Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00236
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Atto n. 1-00236
Pubblicato il 11 febbraio 2010, nella seduta n. 334
Note: (Testo 2)
FLERES , MUGNAI , ALLEGRINI , BALBONI , BENEDETTI VALENTINI , CENTARO , GALLONE , DELOGU , ALICATA
Il Senato,
premesso che:
la naturale funzione afflittiva della detenzione si coniuga inscindibilmente con la parimenti necessaria funzione rieducativa della pena;
le condizioni di sovraffollamento alle quali sono sottoposte le carceri italiane mortificano le condizioni umane dei detenuti e l'attività quotidiana della Polizia penitenziaria e degli altri dipendenti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), così eludendo il dettame costituzionale;
dai dati del Dap, aggiornati al 30 settembre 2009, risulta un'allarmante crescita media di circa 800 reclusioni al mese, che hanno già determinato il superamento della capienza tollerabile di detenuti negli istituti di pena italiani. A fronte di una capienza regolamentare di poco più di 43.000 detenuti e di un limite cosiddetto tollerabile di 64.100 unità, alla data dell'ultimo rilevamento pubblicato nel sito del Ministero della giustizia, i detenuti risultavano essere 64.595, contro i 63.981 registrati alla data del 1° settembre 2009. Solo nel mese di settembre 2009, quindi, la popolazione detenuta è cresciuta di 614 unità superando il limite massimo tollerabile determinato dal Ministero;
questa condizione, da sola, potrebbe determinare una serie di conseguenze passibili di ulteriori condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo e del Consiglio d'Europa, come già avvenuto in passato;
da un'analisi della statistica pubblicata dal Dap, emergono alcuni dati dei quali, necessariamente, si deve tenere conto per poter pervenire più sollecitamente ad una normalizzazione della situazione in atto;
al 30 settembre 2009, su un totale di 64.595 reclusi, solo 31.363 risultano essere condannati, e 1.878 gli internati. I rimanenti 31.354 detenuti sono ancora in attesa di giudizio e, quindi, almeno in astratto, potenzialmente non colpevoli;
i detenuti di altra nazionalità sono il 37 per cento; dagli stessi dati risultano 23.999 detenuti stranieri su una popolazione carceraria complessiva di 64.595 unità. Più del 37 per cento dei detenuti è dunque di nazionalità straniera. Di questi, come risulta dal censimento del primo semestre 2009, su un totale di 23.609 reclusi stranieri, 8.741 provengono da Paesi europei, 1.177 provengono dal continente asiatico e 1.323 dall'America. Dall'Africa, su un totale di 12.348 reclusi, 2.999 sono di nazionalità tunisina, 5.136 marocchina, 1.080 provengono dall'Algeria, 1.096 dalla Nigeria e 2.037 da altri Paesi dell'Africa;
13.848 italiani risultano reclusi nel primo semestre del 2009 per reati connessi alle leggi contro la droga e più di un quarto dei reclusi risulta tossicodipendente. A fronte di un numero così alto, dovranno essere intensificati gli sforzi che lo Stato italiano compie, con le proprie strutture e attraverso le comunità terapeutiche, per affrontare in via preventiva il problema della tossicodipendenza come causa, piuttosto che doverlo reprimere come effetto. Tanto è dimostrato anche dalla percentuale di recidiva al crimine e al reingresso in carcere che vede primeggiare i soggetti tossicodipendenti;
l'Ufficio statistiche del Dap registra alla data del 30 giugno 2009 che ben 11.294 detenuti, su un totale di 30.549 condannati, quindi quasi il 37 per cento dei reclusi, deve scontare fino a tre anni di carcere. Inoltre, osservando le cifre risultanti dai residui di pena, risulta che, sempre nel primo semestre del 2009, in Italia erano reclusi ben 19.823 detenuti che dovevano scontare una pena inferiore ai tre anni, cioè circa il 65 per cento;
un terzo dei cittadini che subiscono un ingresso in carcere viene scarcerato dopo meno di 24 ore, quindi si comprende come la facilità dell'uso della carcerazione preventiva, oltre a ledere la presunzione di innocenza conclamata nell'ordinamento italiano, inficia l'efficienza dei penitenziari italiani, con dispendio di risorse umane ed economiche;
a fare da contraltare alla statistica della reclusione intramuraria, si contano, compresi i casi ereditati dagli anni precedenti, sempre nel primo semestre del 2009, 8.191 casi di affidamento in prova (dei quali 2.283 tossicodipendenti), 1.126 casi di semilibertà e 4.932 casi di arresti domiciliari. Risulta utile sottolineare che queste cifre, sicuramente non trascurabili nella loro entità, sono estratte da un dato complessivo che prevede non solo i condannati ma anche i detenuti in attesa di giudizio, quindi ancora non dichiarati colpevoli. Resta comunque un totale di misure diverse dalla detenzione intramuraria di 14.249 casi contro 64.595 reclusi nelle carceri, quindi una percentuale del 18 per cento complessivo;
le conseguenze dell'intasamento carcerario, determinato dal frequente ricorso all'arresto intramurario per soggetti in attesa di giudizio, per tossicodipendenti e per stranieri, determina una forte compressione delle normali attività lavorative e rieducative alle quali il sistema penitenziario italiano è destinato per volontà della Costituzione;
la carenza di fondi destinati al lavoro in istituto, legata al sovrannumero, determina l'oggettiva difficoltà a favorire un percorso riabilitativo, così come i corsi professionali di avviamento al lavoro e i corsi scolastici. Nel primo semestre 2009, solo 3.864 detenuti hanno seguito dei corsi professionali, e 13.408 reclusi hanno svolto funzioni di lavoranti, per periodi non definiti, ma sicuramente non annuali. Considerando che chi ha svolto funzione di lavorante non ha partecipato a corsi di formazione professionale, risulta che 17.272 detenuti, su una popolazione carceraria complessiva di 64.595 donne e uomini, hanno avviato un percorso concreto di recupero. Per più del 70 per cento dei detenuti (dato che, peraltro, deve necessariamente tener conto di quanti, comunque, non intendono usufruire di tali opportunità) la reclusione intramuraria risulta solo un'espiazione della pena;
lo stesso organico del Dap risulta carente secondo i parametri "ordinari", avendo in forza di decreto ministeriale la previsione di 41.268 unità di Polizia penitenziaria negli istituti di pena per adulti e riscontrando al settembre del 2009 uno scoperto di circa 6.000 unità. Lo stesso vale per il restante personale, con una carenza di più di 3.000 persone;
lo stesso discorso vale per educatori e psicologi, allo stato insufficienti per svolgere proficuamente il loro lavoro, nonostante gli sforzi e la passione. Poco meno di 700 educatori (circa 1.000 quelli previsti in organico) e circa 350 psicologi per circa 65.000 detenuti non appaiono un numero adeguato e sufficiente;
un ulteriore effetto causato dal sovraffollamento si registra nella carenza di igiene e di cure sanitarie, con pericolo costante di diffusioni virali, anche nella considerazione che solo poco meno del 2 per cento dei reclusi risulta sieropositivo al test dell'HIV. Lo stesso passaggio al Servizio sanitario nazionale ha riscontrato gravi ritardi ed inadempienze a causa dell'incapacità organizzativa di molte Regioni nella gestione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
appare pertanto evidente che la situazione attuale, già difficile da gestire, lo risulterà ancor di più nei tempi a venire. Risulta indifferibile intervenire, con un'azione riformatrice che veda uniti in un rapporto sinergico i diversi dicasteri interessati, al fine di trovare soluzioni che riconducano la detenzione all'interno dell'idea costituzionale e che, contemporaneamente possano rendere meno usurante l'attività dei dipendenti dello Stato, ogni giorno impegnati in un'attività difficile come quella che esercitano gli agenti della Polizia penitenziaria,
impegna il Governo:
ad attuare celermente il Piano carceri che preveda: la chiusura delle strutture non adeguabili a criteri moderni e consoni al rispetto della dignità umana, la vendita delle strutture più piccole o troppo vetuste e la realizzazione di strutture moderne, capaci di sostenere il recupero e la risocializzazione dei detenuti e non solo la pena afflittiva, l'apertura delle strutture ultimate con spostamento del personale dagli istituti da chiudere e l'utilizzo di formule di project financing;
a predisporre una riforma del sistema carcerario che ipotizzi la detenzione carceraria nel caso di condanne per i reati più gravi e/o di maggior allarme sociale, ovvero in presenza di recidiva e/o abitualità favorendo, negli altri casi e nel rispetto della legge, forme detentive alternative a quella intramuraria;
a potenziare gli strumenti alternativi al carcere, come determinati dalla legge, comunque salvaguardando entrambe le funzioni della pena;
a sottoscrivere un protocollo internazionale per l'espiazione della pena nei Paesi di residenza, per gli stranieri appartenenti all'Unione europea e a quei Paesi nei quali sono garantiti i diritti umani;
a favorire un lavoro sinergico tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quello della giustizia, predisponendo un apposito protocollo d'intesa, da sottoporre alle organizzazioni nazionali del mondo del lavoro e imprenditoriale, per l'impiego di detenuti in attività lavorative proposte da privati, in linea con la legge Smuraglia, rendendo gli istituti penitenziari veri e propri laboratori produttivi, regolarmente inseriti nel mercato esterno, anche facendo ricorso a misure che favoriscano lavoro autonomo;
a creare apposite strutture per donne detenute in presenza di prole, al fine di non dovere "recludere" bambini innocenti in carceri per adulti: queste strutture devono godere del supporto di psicologi infantili e di corsi di risocializzazione e avviamento al lavoro per le ree. Da un'intesa con strutture governative impegnate nel mondo del lavoro femminile, si possono definire accordi per favorire il lavoro delle detenute e garantire una migliore qualità della prole che, si ricorda, non ha commesso alcun reato, ed è spesso di tenerissima età;
a favorire un lavoro sinergico tra il Ministero della salute e quello della giustizia, predisponendo in ogni ospedale, o quantomeno in almeno un presidio sanitario provinciale, delle apposite stanze riservate a detenuti bisognosi di ricovero. Questo favorirebbe un più efficiente utilizzo del personale di Polizia penitenziaria. Attualmente per ogni detenuto da far visitare occorre impiegare tra le 8 e le 12 unità che vengono distolte dal servizio in istituto;
ad attivarsi per automatizzare i cancelli interni alle strutture penitenziarie con l'innovazione di sistemi di video-sorveglianza: questo favorirebbe una drastica riduzione del personale di Polizia penitenziaria preposto all'apertura e alla chiusura dei cancelli, con un migliore e più razionale utilizzo dello stesso;
ad attivarsi per realizzare le docce in camera, per un'ulteriore diminuzione delle mansioni del personale di Polizia penitenziaria, attualmente impegnati a vigilare i detenuti che utilizzano le docce comuni: anche questo accorgimento, apparentemente di dettaglio, favorisce un più razionale utilizzo del personale di Polizia penitenziaria;
a rispettare l'art. 42 dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, che determina la territorialità della pena;
a trasferire in strutture adeguate, pubbliche o private, i detenuti tossicodipendenti, con percorsi differenziati in funzione della gravità del reato commesso;
ad adeguare gli organici della magistratura di sorveglianza;
ad adeguare il personale di Polizia penitenziaria;
ad adeguare l'organico del personale amministrativo, sanitario, degli educatori e degli psicologi, nonché di mediatori culturali per i detenuti stranieri.