Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00477
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Atto n. 1-00477
Pubblicato il 21 ottobre 2015, nella seduta n. 528
MARTELLI , MORONESE , NUGNES , PETROCELLI , PUGLIA , LUCIDI , MANGILI , SERRA , BERTOROTTA
Il Senato,
premesso che:
si svolgerà dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 la Conferenza di Parigi, a cui parteciperanno i Paesi aderenti alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, al fine di adottare misure volte al contenimento di gas a effetto serra, alla promozione dell'efficienza energetica e alla promozione di politiche agricole sostenibili;
nel mese di settembre, si è aperta a Bonn l'ultima sessione di negoziati per preparare la conferenza francese. La prima parte dei negoziati si è conclusa a luglio, senza un accordo sufficientemente condiviso tra i 193 Paesi presenti;
dall'appuntamento della "Cop 21" si aspetta l'adozione di un nuovo accordo globale che includa tutti i Paesi della comunità internazionale, ossia sia quelli industrializzati, come Stati Uniti e Unione europea, sia quelli emergenti o in via di sviluppo, come Cina e India, che hanno considerevolmente aumentato le loro emissioni negli ultimi anni;
i dati forniti dal Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental panel on climate change, IPCC) nel suo rapporto del 2007, certifica un aumento della temperatura media del pianeta di 0,81 gradi centigradi (come da rilevazioni del luglio 2015). Tale riscaldamento è solo la media globale: l'emisfero nord si riscalda più dell'emisfero sud (a causa della maggiore inerzia termica degli oceani) e le aree che maggiormente subiscono questo effetto sono quelle artiche, quelle dell'Asia continentale e l'area mediterranea, per le quali il riscaldamento è doppio della media globale;
l'agenzia ONU per i cambiamenti climatici (IPCC) nel novembre 2014 a Copenhagen ha affermato che il riscaldamento globale terrestre derivante dallo sfruttamento di petrolio e carbone, ai ritmi attuali, comporterà, per la fine del secolo, un aumento della temperatura di 3,5 gradi centigradi, con inevitabili conseguenze per la sopravvivenza delle specie umana, animale e vegetale; l'innalzamento delle temperature altera gli ecosistemi marini, mettendone a rischio le specie vegetali e animali. Uno studio condotto dalla facoltà ocenografica americana indica come l'aumento delle temperature incida anche sulla formazione dei coralli. Secondo il quinto rapporto IPCC, l'oceano ha assorbito circa il 30 per cento dell'anidride carbonica di origine antropogenica emessa, causando la sua acidificazione;
la pesca mondiale ammonta a 80.000.000 tonnellate e il cambiamento della composizione chimica delle acque unito ad un incremento termico ridurrà drasticamente il pescato, con conseguente compromissione di un'importante fonte alimentare, dato che il pescato copre circa il 25 per cento del consumo annuo mondiale di proteine animali;
il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e, a partire dagli anni '50, ha provocato conseguenze notevoli come: il riscaldamento degli oceani, la riduzione delle calotte di ghiaccio, l'innalzamento del livello del mare, la progressiva perdita di terreno coltivabile (diventata desertica per l'aumento di temperatura o l'insufficiente apporto pluviometrico), la salinizzazione dei pozzi in prossimità delle coste basse (con conseguente impossibilità di utilizzare le acque per uso irriguo) e l'incremento dei fenomeni meteorologici estremi (come l'uragano "Katrina", verificatosi nell'anno più caldo mai registrato e che ha causato da solo 105 miliardi di dollari di danni diretti);
il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il 1° settembre 2015 ha sottolineato come il cambiamento climatico sia più rapido del previsto ed è necessario un maggior impegno globale per contenere il riscaldamento globale; ciò, tra l'altro, sta generando ulteriori fenomeni di retroazione positiva (come, ad esempio, il surriscaldamento delle aree artiche e subartiche);
il maggiore riscaldamento del suolo determina la liberazione di enormi quantità di metano, il cui potere riscaldante è 30 volte maggiore di quello del biossido di carbonio;
i settori direttamente correlati ai cambiamenti climatici sono l'agricoltura e la zootecnia. Quest'ultima, infatti, è da sola responsabile del 25 per cento dell'effetto serra planetario; il 24 per cento della superficie dell'intero pianeta (contando deserti e montagne) è occupata da allevamenti di bovini e coltivazioni agricole dedicate alla loro alimentazione; per la sola Africa si arriva al 50 per cento. L'agricoltura e l'approvvigionamento idrico sono i settori più vulnerabili; in particolare, l'agricoltura e il suo cedimento, secondo un modello matematico sviluppato dal Global sustainability institute dell'Anglia Ruskin university di Cambridge, comporterà seri danni alla nostra società. I risultati, basati su «tendenze climatiche plausibili», sono più che allarmanti e mostrano che «il sistema di approvvigionamento alimentare globale» potrebbe affrontare perdite catastrofiche, nonché un'epidemia senza precedenti. In generale, tali fenomeni si potrebbero diffondere maggiormente nei Paesi tropicali e più poveri; secondo l'IPCC, entro 35 anni, l'agricoltura subirà un calo di resa del 50 per cento, compromettendo la sopravvivenza umana. Nella coltivazione di riso, grano e mais, i rendimenti saranno destinati a ridursi del 10 per cento per ogni grado di aumento sopra i 30 gradi;
la Commissione europea ha proposto, il 16 aprile 2013, l'adozione, per gli Stati membri, della "Strategia di adattamento europea" ai cambiamenti climatici. Essa, infatti, incoraggia tutti gli Stati membri della UE ad elaborare strategie di adattamento nazionali, che siano coerenti con i piani nazionali per la gestione del rischio di disastri naturali. L'università Ca' Foscari di Venezia ha prodotto uno studio in cui si dimostra che gli interventi di adattamento sono più costosi e meno efficaci di quelli di mitigazione. Inoltre, se gli Stati membri dovessero adottare strategie considerate non sufficientemente adeguate, nel 2017 la Commissione prenderà in esame la proposta di adottare uno strumento legalmente vincolante per l'adattamento (ad esempio una direttiva sull'adattamento) comportando una consistente dilazione dei tempi (tra l'emissione della direttiva e il suo recepimento);
considerato che:
i Paesi europei hanno raggiunto differenti stadi di pianificazione, sviluppo ed attuazione delle strategie di adattamento nazionali: ad oggi, solo 18 Paesi europei hanno adottato formalmente delle strategie di adattamento. L'Italia, sebbene abbia avviato, coinvolgendo anche la comunità scientifica nazionale, un processo di definizione dello stato delle conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici, non risulta aver adottato ancora alcun programma circa la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici;
con riferimento alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio "Il protocollo di Parigi - Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020" si presenta la decisione di tagliare le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, del 40 per cento entro il 2030. L'obiettivo è del tutto insufficiente, perché la riduzione del 40 per cento viene auspicata a livello globale come l'unica che, plausibilmente, dovrebbe limitare il riscaldamento globale ad un aumento di 2 gradi centigradi, soglia che viene ritenuta di sicurezza ma che, ricerche alla mano, comporterebbe un aumento del livello marino di 6 metri (dovuto sia allo scioglimento parziale della calotta glaciale groenlandese o della calotta antartica occidentale, sia alla dilatazione termica dell'acqua oceanica), innalzamento che sommergerebbe decine di città costiere nella sola penisola italiana (Ravenna, Venezia, Brindisi), nonché un aumento del vapore acqueo atmosferico, che è da solo responsabile del 90 per cento dell'effetto serra planetario; è parziale perché non considera minimamente l'accumulo pregresso, dimenticando il fatto non trascurabile che deve essere ripristinata (anche con l'aiuto della naturale fissazione del carbonio) la concentrazione storica di anidride carbonica atmosferica, unica forma di garanzia per garantire l'assenza di forzanti antropiche sul clima terrestre;
il Parlamento europeo, il 9 luglio 2015, ha disposto la nascita di una riserva di quote di emissione Ets (emissions trading scheme), con l'obiettivo di sostenere l'aumento dei prezzi sul mercato dei gas nocivi, al fine di renderne meno interessante l'acquisto e incentivare le imprese a investire in stabilimenti meno inquinanti e in macchinari più moderni. Meccanismo che non ha prodotto i risultati sperati, in quanto il calo della domanda (di acquisto di quote Ets) ha determinato una riduzione del costo delle concessioni, 7 euro per tonnellata di anidride carbonica, non idoneo a disincentivare le attività più inquinanti. Secondo il presidente della Commissione ambiente del Parlamento europeo Giovanni La Via e il vice presidente Gilles Pargneaux, per ridurre le emissioni di anidride carbonica sarebbe più efficace sostituire il sistema Ets con una "carbon tax";
considerato, inoltre, che:
l'aumento, sempre al 2030, solo del 27 per cento della quota di fonti rinnovabili, per di più vincolante solo a livello UE e non di un singolo Stato membro, e la riduzione solo del 27 per cento dei consumi energetici tendenziali, in questo caso non vincolante neppure a livello UE, sono del tutto inadeguati. Un incremento delle fonti rinnovabili che non si accompagni ad una parallela dismissione di impianti alimentati a fonti fossili non raggiunge lo scopo di ridurre le emissioni del gas serra anidride carbonica, ma aumenta solo l'offerta di energia, con l'ulteriore perverso risultato di deprimere il prezzo alla borsa elettrica e scoraggiare nuovi investimenti in energie rinnovabili, soprattutto per impianti di piccola taglia. Tali obiettivi rendono difficile la possibilità di raggiungere effettivamente la riduzione del 40 per cento delle emissioni al 2030;
malgrado lo slancio dimostrato dall'Unione europea con l'adozione del "Pacchetto energia e ambiente", dai negoziati internazionali sul clima non ci sono stati passi decisivi, a causa di una mancata leadership mondiale decisa a portare avanti negoziati vincolanti per tutti. L'Unione europea, infatti, sembra avere abbandonato l'intenzione di giocare tale ruolo di leadership internazionale, a causa, probabilmente, delle differenti posizioni interne, come Francia e Germania che puntano al 30 per cento di riduzioni di anidride carbonica e al 45 per cento di rinnovabili e Paesi come l'Italia e la Polonia che puntano a target differenti. Senza unità d'intenti non può esserci leadership;
se si intende promuovere e proteggere il clima, appare preoccupante l'approccio europeo allo sfruttamento di combustibili fossili non convenzionali come shale gas e shale oil, la cui estrazione libera nell'atmosfera una quantità notevole di anidride carbonica, gas maggiormente responsabile dell'effetto serra. Recenti studi mostrano come, specie in una fase di contrazione dei prezzi dei combustibili fossili tradizionali, non risulti conveniente sia economicamente che in termini ambientali optare per i combustibili non convenzionali;
per quanto riguarda lo scambio di quote Ets, per orientare le politiche europee e nazionali verso la decarbonizzazione è fondamentale intervenire anche attraverso una riforma della fiscalità in chiave ecologica, eliminando l'attuale sistema Ets, che ha lasciato scoperti settori chiave come i trasporti e i consumi domestici e ha di fatto avallato la strategia del "pago per continuare ad inquinare", e introducendo standard di performance energetica o di efficienza per le imprese, eliminando progressivamente sussidi dannosi per l'ambiente e prevedendo l'introduzione di una carbon tax, in primis sui settori maggiormente impattanti, quali gli impianti termoelettrici, il riscaldamento domestico, l'autotrazione, ma soprattutto la zootecnia;
l'Epa, l'agenzia governativa ambientale degli Stati Uniti, ha scoperto che la multinazionale tedesca Volkswagen ha raggirato i controlli americani, con l'uso di un sofisticato software, sulle emissioni delle autovetture, immettendo nel solo mercato americano un milione di macchine con emissioni inquinanti oltre i limiti consentiti, causando un ingente danno ambientale. La direttiva 2007/46/CE obbliga tutti gli Stati membri a immatricolare ogni tipo di veicolo e marca che abbia un certificato valido rilasciato da un qualsiasi Paese, senza ulteriori controlli successivi; ciò ha consentito la commercializzazione di automobili in Europa e nel mondo, senza consentire ad alcun Paese di effettuare le proprie verifiche. Si ritiene, inoltre, che i cicli di misurazione delle emissioni, poiché vengono fatti in laboratorio e non con "prove su strada", siano del tutto inadeguati a rilevare i dati reali sul controllo delle emissioni dei gas di scarico;
considerato, infine, che:
in Italia, nel 2014, si è registrato un aumento delle temperature di 2,4 gradi, pari al doppio della media globale;
le concentrazioni di anidride carbonica, metano e potassio di azoto sono aumentate a livelli senza precedenti del 40 per cento dall'età preindustriale, sia per le emissioni legate all'uso dei combustibili fossili, che per le emissioni nette legate al cambio di uso del suolo,
impegna il Governo:
1) ad attivarsi in ambito UE, affinché sia approvato, a Parigi, un accordo globale maggiormente condiviso e sufficientemente vincolante per la drastica riduzione delle emissioni con obiettivi realistici, che dovrà essere rispettato da tutti i Paesi aderenti;
2) a definire un piano nazionale per l'implementazione di una strategia di lotta alle emissioni inquinanti che sia più incisiva della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, definendone le priorità di intervento, le tempistiche e gli impegni di spesa;
3) ad incentivare, nelle opportune sedi nazionali ed europee, la decarbonizzazione dei sistemi energetici attraverso programmi settoriali, volti alla diffusione di tecnologie disponibili, al supporto, all'innovazione e all'uso di strumenti fiscali generalizzati (carbon tax);
4) a farsi promotore affinché l'Europa giochi un ruolo fondamentale nella ricerca, promozione e diffusione di nuove tecnologie poco impattanti e delle best practice già disponibili;
5) a promuovere lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica e di calore, consolidando meccanismi di incentivazione coerenti con le più avanzate esperienze europee;
6) a predisporre un meccanismo di incentivazione permanente alle energie rinnovabili, mediante istituzione di un fondo rotativo alimentato con il gettito della futura carbon tax, che abbia il compito di predisporre e promuovere la sostituzione delle fonti di generazione elettrica da fonti fossili con fonti rinnovabili;
7) ad incentivare e promuovere nelle opportune sedi nazionali ed europee azioni finalizzate alla realizzazione di sistemi e infrastrutture ecocompatibili;
8) ad assumere iniziative volte ad escludere dal patto di stabilità le spese dello Stato, delle Regioni e degli enti locali legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e, in particolare, alla messa in sicurezza del territorio;
9) a sostenere l'eliminazione, nelle opportune sedi europee ed internazionali, degli incentivi ancora riservati alle fonti fossili a vantaggio di un'economia circolare;
10) a farsi promotore dell'adozione di una fiscalità ambientale basata sull'impronta ecologica, sull'analisi del ciclo di vita dei prodotti, al fine di favorire la conversione degli attuali sistemi produttivi, industriali, verso modelli a basse emissioni;
11) ad attivare misure di contrasto allo spreco alimentare, in ossequio agli obiettivi enunciati nella Carta di Milano, che prevede, entro il 2020, una riduzione del 50 per cento dello spreco alimentare, definendo, inoltre, azioni precise e improrogabili, riguardanti la produzione agricola per evitare le eccedenze, al fine di favorire il riutilizzo delle stesse nella catena alimentare destinata al consumo umano;
12) a sollecitare, nelle opportune sedi, una revisione delle norme e delle procedure europee, al fine di rendere quanto più efficiente il sistema di controllo delle emissioni auto in ambito europeo.