Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-02185
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Atto n. 3-02185
Pubblicato l'8 ottobre 2025, nella seduta n. 351
BOCCIA, MARTELLA, FRANCESCHELLI, GIACOBBE - Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:
il 12 agosto 2025 è stata firmata presso il Ministero delle imprese e del made in Italy un'intesa tra istituzioni nazionali e locali per la decarbonizzazione degli impianti dell’ex ILVA di Taranto, che vincola l’acquirente a porre in essere gli investimenti necessari all’obiettivo della progressiva e completa decarbonizzazione degli stabilimenti, prevedendo la sostituzione graduale degli altoforni con forni elettrici e ogni azione occorrente a soddisfare le prescrizioni ambientali e sanitarie emerse nell’ambito del rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale;
alla scadenza del bando per la vendita del complesso siderurgico, fissata lo scorso 26 settembre, risultano pervenute dieci manifestazioni di interesse, ma soltanto due riguardano l’intero gruppo industriale (i fondi statunitensi Bedrock Industries e Flacks Group), mentre le altre otto proposte si riferiscono a singoli asset, presentate da soggetti come Marcegaglia, Sideralba, Eu sider, Industrie Minerali Cardinali, Renexia e altri operatori;
secondo quanto riportato da “Il Sole 24 Ore” del 27 settembre 2025, la procedura di vendita si è svolta “al di sotto delle attese del Governo”, con l’assenza dei grandi operatori industriali del settore siderurgico come Jindal Steel e Baku Steel, che si sono ritirati alla vigilia della scadenza, lasciando di fatto Bedrock Industries e Flacks Group come uniche proponenti per l’acquisizione dell’intero complesso degli stabilimenti ex ILVA;
il fondo Bedrock Industries, già noto per il risanamento della canadese Stelco con un'operazione conclusa con un utile di 2,8 miliardi di dollari, avrebbe presentato una proposta economica di valore simbolico, mentre Flacks Group, family office statunitense privo di specifica esperienza siderurgica, avrebbe formulato un’offerta prossima a zero euro, limitandosi a proporre il pagamento del solo valore del magazzino;
secondo le stime fornite dagli stessi commissari straordinari, le offerte ricevute risulterebbero tutte prive di garanzie industriali, ambientali e occupazionali, tanto da essere state definite “deludenti e simboliche”;
considerato che a parere degli interroganti:
tra i gravi errori del Governo commessi nella gestione della vicenda ex ILVA emerge in tutta evidenza quello relativo al progetto di Baku Steel, oggettivamente gracile e incentrato prevalentemente sul gas, al quale è stato dato maggiore credito rispetto al progetto di Jindal Steel, molto più solido da un punto d vista industriale e del processo di decarbonizzazione. Una scelta di posizionamento che ha spinto Jindal Steel a rinunciare al progetto per essere stata messa sullo stesso piano di Baku Steel, la cui produzione annuale è inferiore a quella realizzata in qualche settimana dal gruppo indiano;
era da subito chiaro che alla Baku Steel interessasse più il rigassificatore a Taranto che la produzione di acciaio negli stabilimenti ex ILVA, e l’esito del debole progetto degli azeri è emerso nel breve volgere di pochi giorni;
alla luce delle nuove manifestazioni d’interesse emergono nuove preoccupazioni. Appare del tutto evidente che diverse offerte, tra cui quella di Bedrock, hanno un solo obiettivo: lo spezzatino degli stabilimenti e tagli drammatici e non tollerabili del personale. I due fondi statunitensi interessati, Bedrock Industries e Flacks Group, a fronte della proposta di acquisizione hanno previsto un massiccio ridimensionamento occupazionale, che vede un taglio da 1.000 a 300 addetti per ogni milione di tonnellate prodotte con forni elettrici e nessun impegno vincolante in materia di tutela ambientale e sanitaria;
da notizie pervenute, il Governo starebbe valutando l’ipotesi della scissione del gruppo ex ILVA in “bad company” e “good company”. Tale soluzione consentirebbe di salvaguardare parte della filiera siderurgica del nord Italia, ma con un impatto esiziale su Taranto, con pesanti ricadute sugli 8.000 lavoratori del polo jonico, destinato a rimanere privo di investitori privati. Tale ipotesi di “spezzatino industriale”, oltre a svuotare il sito di Taranto trasferendo le produzioni di valore aggiunto in altri stabilimenti, lascerebbe alla gestione pubblica solo le aree a maggiore rischio ambientale e sanitario;
tenuto conto che:
l’impianto di Taranto, il più grande d’Europa, impiega circa 8.000 lavoratori diretti e migliaia nell’indotto, ma versa in condizioni critiche con due altoforni su quattro fermi, una produzione ridotta a 2,2 milioni di tonnellate nel 2024, perdite per circa 50 milioni di euro al mese e oltre 2 miliardi di passivo accumulato dal 2023. In assenza di un vero piano industriale, l’attuale paralisi dell’ex ILVA rischia di deflagrare in una crisi produttiva e sociale di ampia portata;
il mercato mondiale dell’acciaio attraversa una fase di profonda trasformazione. La quota dei Paesi BRICS rappresenta oggi oltre il 70 per cento della produzione globale, mentre l’Europa si ferma al 13,1 per cento e l’Italia, con 11,8 milioni di tonnellate nel 2024, è il secondo produttore europeo dopo la Germania;
la chiusura definitiva dell’area a caldo di Taranto renderebbe l’Italia l’unico Paese del G7 privo di ciclo integrale primario, con gravi ripercussioni sull’autonomia strategica nazionale e sull’intero export siderurgico,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo in merito alle dieci manifestazioni di interesse ricevute dai commissari straordinari per l’ex ILVA; se le ritenga congrue e in grado di garantire gli obiettivi di decarbonizzazione degli impianti siderurgici, di salvaguardia dei livelli occupazionali e di tutela ambientale;
se, in caso contrario, non ritenga di dover promuovere con estrema urgenza e chiarezza un piano alternativo di rilancio pubblico e decarbonizzazione degli impianti dell’ex ILVA, anche mediante l’utilizzo delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, eventualmente trasferite a Cassa depositi e prestiti, così come già consentito dalla Commissione europea;
se intenda, altresì, escludere iniziative del Governo finalizzate alla scissione del gruppo ex ILVA in “bad company” e “good company” e al conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori attualmente occupati negli stabilimenti ex ILVA di Taranto;
se abbia attentamente stimato le ripercussioni sull’autonomia strategica nazionale, sull’approvvigionamento di acciaio per il nostro sistema economico e sull’export in caso di chiusura definitiva dell’area a caldo di Taranto che renderebbe l’Italia l’unico Paese del G7 privo di ciclo integrale primario nel settore siderurgico.