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Il Presidente: Discorsi

Presentazione del volume di Bruno Trentin 'Diario di guerra'

Ringrazio in primo luogo il Capo dello Stato, e tutti voi, per aver voluto partecipare a questo incontro.
È con grande piacere che ho accolto la proposta del Vicepresidente Vannino Chiti di ospitare nella nostra sala Zuccari, qui a Palazzo Giustiniani, la presentazione del volume, "diario di guerra" che un giovanissimo Bruno Trentin scrisse in condizioni di grande difficoltà in poche settimane e poi custodì gelosamente e quasi segretamente per una vita intera.

Un volume che sa dipingere, con i toni accesi e vivaci propri della narrazione di un ragazzo non ancora diciassettenne, un quadro nitido e straordinariamente acuto della concitata fase storica successiva all'8 settembre del '43, restituendoci così in nuce i tratti più significativi della personalità di Trentin e di quel drammatico periodo.
In questo diario di un giovanissimo italiano, "nato esule" da una famiglia antifascista e vissuto in Francia, giunto in Italia nel settembre del '43, c'è tutto il fervore di una passione civile e politica forse ancora acerba ma certamente potente; una passione che matura attraverso la lettura attenta e l'approfondimento critico delle notizie; una passione che cerca una via d'azione in un coerente e concreto impegno antifascista.

Le sue riflessioni derivano dai temi e dai dibattiti maturati nell'ambiente culturale di quegli intellettuali, Emilio Lussu, Carlo Rosselli, Pietro Nenni, Giovanni e Giorgio Amendola che in Francia si riunivano attorno alla libreria del padre Silvio, a Tolosa.
Il diario viene scritto fra il 22 settembre e il 15 novembre del '43, durante una fase di semiclandestinità prima, e, dal 13 ottobre, di vera e propria clandestinità del giovane Trentin e di suo padre.

La narrazione inizia con l'8 settembre, e stupisce la lucidità con cui il ragazzo sa cogliere la drammatica precarietà del momento di esultanza popolare in atto, quel momento in cui l'armistizio viene confuso con la pace, in cui gli Italiani sperano di tornare alla libertà e ad una vita normale, non più segnata da dolore e distruzioni.
In realtà, come ben sappiamo, una nuova e atroce guerra civile si apriva con l'armistizio.
E proprio a quella guerra, come comandante di una brigata partigiana di "Giustizia e Libertà", nei mesi successivi Trentin darà il suo contributo attivo, preparato e, in qualche modo, sostenuto dalle riflessioni delle pagine di questo diario.

Pagine scritte sull'onda di una rivolta giovanile, ma che sanno restituirci il rigore morale e lo spessore di un uomo che dell'impegno civile ha saputo poi fare la costante della sua esistenza al servizio della classe lavoratrice.
Ultimati gli studi giuridici in Italia e negli Stati Uniti, l'impegno di Trentin a difesa dei lavoratori sfocerà sia nella sua attività politica (di consigliere comunale a Roma prima, di deputato, dal '63 al '68 e, infine, di parlamentare europeo dal '99 al 2004) sia, soprattutto, in quella sindacale, durata una vita intera, prima come vice segretario della CGIL nel '58, poi come segretario generale della FIOM e della FiLM, e, ancora, come segretario confederale della CGIL, dall'88 al '94.

Ed è proprio negli anni delle rivendicazioni sindacali, gli anni duri delle lotte operaie, dello statuto dei lavoratori, dell'autunno caldo e delle prime ristrutturazioni industriali, che Trentin saprà conquistare sul campo, da un lato, il rispetto dei lavoratori, tutelando gli interessi soprattutto delle fasce più deboli e, dall'altro, la stima della controparte industriale.
Uomo capace di difendere i diritti dei lavoratori e, al tempo stesso, di palesare avversione contro la politica degli aumenti salariali indiscriminati falsamente egualitari, e favorevole al riconoscimento delle diverse professionalità nei luoghi di lavoro. Sono questi gli anni in cui Trentin guadagna quella fama di "sindacalista intellettuale", capace di unire al pragmatismo, anche spregiudicato, capacità analitiche e di approfondimento fuori dal comune, con riguardo alle complesse tematiche sindacali.

Trentin ebbe il merito indiscusso di saper mantenere intatto il nucleo vivo della propria onestà intellettuale, rivelandosi capace di restare coerente con sè stesso anche nella propria costante apertura al cambiamento, con una vivacità e curiosità che non si esauriranno nemmeno oggi.
Di qui la sua ammirevole capacità di autocritica, di revisione del ruolo del sindacato di fronte alle sfide della globalizzazione; un sindacato che un Trentin settantunenne, come dichiara in un'intervista, avrebbe voluto capace di rappresentare non più delle masse, ma delle persone, capace di esprimere i bisogni dei lavoratori nella nuova economia della conoscenza, per valorizzare la mobilità indotta dalle nuove tecnologie e governare il processo della globalizzazione nella direzione più utile per i lavoratori, senza arroccarsi in inutili battaglie di resistenza, o, peggio, di retroguardia.

Una lezione, la sua, capace di coniugare difesa dei lavoratori e sviluppo del Paese, fondamentale per tutti proprio in queste ore.
Il lavoro diventa pertanto lo strumento per esprimere il grande bisogno di libertà dei cittadini; e proprio questa "fierezza di realizzazione di sé nel lavoro" di cui parla l'umanista e sindacalista non può non ricondurci ad alcune cronache drammatiche degli ultimi mesi.
Non mi stancherò mai, infatti, di esprimere il mio sgomento per i tanti, troppi episodi di incidenti sul lavoro e di quelle morti, le cosiddette "morti bianche".

Occorre oggi più che mai recuperare il senso costituzionale del lavoro, il suo ruolo fondante, di base del nostro patto costituente, il suo valore insostituibile come strumento di crescita dell'individuo e di promozione di condizioni di giustizia ed uguaglianza sostanziale.
La sicurezza sul lavoro è un valore essenziale, la cui tutela deve risultare ferma e capillare, e non solo oggetto di drammatici titoli sui giornali.

Il Parlamento ha fatto la sua parte adottando i provvedimenti necessari. Ora sta alle imprese attuarli e agli organi di controllo e ispezione verificarne l'attuazione.
Guai a dimenticare queste dinamiche di controllo. In questo ambito si gioca la credibilità di una democrazia matura e garantista, la concretezza della presenza dello Stato, la serietà dei rapporti di lavoro.
Guai, soprattutto, a dimenticare le famiglie, a sottovalutare il problema centrale delle misure necessarie per fare in modo che i familiari, gli eredi delle vittime, ed in particolare i figli, possano avere un futuro così come sarebbe stato loro assicurato se il loro genitore fosse rimasto in vita.

Ancora molto deve essere fatto per elevare il lavoro a quella altissima dignità individuale e collettiva che la nostra Costituzione ci chiede, ed è proseguendo nell'opera di analisi, di studio e di azione intrapresa da uomini come Trentin che questo ambizioso traguardo può essere centrato.



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