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Il Presidente: Discorsi

Commemorazione di Emilio Sereni

Discorso pronunciato nella Sala Capitolare del Palazzo della Minerva in occasione della cerimonia di commemorazione di Emilio Sereni (1907 - 1977)

Signor Presidente della Repubblica,
Autorità,
Signore e Signori
ricordare oggi di Emilio Sereni, specie di fronte a chi ebbe la fortuna di conoscerlo, non è certo impresa facile.
Ma, consentitemi di dire che è senza dubbio un grande onore, così come è un grande onore ospitare in Senato - dove Emilio Sereni lavorò per lungo tempo sin dalla prima Legislatura - il Convegno che ne celebra i cento anni dalla nascita e i trenta dalla scomparsa.

Quella di Sereni è una figura politica e culturale complessa.
Il mio sarà solo un breve intervento nel quale sottolineare due aspetti fondamentali della sua figura: il suo impegno politico e quello intellettuale.
Innovatore di primo piano negli studi, specie in quelli di economia agraria, egli fu, al contempo, ortodosso sul piano del pensiero politico.
"Sin da giovane è coltissimo in un'infinità di campi ed è disposto a sacrificare tutta la propria vita in un ideale che sembra irraggiungibile" così lo descrive Carlo Rosselli nel 1924.

La figlia Clara, nell'intensissima biografia familiare, lo ritrae giovane studioso di agraria alla scuola di Portici che "avverte il bisogno di un obiettivo assoluto, totale".
Per questo ardore profondo per l'assoluto, per la verità unica, Sereni ha affrontato nella vita scelte molto difficili, rinunce affettive, isolamento e solitudine.
Già nella fase della sua formazione, Sereni concentrò il suo grande entusiasmo negli studi di agraria a stretto contatto con i contadini nelle zone del napoletano.
Militante fin dal 1928 nelle file del Partito comunista, a Napoli conobbe e frequentò Giorgio Amendola e Manlio Rossi-Doria con i quali condivise la lotta antifascita.

A seguito della condanna nel 1930, durante la reclusione conobbe personalità fondamentali dell'antifascismo politico come Altiero Spinelli, Pietro Secchia e Umberto Terracini.
Dopo il 25 aprile 1945 poté dedicarsi alla vita politica alla luce del sole, con l'intensa passione che lo caratterizzò per i successivi anni della sua vita.
Con uno spirito autonomo, e, al tempo stesso, politicamente organico al Partito comunista, Sereni faceva della necessità di praticare una " ricerca tenace di soluzioni unitarie ai problemi che oggi si impongono al nostro Paese" la sua bandiera:
"io trovo in tutte le parti politiche - diceva Sereni - dei compagni, degli amici, dei fratelli, coi quali nelle ore più dure e più belle della nostra vita abbiamo imparato a ricercare delle soluzioni comuni a problemi comuni a tutto il popolo italiano".

Erano anni certamente difficili e duri, animati da forti contrasti ideologici, come da profonde contrapposizioni di interessi.
Nonostante in quegli anni la politica estera costituisse un aspro terreno di scontro, Sereni seppe riconoscere, in un primo tempo, ad Alcide De Gasperi la correttezza delle posizioni del Governo da lui presieduto.
Egli esortava a riprendere "la tradizione democratica italiana, di cui si servivano Mazzini e Cavour.., che pure nella diversità del loro respiro democratico avevano questo in comune: che fondavano una politica basata su ideali nazionali democratici profondamente sentiti".
Nel marzo 1946, intervenendo alla Consulta, ribadì la concezione di democrazia sua e del Partito che rappresentava:
"Per noi comunisti si tratta di educare il popolo italiano e convincerlo della necessità della Repubblica democratica italiana, dalla quale noi non vogliamo esclusa nessuna forza sociale".

L'unità del Paese e i problemi del Mezzogiorno, furono temi centrali della battaglia politica di Sereni.
La sua visione politica lo portava a collocare, modernamente, gli interessi del Mezzogiorno al centro degli interessi del Paese, e a pensare che fosse necessaria una profonda azione di maturazione politica e democratica del Sud, capace di portare "il Mezzogiorno all'opposizione" di quelle politiche governative che Sereni considerava sbagliate.
Fu Senatore nelle prime tre Legislature e poi Deputato.

Nonostante la sua intensa polemica nei confronti della classe di Governo, in particolare contro la Democrazia cristiana che ne era la principale componente, non mancarono momenti in cui il bene supremo della Nazione spinse Sereni su posizioni più concilianti, con appelli rivolti a tutte le Forze politiche autenticamente democratiche.

Nella seduta del 27 aprile 1956 Sereni, parlando di una "convergenza dottrinale" tra la sua parte politica e la Democrazia cristiana, dichiarò: "I grandi maestri del pensiero marxista italiano, come i maestri del pensiero democratico cristiano, sono stati concordi, fin dagli anni precedenti alla prima guerra mondiale, nel riconoscere che un effettivo progresso agrario, industriale e civile del nostro Paese non può essere realizzato se non si eliminano, sia pure in forme per le quali le proposte sono diverse da parte a parte, certe situazioni di monopolio nel campo della proprietà terriera".

Un secondo punto di convergenza risiedeva poi nella convinzione che, per la realizzazione della riforma agraria, sarebbe stato necessario:
"un incremento, uno sviluppo nel nostro Paese della piccola proprietà terriera".
La convergenza di vedute evidenziata da Sereni su aspetti non irrilevanti della struttura produttiva dell'Italia - un Paese che all'inizio degli anni Cinquanta era ancora essenzialmente agricolo - rappresenta uno dei tratti davvero salienti della sua modernità politica, della sua lungimiranza, della sua capacità di militanza matura e profondamente democratica.

Emilio Sereni fu soprattutto un grande studioso, un uomo di cultura profonda, autore di fondamentali opere scientifiche.
Pur nella brevità di questo mio intervento introduttivo non posso non sottolineare come la sua "Storia del paesaggio agrario italiano" rimanga un'opera basilare, non solo per gli esperti del settore, ma per quanti si avvicinano a comprendere lo spessore della nostra cultura e della nostra civiltà.
Credo che la figura di Emilio Sereni dovrebbe essere riproposta e studiata come quella di uno dei Padri della nostra Repubblica.

L'insegnamento di Sereni è, perciò, un richiamo per tutti ad una responsabilità più alta, ad una politica che non rinunci alle sue peculiarità, ma che, al tempo stesso, sappia operare per la concreta riforma del Paese.
Così facendo arricchiremmo davvero, senza retorica, la linfa delle nostre radici repubblicane e la nostra originale traiettoria democratica.

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