Legislatura 17ª - Dossier n. 28
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L’attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1325 del 2000 su
“Donne, pace e sicurezza”
(a cura del Servizio Studi della Camera)
La risoluzione 1325 (2000) e il Piano d’azione nazionale italiano
Il 31 ottobre 2000 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, primo documento del Consiglio che menziona esplicitamente l’impatto dei conflitti armati sulle donne e sottolinea il contributo femminile per la risoluzione dei conflitti e per la costruzione di una pace durevole.
La risoluzione, considerata “madre” di risoluzioni ONU successive dal contenuto più specifico (per le quali si veda più avanti), delinea un sistema ampio di obiettivi a garanzia della prevenzione, della partecipazione e protezione delle donne nei contesti di conflitto (paradigma delle 3”P”), focalizzando tre elementi:
- le donne ed i fanciulli rappresentano i gruppi più colpiti dai conflitti armati;
- le donne svolgono un ruolo imprescindibile sia nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, sia nelle attività di ricostruzione della pace;
- gli Stati membri dell’Onu sono invitati ad assicurare una più ampia partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, con particolare riferimento ai meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione del conflitto.
Il principio ispiratore della risoluzione - la “tolleranza zero” rispetto a tali forme di violenza che violano le norme internazionali e costituiscono comportamenti di rilievo penale - si applica ai militari, alle parti in conflitto nonché al personale militare e civile dell’Onu responsabile di abusi sessuali nelle aree di conflitto.
A fronte dell’ampiezza del mandato della risoluzione 1325 e della mancanza di indicazioni precettive in ordine all’attuazione delle sue disposizioni, e mentre si continuavano a registrare numerosi casi di violenza sessuale nelle aree di conflitto armato e post conflitto, il Consiglio di Sicurezza ha previsto, nel Presidential Statement del 28 ottobre 2004, la possibilità che gli Stati membri proseguissero sulla strada dell’attuazione della Risoluzione 1325 anche attraverso l’adozione di “National Action Plans”.
In Italia, in particolare, nel dicembre 2010 è stato adottato il primo Piano di Azione Nazionale 2010-2013 e, nel novembre 2014, il secondo Piano Nazionale dell’Italia su “Donne Pace e Sicurezza”, relativo al periodo 2014-2016; come esplicitamente previsto nel secondo Piano, il Governo ha presentato nel marzo 2015, un Progress Report.
Il terzo Piano d’Azione nazionale dell’Italia in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325(2000) per gli anni 2016-2019 ha visto la luce nel dicembre 2016.
Nella prefazione del documento viene sottolineato come il Governo italiano attribuisca la massima importanza al ruolo delle donne per la trasformazione della società, asse centrale della Risoluzione 1325; si conferma, altresì, l’importanza attribuita dal nostro Paese alla prevenzione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro le donne, restando inteso che eguaglianza di genere ed empowerment femminile sono essenziali, a livello sia internazionale sia nazionale, per la prevenzione di tutte le forme di violenza (quali la violenza domestica, la violenza sessuale quale arma e/o tattica di guerra e nel contesto delle c.d. mass atrocities).
Il Piano si focalizza con particolare attenzione sulla situazione delle donne e delle minori in situazioni di conflitto e post-conflitto come pure negli Stati fragili, in quanto sopravvissute alla violenza e, soprattutto, quali “agenti per il cambiamento”.
Ai fini di una efficace attuazione del Piano si conferma l’approccio multi-stakeholder, integrato e olistico, che prevede il pieno coinvolgimento delle Organizzazioni della società civile, del mondo accademico, delle ONG, del settore privato e delle organizzazioni sindacali, già adottato nei precedenti Piani nazionali.
Si rammenta che l’articolo 1, comma 3 della legge 145/2016 (Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali) prevede che nell’ambito della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali siano adottate iniziative volte ad attuare la risoluzione 1325 (2000) e le successive risoluzioni 1820 (2008), 1888 (2009), 1889 (2009), 1960 (2010), 2106 (2013) e 2122 (2013) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nonché il Piano d’azione nazionale su «Donne, pace e sicurezza 2014-2016» e i piani successivi.
Quanto al contenuto, il Piano d’Azione Nazionale assicura l’inserimento della prospettiva di genere in tutte le aree politiche riguardanti la pace nonché la sua adozione nelle misure pratiche volte alla promozione e protezione della pace.
Gli obiettivi finali delle azioni intraprese nella cornice del Piano sono:
1. riduzione l’impatto dei conflitti su donne e minori, e promozione della loro partecipazione efficace e trasformativa nei processi di prevenzione, mitigazione e risoluzione del conflitto, così come nei processi decisionali a tutti i livelli;
2. sensibilizzazione e rafforzamento delle strutture esistenti, con riguardo all’Agenda Donne, Pace e Sicurezza e alle questioni ad essa connesse.
Dal punto di vista metodologico il Piano è stato elaborato da un gruppo di lavoro nazionale, interministeriale e partecipativo, aperto, guidato dal CIDU (Comitato interministeriale per i diritti umani) che ha svolto numerosi incontri che hanno visto coinvolti i relevant stakeholders, ivi comprese le Organizzazioni della società civile, il mondo accademico, le ONG, e gli altri attori istituzionali di settore. Specifica attenzione è stata dedicata ai settori della cultura e della comunicazione.
Piano d’Azione Nazionale – che per quanto abbia contenuto strategico è concepito anche come work in progress oggetto di ulteriori integrazioni nel triennio a venire - è organizzato intorno a 7 obiettivi (goals) rispetto ai quali si precisano impegni (commitments), azioni, attori ed indicatori per la valutazione dell’efficacia e/o del risultato.
Di seguito i 7 obiettivi:
- rafforzare il ruolo delle donne nei processi di pace ed in tutti i processi decisionali;
- continuare a promuovere la prospettiva di genere nelle operazioni di pace;
- continuare ad assicurare una formazione specifica sui vari aspetti trasversali della Risoluzione 1325(2000), in particolare per il personale che partecipa alle operazioni di pace;
- valorizzare ulteriormente la presenza delle donne nelle Forze Armate e nelle Forze di Polizia nazionali, rafforzando il loro ruolo nei processi decisionali relativi alle missioni di pace;
- proteggere i diritti umani delle donne e delle minori in aree di conflitto e post-conflitto;
- accrescere le sinergie con la società civile, per implementare la Risoluzione 1325(2000);
- comunicazione strategica e result-oriented advocacy:
7.1 impegnarsi nella comunicazione strategica (anche con l’utilizzo dei social media);
7.2 rafforzare la partecipazione italiana nei forum, conferenze e meccanismi di settore, per sostenere ulteriormente l’attuazione dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza.
Quanto alle attività di monitoraggio e valutazione, è prevista la predisposizione di un progress report annuale, che sarà preparato dal CIDU in consultazione sia con la società civile, sia con il Parlamento.
Responsabile dell’attuazione, applicazione e monitoraggio del Piano è il Gruppo di lavoro aperto guidato dal CIDU. Il Gruppo si riunirà almeno una volta ogni quattro mesi e fornirà informazioni ai membri del CIDU e che, con cadenza annuale, rivedrà obiettivi, commitments, azioni ed indicatori alla luce delle esperienze acquisite, del comprehensive approach dell’Unione Europea alle tematiche in questione nonché delle questioni di volta in volta emergenti.
Quanto alle risorse finanziarie a sostegno delle attività contemplate dal Piano, si rammenta che il comma 350 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2017 (legge 232/2016) autorizza la spesa di 1 milione di euro per l’anno 2017 e di 500.000 euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 ai fini della predisposizione ed attuazione del terzo Piano di azione da adottare in ottemperanza della risoluzione n. 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (S/RES/1325) sulle donne, la pace e la sicurezza e delle risoluzioni seguenti, incluse le azioni di promozione, monitoraggio e valutazione.
Lo stato di implementazione della Risoluzione 1325 a livello internazionale è riportato in appositi rapporti del Segretario generale Onu.
L’ultimo di tali report, S/2016/822 rilasciato il 29 settembre 2016, oltre a fornire informazioni sulle recenti tendenze e a mettere in evidenza gli sviluppi ed i risultati più recenti, richiama l’attenzione anche sulle aree di stagnazione e di regressione. Il rapporto presenta iniziative quali il nuovo meccanismo istituito in seno al Consiglio di Sicurezza, ossia il Gruppo informale di esperti sulle donne, la pace e la sicurezza, concepito per assicurare maggiori flussi di informazioni utili al CdS; il nuovo Global acceleration instrument (GAI) for women, peace and security and humanitarian action volto a catalizzare nuovi finanziamenti per gli impegni dell’agenda donne pace e sicurezza, nonché i progressi a livello nazionale derivanti dall’attuazione dei Piani d’azione nazionali per l’aumento della leadership femminile nelle istituzioni responsabili per la pace e la sicurezza.
Global Acceleration Instrument (GAI) on Women, Peace, Security and Humanitarian Action è un meccanismo di finanziamento flessibile e rapido che supporta interventi di qualità per migliorare la capacità di prevenire i conflitti, rispondere a crisi ed emergenze, cogliere le opportunità di costruzione della pace ed incoraggiare la sostenibilità e la titolarità nazionale degli investimenti. GAI migliorerà l’impegno delle donne in pace e sicurezza e/o azione umanitaria attraverso il superamento della distinzione tra investimenti destinati allo sviluppo ed investimenti a sostegno di azioni umanitarie, di pace e di sicurezza attraverso forme di investimento che coinvolgano la partecipazione femminile. Pertanto almeno il 50% di tutti i fondi GAI dovrebbero essere assegnati alle organizzazioni della società civile. Il fondo – che durerà dal febbraio 2016 a fine dicembre 2020 – si avvale di finanziamenti provenienti dai governi di Australia, Regno Unito, Canada, Irlanda. Lituania e Liechtenstein per un ammontare complessivo di oltre 6 milioni di dollari. La sua creazione era tra le raccomandazioni del Global study (si veda il box successivo).
Il 25 ottobre 2016, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha svolto il suo dibattito aperto annuale sulle donne, la pace e la sicurezza, con un focus particolare su come gli Stati membri, le organizzazioni regionali e le Nazioni Unite hanno dato seguito agli impegni assunti ed alle raccomandazioni contenute nella precedente revisione (S/2015/716 rilasciato il 16 settembre 2015) nonché al Global Study sull’attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325 (2000).
Il Global Study Preventing conflict, transforming justice, securing the peace, che porta la firma dell’ex Rappresentante speciale per i bambini nei conflitti armati, Radhika Coomaraswamy affiancata da l’High-Level Advisory Group, è stato lanciato nell’ottobre 2015. Si tratta di una ricognizione sui quindici anni di implementazione della risoluzione 1325 del 2000 che ha coinvolto un ampio numero di stakeholders a livello statale e della società civile a livello mondiale.
Nello studio si prende atto che molto è cambiato da quando il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1325: la natura del conflitto in alcune regioni è qualitativamente diversa, il contenuto stesso di ciò che intendiamo per “pace” e “sicurezza” è in continua evoluzione, ed anche ciò che intendiamo per “giustizia” si è trasformato. In tale mutato contesto vanno ora collocati i quattro pilastri della 1325 e delle successive risoluzioni: prevenzione, protezione, partecipazione, e costruzione della pace e recupero.
Tra i progressi nell’implementazione della 1325 lo studio annovera:
- l’adozione da parte della Comunità internazionale di un quadro normativo completo per quanto riguarda per la violenza sessuale nei conflitti, rammentando che lo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale, in vigore dal 2002, delinea un elenco globale dei crimini contro le donne;
- la comunità internazionale e nazionale i governi hanno cominciato a comprendere l’importanza della guarigione nazionale e e delle comunità come una parte della giustizia, con i correlati diritti di risarcimento;
- l’adozione, da parte del Committee on the Elimination of Discrimination against Women di una raccomandazione sulle donne nelle situazioni legate a conflitti che fornisce una guida dettagliata agli Stati membri sulle questioni relative alle donne, la pace e la sicurezza ed ai criteri di responsabilità, chiarendo che l’attuazione della 1325 è responsabilità di ogni Stato membro;
- la percentuale degli accordi di pace che fanno esplicito riferimento alle donne è passata dall’11% del decennio 1990-2000 al 27% nel quindicennio successivo all’adozione della 1325;
- si è registrato un aumento delle dirigenti donne all’interno delle Nazioni Unite;
- è stata avviata una politica di aiuti bilaterali sulla parità di genere a Stati fragili, che per quanto aurorale rappresenta una notevole novità.
Tuttavia, molti dei progressi registrati nell’implementazione della Risoluzione 1325 sono fermi allo stadio iniziale e non raggiungono pertanto il livello standard auspicabile. Ad esempio, quanto alla violenza sessuale, nonostante la completezza del quadro normativo, pochissime sono le azioni penali effettive, soprattutto a livello nazionale; nei processi di pace se si è registrato un aumento della partecipazione formale delle donne, uno studio specifico di 31 grandi processi tra il 1992 e il 2011 ha rivelato che solo il 9% dei negoziatori erano donne, una cifra ancor più trascurabile alla luce dell’entità e ampiezza delle questioni che le vedono coinvolte; la percentuale femminile del personale militare impiegato nelle missioni Onu è del 3% e con compiti prevalentemente di supporto: e sono proprio le aree cruciali del peacemaking e del paecekeeping a vedere una persistente sotto rappresentazione femminile.
Quanto ai Piani d’azione nazionali sono solo 54 i Paesi che li hanno predisposti (e tra questi, come detto, anche l’Italia); la maggior parte dei Piani sono peraltro privi sia di meccanismi di accountability sia di risorse finanziarie a sostegno di una reale implementazione della 1325. L’aumento di estremismo violento in molte parti del mondo non solo rappresenta una vera e propria minaccia per la vita delle donne, ma le espone anche ad un ciclo di militarizzazione che spesso le vede in una posizione ambivalente, tra la necessità di respingere le costrizioni dell’estremismo violento e quella di proteggere le proprie famiglie e le comunità. Si assiste, inoltre, al fenomeno delle donne che diventano combattenti unendosi a gruppi estremistici, talvolta contro la propria volontà ma in molti casi con reale convinzione. E le donne “peacebuilders” si trovano spesso ad operare con margini di manovra assai limitati, strette tra l’estremismo praticato nelle comunità di appartenenza e i vincoli posti al loro operare dalle politiche antiterrorismo che limitano l’accesso ai fondi ed alle risorse cruciali.
Sulla base dell’ampia ricognizione qui brevemente riassunta il Global Study formula raccomandazioni dettagliate per ciascuna questione, non senza aver evidenziato un set di principi generali, che sono:
1 - riconoscere che la priorità è la prevenzione dei conflitti e non l’uso della forza;
2 - considerare che la Risoluzione 1325 si inserisce nel contesto dei diritti umani;
3 – riconoscere che la partecipazione delle donne è la chiave della pace sostenibile;
4 – i responsabili devono rendere conto e la giustizia deve essere trasformativa;
5 – approcci locali e processi inclusivi e partecipativi sono cruciali per il successo degli sforzi di pace nazionali ed internazionali;
6 - Sostenere le donne peacebuilders di pace nel rispetto della loro autonomia è un’ importante modalità di contrasto dell’estremismo;
7 – Stati membri, Organizzazioni regionali, media, società civile, giovani hanno un ruolo vitale da svolgere insieme per attuare l’agenda donne, pace e sicurezza;
8 – una lente di genere deve essere introdotta in ogni aspetto del lavoro del Consiglio di sicurezza;
9 – è necessario affrontare la persistente incapacità di finanziare in modo adeguato l’agenda donne, pace e sicurezza;
10 – una robusta architettura di genere è essenziale per le Nazioni Unite.
Il Global Study si conclude con un invito all’azione che metta al centro il livello locale in quanto più vicino alle donne. Queste, da ogni continente, hanno chiesto al Consiglio di sicurezza – che ha un ruolo diretto di supervisione nel mantenimento della pace – di prendere l’iniziativa di fermare il processo di militarizzazione che ha avuto inizio nel 2001 in un ciclo di conflitti sempre crescente che tende a normalizzare la violenza ad ogni livello.
Nel suo rapporto 2015 il Segretario generale ha osservato che dal Global Study, come del resto anche da altre analisi indipendenti effettuate nel 2015, è emerso che la natura della guerra sta cambiando, essendo essa caratterizzata da evidenti violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, dalla partecipazione di un numero crescente di attori armati non statali, dalla diffusione dell’estremismo violento e brutale e di un’ondata di violenza organizzata, che espongono ulteriormente le donne e le ragazze a ogni genere di sfida, spesso affrontata in solitudine.
Il rapporto, inoltre, riflette sul ruolo degli attori chiave del sistema delle Nazioni Unite per affrontare gli ostacoli alla piena attuazione della Risoluzione 1325. Per quanto riguarda il mantenimento della pace, in cui il Consiglio di sicurezza, come è noto, ha un ruolo diretto di supervisione, il report sollecita l’integrazione della prospettiva di genere nei mandati delle missioni – dal che la necessità di affrontare il tema dello sfruttamento sessuale e degli abusi - e chiede l’integrazione delle competenze di genere nelle strutture del personale di missione e il miglioramento dell’equilibrio nella rappresentanza di genere nei contingenti delle Nazioni Unite.
Le altre risoluzioni Onu su donne, pace e sicurezza
Sul tema donne, pace e sicurezza il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, dopo la 1325 del 2000, altre sei risoluzioni.
La prima di tale serie è la risoluzione 1820 adottata all’unanimità il 19 giugno 2008 nella quale si afferma che la violenza sessuale in situazioni di conflitto armato può costituire crimine di guerra, crimine contro l’umanità e prefigurare genocidio. L’Italia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza nel biennio 2007-2008, aveva profuso un intenso impegno in fase negoziale, con particolare riguardo al riconoscimento del nesso tra sicurezza internazionale e violenza sessuale nei casi in cui questa viene impiegata come tattica di guerra.
La risoluzione 1820 chiede a tutte le parti nei conflitti armati di cessare immediatamente e del tutto la violenza sessuale contro i civili evidenziando che, nonostante le reiterate condanne, la violenza e l’abuso sessuale di donne e bambini intrappolati in zone di guerra è praticata con un’ampiezza ed una sistematicità tali da configurare livelli di “spaventosa brutalità”. Il documento, stabilito che l’utilizzo della violenza sessuale come tattica di guerra può profondamente esacerbare i conflitti armati ed impedire il ripristino della pace e della sicurezza internazionale, afferma che lo stupro e le altre forme di violenza sessuale possono rappresentare crimini di guerra, crimini contro l’umanità ed anche atti costitutivi di genocidio. Nella premessa, inoltre, il documento richiama l’inclusione di una serie di offese sessuali nello Statuto di Roma, atto fondativo della Corte penale internazionale dell’Aja. La risoluzione 1820, che prevede la possibilità di imporre sanzioni mirate contro fazioni che commettono stupri e altre forme di violenza contro donne e ragazze, chiedeva al Segretario generale Onu di dare conto del quadro della situazione e dell’attuazione della disposizioni in essa contenute entro il 30 giugno 2009, nonché di formulare proposte volte a “minimizzare la suscettibilità” delle donne e delle ragazze a tale violenza. Il Segretario era inoltre richiesto di sviluppare linee guida e strategie efficaci per migliorare le capacità delle operazioni di peacekeeping Onu nella protezione dei civili da ogni forma di violenza sessuale.
Una ulteriore risoluzione, 1960 (2010) è stata adottata all’unanimità il 16 dicembre 2010 dal Consiglio di Sicurezza, il quale ha chiesto alle parti coinvolte in conflitti armati di assumere specifici impegni ed indicare precise scadenze della lotta alla violenza sessuale, sollecitandole sul lato della prevenzione a proibire tali crimini attraverso la somministrazione di ordini precisi alle catene di comando e l’imposizione di codici di condotta e, sul versante giudiziario, ad indagare i presunti abusi affidandone tempestivamente alla giustizia i responsabili. Il Segretario generale è tenuto a monitorare il perfezionamento di tali impegni nonché, sulla base di una analisi più approfondita, a favorire una migliore cooperazione tra tutti gli attori Onu finalizzata a fornire una risposta sistemica alla questione della violenza sessuale, nel frattempo procedendo a più nomine femminili tra i protection advisers delle missioni di peacekeeping.
Con la risoluzione 1888 (2009) il Consiglio di Sicurezza, tra le misure atte a fornire protezione a donne e bambini contro la violenza sessuale in situazioni di conflitto chiede al segretario generale di nominare un rappresentante speciale sulla violenza sessuale durante i conflitti armati.
L’ufficio del Rappresentante Speciale ONU per le violenze sessuali in situazioni di conflitto è stato istituito nell’aprile 2010 e la prima Rappresentante è stata Margot Wallström; le è succeduta nella carica, dal 22 giugno 2012, Zainab Hawa Bangura, cittadina della Sierra Leone.
I focal points del mandato della Rappresentante Speciale sono costituiti dal contrasto all’impunità dei responsabili, dall’empowerment delle donne colpite al fine di ristabilire il godimento dei loro diritti, dall’implementazione di politiche idonee a sostenere un approccio globale alla violenza sessuale, dall’armonizzazione su scala internazionale della risposta alle violenze e dal miglioramento della comprensione della violenza sessuale nella sua dimensione di tattica di guerra. La Rappresentante, inoltre, mette in risalto la necessità che sia condotta a livello nazionale titolarità, leadership e responsabilità nel contrasto della violenza sessuale.
Il Rappresentante si avvale anche di un Team of Experts on the Rule of Law/Sexual Violence in Conflict - TOE impiegato in presenza di situazioni di particolarmente gravi come strumento di assistenza per le autorità nazionali nel rafforzamento della rule of law.
Sul contrasto alla violenza sessuale si rammenta anche la International Campaign to Stop Rape & Gender Violence in Conflict (http://www.stoprapenow.org/take-action/) promossa da UN Action Against Sexual Violence, coordinamento di 13 organismi delle Nazioni Unite finalizzato a porre fine alla violenza sessuale nei conflitti attraverso in uno sforzo concertato per migliorare il coordinamento e la responsabilità, ampliare la programmazione e sostenere gli sforzi nazionali per prevenire la violenza sessuale, rispondendo in modo efficace alle esigenze dei sopravvissuti.
La successiva risoluzione 1889 (2009) si incentra, in particolare, sul rafforzamento della partecipazione delle donne nei processi di pace, nonché sullo sviluppo di indicatori adatti a misurare i progressi nella realizzazione della risoluzione madre 1325.
La risoluzione 2106 (2013) adottata all’unanimità il 24 giugno 2013, è specificamente focalizzata sul tema della violenza sessuale in situazioni di conflitto armato. Il documento aggiunge ulteriori dettagli operativi alle precedenti risoluzioni sul tema e ribadisce la necessità di sforzi più intensi da parte di tutti gli attori, non solo il Consiglio di Sicurezza e le parti di un conflitto armato, ma tutti gli Stati membri e gli enti delle Nazioni Unite, per l’attuazione dei mandati promananti dal complesso delle risoluzioni sul tema e per la lotta all’impunità per questi crimini.
La risoluzione 2122 (2013) (alla quale si è già fatto cenno a proposito del Global Study) rafforza le misure che consentono alle donne di partecipare alle varie fasi di prevenzione e risoluzione dei conflitti, nonché della ripresa del paese interessato, ponendo agli Stati membri, alle organizzazioni regionali ed alle stesse Nazioni Unite, l’obbligo di riservare seggi alle donne nei tavoli di pace; essa, inoltre, riconosce la necessità di una tempestiva informazione ed analisi dell’impatto dei conflitti armati su donne e ragazze.
La risoluzione chiede poi ai responsabili delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite di effettuare valutazioni sulle violazioni dei diritti umani e degli abusi di donne nei conflitti armati e nelle situazioni di post conflitto e richiede alle missioni di peacekeeping di dare risposta alle minacce della sicurezza delle donne in situazioni di conflitto e post conflitto. Incoraggia i paesi che contribuiscono alle missioni ad aumentare la percentuale di donne nelle forze armate e nelle forze di polizia in esse impiegate. Sottolinea la necessità di continuare gli sforzi per eliminare gli ostacoli che impediscono l’accesso delle donne alla giustizia in situazioni di conflitto o post conflitto.