le condizioni strutturali e le risorse economiche e strumentali disponibili assicurino che non sia posta in essere alcuna violazione del diritto a non subire trattamenti degradanti o vessatori di natura fisica o psicologica;

a fornire al Parlamento un elenco completo delle strutture penitenziarie già edificate e pronte all'utilizzo che tuttavia non sono state ancora rese operative, evidenziando le motivazioni che sottostanno al mancato utilizzo delle stesse;

in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e ad illustrare e definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse;

a promuovere una costruttiva sinergia fra amministrazione penitenziaria ed enti territoriali, in sintonia con quanto previsto dalle "Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell'Autorità giudiziaria";

ad informare il Parlamento sull'attuale ed effettivo stato di utilizzo degli strumenti tecnici di controllo a distanza dei soggetti condannati agli arresti domiciliari ovvero all'obbligo di dimora (cosiddetti braccialetti elettronici) sulle verifiche dell'efficacia di tali strumenti, sui costi unitari dei braccialetti in questione e sulle condizioni contrattuali per il loro utilizzo.