584º SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO
VENERDÍ 26 MARZO 1999
(Pomeridiana)
Presidenza del presidente MANCINO
RESOCONTO SOMMARIO
Presidenza del presidente MANCINO
La seduta inizia alle ore 19,12.
Il Senato approva il processo verbale della seduta pomeridiana di
ieri.
Nella fase precedente l'inevitabile intervento armato l'Italia ha
svolto, d'intesa con i partners
europei, un'azione diplomatica intensa e continuata per affermare il
principio dell'autonomia del Kosovo e la presenza di un'indispensabile forza
di interposizione sul territorio. Le tre risoluzioni del Consiglio di
sicurezza dell'ONU, nel 1998, indicano chiaramente la condivisione di un
percorso al termine del quale va collocato l'intervento della NATO, avvenuto
senza mandato specifico delle Nazioni Unite a causa della sostanziale
paralisi del Consiglio di sicurezza. Al fallimento del negoziato di
Rambouillet, dovuto alla totale indisponibilità del presidente
Milosevic, si é aggiunta l'aperta violazione degli accordi
sottoscritti in precedenza dal Governo serbo, che ha avviato una repressione
talmente brutale da provocare una catastrofe umanitaria.
Le recenti esperienze dei conflitti sviluppatisi nell'area dei
Balcani stanno a dimostrare come sarebbe stato sbagliato seguire la strada
dell'attesa indefinita di una soluzione diplomatica. Tuttavia l'azione
militare, volta a spingere il Governo di Belgrado ad accettare il negoziato,
non é sostitutiva dell'azione diplomatica, che non deve mai
interrompersi e che deve riconoscere alla Russia un ruolo costruttivo ed
imprescindibile per la ricerca della pace in tutta l'area. In tal senso,
occorrerà sfruttare l'interruzione delle operazioni militari al
termine della cosiddetta "fase 1" per un'immediata ripresa dell'iniziativa
politica del Gruppo di contatto. Il contributo dell'Italia sarà volto
proprio a riaprire il tavolo delle trattative e del confronto, senza venire
meno ai doveri di lealtà verso gli alleati internazionali, ma anche
senza rinunciare al proprio punto di vista e a una discussione alla pari con
gli alleati.
Occorre naturalmente che il Governo di Belgrado interrompa ogni
attività militare nel Kosovo e torni a considerare la
necessità di firmare gli accordi di Rambouillet. Nello stesso tempo
bisognerà varare un piano umanitario su larga scala che garantisca
rifugio e sicurezza ai profughi nei paesi confinanti. É necessario
peró prepararsi a fronteggiare un'emergenza profughi cui il Ministero
dell'interno ha fornito una prima risposta elaborando un piano urgente di
accoglienza e rafforzando il controllo della costa adriatica; in tale ottica
il Consiglio dei ministri ha oggi dichiarato lo stato di emergenza su tutto
il territorio nazionale. É importante infine riconoscere il senso del
dovere e l'alta professionalità dei militari italiani nelle azioni di
difesa integrata del territorio nazionale, cosí come é
doveroso confermare all'opinione pubblica interna, comprensibilmente
preoccupata, che non vi é alcun pericolo per la sicurezza nazionale,
per i centri abitati e per i cittadini.
La vicenda del Kosovo rappresenta un nuovo monito all'Europa, che
dovrà dotarsi al piú presto di una politica estera comune, di
un unico modello di difesa, di un piano complessivo di ricostruzione e di
sviluppo per la pacificazione dei Balcani. L'Italia ha una grande e
crescente responsabilità in Europa, come dimostrano gli esiti del
recente vertice di Berlino, e soprattutto é consapevole
dell'impossibilità di porsi al di fuori delle tradizionali alleanze
se intende svolgere un ruolo da protagonista nella ricerca della pace
anzichè limitarsi a trovare un facile modo per rassicurare le
coscienze. (Vivi e prolungati applausi dai Gruppi DS, Verdi, RI-LI-PE,
PPI, UDR, Misto-SDI, Misto-DU e Misto).
Dà comunicazione delle mozioni e degli ordini del giorno
presentati (v. Allegato A) , sui quali invita il Presidente del
Consiglio a pronunciarsi.
L'Italia in questo momento sta facendo per intero il proprio dovere
con missioni che, pur non implicando l'uso delle armi, comportano gli stessi
rischi corsi dagli alleati ed é certamente molto piú esposta.
(Applausi dai Gruppi DS, PPI, Verdi, RI-LI-PE, UDR, Misto, Misto-SDI,
Misto-DU) . Del resto, l'Italia é il quarto paese per numero di
militari impegnati in missioni internazionali di pace. (Applausi dai
Gruppi DS, PPI, Verdi, RI-LI-PE, UDR, Misto, Misto-SDI, Misto-DU) .
L'impegno per un ritorno alle trattative non é affatto
contraddittorio: l'Italia, pur rispettando tutti gli obblighi imposti
dall'Alleanza, é uno Stato sovrano che non rinuncia a far valere la
propria posizione, anche per poter contare nell'azione tesa a contribuire
alla pace. Non é scandaloso che l'Italia, dall'interno dell'Alleanza,
ponga un accento particolare sulla necessità di tornare al tavolo
negoziale (Commenti dal Gruppo AN)
poichè ció corrisponde alla propensione ed alle aspettative
della grande maggioranza degli italiani. (Vivi applausi dai Gruppi DS,
PPI, Verdi, RI-LI-PE, UDR, Misto-Com., Misto, Misto-SDI, Misto-DU) .
Esprime quindi parere favorevole sulle mozioni 1-00378 e 1-00379 e
parere contrario sulle mozioni 1-00376 e 1-00377. Non accoglie l'ordine del
giorno n. 1; si rimette all'Aula sul dispositivo dell'ordine del giorno n. 2
e sull'ordine del giorno n. 4; accoglie come raccomandazione l'ordine del
giorno n. 3.
Il Senato approva le mozioni 1-00378 e 1-00379 e respinge le mozioni
1-00376 e 1-00377. (Commenti del senatore Gasperini).
Il Senato respinge quindi gli ordini del giorno nn. 1, 2 e 4.
Comunica inoltre di aver invitato le Commissioni esteri e difesa del
Senato a tenersi in contatto costante col Governo, congiuntamente con le
omologhe Commissioni della Camera, anche nel periodo di sospensione dei
lavori parlamentari, in relazione all'evolversi della situazione di crisi
nell'area dei Balcani.
La seduta termina alle ore 23,47 .
N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Centro
Cristiano Democratico: CCD; Unione Democratica per la Repubblica: UDR; Forza
Italia: FI; Lega Nord-Per la Padania indipendente: LNPI; Partito Popolare
Italiano: PPI; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS; Verdi-l'Ulivo: Verdi;
Rinnovamento Italiano, Liberaldemocratici,Indipendenti-Popolari per
l'Europa: RI-LI-PE; Misto: Misto; Misto-Comunista: Misto-Com.;
Misto-Rifondazione Comunista Progressisti: Misto-RCP; Misto-Liga Veneta
Repubblica: Misto-LVR; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI;
Misto-I democratici-L'Ulivo: Misto-DU; Misto-Lega delle Regioni: Misto-LR;
Misto-Il Centro-Unione Popolare Democratica: Misto-UPD.
RESOCONTO STENOGRAFICO
Presidenza del presidente MANCINO
Si dia lettura del processo verbale.
Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Lauricella e
Turini, per attività dell'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa; Migone e Terracini, per attività dell'Assemblea
dell'Atlantico del Nord; Cirami, De Luca Athos, Marchetti, Milio, Salvato,
Salvi e Scopelliti, per attività del Comitato informale per
l'abolizione della pena di morte; Falomi, per partecipare alla Conferenza
europea in materia di nuove tecnologie dell'informazione; Bernasconi e
Maggiore, per attività della Commissione parlamentare per l'infanzia.
Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal
preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento.
Approvazione delle mozioni nn. 378 e 379 Reiezione delle mozioni nn. 376 e
377 e degli ordini del giorno nn. 1, 2 e 4
Ha facoltà di parlare il presidente del Consiglio dei
ministri, onorevole D'Alema.
Ci troviamo ad un passaggio particolarmente difficile; le
implicazioni e i pericoli sono sotto i nostri occhi. D'altra parte, teatro
di questo drammatico conflitto é una regione d'Europa alla quale ci
unisce un legame profondo e nella quale, in anni recenti e ancora oggi,
l'Italia ha svolto e svolge un ruolo importante.
Siamo, dunque, in una condizione che impone a tutti, maggioranza e
opposizione, un senso di responsabilità e un equilibrio necessari ad
affrontare, pur nella differenza delle posizioni, un quadro politico e
un'emergenza militare di estrema gravità. Considero questa una
premessa fondamentale.
Cosí come alla Camera dei deputati, voglio sottolineare anche
qui che mi interessa esporre una linea di condotta che ritengo giusta,
legittima e doverosa sul piano politico e morale. Il destino del Governo si
vedrà dopo; l'Esecutivo in questo momento ha una
responsabilità e un compito: assicurare la guida del paese, garantire
il rispetto delle alleanze e degli obblighi che derivano da queste ultime e
rassicurare i cittadini.
La linea alla quale ci siamo legati, quella che abbiamo adottato
insieme agli alleati della NATO, vuole in primo luogo difendere i diritti
umani e civili delle popolazioni albanesi del Kosovo e, nello stesso tempo,
vuole riaprire il dialogo e la trattativa tra le parti in conflitto.
Vi sono molti che hanno scorto nell'azione militare della NATO il
pericolo che essa possa determinare un effetto opposto e dunque un ina
sprimento della guerra, e che anzi hanno visto nell'azione della NATO la
guerra. É un giudizio che non condivido, ma capisco questa
preoccupazione ed anche ad essa credo che il Governo debba dare una
risposta.
Ritengo che, in un momento come questo, preoccupazioni e
consapevolezze attraversino gli schieramenti e, cosí come si é
manifestato nel pur vivo dibattito svoltosi alla Camera dei deputati, vi
sono valori comuni e giudizi che al di là delle diverse valutazioni
sull'inevitabilità o meno dell'azione militare accomunano le forze
politiche, perchè sono comuni alla stragrande maggioranza dei
cittadini italiani.
Comune é la ripulsa nei confronti della violenza etnica
esercitata dal Governo di Belgrado contro le popolazioni albanesi del
Kosovo; comune é la consapevolezza che di fronte a questa violenza
bisognava agire; comune é la ripulsa di un regime che ha caratteri
oppressivi, che si rivolge contro la libertà dell'informazione, che
minaccia; comune é la volontà di giungere ad un esito
pacifico, ad un negoziato, ad una soluzione concordata di questa drammatica
crisi.
Ció non toglie che nel Parlamento e nel paese ci si
interroghi su un punto cruciale: esistevano alternative all'intervento
armato? Nel momento in cui il mediatore Richard Holbrooke ha lasciato
Belgrado, era possibile scegliere una via diversa? La mia convinzione
é che non vi fossero alternative percorribili. Prima della decisione
di attaccare obiettivi e postazioni militari serbi era stata sviluppata
un'azione diplomatica intensa e continuata, che ha puntato a tutelare le
popolazioni albanesi del Kosovo, nel pieno rispetto dell'unità e
dell'integrità territoriale della Repubblica serba.
Io ricordo a tutti noi che la crisi fu sul punto di precipitare nel
settembre-ottobre del 1998, al punto che risale a quella data la decisione
della NATO di conferire l' act order , l'ordine di attivazione
delle forze militari della NATO, decisione alla quale il Governo italiano
aderí con una deliberazione del 12 ottobre 1998. Eppure, in quel
momento, nel momento in cui sembravano precipitare le cose verso uno scontro
armato, si tentó ancora la via dell'iniziativa politica e del
negoziato. É stata l'Europa protagonista di questo negoziato: la
Conferenza di Rambouillet, condotta insieme agli Stati Uniti e alla Russia,
per proporre una soluzione diplomatica nella garanzia dell'integrità
territoriale della Repubblica jugoslava, sulla base del principio
dell'autonomia del Kosovo e sulla base della richiesta, a mio giudizio
indispensabile, che una forza militare di interposizione garantisse la pace
in una regione nella quale oramai aspramente si combatteva e molti erano
già vittime della guerra.
É giusto ricordare che, in nessun momento, l'Europa ha
mostrato indulgenza o sostegno nei confronti delle attività
terroristiche e di guerriglia dell'UCK, ma é anche vero che tali
attività non potevano giustificare e non giustificano una reazione
che ha portato ad una repressione su vasta scala, all'uccisione ormai di
almeno 2.000 civili, ai bombardamenti di villaggi, all'attacco a
comunità.
La crisi, dunque, ha un'origine e radici chiare. Fin dal marzo del
1998 il Consiglio di sicurezza dell'ONU, con la risoluzione n. 1160, aveva
sollecitato le autorità di Belgrado ad avviare un negoziato in vista
di una soluzione politica per il problema del Kosovo. Nel settembre dello
stesso anno, la risoluzione n. 1199, oltre che a rinnovare l'appello per
l'immediato cessate il fuoco, sottolineava come la situazione in quella
regione rappresentasse una minaccia alla pace e alla sicurezza
internazionale, citando esplicitamente l'articolo 7 della Carta delle
Nazioni Unite che, come é noto, fa riferimento al possibile ricorso
alla forza militare. Un mese dopo, una terza risoluzione, la n. 1203,
autorizzava la NATO a svolgere ricognizione aeree e all'uso della forza,
quanto meno per proteggere o evacuare gli osservatori internazionali della
missione dell'OSCE. Lo spirito di quelle risoluzioni, dunque, muoveva
chiaramente nella direzione di porre freno al conflitto e di bloccare la
persecuzione sistematica della popolazione albanese del Kosovo.
É legittimo sostenere - alla Camera su questo ci sono state
diverse opinioni - che, sul piano strettamente giuridico, l'intervento della
NATO avviene senza un mandato specifico delle Nazioni Unite. Al contempo,
é impossibile negare che ció dipende da una sostanziale
paralisi del Consiglio di sicurezza, bloccato nelle sue deliberazioni dai
reciproci veti dei suoi membri. Le stesse parole con cui il segretario
generale dell'ONU, Kofi Annan, riferendosi all'iniziativa militare della
NATO, ha riconosciuto la legittimità all'uso della forza in
determinate circostanze sono una conferma di questa condizione oggettiva di
difficoltà. D'altro canto, il Consiglio di sicurezza, proprio oggi
pomeriggio, ha respinto, a larghissima maggioranza, la proposta di una
risoluzione russa per la cessazione dei bombardamenti.
Nell'autunno scorso, da parte sua, la NATO aveva già
minacciato l'uso della forza militare di fronte all'inizio della vasta
offensiva condotta dall'esercito di Belgrado contro le popolazioni albanesi
del Kosovo. Lo sviluppo successivo degli avvenimenti ha reso purtroppo la
situazione ancora piú drammatica. Sono note le vicende che hanno
portato al fallimento del negoziato di Rambouillet al manifestarsi della
totale indisponibilità del presidente Milosevic a sottoscrivere un
accordo che avrebbe consentito di pacificare il Kosovo; un accordo rispetto
al quale, almeno nella sua parte politica e nei principi generali, era parso
esservi in una prima fase una disponibilità da parte del Governo di
Belgrado. Al rifiuto di firmare l'accordo si é aggiunta l'aperta
violazione degli accordi sottoscritti in precedenza; si é avviata una
nuova offensiva verso una popolazione già stremata, provocando la
fuga disperata di decine di migliaia di civili, privi di qualsiasi
protezione ed esposti ad una repressione brutale.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha reso note le dimensioni
di questa tragedia: 250.000 persone senza casa; di queste 65.000 soltanto
nell'ultimo mese e ben 25.000 dopo l'interruzione della trattativa di
Parigi. Ad oggi, piú di un quinto dell'intera popolazione del Kosovo,
440.000 persone, risulta in fuga o rifugiata altrove. Sono le cifre di una
catastrofe umanitaria, senza alcun dubbio, e manifestano la volontà,
da parte del Governo di Belgrado, di risolvere il problema della minoranza
albanese nel Kosovo semplicemente cacciando, almeno una parte di questa
comunità, dalle sue case e dalla sua terra.
Subire in silenzio l'aperta violazione, da parte del regime serbo,
degli accordi firmati, unitamente alla repressione, all'uccisione di civili
inermi avrebbe voluto dire abdicare alla possibilità di proteggere
queste popolazioni con conseguenze e costi incalcolabili. Si tratta
naturalmente di un interrogativo legittimo; interrogativo che ha anche uno
spessore morale che a me non sfugge. Che cosa fare di fronte ad una tragedia
di questa portata? Agire; opporre la forza alla forza con tutti i rischi che
ció comporta o assistere e continuare a sperare che l'iniziativa
politica e diplomatica possa risolvere il problema. É un
interrogativo che in questi anni si é riproposto, in altri momenti,
in modo drammatico: l'Europa é stata accusata, forse non
ingiustamente, di impotenza, di fronte alle tragedie che si consumavano nei
Balcani, a poca distanza da qui, sull'altra sponda dell'Adriatico.
A chi avverte con angoscia oggi il peso del conflitto, a chi dice
che bisogna opporsi alla guerra si deve purtroppo ricordare che la guerra,
in quella regione, é cominciata molto tempo fa. É una guerra
che non si é sviluppata soltanto del Kosovo; é una guerra che
ha conosciuto la pulizia etnica, lo stupro etnico, il massacro delle
popolazioni civili, centinaia di migliaia di morti, anche in altre regioni
dei Balcani. Di fronte a quella guerra, per molto tempo, siamo rimasti a
guardare e quando alla fine siamo stati costretti ad intervenire dalla forza
delle cose, dalla pressione dell'opinione pubblica, fu l'azione militare ad
aprire la strada all'accordo di Dayton che ha dato una soluzione, per quanto
precaria e problematica, ad un conflitto che aveva insanguinato, in modo
orribile, il cuore dell'Europa.
Credo che siano queste ragioni ed anche questa esperienza ad avere
spinto la NATO, l'Europa e l'America a decidere che, di fronte alla tragedia
del Kosovo, bisognava agire; bisognava innanzitutto agire per bloccare una
drammatica crisi umanitaria; bisognava agire per vincere la protervia di chi
si oppone al negoziato e alla pace. L'azione militare va mantenuta
rigorosamente entro questi parametri. L'azione della NATO, la nostra
politica non sono volti contro la popolazione jugoslava o serba, non sono
volti contro la Repubblica federale jugoslava o la Serbia, non sono volti a
rovesciare il Governo di Slobodan Milosevic, che pure certamente non credo
piaccia all'opinione pubblica democratica del nostro paese e dell'Europa.
La nostra azione é volta a bloccare l'offensiva, a limitare
il potenziale militare distruttivo di un esercito che si rivolge contro la
popolazione albanese del Kosovo; é volta a spingere il Governo di
Belgrado ad accettare il negoziato e la pace.
Naturalmente, la forza puó fermare la forza ma non puó
costruire la pace e l'azione militare non é sostitutiva, nè in
quanto metodo, nè in condizioni di assoluta eccezionalità,
dell'azione diplomatica.
Senza un accordo politico tra le parti e garantito dalla presenza
internazionale sul terreno, difficilmente potrà esservi una
pacificazione di quella regione.
Anche per questo, il tavolo negoziale deve rimanere aperto, anche in
un momento cosí drammatico. E questo atteggiamento é la
garanzia migliore perchè l'iniziativa militare di oggi rappresenti un
passaggio grave ma necessario di un processo politico, un processo che
dovrà ripartire dai princípi affermati a Rambouillet:
l'autonomia del Kosovo nel quadro della integrità della Federazione
jugoslava, il pieno ristabilimento dei diritti umani e civili,
l'eliminazione di ogni minaccia alla pace e alla stabilità della
regione.
A questa strategia riferiremo ogni successivo sviluppo
dell'iniziativa della NATO, a partire dalla sua concentrazione su obiettivi
di rilevanza militare, anche al fine di limitare al massimo il rischio, da
noi avvertito con la massima angoscia, di un coinvolgimento della
popolazione civile.
Siamo perfettamente consapevoli della necessità di
commisurare mezzi e fini e intendiamo valutare, sotto questo profilo,
l'efficacia dei risultati dell'azione militare in corso. Ció
significa che, evitando qualsiasi automatismo, intendiamo mantenere il
controllo politico delle varie fasi di tale azione.
Anche in rapporto a questa finalità, abbiamo sviluppato nel
Consiglio europeo un impegno comune per garantire una gestione equilibrata
delle conseguenze internazionali della crisi in atto. In particolare, siamo
convinti che la Russia debba rappresentare un fattore imprescindibile per le
prospettive di pace, sicurezza e stabilità dell'Europa, di oggi e del
futuro. Sarebbe dunque molto preoccupante una crisi duratura nei rapporti
fra quel paese, l'Europa e la NATO.
Al contrario, é essenziale che proprio la Russia riesca a
svolgere nei Balcani, e soprattutto nei confronti di Belgrado, un ruolo
costruttivo, cosí da facilitare la ripresa piú rapida delle
trattative.
Io voglio ricordare che, prima delle decisioni di carattere militare
il ministro degli esteri del nostro paese, il presidente Dini, si é
recato a Mosca e abbiamo agito perchè dal Governo russo fosse
esercitata una pressione su Belgrado; l'ho fatto io stesso, prima ancora,
incontrando il primo ministro Primakov.
Bisogna dire, purtroppo, che neppure l'opinione di Mosca é
riuscita a smuovere l'intransigenza del presidente Milosevic.
La presa di posizione del presidente Eltsin, pure animata da un duro
spirito critico verso l'iniziativa della NATO, ci appare tesa a non
interrompere gli sforzi verso una composizione politica e rappresenta quindi
un segnale positivo, cosí come é incoraggiante che il Ministro
degli esteri russo abbia inteso farsi promotore di una possibile riunione
del Gruppo di contatto. Sono espressioni della volontà della Russia,
anche in queste giornate drammatiche, di non volere interrompere un rapporto
diretto con l'Europa e con l'Occidente.
Dunque, un'assunzione di responsabilità che apprezziamo e
che, per parte nostra, incoraggeremo, nella convinzione che ció possa
contribuire ad una riapertura del dialogo, ad un allentamento della
tensione.
Il nostro obiettivo é che si possa sfruttare la prima
interruzione delle operazioni militari, prevista all'indomani del
completamento della cosiddetta "fase 1", per proporre una ripresa
dell'iniziativa politica del gruppo di contatto al piú alto livello
possibile, finalizzata a rilanciare le possibilità di attuazione del
piano di pace.
In questo senso ho affermato nella giornata di ieri che vedo
avvicinarsi il momento in cui sarà necessario tornare all'iniziativa
politica. É un concetto che ribadisco anche in questa sede. Esso non
ha nulla a che vedere con l'idea di uno strappo alle nostre
responsabilità o con il venire meno di un atteggiamento di
solidarietà verso i nostri alleati.
Noi ci siamo assunti tutte le responsabilità che dovevamo
assumere, pur essendo un paese esposto in modo particolare alle conseguenze
di questa crisi. Lo abbiamo fatto con la massima lealtà,
perchè ritenevamo tale scelta giusta sul piano di principio e anche
perchè sappiamo che al di fuori delle alleanze internazionali, di cui
l'Italia fa parte, il nostro paese conterebbe di meno e sarebbe meno sicuro.
Ma proprio la responsabilità assunta ci dà il diritto di
sollecitare i nostri alleati ad un confronto in grado di condurre le azioni
militari in corso verso una ripresa del dialogo. Ció corrisponde alle
necessità del nostro paese, alle attese di una larga maggioranza
dell'opinione pubblica.
Da parte nostra intendiamo promuovere tali sforzi con chiarezza e
senza alcuna furbizia. Riteniamo giusto agire cosí, perchè
siamo convinti che una leale adesione all'Alleanza atlantica di cui facciamo
parte non implica la rinuncia al nostro punto di vista, ad una nostra
iniziativa su questioni delicate, nè ad una discussione alla pari con
i nostri alleati.
Non concepiamo, dunque, un tempo delle armi separato dal tempo della
politica. Consideriamo invece decisivo che da subito venga realizzato ogni
sforzo per riaprire, nelle condizioni mutate, il tavolo della trattativa.
É questo del resto l'impegno a cui ci siamo dedicati nel corso di
queste ore.
Sono evidenti le difficoltà del momento, ma non é
intenzione del Governo rinviare il tentativo di una ripresa del confronto, a
partire dalla possibilità di convocare in tempi rapidi una nuova
riunione del gruppo di contatto.
C'é un contributo che l'Italia puó dare a questo
obiettivo fondamentale, che deriva dalla nostra collocazione al centro del
Mediterraneo, dal ruolo politico e dal rispetto verso il nostro paese, dalla
conoscenza profonda delle forze, delle culture, delle diverse
identità che si misurano in questo conflitto. Anche per questo credo
che il Governo italiano abbia fatto bene a non interrompere le relazioni
diplomatiche con Belgrado e a mantenere in quella città il nostro
ambasciatore, pur in un momento cosí drammatico.
Per avviare questo processo naturalmente occorre che il Governo di
Belgrado interrompa ogni attività militare nei confronti delle
popolazioni del Kosovo e torni a considerare la necessità della firma
degli accordi di Rambouillet sotto la garanzia del vertice del gruppo di
contatto. Allo stesso tempo invitiamo i rappresentanti albanesi del Kosovo a
non discostarsi dalla scelta già maturata di sottoscrivere gli
accordi precedentemente raggiunti.
Lo spazio della politica, dunque, non é chiuso; anzi, bisogna
compiere ogni sforzo per allargare lo stretto sentiero del confronto e della
diplomazia. Questo é l'imperativo che ispirerà l'iniziativa
del Governo.
Nello stesso tempo, continueremo a lavorare, come abbiamo fatto in
sede NATO e nel corso del Consiglio europeo a Berlino, affinchè sia
varato nell'area un piano umanitario su larga scala, in grado di garantire
rifugio e sicurezza ai profughi nei paesi confinanti, in primo luogo la
Macedonia e l'Albania. É questa la prima condizione per consentire a
quelle popolazioni, nel caso di nuovi auspicabili accordi, un rientro rapido
nelle loro case. Ció ovviamente non esclude la possibilità che
un'ondata di profughi si diriga verso le coste del nostro paese. A
ció bisogna essere preparati e a tale scopo il Ministero dell'interno
ha predisposto un piano urgente di accoglienza ed un rafforzamento del
controllo della costa adriatica al fine di prevenire ogni possibile
incidente; al fine di evitare cioé che queste povere persone, spinte
dalla disperazione ad attraversare il mare per dirigersi verso l'Italia con
mezzi di fortuna, siano esposte a rischi per la loro vita.
La riunione del Consiglio dei ministri di stamattina ha dichiarato
lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per fronteggiare
un'eventuale eccezionale afflusso di nuovi profughi.
Voglio infine confermare dinanzi al Parlamento che il contributo
specifico delle Forze armate italiane (a cui credo debba andare il nostro
ringraziamento per il senso del dovere e lo spirito di alta
professionalità con cui stanno contribuendo a questa fase delicata
della vita del paese e dell'attività dell'Alleanza atlantica)
é limitato alle attività di difesa integrata del territorio
nazionale, come peraltro previsto dalla deliberazione assunta dal Governo
italiano a fine settembre dell'anno scorso e successivamente confermata in
merito all'adesione italiana al cosiddetto Act order , a suo tempo
deliberato dalla NATO.
Signor Presidente, signori senatori, ho ricordato all'inizio il
senso di preoccupazione e di angoscia che provano milioni di nostri
concittadini in queste ore. La temporanea chiusura per esclusivi scopi
operativi degli aeroporti civili di Brindisi, Bari e Trieste, cosí
come il coinvolgimento nelle azioni in corso di basi militari situate sul
nostro territorio determinano inevitabilmente un comprensibile stato di
tensione. Siamo consapevoli dell'impatto anche emotivo di questi eventi
sull'opinione pubblica ed in particolare sulle popolazioni della costa
adriatica, piú vicina ad un conflitto che si consuma a poche
centinaia di chilometri da loro. A quelle popolazioni desidero rivolgermi
nuovamente, in questa sede, confermando che non vi é pericolo alcuno
per la sicurezza nazionale, per i centri abitati, per i cittadini del nostro
paese.
A questa sensibilità si aggiunge la preoccupazione che quanto
sta avvenendo possa condurre ad un progressivo aggravamento della crisi e
che l'uso delle armi possa in definitiva prendere il posto stabilmente della
politica e del negoziato.
Sul punto specifico, credo di avere risposto nel merito. Pure non
intendo rimuovere il dubbio morale che la stessa autorevole voce del Papa ha
levato in proposito. Gli eventi di questi giorni impongono in primo luogo ai
Governi, ma anche a ciascuno di noi, un'assunzione di responsabilità.
L'uso della forza per disarmare un aggressore é legittimo quando non
esistano nell'immediato altre vie di difesa e di reazione. Il punto é
certamente nel fissare le regole e modalità rigorose
nell'applicazione di quel principio. Nessuno, qui e fuori da qui, puó
ritenere di declinarlo a seconda delle convenienze. Ed un principio é
tale se vale sempre, ma é tale se la politica trova la forza per
farlo rispettare.
La vicenda del Kosovo, da questo punto di vista, é un altro
monito all'Europa, che siamo impegnati a costruire: indica la
necessità urgente di attrezzare le istituzioni ed il Governo
dell'Unione sul terreno di una politica estera comune; sollecita la
necessità di una strategia di prevenzione e di iniziativa verso aree
regionali piú esposte ai pericoli di crisi; ripropone il tema di un
modello comune di sicurezza e di difesa. Ci restituisce, insomma, la
questione di fondo: se l'Europa sia in grado di giocare il ruolo di attore
internazionale, capace di svolgere il proprio ruolo autonomo dentro i nuovi
equilibri mondiali del secolo che si sta concludendo.
Abbiamo fatto molti passi in questa direzione, ma altri rimangono da
compiere. In particolare, é decisivo che verso i Balcani l'Unione
europea concepisca come soluzione stabile alle crisi che si sono succedute
nel corso di questi anni un piano complessivo di ricostruzione e sviluppo a
lungo termine, favorendo in tal modo l'evoluzione democratica di quell'area,
il suo progressivo inserimento in Europa.
E questo discorso é volto anche a Belgrado, cui non offriamo
soltanto un trattato di pace e la garanzia dell'integrità
territoriale, ma anche un'iniziativa per rimuovere le sanzioni e per poter
tornare ad essere pienamente una nazione protagonista del futuro
dell'Europa. I Balcani, anche per le implicazioni simboliche che quest'area
ha, sono per l'Europa una sfida decisiva, una sfida sul cammino della
costruzione di una grande Europa politica solida, forte, responsabile,
unita. Non basta la moneta, servono istituzioni, classi dirigenti
consapevoli, strategie e programmi.
Su questa strada l'Europa si é mossa; l'Italia ha una grande
responsabilità e, vorrei dire, una grande e crescente
responsabilità. Usciamo da un lungo e complesso vertice europeo nel
quale, oltre a discutere della crisi del Kosovo, abbiamo designato il nuovo
Presidente della Commissione europea ed abbiamo raggiunto un accordo sul
bilancio della Comunità, che varrà per i prossimi sette anni.
Si tratta di risultati molto importanti e lasciatemi dire che
l'Italia per la prima volta dopo molto tempo esce da un incontro di questo
tipo come uno dei paesi protagonisti, non solo per la nomina di Romano Prodi
a presidente designato dalla Commissione europea, ma anche per il ruolo che
abbiamo svolto nella ricerca di un accordo e, se mi consentite, anche per
aver tutelato - come risulterà quando lunedí la Commissione
elaborerà i dati - gli interessi del nostro paese e avere ottenuto un
sia pure parziale riequilibro finanziario, che era giusto, che abbiamo
chiesto e che abbiamo ottenuto.
Chiudo questa parentesi: non é questa la sede nè il
giorno per parlare di soldi. Tuttavia, anche questo episodio dimostra che il
nostro paese puó, nella Unione europea e nella NATO, far valere il
suo punto di vista nelle alleanze di cui facciamo parte. Fuori da queste
alleanze, fuori da una piena assunzione di responsabilità, anche
dolorosa, quando necessaria, l'Italia conterebbe inevitabilmente di meno. E
la scelta, per chi come noi ama la pace, é se vogliamo essere fra i
protagonisti della vicenda politica internazionale a lavorare per la pace o
se pensiamo che ci si possa mettere l'anima in pace e trarsi in disparte.
Non credo che questa possa essere la scelta di un grande paese come
l'Italia: conosciamo i nostri limiti ma sappiamo anche che, nel momento
stesso in cui ci assumiamo le nostre responsabilità, conquistiamo il
diritto e la forza per far valere la nostra parola e la nostra iniziativa di
pace. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi Democratici di
Sinistra-L'Ulivo, Partito Popolare Italiano, Rinnovamento Italiano,
Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa, Unione Democratica
per la Repubblica (UDR), Verdi-L'Ulivo, Misto e dalle componenti I
Democratici-L'Ulivo e Socialisti Democratici Italiani del Gruppo Misto).
La Conferenza dei Capigruppo, per ovvie ragioni, ha provveduto a
determinare una programmazione dei tempi, pertanto avverto il senatore
Gasperini che il tempo a sua disposizione é di otto minuti.
Per effetto di tale decisione, annunciata al mondo intero dal
Segretario generale della NATO, da piú di due giorni l'Italia si
trova coinvolta in una guerra aperta contro la Federazione iugoslava.
(Brusío in Aula. Molti senatori si apprestano ad uscire
dall'Aula) . Signor Presidente, mi consente di recuperare il tempo in
cui i colleghi escono dall'Aula?
Senatore D'Urso, devo consentire al collega Gasperini di parlare.
Senatore Gasperini, la prego di continuare.
Non si vede infatti come altro definire la campagna di
raid
aerei e missilistici che si sta sviluppando, a partire da basi in massima
parte situate in Italia, contro i sistemi di comando e di controllo, i
radar e le unità militari di un altro Stato sovrano.
In circostanze simili, nel 1991 un Governo presieduto da un suo
predecessore ritenne di subordinare l'inizio della partecipazione italiana
alle operazioni per la liberazione del Kuwait alla preventiva acquisizione
del consenso del Parlamento. Fu un dibattito difficile, che impedí
peró ai "tornado" italiani di prendere parte alle sortite della prima
ora, ma che permise ai militari della Repubblica di giovarsi della
legittimazione di un voto parlamentare e del sostegno del paese.
(Brusío in Aula. Richiami del Presidente) . Anche nel 1997, alla
vigilia dell'invio della forza multinazionale di protezione in Albania, di
cui pure l'Italia esprimeva il comando, si preferí rischiare il voto
del Parlamento.
Signor Presidente, cosa le ha impedito di restare nel solco della
prassi costituzionale affermatasi negli ultimi anni? Il timore forse di
dover confessare al Parlamento e al paese i limiti della sovranità
nazionale italiana? O la preoccupazione di dover negoziare con gli inquieti
partner
che la sostengono a Palazzo Chigi una posizione e una strategia per questa
grave crisi scoppiata nei Balcani?
Certo, si possono invocare gli obblighi che derivano all'Italia
dall'appartenenza all'Alleanza atlantica; ma a quali obblighi veramente ci
impone di far fronte la NATO? Nessun articolo del Trattato di Washington
(Brusío in Aula. Richiami del Presidente)
prevede degli automatismi per l'ipotesi di impiego dell'Alleanza in chiave
offensiva e persino in funzione delle esigenze difensive il Patto,
all'articolo 5, lascia importanti margini alle autonome valutazioni
nazionali.
C'erano, quindi, sia lo spazio che il tempo per parlarne e sarebbe
stato meglio approfittarne piuttosto che rabberciare a tempo scaduto una
tardiva richiesta di ritorno al tavolo dei negoziati che (le parole sono del
"Times" di oggi): "ha provocato costernazione al vertice europeo di Berlino"
e - aggiungiamo noi - ha rinverdito una fama di inaffidabilità di cui
l'Italia non aveva certo bisogno.
Si poteva discutere e anche deliberare una posizione peculiare
italiana sulla falsa riga di quanto hanno fatto altri paesi membri
dell'Alleanza atlantica, come la Grecia, che ha evidentemente una coscienza
diversa... (Diffuso brusío in Aula).
Le argomentazioni non sarebbero comunque mancate. Si sarebbe forse
anche discusso di ció che questa guerra puó significare per il
futuro della sicurezza europea. Adesso siamo fuori tempo massimo; questa
aggressione atlantica alla Jugoslavia sta umiliando la Russia, la sta
mettendo di fronte alla dimostrazione della propria impotenza, le sta
prospettando la realtà incombente e minacciosa di una NATO sul punto
di trasformarsi in un vero e proprio gendarme del mondo, capace di sempre
piú spregiudicate iniziative militari unilaterali. Sta generando
sentimenti e rancori che si sedimenteranno nella coscienza dei dirigenti e
del popolo russo, compromettendo il successo del processo di disarmo in atto
dalla metà degli anni '80.
Nel 1990 ci era stato promesso che l'Occidente non avrebbe ripetuto
l'errore di Versailles; lo ha fatto, invece, in questa settimana e nessuno
sa come si potrà porvi rimedio. Certo, si vogliono salvare gli albane
si kosovari, ma siamo sicuri che i bombardamenti basteranno? É
un'illusione che ogni tanto si riaffaccia; é comodo, in fondo,
pensare che a risolvere le controversie internazionali basti un certo numero
di velivoli e di piloti, ma la realtà della guerra é spesso
piú complicata. Cosa accadrà, infatti, se Milosevic
deciderà di resistere ad oltranza? Fino a quando si continuerà
a bombardare? Indefinitamente, signor Presidente, senza limiti? Raderemo al
suolo quello Stato? Eppure, ad un certo punto si chiederà ai soldati
dell'Alleanza di entrare in territorio jugoslavo, rischiando di impelagare i
nostri giovani in una sorta di Vietnam europeo. L'impressione é che
la NATO sia caduta in una vera e propria trappola.
É per questo, signor Presidente, che la Lega Nord chiede al
Governo di rimeditare la propria posizione, negando alle forze dell'Alleanza
il contributo diretto e indiretto dell'Italia alla prosecuzione delle
operazioni ed esprimendo la propria solidarietà alle popolazioni
coinvolte di etnia serba e kosovara: le vere vittime di questo tragico
esercizio di potenza, che tanto somiglia a quello che negli stessi Balcani
provocó all'inizio del secolo lo scoppio della prima guerra mondiale.
Ma questo Governo ha contribuito altresí a distruggere i
princípi del diritto internazionale, il cui fondamentale paradigma
é il rispetto delle sovranità nazionali.
Signor Presidente, allegato a questo mio scritto e alla nostra
mozione vi é un ordine del giorno su cui prego di riflettere. Si
tratta di un ordine del giorno accessorio alla nostra mozione che noi
sottoponiamo al Governo affinchè predisponga adeguati campi di
accoglienza in Albania, in Macedonia e nel Montenegro, senza aspettare che
un'ondata di profughi disperati, dopo aver sfidato l'Adriatico in
chissà quali condizioni, giunga sulle nostre coste.
Ed é su queste linee direttive di pensiero e su questa
filosofia che noi rassegniamo a quest'Aula la mozione che ho l'onore di
presentare. La ringrazio, signor Presidente. (Applausi dal Gruppo Lega
Nord-Per la Padania indipendente).
Ora, mi rendo conto che il mio riconoscimento é arrivato
troppo presto, perchè poche ore dopo a Berlino prendeva avvio
quell'infelice episodio che ancora una volta ha messo in forse la
credibilità e l'affidabilità del Governo italiano, troppo
condizionato dai problemi interni e dalla paura di una crisi di Governo per
poter esprimere una politica estera coerente e convincente.
Si sta avvicinando il momento in cui restituire la parola alla
politica: questo lei ha detto, onorevole D'Alema. Forse nelle sue intenzioni
doveva essere un auspicio, forse piú probabilmente - perchè
lei calibra molto bene le sue parole - qualcosa a metà tra un
auspicio e la constatazione di un fatto per far contenti sia la NATO che i
Comunisti che fanno parte della sua maggioranza.
Lei ci ha detto poco fa che questo non é stato uno strappo
alle nostre responsabilità, ma cosí é stato
interpretato dagli altri, ed é quello che conta. Siamo di nuovo
apparsi di fronte ai nostri alleati inopportuni e intempestivi, come coloro
che sanno fare le cose solo a metà, e lei ha dovuto subire i
rimbrotti di questi nostri alleati, che hanno detto: l'onorevole D'Alema non
é ben informato, lo aggiorneremo.
Lei invece era bene informato, onorevole D'Alema, ma doveva far
contenta quella parte della sua maggioranza contraria alla NATO. Tuttavia
é difficile riuscire ad apparire allo stesso tempo dentro e fuori la
guerra.
Di nuovo oggi in quest'Aula, ma soprattutto nella replica che ha
svolto alla Camera dei deputati, lei ha fatto un discorso nobile,
condivisibile, direi coraggioso, un discorso sotto il quale mi sarei sentito
di apporre la mia firma. Peró, poi la maggioranza ci presenta una
mozione in cui chiede di sospendere i bombardamenti: ma in cambio di che
cosa? Fino ad oggi cosa abbiamo fatto? Abbiamo solo scherzato? Poco fa lei
sembrava esprimere soddisfazione, perchè il Consiglio di sicurezza
dell'ONU aveva respinto una proposta russa di sospensione dei bombardamenti.
E poi nella sua mozione chiede proprio questa sospensione. Come si fa ad
essere a favore dell'iniziativa militare, perchè, come lei ha
cosí bene spiegato, é un male necessario, e poi chiederne la
sospensione senza ottenere nulla in cambio?
Allora qual é il vero D'Alema? Quello che vuole piacere alla
NATO, o quello che ha bisogno del sostegno dei Comunisti per far
sopravvivere il suo Governo? Qual é la posizione dell'Italia? Quella
del Presidente del Consiglio quale risulta dalla sue dichiarazioni in
Parlamento, quella del Presidente del Consiglio quale sarà vincolato
dalla mozione della maggioranza, quella della Sinistra di questa maggioranza
che di fatto si dissocia dal Governo, o quella, infine, del Presidente della
Repubblica, il quale, anzichè rassicurare gli italiani e
rappresentarne l'unità, si concede a esternazioni che sembrano di
dissociazioni dalle decisioni della NATO e dunque dell'Italia?
Lo abbiamo sempre detto: questa é un'operazione rischiosa, di
cui non si conoscono gli sbocchi. Lo scenario ottimistico prevede che dopo
alcuni giorni di bombardamenti Milosevic dovrebbe cedere piuttosto che
rischiare di perdere del tutto il Kosovo e subire danni incalcolabili alle
sue infrastrutture militari. Ma se non dovesse cedere non c'é dubbio
che l'unità, la compattezza della NATO comincerebbe a soffrirne, a
scricchiolare. Ma ieri lei, onorevole D'Alema, e oggi di nuovo con la sua
mozione, ha dato il primo segnale in questa direzione.
Noi ci rendiamo conto che anche la sua posizione é difficile.
Lei sente, come noi sentiamo, che la maggioranza del nostro paese é
contro la guerra. Noi speriamo, come lei spera, che arrivi al piú
presto il tempo della trattativa e del negoziato, ma non dobbiamo lasciarci
tentare da soluzioni ambigue, soluzioni a metà, che non potrebbero
durare. Dobbiamo esigere che l'esercito serbo si ritiri dal Kosovo per
permettere a quelle popolazioni martoriate un certo grado di autonomia.
Sarebbe un grave errore dichiarare vittoria ed interrompere i bombardamenti,
come lei chiede, sperando nel meglio senza ottenere nulla. Ed é per
questo che la nostra mozione insiste perchè il Governo sostenga
l'iniziativa della NATO, anche se proviamo tutta l'angoscia, la sofferenza
che emana da questa decisione.
Ma, allo stesso tempo, ed é il secondo punto della nostra
mozione, pur comprendendo le sue difficoltà, non possiamo non
ribadire che la politica estera é la massima, la piú visibile
espressione dell'attività di un Governo. E se lei non é in
grado di raccogliere attorno alla sua politica estera la maggioranza che
normalmente la sostiene, credo che lei debba trarne le conseguenze, evitando
a noi e ai nostri alleati lo spettacolo di un Governo incapace di esprimere
una politica estera coerente e comprensibile. (Applausi dai Gruppi
Forza Italia e Alleanza Nazionale. Molte congratulazioni).
Senatore, secondo i tempi distribuiti all'interno del suo Gruppo,
lei avrebbe un minuto.
Cogliamo un'evidente precisazione di toni, di accenti e di
prospettive rispetto alla mozione della maggioranza parlamentare che la
sostiene. Ne prendiamo atto, certi che vada nella direzione di un paese
serio e normale, termine a lei caro, contro il vizio che critici pervicaci
della nostra storia nazionale ci attribuiscono, quello dell'"Italietta"
adusa ad uscire dai momenti bellici e di crisi sempre con alleati e
riferimenti diversi da quelli con cui vi era entrata. Non sarebbe
all'altezza del ruolo di questo paese, grande forse suo malgrado, e di
questo Governo e delle sue responsabilità nazionali ed europee.
Annuncio perció, anche grazie a lei, il nostro voto
favorevole alla mozione della maggioranza. (Applausi dal Gruppo
Rinnovamento Italiano, Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per
l'Europa).
É iscritto a parlare il senatore Milio, che nel corso del suo
intervento illustrerà anche l'ordine del giorno n. 2.
Le ricordo che ha tre minuti a disposizione.
Dov'erano e cosa facevano - mi chiedo - i professionisti del
pacifismo a tutti i costi? Tanto i costi é sempre qualcun altro a
pagarli. Dov'erano e cosa facevano quelli che oggi tornano a sgranare il
loro triste rosario antioccidentale ed antiamericano; dove erano e cosa
facevano quelli che oggi denunciano la brutalità e la violenza
dell'intervento armato? Dov'erano quando, già negli anni 80, Pannella
ed i radicali provavano a scongiurare l'esplosione della polveriera
balcanica; quando nel 1991 Pannella e Olivier Dupuis, segretario del Partito
radicale, trascorrevano ore e giorni drammatici - loro, non violenti, in
divisa - nelle trincee croate di Osijek, sotto il fuoco dell'artiglieria
serba; quando, in Bosnia, la Commissaria europea Emma Bonino denunciava la
"sparizione" di decine di migliaia di uomini, di donne, di bambini che non
erano "spariti", ma erano finiti nelle fosse comuni di Milosevic; quando,
negli ultimi mesi, il Partito radicale ha raccolto centinaia di migliaia di
firme di cittadini di tutto il mondo per trascinare il boia di Belgrado
dinanzi al tribunale dell'Aya, e chiamarlo a rispondere di genocidio e di
crimini contro l'umanità? Sappiamo dov'erano, sappiamo cosa facevano.
Andavano a sdraiarsi sui divani di Milosevic, assicurandogli
credibilità e "sponde" internazionali. Credevano alle sue promesse,
di cui sono piene le fosse comuni dell'ex-Jugoslavia.
Si pensi, solo per fare un esempio, ai "mitici" accordi di Dayton.
Punto qualificante di quegli accordi doveva essere il rientro dei profughi
nelle loro terre: bene, sono passati anni da quegli accordi e solo il 15-20
per cento dei profughi ha potuto raggiungere le proprie case o quel che ne
resta. Ancora, ponevano sistematicamente sullo stesso piano aggressori e
aggrediti, come ha incredibilmente continuato a fare fino a qualche mese fa
(ne sono testimonianza le interviste rilasciate a metà dicembre,
prima a "Newsweek" e poi a "La Stampa") lo stesso presidente del Consiglio
D'Alema che oggi sembra aver fortunatamente mutato opinione in proposito.
Peggio, facevano affari con lui. Nemmeno due anni fa, nel giugno del 97, in
pieno Governo Prodi, la STET - l'attuale Telecom - acquisiva il 29 per cento
della Telekom serba, consegnando al regime assassino di Milosevic circa 900
miliardi di lire.
Se questa é la situazione, oggi noi non possiamo che essere
ancora una volta in questo secolo riconoscenti e grati al mondo
anglosassone, ed in particolare agli Stati Uniti d'America che si sono
assunti la responsabilità e i costi di un'operazione volta a mettere
un criminale in condizioni di non nuocere oltre. I segnali che il Governo ha
lanciato in queste ore fanno temere una conferma della storica
inaffidabilità del nostro paese in politica estera e
l'incapacità di questo Governo e di questa maggioranza di tenere la
stessa posizione per piú di due giorni consecutivi.
Per questo chiedo al Senato di impegnare il Governo a non fare
alcuna marcia indietro sull'intervento militare della NATO, a fare un deciso
passo in avanti per sostenere la richiesta di incriminazione del dittatore
serbo Slobodan Milosevic.
Le rammento che ha a disposizione quattro minuti.
Innanzitutto - ed é un punto da discutere a fondo - questa
guerra mina ogni principio di legalità dell'ordinamento
internazionale. É dal tempo della guerra hitleriana che non accadeva
che vi fosse un intervento armato non per difendere un paese alleato da una
aggressione ma per dirimere un conflitto interno ad un altro paese.
In secondo luogo, ritengo che un punto da rilevare sia che, al di
là delle chiacchiere che tutti fanno sulla necessità di forti
istituzioni del governo mondiale, questa guerra é la prima ufficiale
della NATO; credo sia il banco di prova per sostituire le stesse Nazioni
Unite con la NATO quale struttura regolatrice del nuovo governo mondiale.
Le finalità umanitarie per salvare le vite albanesi, per
salvare una popolazione da un genocidio, sono state il motore di molti
sforzi che, peró, non sono stati affiancati dai paesi e dai Governi
che oggi parlano di spedizioni umanitarie e di guerra per ragioni
umanitarie. Ricordo come é stata lasciata isolata l'opera di
leader
moderati kosovari come Rugova, penso alla mancanza di rapporti di
cooperazione; ricordo come lo stesso armamento dell'UCK da parte degli Stati
Uniti in qualche modo ha reso la situazione esplosiva.
Oggi questi stessi bombardamenti espongono queste popolazioni, cui
io mi sento particolarmente vicino - e non da ora perchè sono molti
anni che lavoriamo con esse - alla rappresaglia di Milosevic, al quale,
appunto, non va affatto la nostra simpatia ed il nostro gradimento.
A me pare, quindi, che le vere finalità della guerra siano
altre, e per la brevità di questo intervento non posso interamente
articolarle. Da un lato, c'é il fine di affermare in modo assoluto e
definitivo un potere di controllo diretto su una zona nevralgica del mondo,
i Balcani e l'Est europeo; dall'altro lato, c'é l'intenzione degli
Stati Uniti di fiaccare in maniera definitiva il ruolo dell'Europa, vista
come potenziale concorrente e, quindi, da mantenere in un ruolo subalterno.
É stato giustamente scritto oggi da un fine commentatore che il ruolo
che viene assegnato, anche attraverso questa guerra, all'Europa da parte
degli Stati Uniti é quello di un gigante economico ma di un nano
politico, come é avvenuto con il Giappone in Asia.
Questa guerra avrà purtroppo conseguenze immediate e di lungo
periodo; lo dico anche con grande emozione. Immediate, perchè
alimenterà un conflitto locale che si estenderà, e se non
sarà circoscritto darà maggiore forza a tutti i nazionalismi;
globale, perchè temo abbiamo posto una pietra tombale sulla
possibilità di una riforma immediata della Nazioni Unite come nuovo
governo del mondo, tanto piú necessario in una fase di
globalizzazione pericolosa come questa.
Mi sembra che il Governo di Centro-Sinistra italiano si stia
assumendo una responsabilità grave di fronte agli stessi nuovi
equilibri mondiali che in questa fase transitoria si vanno a delineare.
Immaginare una soluzione negoziale ci sembra una pura finzione al
punto in cui era giunta la situazione; come é una finzione ripetere -
come fanno alcuni colleghi - che i serbi avrebbero potuto accettare una
forza d'interposizione costituita da qualche paese amico, oltre che dai
paesi della NATO.
Si sa che questa ipotesi era stata prospettata a Rambouillet e che
non fu accettata. Purtroppo, al punto in cui siamo giunti, non rimaneva che,
o chiudere gli occhi dinanzi al dramma del Kosovo, oppure intervenire; e
bene ha fatto l'Europa ad intervenire.
Per questo motivo noi ci ritroviamo pienamente nelle posizioni
espresse dal Presidente del Consiglio. Avremmo gradito o riteniamo sarebbe
stato piú utile votare un ordine del giorno finale che approvasse le
dichiarazioni del Presidente del Consiglio, perchè la linea
illustrata ci sembra la migliore per il nostro paese. Ma di questo parleremo
in sede di dichiarazione di voto, avendo qualche minuto di piú.
(Applausi dalla componente Socialisti Democratici Italiani del Gruppo Misto
e dal Gruppo Democratici di Sinistra-L'Ulivo).
Certo, sarebbe stato meglio se l'ONU avesse dato il suo benestare
prima dell'intervento militare, ma noi tutti sappiamo che alcuni paesi del
Consiglio di sicurezza avrebbero sempre posto il veto contro l'intervento
nei confronti della Serbia.
Oggi il voto positivo implica non certo l'adesione ad una guerra per
risolvere controversie internazionali, ma implica il sostegno ad un'azione
militare volta a difendere qualcosa di sacro, sacro almeno quanto il suolo
nazionale, e cioé la vita di donne, di bambini, di inermi cittadini
violentemente aggrediti e trucidati al di là dell'Adriatico. Trovo
quindi non dignitoso e politicamente scorretto tentare di offuscare la
credibilità dell'Italia, ricostruita in questi ultimi anni con tanta
fatica, da parte di chi pone in discussione, seppur piú o meno
larvatamente, la nostra appartenenza alla NATO. Il buon senso, prima che il
ragionamento politico, ci porta a concludere che nessun'altra posizione
diversa da quella assunta dal Governo poteva essere compatibile con la
dignità nazionale e con la salvaguardia di quei princípi
umanitari che sono cosí radicati in noi e nelle popolazioni che
rappresentiamo.
Certo, anch'io mi dolgo della scarsa influenza avuta dall'Europa in
questa vicenda; un'Europa ancora in costruzione, ancora limitata quanto a
capacità di influenza politica; un'Europa che ci auguriamo possa
essere piú efficace nel porre fine alle barbarie. Anche per tale
motivo mi conforta che la presidenza della Commissione europea sia stata
affidata a Romano Prodi.
Voteró la mozione di maggioranza, ma non senza avere ancora
una volta sottolineato le nefandezze compiute dal regime di Milosevic e non
senza affermare che non é vero che gli "Hitler" siano stati per
sempre estirpati dalla faccia della terra: é questo il vero possibile
"Hitler". La voteró dunque, anche se risulta evidente il lavoro di
mediazione svolto per stilarla e quindi una sua qualche debolezza politica
che personalmente avrei desiderato fosse evitata.
L'Italia, alle soglie del 2000, non puó, non deve piú
riproporre antiche e storiche ambiguità, pur nella libertà di
ognuno di esprimere sacrosante preoccupazioni e civile rifiuto di fronte
alle bombe che esplodono.
Di fronte ai fallimenti diplomatici noi oggi dobbiamo essere senza
esitazioni con gli alleati contro i nuovi oppressori, a tutela di diritti
umani, affinchè si giunga alla ripresa e alla conclusione di
trattative con chi fino a oggi vi si é pervicacemente sottratto.
(Applausi dal Gruppo Democratici di Sinistra-L'Ulivo e dalla componente I
Democratici-L'Ulivo del Gruppo Misto).
Di fronte all'aggravarsi della situazione i senatori del partito dei
Comunisti italiani hanno presentato un proprio ordine del giorno che mette
in luce il dramma, la tragedia venutasi a determinare in seguito agli
attacchi aerei di questi ultimi giorni da parte delle forze NATO contro la
Jugoslavia. Ancora una volta, colgo l'occasione per esprimere il cordoglio
piú sincero per le vittime di questo intervento armato della NATO,
che noi riteniamo assurdo, inutile, dannoso ed illegittimo.
Il nostro ordine del giorno vuole ribadire la necessità di
rilanciare il ruolo dell'ONU e dell'Europa. É indispensabile che
l'Europa giochi il suo ruolo per fermare questi massacri. La NATO, per sua
natura e per il ruolo che le é conferito, non ha legittimazione per
operazioni di questo genere. Bombardamenti e lanci di missili sulla
Jugoslavia costituiscono azione di guerra che la nostra Costituzione non
ammette come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Ed occorre
considerare tutti i rischi che questa situazione determina: l'innesto di una
spirale di violenze e l'allargamento del conflitto. L'ulteriore estensione
del conflitto armato potrebbe determinare rischi seri anche per le
popolazioni civili del nostro paese.
Per questi motivi abbiamo presentato un ordine del giorno con il
quale si impegna il Governo ad intraprendere tutte le iniziative, in tutte
le direzioni, rivolte a ripristinare le condizioni che consentano di
garantire la pace attraverso una risoluzione politica e diplomatica della
questione, a chiedere l'immediata cessazione dei bombardamenti e a non
consentire l'impiego di mezzi e di forze militari italiane in azioni di
guerra. Questo, infatti, significherebbe di per sè un atto di guerra
e lo stesso Presidente del Consiglio ha citato la decisione del Consiglio
dei Ministri del settembre 1998, con la quale si é deciso l'uso delle
forze militari italiane al solo scopo e per la sola funzione difensiva.
Andare oltre questo significherebbe un atto di guerra in contrasto con
l'articolo 11 della nostra Costituzione e ció richiederebbe un voto
esplicito del Parlamento italiano, con tutte le conseguenze che ne
deriverebbero. (Applausi del senatore Bertoni. Commenti del senatore
Salvi).
Abbiamo sottoscritto tale mozione in primo luogo per motivi
umanitari, dicevo, per bloccare l'azione di pulizia etnica, per arrestare la
fuga dei kosovari dalle loro abitazioni, per arrestare l'ondata dei profughi
(che il vice presidente Mattarella ieri, in quest'Aula, quantificava in
300.000 persone e che oggi il Presidente del Consiglio aumentava ad ol tre
400.000 unità), per impedire quindi i massacri, tanto piú che
ormai si contano piú di 2.000 morti.
In una terra plurietnica e plurilingue non vanno fatti vincere i
diritti e le prerogative dei piú forti, ma la sua storia ed il
diritto, non tanto le aspirazioni egemoniche nè, tanto meno, le
sopraffazioni di chi non vuole sentire ragione, di chi si attesta su
rivendicazioni nazionaliste o di intransigente primazia, quanto invece la
paziente ricerca delle ragioni della convivenza e della tolleranza,
cosí da permettere che culture e tradizioni diverse trovino ragioni e
condizioni per poter convivere pacificamente.
La nostra condivisione della proposta di attribuire al Kosovo lo
status
di regione autonoma nasce da questa convinzione, che in queste regioni, con
le quali l'Italia ha avuto rapporti di vicinanza e di collaborazione -
giustamente il Presidente del Consiglio lo rammentava poc'anzi - non ci sono
alternative alla convivenza ed alla tolleranza.
Sosteniamo quindi l'iniziativa della NATO perchè mira al
rispetto dei diritti umani, al rispetto della dignità delle persone e
delle famiglie, siano esse di razza, di lingua e di religioni diverse,
perchè si ponga fine alla tragedia di un popolo martoriato e si
riparta dalla proposta emersa a Rambouillet che era incardinata
fondamentalmente su due punti, vale a dire il riconoscimento dell'autonomia
del Kosovo nel quadro dell'integrità territoriale della Repubblica
iugoslava, senza previsione di referendum
sull'indipendenza come richiesto dai kosovari, e l'impegno di prevedere
meccanismi di difesa della minoranza del Kosovo.
Non nascondiamo peró che sosterremo l'iniziativa NATO anche
per evitare che, tra qualche settimana, decine di migliaia di kosovari si
rovescino sulle nostre coste e spiagge, provocando le difficoltà e le
proteste che l'esperienza albanese ci ha già fornito.
Votando in questo senso quindi siamo convinti di adempiere ad un
atto di solidarietà vera e di responsabilità chiara e leale
anche verso i nostri alleati. Questi devono sapere che l'Italia é un
partner
leale e affidabile, che non intendiamo venir meno ai nostri impegni ed ai
doveri derivanti dall'essere membri dell'Alleanza atlantica. Non saranno
quindi certo le sirene del massimalismo internazionalista o quelle del
pacifismo antiamericano, presenti e condizionanti la sua maggioranza,
onorevole Presidente del Consiglio (come abbiamo potuto ascoltare anche
nell'intervento del senatore Marino), a farci sottrarre alle nostre
responsabilità e al ribadire la nostra fedeltà all'Alleanza.
É certo che questo non ci esime, peraltro, dal sollecitare il Governo
e gli alleati a fare in modo che, dal monito delle armi, si riescano ad
individuare le ragioni e le proposte che facciano vincere il dialogo e il
negoziato.
Non diciamo sí a cuor leggero all'azione di guerra, non
diciamo sí perchè ci allineiamo dalla parte del piú
forte, nè tanto meno perchè vogliamo che si affermi l'egemonia
dell'Occidente: diciamo sí perchè lo riteniamo uno strumento
necessario, anche se doloroso e carico di controindicazioni.
La questione che stiamo esaminando ci porta necessariamente a
riflettere sul ruolo e sulle funzioni dell'ONU da una parte e della NATO
dall'altra. Siamo chiamati a riflettere sul ruolo dell'ONU perchè lo
si vede svuotato progressivamente delle sue prerogative, essendo nato per
mantenere la pace tra gli Stati e non all'interno degli Stati ed é
stato sostituito invece da una sorta di direttorio anglo-americano. Siamo
chiamati a riflettere sul ruolo della NATO perchè con l'iniziativa
dell'intervento armato in Jugoslavia viene travolto il suo carattere di
alleanza militare di natura esclusivamente difensiva.
É chiaro che il problema c'é, che occorre ridefinire
le funzione ed i ruoli di questi due importantissimi organismi, il cui
apporto é vitale e imprescindibile, che occorre tener conto delle
mutate condizioni politiche e della situazione geostrategica completamente
diversa rispetto a quella esistente al momento della loro nascita. Basti
pensare, ad esempio, per la NATO, al suo allargamento ad Est verso i paesi
del centro Europa, che pone problemi e strategie diversi rispetto a quelli
inizialmente previsti.
Non voglio attestarmi su discussioni accademiche, che oggi non sono
all'ordine del giorno. Davanti a noi c'é la tragedia di un popolo
mortificato e martoriato rispetto al quale il principio innovativo della
cosiddetta ingerenza umanitaria é da noi ampiamente condiviso e
giustificato.
Questo principio é già stato attuato in Ruanda, in
Somalia e nella stessa Bosnia, anche se in questo caso con la copertura
delle Nazioni Unite. É un principio che trova fondamento nella
necessità di salvaguardare i diritti umani: il rispetto e la tutela
dei diritti umani avevano trovato accettazione convinta già nella
Conferenza di Helsinki agli inizi degli anni 70, anche se all'interno del
principio del rispetto delle minoranze. Non si prevedevano allora nè
interventi armati, nè che le frontiere fossero toccate. Di certo si
convenne già da allora che i diritti umani erano un bene ed un
principio da tutelare. Su questo terreno siamo pesantemente in ritardo,
nè il suo Governo ha dato prova, signor Presidente del Consiglio, di
dare un colpo di accelerazione su questo obiettivo.
Signor Presidente del Consiglio, noi abbiamo un dubbio non
infondato, anzi io personalmente rimango dell'avviso, che se lei, se i suoi
Ministri piú autorevoli, se il segretario del suo partito aveste
fatto tanti viaggi nei paesi dell'Unione per sostenere le ragioni di una
politica comune europea nei confronti della questione kosovara, per dare uno
sbocco europeo alla diplomazia per risolvere le questioni di questa zona
dell'Europa, se aveste effettuato tanti viaggi all'estero quanti ne avete
fatti per liberarvi di Prodi promuovendo la sua candidatura a Presidente
della Commissione europea, oggi forse non saremmo in queste condizioni.
Il ruolo dell'Europa é stato defilato. Lei nella sua
introduzione ha parlato di Europa genericamente intesa. Certo é che a
Rambouillet c'erano i Ministri per i singoli Stati, non c'era l'Unione
europea nella sua autorevole presenza concertata. Noi dobbiamo quindi
chiedere all'Unione europea di mettere nella sua agenda il compito di
dotarsi in tempi stretti di una politica estera unica, almeno per quanto
riguarda le questioni che investono il vecchio continente, se non vogliamo
che altri allarghino i solchi delle ragioni che possono dividerci,
anzichè quelle che possono unirci.
Signor Presidente, abbiamo peró ragione di ritenere che il
suo Governo non abbia una maggioranza coesa e convinta a sostenere l'azione
promossa dalla NATO, e la definizione del senatore Marino di missione
"inutile e dannosa" lo sta a dimostrare. É evidente che la cultura
del comunismo massimalista, pacifista ed internazionalista del partito di
Cossutta fa a pugni con le posizioni apertamente filoamericane del senatore
Cossiga e dei suoi uomini. Il suo Governo, nato con queste contraddizioni,
oggi ne paga lo scotto e l'altalenante comportamento di questi ultimi due
giorni ne é la riprova.
Noi voteremo quindi a sostegno dell'iniziativa intrapresa dalla
NATO, per senso di responsabilità e per lealtà, verso il
nostro paese prima che verso i nostri alleati, perchè riteniamo
giusto dare attuazione al principio dell'ingerenza umanitaria al fine di
arrestare l'esodo e la pulizia etnica.
Lei questo non lo potrà dire, signor Presidente; lei
dovrà arrampicarsi sui vetri, come ha fatto, per tenere assieme i
vari partiti che la sostengono e questo non darà nè respiro
nè autorevolezza alla sua azione e neppure a quella della sua
maggioranza. (Applausi dai Gruppi Centro Cristiano Democratico, Forza
Italia e Alleanza Nazionale).
Voglio in questa sede esprimere il mio dolore e il mio cordoglio per
tutte le vittime di questa tragica vicenda. Dobbiamo ricordare che vi sono
stati morti e feriti, sia tra la popolazione civile del Kosovo, duramente
colpita negli ultimi mesi, sia tra il popolo serbo, colpito nel conflitto di
questi ultimi giorni. Io credo che la triste sorte toccata a costoro sia
dipesa dalla improvvida politica di Milosevic.
Di fronte ad una situazione di violenza, di ostinata sordità
a qualunque richiamo, cosa avremmo dovuto fare? Come avrebbero dovuto
comportarsi il nostro Governo, la Comunità europea, i diversi
organismi internazionali? Sono convinto che la risposta di queste ore sia
stata l'unica possibile, e sia ben chiaro che essa non puó essere
considerata come brutale azione di guerra; essa é un'azione tragica,
dolorosa, ma necessaria, giunta dopo che ogni altra via era stata preclusa
dall'ostinazione del Governo serbo. L'intervento militare é stato
quindi un passaggio obbligato per far cessare i massacri sin qui impunemente
compiuti e al tempo stesso per condurre Milosevic a rivedere le proprie
posizioni e a ricreare le condizioni per riprendere il dialogo che pareva
avviato positivamente a Rambouillet e che poi é miseramente fallito
per responsabilità dello stesso Milosevic.
D'altro canto, il passo grave che é stato adottato non poteva
essere piú rinviato, poichè secondo una concezione consolidata
la pace non si difende piú solo se aggrediti, ma anche intervenendo
laddove siano effettuate gravissime violazioni dei criteri di umanità
e legalità che, come ci insegna la storia, sono sempre state
propedeutiche all'interruzione della pace.
L'intervento militare é stato criticato da molti, ma vorrei
chiedere a tutti coloro che si oppongono a questa iniziativa se restare
inerti da parte dei paesi europei e della NATO avrebbe trovato oggi
giustificazione e se a posteriori le future generazioni avrebbero
compreso perchè, mentre davanti ai nostri occhi si compivano
massacri, i Governi democratici sceglievano di non vedere.
Ora peró dobbiamo porci il problema di come proseguire,
affinchè si ponga fine allo stato di guerra e al tempo stesso si
riporti la pace vera nel Kosovo e nell'intera regione balcanica.
Ritengo importante il concetto di riaffermare da ora il valore della
politica, del dialogo e della diplomazia. Ció non deve essere inteso
come superficiale atto di buona volontà, nè tanto meno una
marcia indietro nei confronti degli impegni assunti. Si tratta invece di una
posizione complessa e difficile, ma che l'Italia ha il diritto e il dovere
di perseguire, proprio perchè sino ad oggi ha dato ampia prova di
lealtà e responsabilità internazionale, pur essendo tra i
paesi a piú diretto contatto con i luoghi di guerra e quindi vivendo
in modo particolarmente intenso la drammatica situazione di queste ore.
Forti di ció e in virtú del fatto di essere tra quei
paesi che comunque hanno ancora aperti i canali diplomatici con il Governo
serbo, noi dobbiamo poter indicare il ritorno al dialogo, cercando di
convincere i nostri alleati dell'opportunità, dopo questa prima fase
dell'operazione, di sospendere i bombardamenti e di avviare da subito i
negoziati con i serbi.
Altrettanto importanti sono i riferimenti che lei, signor Presidente
del Consiglio, ha con chiarezza fatto: sia l'esigenza di intraprendere ogni
necessaria azione di aiuto nei confronti dei profughi, sia la
necessità di riportare tra le parti protagoniste del dialogo per la
pacificazione una componente importante come la Russia.
Non sfugge a nessuno la serietà del tema che abbiamo dovuto
affrontare e vivere in queste ore. Naturalmente esso stesso ha suscitato
legittime posizioni contrastanti; ció che peró sicuramente
dobbiamo scongiurare a partire dal voto al quale siamo chiamati é
evitare che polemiche di parte, tutte interne alla politica quotidiana
dell'Italia, possano trovare erroneamente sfogo oggi in quest'Aula. Noi
abbiamo il dovere di rispettare quelle posizioni che in coscienza ciascuno
ritiene legittime e giuste, ma soprattutto, da esponenti politici, da
cittadini europei e da rappresentati dell'Italia, abbiamo il compito di
pronunciarci a sostegno del difficile ma - lo ripeto per l'ultima volta -
doveroso cammino intrapreso dall'Italia in questi giorni.
Signor Presidente del Consiglio, il Gruppo dell'Unione Democratica
per la Repubblica ha apprezzato tutti gli sforzi che il suo Governo ha posto
in campo in questi momenti cosí difficili, ed é per questo che
lei potrà contare sulla nostra convinta, leale ma vigile adesione al
suo operato.
Per queste ragioni chiedo al Senato di esprimere un voto positivo
alla mozione 1-00378 che, come primo firmatario, reca la firma del senatore
Salvi e che anche il nostro Capogruppo ha sottoscritto. Grazie, signor
Presidente. (Applausi dai Gruppi Unione Democratica per la Repubblica
(UDR), Rinnovamento Italiano, Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per
l'Europa e Democratici di Sinistra-L'Ulivo).
Io certo ho una piccola e modesta storia politica e personale, alla
quale peró intendo essere fedele, alla quale sempre ho cercato di
essere fedele e ancor piú sento di doverlo essere al tramonto della
mia vita politica, e non solo politica. Una storia intessuta, certo, di
errori ma mai di viltà, di sbagli, ma anche - permettetemi - di fede
in valori spesso dolorosissimamente testimoniati. E credo di poterlo fare
perchè molti anni fa io mi assunsi la responsabilità, per la
lungimiranza di Giovanni Spadolini, di Bettino Craxi, di Zaccagnini e per la
posizione tollerante e democratica del capo dell'opposizione, Enrico
Berlinguer, di schierare l'Italia a fianco alla Germania nel riarmo nucleare
che fermó l'aggressione e la minaccia dell'imperialismo sovietico.
Parlo peró con serenità perchè parlo solo a nome di me
stesso. Io qui non rappresento nessuno se non la storia di quelle migliaia
di cittadini che in passato mi hanno votato; non sono a capo di nessun
partito e del mio dire non rispondo a nessun altro che a voi, onorevoli
colleghi e alla mia coscienza.
Prendo la parola per dichiarare che voteró con violenza
politica e con sdegno e timore morale contro la mozione di maggioranza. Lei
sa, amico Massimo D'Alema, quanto io la stimi per la sua intelligenza e per
la sua coscienza morale. Lei sa come nella formazione del Governo da lei
presieduto io abbia visto la conclusione di una vicenda civile, umana e
politica triste del nostro paese, la sua divisione dovuta alla divisione del
mondo in due blocchi, e l'assolvimento di un impegno da me preso con un
grande leader
del mio partito, la Democrazia Cristiana, e del paese ed un contributo ad
un dignitoso ingresso dell'Italia nell'Europa politica.
Nella formazione di questo Governo io non ho certo impegnato dei
voti, il cui apparente possesso si é visto poi quanto fosse precario,
ma ho impegnato il mio nome e la mia piccola storia personale. E l'ho fatto
anche - mi creda - per la fiducia che ho nelle sue doti politiche e morali;
forse per altro io non mi sarei speso.
Il mio voto violento contro la mozione della maggioranza non
é, quindi, un voto contro di lei, e per il momento non é
neanche un voto contro il suo Governo. É il voto contro una
maggioranza su cui vedo aleggiare, non insipienza politica, nè
antica, spicciola furberia italica, ma la maledizione che sembra ancora
gravare sul nostro paese, la maledizione di quell'8 settembre dove la
viltà di un sovrano, l'ignavia di governanti, il tradimento di
generali contagió di viltà gran parte del popolo e fece
scambiare desiderio legittimo di pace con vigliaccheria e prudenza con
viltà. Quell'8 settembre nel quale perdemmo onore e dignità,
senso dello Stato e senso della nazione, credendo che coraggio, fierezza e
dignità potessero mercanteggiarsi con furberia. (Commenti del
senatore Bertoni).
E a riscattare quelle giornate penose e vergognose non sono serviti
purtroppo, a quanto vedo, nè i fucilati di Cefalonia, nè gli
assassinati dei campi di concentramento, nè l'eroismo dei partigiani
e dei militari della Resistenza e della guerra di liberazione, nè,
sull'opposta sponda, il generoso, anche se errato, sacrifizio di coloro che
per malinteso senso dell'onore fecero una scelta che si riveló
funesta, di quelli che, con umano e delicato senso di comprensione, Luciano
Violante ha con grande coraggio culturale e politico chiamato "i ragazzi
della Repubblica sociale".
Siamo alle solite: stringiamo le alleanze sperando di non dover
essere chiamati ad onorarle, proclamiamo fedeltà ritenendo che esse
siano compatibili con atteggiamenti contraddittori ad essi, proclamiamo
virtú sottintendendo che esse si possono cambiare rapidamente in
vizi. Comprendo, ammiro e apprezzo i colleghi di Rifondazione Comunista:
fuori l'Italia dalla NATO e fuori la NATO dall'Italia. Per non avere il
coraggio di questa dignitosa posizione rischiamo di apparire infedeli e di
svilire il nostro ruolo di alleati a quello di affittacamere, e mi auguro
non ad ore. Diamo le basi perchè ragazzi americani, francesi,
tedeschi, belgi, olandesi vadano ad impedire che continui il genocidio dei
kosovari, esponendo la loro vita. Noi invitiamo i nostri giovani a rimanere
nelle basi, a preparare i pasti o a spazzare le camere. E lo chiamiamo
pacifismo e prudenza.
Il comportamento del Presidente del Consiglio nel difficile problema
che ha affrontato é degno di elogio. Rilevo un punto chiave: il
Presidente D'Alema ha detto: "Non vi erano alternative una settimana fa
quando Holbrooke ha dovuto interrompere i negoziati". Chi allora ha deciso?
Il Consiglio della NATO. Vi immaginate, colleghi, cosa sarebbe successo se
l'Italia, con un Governo che non é certo di destra, anzi é
fortemente connotato a sinistra, avesse dato parere contrario? Sarebbe stato
l'unico dei sedici paesi ad essere contro una decisione unanime della NATO;
un punto fondamentale: non sta a noi fermare i bombardamenti, non ci
é concesso, come chiedono Bertinotti ed alcuni suoi seguaci. La
decisione del Consiglio della Nato é stata comunicata ai comandanti
in campo, al SACEUR. (Il senatore Cossiga si avvicina al Presidente del
Consiglio dei ministri, D'Alema, per stringergli la mano) . Mi fa
piacere vedere che il mio Presidente, membro del Gruppo Misto, felicita
adesso il Presidente del Consiglio.
La decisione del Consiglio della NATO é stata comunicata al
generale Clark. Noi non possiamo intervenire. Costui deve obbedire agli
ordini e andare avanti fino al momento in cui il Consiglio della Nato li
cambia. O Clark dice: ho fatto quello che mi ha detto il Consiglio; oppure
dice: non ho finito e l'azione deve continuare. Noi non possiamo fare che
una cosa, colleghi, e forse anche il Presidente del Consiglio lo
potrà confermare: chiedere la convocazione del Consiglio della NATO e
che il Consiglio fermi i bombardamenti. Bene, dovremmo avere una decisione
unanime del Consiglio. Non ce lo sognamo nemmeno.
Concludo, rilevando che é veramente una mala suerte
che il Presidente del Consiglio, dopo avere ottenuto una grande
vittoria con la nomina di Prodi e le modifiche del bilancio a favore
dell'Italia, sia adesso preso alla gola da questa nuova fatica. Gli faccio i
migliori auguri.
In questi momenti il dolore ed il dubbio sono forti, le certezze
sono poche e fragili. La certezza é che per troppi anni abbiamo fatto
finta di non vedere, abbiamo voluto non sentire le urla disperate che
venivano dal Kosovo. Il dolore é ricordarle mentre il rombo degli
aerei si alza, la certezza é ricordare a noi stessi ció che
avremmo potuto fare per evitarle, il dubbio é: quale sarà il
futuro per quelle popolazioni, per quell'area geografica, per l'Europa?
Sotto le bombe forse rimarranno colpite le postazioni militari
serbe, ma forse - dico forse - rimarranno colpite anche le speranze di pace
per i Balcani.
Signor Presidente del Consiglio, noi Verdi crediamo convintamente in
un mondo dove l'ingerenza umanitaria si affermi sempre di piú, dove
il tiranno e l'ingiustizia siano isolati e combattuti, dove le donne e gli
uomini di ogni paese abbiano una speranza su cui appoggiarsi. Per ottenere
questo, peró, si deve essere credibili, si devono costruire ponti di
pace e non bombardarli.
Signor Presidente, in questi dibattiti di questi giorni é
stata pronunciata molte volte la parola Ruanda. Chi le parla ha visto con i
propri occhi cosa vuol dire il non portare l'ingerenza umanitaria.
Signor Presidente del Consiglio, le voglio ricordare, avendo avuto
la sfortuna nella vita di essere lí, quel campo profughi di Mugungha
dove 570.000 esseri umani per due anni hanno dormito sotto le tende
dell'ACNUR delle Nazioni Unite, dove convinti obici hanno sparato e
massacrato quelle popolazioni. L'unica cosa che abbiamo fatto in quei
momenti é stato dire "servirebbe un aiuto". Nessuno si é
presentato, signor Presidente del Consiglio. Bastava quello che costa
mezz'ora d'intervento in Serbia per salvare 570.000 profughi.
Un ultimo dato su questo aspetto, signor Presidente del Consiglio.
In questo momento ci sono, sí, 300.000 profughi kosovari che vagano
nel Kosovo; di quelle 570.000 persone ci siamo anche dimenticati di cercarne
200.000 che non abbiamo piú trovato.
Vede, é per questo che le ricordo che l'ingerenza umanitaria
ha bisogno, per essere convinta, di valutare l'efficacia di se stessa, ed
é per questo che noi Verdi a questi bombardamenti, per questi
bombardamenti, siamo contrari. Siamo contrari perchè dopo 72 ore di
bombardamenti e dalla partenza del primo attacco, le affermazioni che si
sentono sono le seguenti: "Nessuno puó essere certo del risultato
positivo". Contrari perchè 72 ore dopo il primo attacco forse - dico
forse - Milosevic é piú forte. Contrari perchè dopo 72
ore i profughi kosovari sono molti di piú e terribilmente piú
a rischio. Ma soprattutto, signor Presidente, contrari perchè dopo 72
ore l'odio impera in quelle valli molto piú di prima.
Nessuno puó sfuggire, a questo punto, al dire cosa fare; cosa
fare allora?
In quest'Aula, poco fa, lei ha detto che ogni paese puó
essere protagonista per la pace. Signor Presidente del Consiglio, quello che
lei ha detto ieri da Berlino é una frase importante, una frase che ha
fatto molto piacere a noi e credo a tutte quelle persone che combattono per
questa pace, che credono nel nostro ruolo e nel nostro paese per questo.
Nella mozione che abbiamo contribuito a presentare e che abbiamo
firmato c'é questa speranza, la speranza di vedere un paese
importante (un paese che ha assunto delle responsabilità, anche una
responsabilità come quella dei bombardamenti, che noi non
condividiamo) esercitare oggi tutta la forza possibile sulla Comunità
internazionale per dire no al nazionalismo, nè serbo e nemmeno quello
albanese; per dire che é venuto il tempo della pace e del dialogo; ma
dobbiamo fermare questi bombardamenti.
Io, signor Presidente, so quanto é difficile operare e voglio
concludere con un'altra cosa che ho sentito molto citare in questi giorni.
Anche nel dibattito di oggi alla Camera é stato menzionato piú
volte Alexander Langer; per noi é qualcosa di difficile anche solo da
ricordare, é un pezzo di vita e di storia. I ponti si costruiscono e
non si bombardano. I primi scritti di Alexander erano pubblicati in una
rivista universitaria che si chiamava "Die Briicke", il ponte. Se l'Italia
porterà avanti con responsabilità l'azione di dire che
é venuto il tempo del dialogo, e chiediamo la fine e l'interruzione
di una follia (perché noi diamo questa valutazione ad un'azione che
non porta da nessuna parte), se lei, signor Presidente del Consiglio, come
ha detto ieri e come nella mozione stiamo indicando, se l'Italia si
assumerà questo ruolo, costruirà un ponte e non lo
bombarderà e su questo troverà noi Verdi convinti, come siamo
convinti di aiutare il nostro Governo con questa mozione, lungo la strada
del dialogo e della pace. Le auguro per questo un buon lavoro e lo auguro a
tutti noi. (Applausi dai Gruppi Verdi-l'Ulivo, Democratici di
Sinistra-L'Ulivo e Partito Popolare Italiano. Congratulazioni)
Ancora una volta la coalizione di Centro-Sinistra, quando deve
affrontare un tema di politica estera - e questa volta si tratta del
piú drammatico e di quello che piú di ogni altro ci coinvolge
direttamente -, frana rovinosamente: é avvenuto con Prodi, sta
avvenendo con D'Alema. Il fatto, poi, che alla fine le poltrone abbiano la
meglio sui princípi non modifica i termini del problema. Soprattutto
non rafforza una nostra credibilità internazionale, certo in queste
ore non delle migliori.
Il Governo é sottoposto all'esplicito ricatto dei comunisti
dell'onorevole Cossutta che chiedono la fine dell'offensiva della NATO,
l'apertura di negoziati con Belgrado e che escludono che le nostre forze
armate possano direttamente essere coinvolte nel conflitto. L'onorevole
D'Alema - come già Prodi, che ebbe peró l'astuzia e la fortuna
di rifugiarsi nel "Palazzo di vetro" - si trova nella trappola costituita
dagli obblighi che il paese ha nei confronti dell'Alleanza atlantica e la
necessità di mantenere in vita l'Esecutivo fatto segno al ricatto
dell'ala massimalista. Nella prima fase dell'operazione il Governo ha
mostrato di adempiere agli obblighi derivanti dall'alleanza, riservandosi
peró di frenare l'intervento delle nostre forze aeree, un'aliquota
delle quali é già a disposizione del comando alleato, come
gesto di buona volontà nei confronti dei comunisti italiani.
L'evoluzione drammatica del conflitto e l'accentuarsi della
pressione sulla sua sinistra hanno indotto il presidente D'Alema a compiere
un'infelice sortita che la sua esposizione alla Camera dei deputati non ha
certo cancellato. A Berlino ha delineato una situazione da retroscena
diplomatico, consigliando la sospensione dei bombardamenti e l'avvio di
trattative. Questa, anche se in toni un po' sfumati, é la sostanza
della dichiarazione del Presidente del Consiglio che, rimaneggiata al fine
di conciliare le inconciliabilità della maggioranza, ritroviamo nella
mozione presentata dalle forze politiche, non unanimi, che sostengono
l'Esecutivo.
Che una svolta di pace, piú che augurabile, sia necessaria
é fuori discussione. Non siamo nemmeno ansiosi di vedere i nostri
piloti partire in missione per bombardare la Jugoslavia. Ma c'é un
modo nelle cose ed anche in politica che va rispettato, pena la perdita di
credito, immagine e ruolo.
Non si puó fare una sortita come quella del Presidente del
Consiglio a Berlino, esponendosi alla gelida reazione dei nostri alleati,
molto piú di una smentita! Non si puó assumere una posizione
dettata dalla necessità tattica degli equilibrismi parlamentari e non
tanto da una visione d'insieme e responsabile dell'evoluzione di questa
drammatica crisi. Se davvero esistessero le condizioni tali da consentire di
porre fine ai bombardamenti, saremmo ben felici di coglierle, perchè
non siamo fautori di una strategia politico-militare rivolta a distruggere
la Jugoslavia. Ma inventarsi queste condizioni, enfatizzando tatticamente
qualche sussurro diplomatico, soltanto a fini di politica interna, non
é solo un errore, ma una manifestazione di scarsa serietà
politica.
E se dal quadro strettamente politico passiamo a quello piú
squisitamente militare, le cose non migliorano. Il Presidente del Consiglio,
con argomentazioni per la verità un pó bizantine, tende a
sostenere che la nostra aviazione non é coinvolta in chiave offensiva
e svolge solo un ruolo di pattugliamento del nostro spazio aereo. Piú
realisticamente, devo dire, il ministro della difesa Scognamiglio sottolinea
che l'impiego dei nostri aerei dipende in realtà dal comando alleato
al quale sono stati assegnati e nei confronti del quale, possiamo
ipotizzare, sono stati rivolti - saró malizioso - inviti ad un
impiego offensivo da ultima ratio , e ció collegato al
momento cosí delicato del quadro politico interno italiano.
Questo comportamento, onorevoli colleghi, non é dignitoso e
rischia di riproporre un clichè
del nostro paese non dei piú edificanti. Poc'anzi, il senatore
Cossiga evocava alcune date infelici per il nostro paese. C'é da
augurarsi, e da adoperarsi, che questa guerra, per molti versi assurda,
finisca prima possibile. Ma sino a quando é in atto, l'Italia deve
compiere il suo dovere di alleato e le sue forze armate devono svolgere il
ruolo che viene loro assegnato nell'ambito della strategia messa in atto dal
comando di Bruxelles.
Entrando nel merito delle ragioni di questa guerra e soprattutto
degli scenari del dopo, proprio partendo da questo impegno di coerenza e
responsabilità, possiamo avanzare dubbi, perplessità ed
interrogativi sul significato e sugli obiettivi di questo conflitto.
Cerchiamo intanto di sfuggire, onorevoli colleghi, a semplificazioni
che non giovano non solo alla ratio
politica, ma anche alla comprensione dei fatti. Non siamo di fronte ad una
lotta tra le forze del bene e quelle del male. Siamo alle prese con una
crisi complessa, nella quale certamente ci sono chiare responsabilità
e nefandezze, ma che va valutata fuori dalle enfasi di comodo. Milosevic ha
fatto di tutto per creare questa situazione ed ha condannato il suo popolo,
con il quale noi storicamente abbiamo avuto rapporti piú che
amichevoli anche nei momenti piú drammatici della storia comune, a
sofferenze e pene inaudite. Possiamo con ragione gratificare il Presidente
jugoslavo di tutti gli insulti possibili, ma questo non cambia i termini del
problema. Il suo regime autoritario, in ragione di una scontata reazione
nazionalista, é in questo momento ancora saldo, cooptando anche
larghi settori dell'opposizione. Stiamo quindi attenti a non compiere
l'errore commesso nei confronti di Saddam Hussein che, nonostante il
moltiplicarsi delle tempeste, é ancora al suo posto.
Il Presidente jugoslavo, che nella sua condotta politica ha attinto
ad una tradizione di spietatezza e talvolta di barbarie, é finito
nella trappola che egli stesso ha allestito. Già prima che la guerra
bosniaca cessasse, era fin troppo chiaro che il secondo fronte si sarebbe
aperto dentro casa, nel Kosovo. Non ha fatto nulla per evitare il peggio.
Attuando una spietata repressione, ha spiazzato l'ala moderata del
nazionalismo albanese, favorendo nuovi spazi e consensi all'insorgere sulla
scena di una guerriglia, quella dell'UCK, che ha radicalizzato il conflitto.
É Milosevic il responsabile della incontrollabilità di
questa crisi, che egli ha preteso di poter risolvere ricorrendo ai metodi di
pulizia etnica di cui i serbi si sono certamente resi responsabili in queste
guerre post -titine, ma non da soli. L'espulsione ed i massacri
dei serbi della Krasnja, ad opera dei croati, sta a ricordarci che la
frontiera delle buone ragioni non é cosí lineare ed il
giudizio sui comportamenti non tanto scontato.
Ma se Milosevic é arrivato al punto da porre il suo paese nel
vicolo cieco della disgregazione ed il mondo ad affrontare la piú
grave crisi dalla fine del confronto Est-Ovest, ció lo si deve anche
all'incapacità dei paesi occidentali di agire con tempestività
e con chiarezza di obiettivi. C'é stata una latitanza dell'Europa,
gravissima, che la stessa condotta delle operazioni militari enfatizza, ed
una strategia degli Stati Uniti che spesso ha obbedito a logiche planetarie,
piuttosto che alle esigenze storiche e geopolitiche della regione teatro
della crisi.
Il diritto degli albanesi a decidere del loro destino (l'Italia,
riguardando la sua storia, ha qualche responsabilità supplementare,
siamo d'accordo) é irrinunciabile. Ma in quale quadro, in quale
contesto e con quali prospettive? La preoccupazione della Serbia - nucleo
essenziale della terza costruzione jugolsava - di salvaguardare la sua
esistenza nazionale mantenendo una frontiera che racchiude il Kosovo,
abitato ora a maggioranza da albanesi, é comprensibile. Si tratta
allora di trovare, nell'ambito delle attuali realtà e non
nell'immaginario politico, una soluzione che ragionevolmente possa essere
varata. Quella elaborata a Parigi, onorevole Presidente del Consiglio,
bisogna riconoscerlo, aveva piú i caratteri dell'imposizione che non
della mediazione, ed é quindi da riesaminare alla luce, comunque, di
quel dopo che ancora non conosciamo e che non promette, purtroppo, nulla di
buono.
Onorevoli colleghi, se guardiamo, poi, al vasto scenario
internazionale, esso non é dei piú rassicuranti. La reazione
della Russia, la sostanziale impotenza dell'Europa, che non viene compensata
dalla reattività dei suoi strumenti militari integrati nell'alleanza,
l'esautoramento dell'ONU, tradizionalmente incapace di gestire crisi di
questa portata, senza mezzi e risorse adeguate, sono tutti elementi che
delineano una nuova realtà internazionale per questa fine di secolo.
Il dopo guerra fredda impone nuovi equilibri planetari che
comprensibilmente, partendo dallo scacchiere europeo, la NATO, a
cinquant'anni dalla sua fondazione, é portata a garantire. Pensare di
uscire da questa alleanza o di starci con una riserva ostile é fuori
dalla realtà e politicamente stupido. Quello che bisogna fare
é, invece, promuovere una maggiore assunzione di
responsabilità da parte dell'Europa - non ci stancheremo mai di dirlo
- per far sí che crisi come quella in atto nei Balcani non diventino
una tragedia, come purtroppo é avvenuto.
Onorevoli colleghi, in questa attesa, in linea con la mozione di
Alleanza Nazionale e del Polo, di opposizione al suo Governo, onorevole
D'Alema, non ci resta che formulare l'augurio che finisca il martirio del
popolo albanese del Kosovo e di quello serbo tenuto in ostaggio da una
storia cinicamente utilizzata dai suoi dirigenti. (Applausi dai Gruppi
Alleanza Nazionale e Forza Italia. Molte congratulazioni).
Il "secolo breve" rischia di chiudersi con l'esplosione di una
guerra nel vecchio continente. L'iniziativa diplomatica sembra oggi,
ribadisco oggi, sconfitta dal potere delle armi. Inizio e fine sembrano
ripetersi e congiungersi: questo secolo breve, cosí contraddittorio e
cosí complesso, cosí aperto a movimenti, forze, idee di pace e
di libertà e, nel contempo, cosí gravido di occasioni e mezzi
di morte, di barbarie e di violenza; questo secolo breve cosí ricco
di spiritualità, di cultura, di letteratura e di poesia ma anche
cosí mal orientato, omologato, assiologicamente indifferente; questo
secolo breve della solidarietà e dell'accoglienza ma anche di feroce
isolamento, dove la ferinità sembra essere spesso la modalità
relazionale principale.
Viene quindi da lontano questa tragedia annunciata. L'Europa
piú avvertita, la comunità internazionale piú
sensibile, da tempo si é autointerrogata dandosi risposte di impegno,
di progetto e di costruzione. Sono nati organismi fondati sulla coscienza di
una storia da vivere e da rivivere, di un passato da conoscere, di una
testimonianza da tramandare sul senso di un percorso di valori di
incommensurabile rilievo.
La storia dell'Europa é quella di una civiltà al
plurale, che via via si é realizzata, seppure nei conflitti e nelle
regressioni. Il succedersi delle civiltà appalesa la voglia di
vivere, la domanda di pace, di libertà, di sviluppo e di
solidarietà. Momenti di grande mobilitazione morale delle coscienze
sono stati descritti da intellettuali, artisti e filosofi e ulteriormente
inverati da profeti e maestri delle varie confessioni religiose.
Sintesi politica e morale, la piú alta e nobile in questo
complesso di pensiero, é il Consiglio d'Europa, l'Assemblea di
Strasburgo, che proprio nel maggio di quest'anno celebra i cinquant'anni di
esistenza. I diritti umani, la pace e il rispetto delle minoranze
costituiscono l'oggettivo fondamento della coscienza europea di per
sè aperta, mobile e diffusa. Siamo alla vigilia di una realizzazione
nobile, che solo ieri sembrava un sogno: un'Europa sempre piú ampia,
fino a comprendere tutta se stessa. Giovanni Paolo II direbbe (come in
effetti ha fatto): "dall'Atlantico agli Urali".
L'operazione militare di questi giorni, questa operazione di guerra,
grave e tragica, rischia di compromettere questo cammino. Ecco perchè
é importante riprendere il dialogo e sostenerlo fino in fondo,
riattivare il gruppo di contatto di cui l'Italia é parte, ridare il
giusto rilievo alla Russia che fino a ieri ha bipolarizzato il mondo e si
ritiene - piaccia o meno - la grande madre e sorella di tutti i serbi;
cosí come occorre sollecitare il piú intensamente possibile
l'Unione europea a sostegno di un negoziato sperabilmente risolutivo.
Il dovere dell'ingerenza umanitaria in nome dei diritti umani,
espressione nobilmente cogente di solidarietà verso le donne, i
bambini e gli anziani, cioé verso i piú indifesi, deve
sposarsi ad una intelligente valutazione degli spiragli di pace che si
aprono, al fine di costruire un processo di sospensione dei bombardamenti,
prima, e di successiva e progressiva pacificazione nazionale ed interetnica,
poi. Ma per fare tutto questo occorre che la mediazione politica, nella sua
forma piú alta, torni a battere un colpo, dia, cioé, segno di
vita in tutti i sensi.
Ho trovato tutto questo nella sua relazione, signor Presidente del
Consiglio, e nella mozione della maggioranza, per cui non capisco
perchè su quella mozione, proprio sul passaggio relativo all'impegno
dell'Italia circa la fine dei bombardamenti, ci sia una discussione secondo
me estremamente oziosa. Basta leggere fino in fondo il testo di quel
passaggio per capire che ci muoviamo sempre e solo insieme agli alleati.
Quindi mi pare che la filosofia della mozione firmata dalla maggioranza vada
nettamente in questo senso.
Termino il mio intervento, signor Presidente (visto che ho preferito
fare una sorta di bilancio di natura etico-cultural-politica, piuttosto che
parlare espressamente della decisione), con un articolo apparso su un
quotidiano, che mi pare riassuma bene lo spirito oggi necessariamente
presente, dal titolo: "Un'ora buia per l'umanità ma la pace
puó ancora vincere". Il quotidiano in questione, l'"Osservatore
romano", quindi un foglio estremamente e doverosamente impegnato in questo
senso, riporta: "Quella presente é un'ora buia per l'umanità.
Dolore e inquietudine accompagnano il ritorno della guerra in Europa, dopo
che non sono stati sufficientemente efficaci gli sforzi di favorire una
soluzione pacifica alla grave crisi del Kosovo. Tuttavia la vittoria della
pace puó ancora affermarsi. Nell'intimo sentire di ogni retta
coscienza, nella preghiera che unisce tutti i popoli del mondo, c'é
la speranza che quest'ora sia contenuta e che gli scenari allarmanti di
un'ulteriore estensione delle violenze non debbano verificarsi. I momenti
piú drammatici sono quelli in cui piú forte puó e deve
farsi la preghiera".
Oggi pomeriggio alla Camera piú di un deputato ha fatto
riferimento a questa duplice coscienza, civile e politica, e religiosa.
Questo é un momento estremamente drammatico da questo punto di vista.
"Se ne é fatto ancora una volta testimone il Papa ieri in
Piazza San Pietro" - continua l'"Osservatore Romano" (non a caso in questi
cento anni alcuni dei maggiori Pontefici si sono trovati in mezzo a
conflitti reali o possibili) - "La preghiera di tutti gli uomini, l'ansia
accorata di tutti i popoli chiedono che le ragioni dell'uomo e della pace
prevalgano in tutti i protagonisti di questo nuovo dramma che conclude un
secolo di orrori in Europa". Ecco perchè prima mi sono permesso di
dire che inizio e fine sembrano coincidere, secondo il detto del filosofo.
E ancora: "Le generazioni memori della guerra e quelle piú
fortunate alle quali per cinquant'anni ne sono stati risparmiati gli orrori
sono unite dalla speranza che venga dissipato quest'incubo, quest'ombra
sanguinosa sull'aprirsi del nuovo millennio. Basta che i responsabili
abbiano il coraggio di tornare a parlarsi."
Siccome noi siamo responsabili politici, credo che dobbiamo
accogliere questo invito e ritengo che nell'ambito di questa strada si muova
l'azione del Governo. (Applausi dai Gruppi Partito Popolare Italiano,
Unione Democratica per la Repubblica (UDR) e Democratici di Sinistra-L'Ulivo
e del senatore Manis. Congratulazioni).
Una prima considerazione riguarda i dati forniti dall'Agenzia delle
Nazioni Unite sulla catastrofe del Kosovo; sono cifre agghiaccianti che
danno la misura della tragedia di un popolo che ha subíto e continua
a subire gli effetti e i colpi di un'azione che non si puó non
definire di pulizia etnica: oltre 400.000 profughi, circa 2.000 morti,
devastazione e distruzione di 440 villaggi, cioé del 75 per cento
della regione, spaventosi massacri collettivi, come quello di Doni Prekaz
nel 1998 e quello orribile di qualche giorno fa dei venti insegnanti uccisi
davanti ai loro alunni.
Si tratta di azioni criminali contro popolazioni civili, accertate
anche dai verificatori dell'OSCE, che hanno provocato danni e disperazioni
in un popolo che cerca scampo nella fuga in massa, in un esodo che sta
assumendo proporzioni sempre piú preoccupanti.
Una seconda considerazione che vorrei fare riguarda la
responsabilità del fallimento dell'accordo di Rambouillet che
garantiva al Kosovo regole di autonomia e alla Serbia la salvaguardia
dell'integrità territoriale della Repubblica federale jugoslava.
É impossibile non riconoscere che la responsabilità del
fallimento del negoziato debba ricadere su Milosevic, che non ha accettato
l'ipotesi della presenza sul territorio della regione di un'efficace forza
multinazionale di pace, formata anche da paesi del Gruppo di contatto e
quindi anche dalla Russia. É difficile non riconoscere ed apprezzare
invece che il Kosovo abbia accettato un accordo che prevedeva il no alla sua
indipendenza, il no al referendum
per l'autodeterminazione, la previsione del disarmo e dello scioglimento
dell'UCK e degli altri gruppi indipendentisti, mentre Belgrado pretendeva
che nel Kosovo autonomo restasse la polizia serba, che non si dovesse creare
una forza di polizia multietnica a garanzia delle diverse etnie e che nella
stessa regione, grande come l'Umbria, dovessero rimanere circa 30.000 uomini
dell'esercito serbo.
In questi scenari deve essere inquadrata l'azione del Governo
italiano, dispiegatasi prima con gli strumenti della politica e della
diplomazia e poi con la condivisione della decisione dell'attacco aereo
contro gli insediamenti militari della Serbia, allo scopo di bloccare la
barbarie del genocidio in atto e di tutelare e garantire i diritti umani di
popolazioni civili indifese.
Di quest'azione da qualche parte si vuole dare una chiave di lettura
che sul piano strettamente giuridico ha qualche fondamento, e cioé
che non vi é stata una esplicita risoluzione del Consiglio di
sicurezza dell'ONU che autorizzasse l'intervento militare.
Di rimando non voglio ora enfatizzare il valore della risoluzione n.
1203 dell'ottobre 1998 del Consiglio di sicurezza dell'ONU quale sufficiente
base legale per un intervento della NATO; cosí come non voglio
enfatizzare una sensazione, o meglio, una constatazione abbastanza diffusa:
che l'ONU appaia, almeno con le sue attuali regole di funzionamento, in un
certo modo superata come garante dell'ordine mondiale dopo il fallimento in
Bosnia, prima dell'intervento risolutivo della NATO, e a causa
dell'inadeguatezza delle sue regole, che portano alla paralisi nel momento
delle decisioni che richiedono l'unanimità. Nè ora voglio
insistere su questi aspetti che giustificano l'intervento. Noi oggi vogliamo
dire e riaffermare che l'intervento dell'Alleanza era ed é
necessario, anche se doloroso, per considerazioni di natura politica e per
motivazioni morali.
Una prima ragione politica poggia sulle reiterate violazioni da
parte di Milosevic degli accordi sottoscritti in ottobre con il mediatore
Hol brooke. Una seconda, ancora piú pesante, poggia sulla
constatazione che l'instabilità di un paese si riflette
inevitabilmente su quella degli altri, dando vita ad un potenziale e
distruttivo effetto domino. Indiscutibili ci sembrano, inoltre, le
motivazioni morali dell'intervento, perchè un'azione militare diventa
giustificabile se serve ad arrestare la barbarie degli eccidi e della
pulizia etnica, e ad evitare il dramma di un esodo di proporzioni
agghiaccianti.
Lo stesso Kofi Annan, nel difendere le prerogative dell'ONU, l'altro
ieri ha affermato che in talune circostanze l'uso della forza é
l'unica soluzione possibile; e la recente decisione del Consiglio di
sicurezza dell'ONU, che ha respinto la proposta della Federazione russa, ne
é un'ulteriore conferma. Ma ora, mentre l'azione militare é in
corso da due giorni, é opportuno che si cominci a lavorare
perchè l'uso delle armi, che non piace a nessuno e tanto meno a noi,
Democratici di Sinistra, favorisca la ripresa della trattativa.
Lo ha anticipato lei, signor Presidente, ieri parlando a Berlino: le
bombe e i missili non sono nè l'unico, nè il piú idoneo
strumento per la ricerca della pace e della stabilità nei Balcani.
L'Italia ha un compito inedito, che si sta delineando in maniera sempre
piú nitida e marcata, di garante della stabilità nei Balcani.
É un compito che le viene affidato non solo per l'apporto dato in
precedenti interventi, ma anche per la sua costante ed attiva presenza in
iniziative di partenariato che mirano a rinsaldare vincoli e a stabilire
sempre piú avanzate intese tra Stati diversi. Si pensi all'operazione
"Alba" in Albania, alla costituzione della brigata multinazionale italiana,
slovena ed ungherese, all'adesione al progetto di costituzione di una forza
multinazionale di pace, la brigata Sebric, che avrà sede in Plovdiv,
in Bulgaria, formata da Bulgaria, Albania, Macedonia, Grecia, Romania, e che
vede anche la partecipazione dell'Italia, unico paese non balcanico.
Si pensi anche al segnale che la Serbia ha voluto lanciare non
rompendo le relazioni diplomatiche con l'Italia, dopo averlo fatto con gli
altri principali paesi dell'Alleanza. Eppure l'Italia é il paese da
cui parte il maggior numero di aerei per l'offensiva militare della NATO.
Continuare ad avere relazioni diplomatiche con l'Italia non puó,
quindi, essere scelta casuale: é invece la chiara indicazione della
scelta di un interlocutore privilegiato per la ripresa del negoziato.
Anche se non dimentichiamo che stiamo compiendo un'azione militare
offensiva per realizzare un bene maggiore, e cioé il salvataggio di
popolazioni civili indifese e la tutela dei diritti umani di un popolo, oggi
noi chiediamo che il Governo si adoperi presso gli alleati NATO per la
ripresa del negoziato e la sospensione dei bombardamenti. Oggi noi chiediamo
di attenuare l'opzione militare e privilegiare quella diplomatica, non solo
perchè il conflitto potrebbe durare a lungo o, peggio, dilatarsi, ma
anche per motivi di principio, ai quali non vogliamo rinunciare, per una
sorta di codice genetico che ci appartiene e perchè l'opzione della
pace é fondamentale nelle democrazie come la nostra. (Applausi
dai Gruppi Democratici di Sinistra-L'Ulivo, Rinnovamento Italiano,
Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa e Partito Popolare
Italiano. Molte congratulazioni).
Do conto all'Assemblea che sono state presentate le seguenti
mozioni: 376, del senatore Gasperini ed altri senatori; 377, del senatore La
Loggia ed altri senatori; 378, del senatore Salvi ed altri senatori; 379 del
senatore Meluzzi ed altri senatori. Vi sono poi gli ordini del giorno n. 1,
del senatore Russo Spena; n. 2, del senatore Milio; n. 3, del senatore
Gasperini; n. 4, del senatore Marino, mentre l'ordine del giorno n. 5, del
senatore Manis e di altri senatori, é stato ritirato.
Su ciascuno di questi documenti il Presidente del Consiglio, che
interviene in replica, farà conoscere alla Presidenza qual é
l'avviso del Governo.
Ha facoltà di intervenire in replica il presidente del
Consiglio dei Ministri, onorevole D'Alema.
Certo, per noi vivere queste ore in cui l'azione politica normale,
la vita pacifica nel paese si confrontano con la realtà di una guerra
che ci é vicina e che ci coinvolge, rappresenta una emozione profonda
per chi, come noi, respinga la violenza, avverta il valore universale della
vita umana, viva con autentica partecipazione il dramma di quelle
popolazioni; tutte: quelle albanesi, perseguitate da un esercito feroce -
ancora in queste ore, le notizie di stragi efferate colpiscono, feriscono -
le popolazioni della Serbia, della Repubblica jugoslava, del Montenegro,
della Vojvodina, quelle popolazioni anch'esse coinvolte dalla guerra,
sconvolte da bombardamenti che, per quanto mirati verso obiettivi militari,
inevitabilmente finiscono per produrre anche vittime civili e comunque per
gettare nell'angoscia popolazioni e famiglie.
Tutto questo é vissuto da noi con intensa partecipazione;
questo é - se mi consentite - un modo di essere degli italiani, forse
piú che di altri popoli, un senso di umanità che io non
considero un difetto bensí una delle qualità del nostro paese.
Ci sono, come é comprensibile, opinioni politiche diverse, ma
é comune alla stragrande maggioranza, direi alla totalità
delle forze politiche, dei parlamentari, la solidarietà verso le
popolazioni albanesi del Kosovo; la consapevolezza che bisogna fare
qualcosa; la denuncia delle responsabilità del Governo della
Repubblica federativa jugoslava e del presidente Milosevic, che certo non ha
nel nostro paese simpatizzanti in alcuno schieramento politico; ed infine
l'idea che questo conflitto dovrà trovare una soluzione politica, e
anche in chi, come me, ritiene che l'uso della forza sia inevitabile per non
essere nel le condizioni di dover assistere imbelli all'esercizio di una
violenza feroce e al trionfo di un regime oppressivo, tuttavia, credo, anche
in chi la pensa cosí deve esservi una grandissima prudenza nell'uso
del concetto di ingerenza militare per fini umanitari.
L'uso della forza é e deve pur sempre restare un fatto
eccezionale, un rimedio estremo che si giustifica di fronte, davvero, al
pericolo di una catastrofe, ad una minaccia per la stabilità non solo
all'interno di un paese ma, come é oggi, in un'intera regione.
Vorrei anche aggiungere che per noi l'uso della forza deve avere
obiettivi precisi, limitati e - questa é la nostra opinione - deve
svilupparsi anche lungo un arco temporale ragionevole, ristretto.
(Applausi dai Gruppi Democratici di Sinistra-L'Ulivo, Rinnovamento Italiano,
Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa, Verdi-L'Ulivo,
Unione Democratica per la Repubblica (UDR), Partito Popolare Italiano e
dalle componenti Socialisti Democratici Italiani e i Democratici-L'Ulivo del
Gruppo Misto e del senatore Pinggera) . Lo affermo perchè lo
abbiamo anche detto ai nostri alleati e lo diciamo, come é giusto che
sia.
L'azione militare della NATO non ha come obiettivo la distruzione
della Serbia. L'azione militare della NATO non ha neppure come obiettivo il
rovesciamento di Milosevic e del suo Governo, per quanto quel Governo e
quell'uomo politico possano giustamente non piacerci.
Non é legittimo che l'uso della forza sia volto a mutare gli
equilibri politici. Il rovesciamento di Milosevic é un problema che
riguarda il popolo della Federazione jugoslava e della Serbia; non riguarda
la NATO, non riguarda noi.
L'uso della forza ha come obiettivo quello di indurre l'esercito e
le forze di sicurezza della Serbia a desistere rispetto alla repressione
delle popolazioni albanesi; ha come obiettivo quello di ridurre il
potenziale militare di una forza bellica che viene scatenata contro lo
stesso popolo che dovrebbe difendere, giacchè quegli albanesi del
Kosovo sono cittadini di quella Repubblica federale jugoslava il cui
esercito si volge contro di loro. Credo che questo sia uno dei fatti
piú mostruosi nella vita di un paese che si possano conoscere.
L'uso della forza ha l'obiettivo di indurre il Governo serbo al
negoziato, a tornare a quel tavolo della pace che era stato costruito con
fatica intorno ad obiettivi condivisibili - l'autonomia e non l'indipendenza
del Kosovo, non la disgregazione della Repubblica federale jugoslava - nel
quadro di garanzie internazionali e di una forza di pace.
Devo dire davvero che la disponibilità negoziale a che questa
forza non fosse soltanto della NATO; era evidente e già si era
manifestata una disponibilità anche da parte della Russia, nel caso
di un accordo con i serbi, a partecipare a quella forza. Dunque, una forza
internazionale nella quale non fossero rappresentati solo i paesi della
NATO, e vorrei anche aggiungere che l'impegno dell'Italia e la sua
richiesta, che era all'attenzione del Consiglio atlantico, erano volti a che
questa forza internazionale si dispiegasse non soltanto nel Kosovo ma anche
in Albania, d'intesa con il Governo albanese, per presidiare i porti e
garantire un'interruzione di un contrabbando di armi e di droga che non solo
co stituisce un problema per il nostro paese ma che ha alimentato la
guerriglia dell'UCK.
Dispiegare le forze in Kosovo e in Albania avrebbe il significato
non una dell'occupazione militare di un altro paese sovrano, ma di un
dispiegamento per fini di mantenimento della pace nella regione, con la
corresponsabilità di tutti i governi interessati.
Questa é una via ragionevole, non era la volontà di
umiliare il Governo di Belgrado. Questa era la posizione italiana ed europea
ed anche gli Stati Uniti si erano detti disposti ad accettare questa
visione. E sono queste le proposte che Milosevic ha respinto nel suo ultimo
colloquio con il negoziatore americano Holbrooke. Se, alla fine, siamo
arrivati all'uso della forza é davvero dopo avere compiuto numerosi
tentativi perchè il conflitto potesse avere un'altra soluzione.
In queste giornate drammatiche l'Italia fa il suo dovere. Vorrei
dire al senatore Cossiga - del quale ricambio la stima - che non mi pare
generose verso le nostre Forze armate l'immagine di chi fa il suo dovere e
di chi pulisce le stanze. (Applausi dai Gruppi Democratici di
Sinistra-L'Ulivo, Partito Popolare Italiano, Unione Democratica per la
Repubblica (UDR), e Rinnovamento Italiano, Liberaldemocratici,
Indipendenti-Popolari per l'Europa, e dalle componenti Socialisti
Democratici italiani e I Democratici-L'Ulivo del Gruppo Misto e dei senatori
Carella e Cortiana). Tra lanciare missili e bombe e pulire le stanze
ci sono tante altre funzioni non meno rischiose, come garantire la sicurezza
in volo degli aerei che sono chiamati a combattere, esercitare un controllo
di ricognizione; attività che espongono agli stessi rischi, ma che
non implicano l'uso della forza, il lancio delle bombe.
Le nostre Forze armate hanno dimostrato, in questi anni, la
capacità di partecipare anche a missioni rischiose per il
mantenimento e il ristabilimento della pace, in varie parti del mondo. Lo
hanno fatto con professionalità, affrontando pericoli, in qualche
caso anche lasciando dei caduti sul campo. Noi siamo nel mondo il quarto
paese per numero di militari impegnati in missioni internazionali di pace,
dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Dunque, siamo un paese
che, da questo punto di vista, certamente si é preso e si prende
tutte le sue responsabilità (Applausi dai Gruppi Democratici di
Sinistra-L'Ulivo, Unione Democratica per la Repubblica (UDR) e Rinnovamento
Italiano, Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa).
Vorrei... (Commenti del senatore Palombo)...
sono dati riportati dalle tabelle dell'ONU; le ho qui, se le vuole
controllare. Sono le tabelle dell'ONU, non é un'elaborazione
statistica personale.
Vorrei anche aggiungere una considerazione che credo debba essere
tenuta presente: é regola delle missioni internazionali
multinazionali che la partecipazione agli atti di guerra, agli atti di
forza, da parte di militari di paesi vicini o confinanti ai paesi
interessati sia sempre considerata con estrema prudenza; per ragioni ovvie,
comprensibili. Noi abbiamo un altissimo grado di esposizione in questo
conflitto. In quale altro paese dell'Alleanza Atlantica si chiudono gli
aeroporti? Da quale altro paese dell'Alleanza atlantica partono gli aerei?
(Commenti del senatore Palombo) . Noi abbiamo un'altissima
esposizione in questo conflit to; altro che l'8 settembre. Ci siamo presi
tutte le nostre responsabilità di fronte ad una situazione
internazionale assai delicata; lo abbiamo fatto in condizioni di sicurezza
per i cittadini italiani, ma certamente credo non si debba sottovalutare la
responsabilità e l'impegno dell'Italia in questo momento, non sarebbe
giusto.
Ora, vorrei anche aggiungere, a chi ha pensato di poter scorgere una
contraddizione tra questa assunzione di responsabilità e il nostro
pronunciato impegno perchè si torni ad un'iniziativa politica e
perchè si riapra lo spiraglio negoziale, che io ritengo che non vi
sia alcuna contraddizione tra questi due aspetti. Noi siamo parte di una
Alleanza e ci facciamo carico di tutto ció che questo comporta; ma
siamo anche uno Stato sovrano, un paese che non rinuncia a dire la sua nel
dialogo con gli alleati. Noi sappiamo che l'essere parte di quell'Alleanza
é una condizione per l'Italia per contare. L'ho detto anche nella mia
introduzione: se l'Italia vuole contribuire alla pace puó farlo
all'interno della NATO e dell'Unione europea; se invece l'Italia vuole
soltanto tirarsi fuori dal conflitto e mettersi in pace la coscienza,
puó farlo separandosi dai suoi alleati, ma non é certo questo
che il Governo vuole fare. (Commenti del senatore Reccia) . Noi
siamo parte di quell'Alleanza, ci prendiamo le nostre responsabilità,
anche perchè vogliamo contare in un'azione volta a ricercare e a far
progredire una soluzione politica di questo conflitto.
Ribadisco ció che ho detto ieri, sono convinto, anche per il
successo dell'azione militare, che si avvicini il momento in cui si
potrà tornare ad un'iniziativa politica e noi lavoriamo perchè
si arrivi di nuovo ad un'iniziativa politica e ad un tavolo negoziale.
Ero a Berlino insieme al Primo Ministro britannico, il quale ha
voluto esprimere un'opinione non in polemica, come egli stesso ha detto.
(Commenti del senatore Servello) . Egli ha affermato che non era
in polemica, comunque se lei ora é diventato il portavoce del Primo
Ministro britannico, questo mi fa piacere per lei, perchè si tratta
di una persona molto simpatica. (Ilarità) .
Trovo sia naturale che fra paesi alleati possa esservi chi, per una
propria propensione, per la propria storia, per la propria cultura, per il
proprio modo di vedere le cose, mette l'accento sulle ragioni della forza e
chi mette l'accento sulle ragioni del dialogo e della pace.
Ma, ripeto, non vedo alcuna contraddizione, per un paese sovrano,
tra l'essere parte di un'alleanza, prendersi le proprie
responsabilità, anche difficili e, nello stesso tempo,
caratterizzarsi in quest'alleanza come un paese che mette l'accento e che
incoraggia un'azione volta ad una soluzione pacifica. Credo che questo non
corrisponda soltanto ad una propensione che é certamente del Governo
e mia, ma mi permetto di dire che questo, a mio giudizio, corrisponde ad una
aspettativa che é nel profondo della coscienza degli italiani, della
grande maggioranza degli italiani. É qualcosa che appartiene alla
nostra cultura, al modo di essere delle grandi forze politiche che animano
il nostro paese, qualcosa che fa dell'Italia un paese diverso dagli altri,
come é ragionevole che sia, ma - io credo - non peggiore.
Comunque, questa é l'Italia che noi rappresentiamo e
governiamo. Un paese in cui c'é un profondo sentimento religioso, un
paese nel quale il messaggio del Pontefice di preoccupazione e di angoscia
per la guerra ha una eco grande, forse piú che in altri paesi.
(Commenti del senatore Asciutti) . Un paese nel quale c'é anche
una Sinistra che ha una tradizione in parte pacifista, ambientalista.
Questa é la realtà dell'Italia e il compito del
Governo é quello di saper rappresentare questo paese e i suoi
sentimenti nel rispetto delle alleanze internazionali, quello di portare la
voce di questo paese là dove si decide, al tavolo in cui l'Alleanza,
l'Unione europea, prendono le decisioni, assumendosi le
responsabilità che sono necessarie per poter partecipare alle
decisioni, ma anche senza rinunciare alle nostre idee, ai nostri sentimenti,
al nostro modo di vedere le cose.
Ci aspettano giornate difficili, pesanti. Vorrei porre l'accento su
quest'ultimo concetto: sento una responsabilità pesante, pur nella
piena convinzione che non ci fosse altro da fare, ma l'essermi assunto la
responsabilità, come capo del Governo italiano, di comunicare al
nostro rappresentante nel Consiglio atlantico che si doveva dire di
sí all'avvio delle operazioni militari - capisco che c'é chi
puó vivere a cuor leggero una responsabilità di questo tipo -
io la vivo come una responsabilità pesante. Credo che tutti dobbiamo
vivere queste giornate come giornate difficili, nelle quali non ci siamo
tirati indietro e, nello stesso tempo, peró, non abbiamo cessato e
non cesseremo neanche per un minuto di lavorare perchè presto possano
tacere le armi e possa esservi un tavolo di negoziato e di pace. (Vivi,
prolungati applausi dai Gruppi Democratici di Sinistra-L'Ulivo, Partito
Popolare Italiano, Rinnovamento Italiano, Liberaldemocratici,
Indipendenti-Popolari per l'Europa, Unione Democratica per la Repubblica
(UDR), e Verdi-L'Ulivo e dalle componenti Comunista, I Democratici-L'Ulivo,
Socialisti Democrati Italiani del Gruppo misto. Molte congratulazioni).
Per quanto riguarda gli ordini del giorno, il parere é
contrario sull'ordine del giorno n. 1 del senatore Russo Spena.
Relativamente all'ordine del giorno n. 2 del senatore Milio, in particolare
sul dispositivo, il Governo si rimette all'Aula.
L'ordine del giorno n. 3 ksdel senatore Gasperini contiene inviti
che il Governo puó accogliere come raccomandazione: il Governo
é già impegnato, per quanto riguarda il Nord dell'Albania,
all'allestimento di un centro di accoglienza per i profughi. L'ordine del
giorno contiene considerazioni di vario tipo, ma l'invito ad organizzare
l'accoglienza dei profughi anche nei paesi piú direttamente
confinanti con l'area del conflitto il Governo lo vorrebbe accogliere. Sono
disposto pertanto ad accoglierlo come raccomandazione.
Per quanto riguarda l'ordine del giorno n. 4 del senatore Marino, il
Governo si rimette all'Aula.
Passiamo alla votazione.
É iscritto a parlare per dichiarazione di voto il senatore
Milio. Ne ha facoltà.
Le debbo ricordare i tempi strettissimi che ha a disposizione.
Nessuno vuole la guerra, tranne Milosevic; tutti vogliamo la pace.
Il problema é come la si ottiene, tenuto conto che tutte le armi del
dialogo, della democrazia, delle troike
e delle dichiarazioni non sono servite.
La mozione della maggioranza, che intende impegnare il Governo ad
adoperarsi con gli alleati della NATO per un'iniziativa volta a ri prendere
subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti, non mi pare nè
coerente, con il pur apprezzabile suo intervento, presidente D'Alema,
nè utile a contribuire alla risoluzione del problema. É un non
apprezzabile compromesso prevedere la ripresa dei negoziati prima della
sospensione dei bombardamenti: questo significa lasciare Milosevic
dominus della situazione, depotenziare la politica di difesa dei
diritti umani e civili, sabotare l'obiettivo dell'azione militare in corso.
É per questi motivi che dichiaro il mio voto contrario.
Proprio l'inferocimento di tali crimini, non appena gli osservatori
internazionali se ne erano andati, ha costretto - nel vero senso della
parola - l'Alleanza atlantica ad agire senza indugio. A questo punto
all'Italia non rimane altro che fare la propria parte e dimostrare coerenza
e affidabilità all'interno dell'Alleanza Nord atlantica. Non si
puó far finta di non vedere ció che in Kosovo viene perpetrato
e solo tali crimini hanno, in definitiva, imposto la guerra. Certo, se vi
é anche solo uno spiraglio che faccia sperare una
disponibilità alla trattativa della parte serba, accompagnata
peró dalla cessazione del genocidio, allora la strada della
trattativa é da intraprendere. Non dobbiamo peró mandare
segnali sbagliati che potrebbero dare adito a sospetti circa
l'affidabilità del nostro paese nell'ambito NATO.
Con tali premesse, esprimeró il mio voto favorevole alla
mozione di maggioranza ad alle esposizioni del Presidente del Consiglio che
mi hanno convinto. (Applausi del senatore Robol) .
Voi, signori del Governo, ipocritamente continuate a sostenere la
tesi dell'interventismo democratico; ma quale democrazia? Questa guerra
sovverte alle basi ogni principio di legalità dell'ordinamento
internazionale. Fu Hitler l'ultima volta ad affermare il diritto
dell'intervento armato contro lo Stato sovrano senza nessuna risoluzione
delle Nazioni Unite. Quale parola alla politica, presidente D'Alema? Il
generale Clark, che dirige i bombardamenti, soppesando verbi ad avverbi ha
detto: "Sistematicamente e progressivamente... (Diffuso brusío
in Aula. Richiami del Presidente)
...attaccheremo, danneggeremo, degraderemo, devasteremo ed infine
distruggeremo i serbi".
Dietro la tragedia della guerra il punto politico é chiaro:
la NATO forza la situazione per diventare l'unica struttura regolatrice del
nuovo Governo mondiale e il gendarme planetario. Le Nazioni Unite vengono
anch'esse massacrate sotto le bombe e sotto le bombe viene anche
preventivamente massacrata l'idea di un'Europa che resta un gigante
economico ma un nano politico. Il nuovo Governo mondiale deve avere la NATO
come unica struttura mondiale; come unica testa imperiale quella degli Stati
Uniti. Le esigenze umanitarie, purtroppo, non c'entrano niente, altrimenti
le potenze occidentali non avrebbero soffiato sul fuoco per disgregare, per
interessi economici e di potenza, lo Stato multinazionale faticosamente
costruito da Tito; altrimenti non sarebbe stato consegnato Ocalan al boia
turco e l'esercito NATO della Turchia non userebbe, per massacrare 20
milioni di curdi, le stesse armi, gli stessi Comandi che dicono ora di
bombardare per salvare i kosovari: due pesi e due misure.
Temo che questa guerra avrà conseguenze disastrose, signori
del Governo: immediate perchè non finirà domani, anzi
sarà un cancro pervasivo che purtroppo si diffonderà; il
conflitto si allargherà e scatenerà ulteriori spinte
nazionalistiche. Infatti, sta già abbattendo i pochi fragili ponti
che restavano in piedi per ricostruire cooperazione e relazioni tra le
persone e fra i popoli. Vi sarà un odio crescente, una solitudine
crescente, una disperazione crescente, purtroppo. E anche di lungo periodo
saranno le conseguenze, perchè questa guerra sta abbattendo perfino
la speranza di un mondo multilaterale, retto da nuovi statuti di
cittadinanza e di sovranità popolare, come ha bisogno un mondo
globalizzato.
Io credo che, per fermare realmente questa guerra, sia necessario
fermare subito i bombardamenti, a partire dal nostro atto di volontà
parlamentare; bisogna riprendere subito le trattative, serve una Conferenza
internazionale sul destino dell'intera area balcanica, sulla sua progressiva
integrazione in un'Europa comune, democratica e multietnica.
Colleghi, la guerra é uno spartiacque morale e politico e
nessuno dica in questi giorni, in queste ore, sí alla guerra solo per
evitare una crisi di Governo: sarebbe un ennesimo e tragico errore che
pagheremmo amaramente.
L'Italia non puó apparire come l'anello debole dell'Alleanza
o, quel che é peggio, come un socio inaffidabile; non dobbiamo
indebolire l'immagine dell'Italia in Europa. Sbaglieremmo se alimentassimo
un'ingiusta ed errata idea che vorrebbe far credere che gli italiani non
sono alleati certi, solidi, specie oggi che ci hanno affidato la Presidenza
della Commissione europea.
Nelle sedi politiche decisionali dell'Alleanza atlantica l'Italia
farà senz'altro valere la propria visione e l'esigenza di non
rinunciare alla soluzione negoziale; tutto questo, peró, non
dovrà comportare comunque alcuna smagliatura all'interno
dell'Alleanza. Dobbiamo avere sempre chiara la possibilità di imporre
alla Serbia un accordo sul Kosovo; questo sarà possibile - ammesso
che lo sia - solo se la NATO non dimostrerà incertezze. Milosevic
potrebbe fare affidamento su vere o presunte divisioni in seno all'Alleanza.
Risalgono a poche ore fa alcune notizie provenienti dalle agenzie di stampa
circa la ripresa degli eccidi nel Kosovo, con episodi mostruosi di
abbrutimento umano; si capisce allora perchè vi é stato
l'allontanamento dei giornalisti italiani da Pristina.
L'ONU dovrebbe riprendere l'iniziativa; non dobbiamo peró
nascondere o far finta di non sapere che tale organizzazione é
immobilizzata dal fatto che nel Consiglio di sicurezza basta il veto di un
paese perchè sia resa del tutto inutile la possibilità di
intervento.
Ecco che allora mi pare che l'Italia debba continuare nel suo
sforzo, in quello che é stato con chiarezza espresso nella stessa
replica del Presidente del Consiglio. Probabilmente dobbiamo fare uno sforzo
maggiore, uno sforzo nazionale, per quanto riguarda l'accoglienza,
perchè non si puó pensare di scaricare tutto il peso sulle
strutture dello Stato o delle organizzazioni cattoliche, come é
avvenuto nel passato. É necessario invece fare uno sforzo che veda
coinvolti lo Stato, le regioni, i comuni, le organizzazioni cattoliche e le
organizzazioni del volontariato civile. (Applausi dalla componente
Socialisti Democratici Italiani del Gruppo Misto e dal Gruppo Rinnovamento
Italiano, Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa e del
senatore Veltri).
In sede di discussione generale sulle comunicazioni del Governo,
abbiamo espresso tutta la nostra preoccupazione per il testardo
atteggiamento del Governo serbo di rifiutare ogni ragionevole soluzione
pacifi ca. Abbiamo espresso, altresí, tutta la nostra preoccupazione
per le dolorose conseguenze di un'azione militare che comunque rappresenta
una rottura, genera distruzione, ulteriore violenza, inutili sofferenze,
morte. Tutto questo ci produce una grande amarezza. Quando parlano le armi
tutto si perde, con il dialogo tutto si guadagna.
La crisi ha avuto origini chiare: la persecuzione sistematica delle
popolazioni del Kosovo da parte delle milizie serbe, una persecuzione
perpetrata con ogni tipo di violenza e di disprezzo dei diritti fondamentali
di ogni uomo, la permanente indisponibilità del Governo di Milosevic
a sottoscrivere accordi ragionevoli, accordi onesti. L'azione militare
é stata giustificata dal Governo con argomenti seri. É stato
detto dal Presidente del Consiglio che le tragedie di intere popolazioni
hanno spinto ad agire solo come rimedio estremo, come rimedio eccezionale,
proprio per non essere incolpati, ancora una volta, di indifferenza, di
impotenza, specialmente dopo mesi e mesi di paziente lavoro diplomatico.
Gandhi ci ha insegnato che il metodo della non violenza - scelta che
personalmente apprezzo - é scelta eticamente di alto valore, ma
é scelta personale e non puó essere applicata a popoli e a
governi, perchè non é legittimo caricare tale
responsabilità sulle spalle altrui, specialmente quando sono deboli.
Piú che indulgere a forme di pacifismo parolaio e inconcludente,
occorre essere, con i fatti, operatori di pace. E talvolta disarmare la mano
dei violenti, con un'azione rapida e circoscritta, puó essere
certamente un'opera di pace. Ma é ancora di piú opera di pace
far sí che alla fase uno non seguano la fasi due, tre, quattro:
vorremmo saper contare fino ad uno. Opera di pace é riprendere subito
il filo del negoziato, con il contributo di qualsiasi Governo o organismo
internazionale, per convincere il Governo serbo ad accettare l'accordo di
Rambouillet, per trovare comunque una soluzione politica per la
pacificazione della regione.
I Democratici lavorano perchè la pace e il rispetto dei
diritti fondamentali di ogni uomo abbiano sempre una chance
in piú di qualsiasi scorciatoia violenta.
L'Italia oggi, per il ritrovato ruolo di protagonista nella politica
internazionale, per le sue condizioni geografiche di frontiera, per quel
filo che la lega ancora alla Federazione jugoslava, puó e deve
sviluppare una forte iniziativa politico-diplomatica per la pacificazione
dell'intera regione balcanica.
Presidente, membri del Governo, esplorate e spalancate ogni pur
piccolo spiraglio di apertura. Per questi motivi i Democratici votano
favorevolmente la mozione della maggioranza. (Applausi dalla componente
Democratici-L'Ulivo del Gruppo Misto e dal Gruppo Democratici di
Sinistra-L'Ulivo).
Il Partito dei Comunisti italiani esprime il suo profondo cordoglio
per tutte le vittime innocenti di questa follia bellica e la sua ferma
condanna per questo intervento militare NATO che ritiene illegittimo,
dannoso e pericoloso.
Preannuncio il voto favorevole dei senatori comunisti
all'approvazione della mozione con la quale si impegna il Governo ad
adoperarsi con gli alleati NATO per una ripresa immediata dei negoziati, per
fermare subito i bombardamenti, per mettere fine alla guerra, per ricercare
una soluzione pacifica ed equa, per sostenere il ruolo dell'Organizzazione
delle Nazioni Unite. (Commenti del senatore Asciutti).
Noi non ci siamo mossi per provocare una crisi di Governo ma per porre fine
ad un massacro. Ribadiamo che quest'azione militare é illegittima
perché é contro la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite; non esiste nessuna specifica risoluzione ONU che autorizzi l'attacco
nè un Governo che abbia chiesto un intervento esterno. Si tratta di
un attacco ad uno Stato sovrano non aggressore. Quest'azione militare
é in violazione dello stesso Trattato, con particolare riferimento
agli articoli 3 e 5; mancano tuttora le basi giuridiche per questo
intervento militare. Lo stesso vice presidente del Consiglio, onorevole
Mattarella, in quest'Aula ha dovuto invocare il diritto consuetudinario in
relazione a precedenti interventi di ingerenza umanitaria.
Questa azione militare é pericolosissima perché il
conflitto puó estendersi; c'é il rischio reale che la guerra
ulteriormente dilaghi con un allargamento dell'azione militare. Ecco
perchè bisogna prendere in seria considerazione il monito della
Russia: vi é il rischio di annullare lo sforzo di oltre 50 anni della
Comunità europea di evitare la guerra.
La Jugoslavia non puó subire passivamente un bombardamento
NATO sul proprio territorio sovrano; non é con i bombardamenti che si
risolve il problema Kosovo, ma con un vero negoziato politico che
salvaguardi i diritti di tutti. Questa azione militare é dannosa e
puó costituire un insperato aiuto alle forze nazionaliste piú
estremiste. É un'azione militare rischiosa per la stessa Italia e
puó innestare una spirale di violenza. É un tragico errore. La
Jugoslavia non puó accettare, cosí come tanti altri paesi,
rivendicazioni indipendentiste nè riserve mentali in ordine a questo
problema, ma la Jugoslavia deve ridare la piena autonomia al Kosovo;
autonomia ingiustamente negata nella follia nazionalista del "dopo muro".
Gravi sono le responsabilità della Serbia per la politica condotta
nei confronti degli albanesi del Kosovo; gravi sono le azioni della Serbia e
assolutamente condannabili. Non si risolve peró il problema con
l'intervento armato esterno. L'attacco armato aggrava solamente la
situazione.
Noi riesprimiamo la ferma contrarietà alla presenza delle
basi NATO sul nostro territorio; oggi peró bisogna decidere
diversamente; oggi chiederne l'eliminazione sarebbe una fuga in avanti, una
petizione di principio, e sotto le bombe, di fronte al dolore delle genti,
quello che occorre é l'immediata cessazione delle azioni militari, la
ripresa della trattativa coinvolgendo la NATO e l'ONU. La NATO é cosa
diversa dalla comunità internazionale; l'intervento NATO é
cosa diversa dalla forza multinazionale, di cui parla la mozione; e la
trasformazione del ruolo dell'Alleanza é cosa diversa dal sistema di
sicurezza europeo. Noi approveremo la mozione (Commenti del senatore
Asciutti) raggiunta attraverso un faticosissimo lavoro, una mozione
ancora piú importante perchè il corso degli avvenimenti
suscita ancor piú inquietudine e sofferte preoccupazioni.
Bisogna ritornare alla politica e alla diplomazia. Quindi, una volta
approvata la mozione, il Governo dovrà attenersi ad essa puntualmente
e scrupolosamente. Ove il Governo non dovesse rispettare la volontà
del Parlamento o la mozione dovesse essere sostanzialmente disattesa, si
procederà ad una riconsiderazione della collocazione del Partito dei
Comunisti italiani nel Governo. (Applausi dalla componente Comunista
del Gruppo Misto. Congratulazioni. Applausi ironici del senatore Asciutti).
Questa maggioranza di Governo é nata - lo abbiamo detto
quando si é formata - come maggioranza ambigua ed equivoca; conteneva
al proprio interno tutto ed il contrario di tutto. L'onorevole presidente
del Consiglio D'Alema aveva definito il presidente Cossiga inquietante e
pericoloso fino a quando costui non si é posto a sostegno del suo
Governo. L'onorevole Cossutta aveva detto che non avrebbe mai confuso i suoi
voti con quelli dell'UDR, mentre i membri dell'UDR avevano dichiarato che
volevano essere piú radicalmente oppositori della maggio ranza. Sono
confluite nel Governo posizioni contraddittorie che hanno dato vita ad un
Governo equivoco ed ambiguo. Un Governo equivoco ed ambiguo puó solo
dar vita ad una politica estera equivoca ed ambigua. Da questo punto di
vista, c'é coerenza assoluta tra il modo con il quale si é
formato il Governo D'Alema e quello, equivoco ed ambiguo, con cui ha
affrontato anche i temi di politica internazionale.
D'altra parte, quale spettacolo piú chiaro di questa
ambiguità e di questo equivoco di quello che questo pomeriggio
é stato offerto alla Camera dei deputati dall'onorevole Cossutta e
qui stasera dai colleghi del Partito dei Comunisti italiani.
I senatori comunisti hanno presentato un ordine del giorno -
onestamente riproposto dal senatore Marino poco fa - nel quale affermano che
l'atteggiamento del Governo é stato incostituzionale, che la NATO non
doveva intervenire in questa vicenda, che l'azione avviene al di fuori di
qualunque legittimità costituzionale italiana in tema di diritto
internazionale. Quindi, ci si sarebbe atteso che, dopo queste affermazioni,
si chiedessero le dimissioni del Governo, o che altrimenti sarebbero stati i
Ministri comunisti a dimettersi.
Dal momento che lo stesso Governo é nato in modo ambiguo ed
equivoco, ovviamente, i colleghi comunisti non hanno espresso osservazioni
coerentemente sostenibili e hanno affermato l'opposto di ció che poi
hanno fatto.
Ma questo é un problema del quale gli italiani sono stati
avvertiti. L'equivoco e l'ambiguità del Governo non é una
novità; riguarda, onestamente, l'insieme della politica interna ed
internazionale ed é qualcosa che, con rammarico, l'opposizione - che
giustamente il presidente D'Alema ha richiamato al senso di
responsabilità e di equilibrio - deve denunciare, pur essendo
consapevole che si tratta di un'ambiguità e di un equivoco che,
purtroppo, dureranno fino a quando durerà questo Governo, formato da
questa maggioranza che non puó produrre altro che ambiguità ed
equivoco.
Ma ció non ci esime dal valutare la questione internazionale
in termini anche un pó diversi da come é stato fatto nel corso
di questa settimana.
É in atto un intervento militare avviato su iniziativa della
NATO, quindi degli Stati Uniti, con il sostengo sostanziale della Gran
Bretagna e, in questo caso, anche della Francia (a differenza di quanto
avvenne, qualche tempo fa, in Iraq); un intervento che rappresenta una
novità assoluta nel contesto delle iniziative politiche della NATO.
La novità assoluta é conseguenza della fine della guerra
fredda, é conseguenza della fine dell'esistenza dell'impero
sovietico.
É del tutto evidente che non sarebbe stato pensabile per la
NATO operare militarmente sul territorio della Jugoslavia durante il periodo
in cui l'Unione Sovietica era a capo di un impero militare. Oggi la NATO
puó fare ció che non sarebbe stato possibile fare fino al
1989.
Questa é la novità radicale di quest'epoca di
globalizzazione, nella quale il potere di intervento non viene piú
deciso. Mi dispiace che gli amici che continuano ad invocare il Governo
mondiale dell'ONU mostrino di credere, talvolta, anche agli asini che
volano, ma sappiamo che gli asini hanno un momento di fortuna anche in
Italia e non soltanto nella fantasia dei bambini.
Da questo punto di vista, la NATO rappresenta, nella sostanza della
globalizzazione, il potere internazionale. Di questo si tratta.
Il Polo deve prendere atto di una novità assoluta, in base
alla quale non ha piú molto senso rivendicare la normale e generica
lealtà nei confronti delle alleanze e non ha neanche molto senso
rivendicare una continuità di impegni NATO, perchè la
discontinuità della attuale e della nuova NATO rispetto a quella che
noi abbiamo conosciuto dal 1949 al 1989 é radicale. La nuova NATO ha
come obiettivo l'espansione ad Est. L'ingresso dei paesi dell'Est europeo
nella NATO rappresenta - questo Senato lo ha indicato nel dibattito che ha
riguardato l'estensione dell'Alleanza atlantica ad Est - un problema di
rapporto con la Russia di totale novità. L'intervento nel Kosovo
rappresenta una decisione degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia
e della Germania di novità assoluta rispetto ad una disciplina
gerarchica che in Europa si vuole, per cosí dire, imporre rispetto ad
altre discipline che potrebbero trovare il loro punto di composizione
nell'Unione europea, nell'Unione europea occidentale nell'Organizzazione per
la sicurezza e la cooperazione europea. Di questo si tratta.
Come partiti di opposizione a questo Governo, mentre
l'ambiguità e l'equivoco di questa maggioranza é percepito nel
paese come fatto di debolezza costitutiva del Governo D'Alema, e quindi la
nostra opposizione rappresenta un punto d'approdo possibile di alternativa
omogenea di governo, dobbiamo definire in termini radicalmente nuovi il
senso della nostra appartenenza internazionale, di soggetto costitutivo
dell'Unione europea, e lo stesso significato della nostra appartenenza,
ribadita e ripetuta, all'Alleanza atlantica, della quale dobbiamo
considerare le novità che anche questa crisi del Kosovo rappresenta.
Termino, signor Presidente, ovviamente annunciando il voto
favorevole del Gruppo Centro Cristiano Democratico alla mozione presentata
dal senatore La Loggia e da altri senatori, il voto contrario alla mozione
presentata dal senatore Salvi e da altri senatori, il voto contrario
all'ordine del giorno presentato dal senatore Marino e da altri senatori.
Vorremmo peró che, con onestà, gli amici della maggioranza
approvassero l'ordine del giorno del senatore Marino, non riusciamo a capire
come la maggioranza possa approvare la mozione presentata dal senatore Salvi
e da altri senatori e bocciare l'ordine del giorno presentato dal senatore
Marino, o non capiamo come il senatore Marino possa votare a favore della
mozione presentata dal senatore Salvi e da altri senatori e vedersi respinto
il suo ordine del giorno. Queste sono le contraddizioni un pó
pirandelliane, un pó kafkiane, un pó - per cosí dire -
"strane" alle quali la politica del nostro Governo ci ha abituato da qualche
tempo a questa parte.
Vorrei terminare dicendo che noi avremo motivo di riflettere con
molta serietà, con molta assennatezza, sul significato della
novità dei rapporti internazionali, perchè mentre in Italia
veniamo seriamente percepiti come alternativa di governo complessiva
economica, sociale e culturale, nei rapporti internazionali dobbiamo
stabilire una connessione, che ancora non é molto chiara, tra il
bipolarismo europeo al quale noi siamo legati, il non bipolarismo della
NATO, che all'interno di questa azione del Kosovo si mette in evidenza, e
quindi il rapporto diverso tra europeismo e atlantismo, che per 45 anni ha
rappresentato l'asse di fondo della politica interna ed estera italiana e
che non puó rappresentare allo stesso tempo l'asse di fondo
dell'alternativa di governo e del sostegno all'azione internazionale del
Governo medesimo.
Questa distinzione ritengo che vada fatta, che vada operata e
ritengo occorre prenderne atto. Questo significa da parte nostra essere
responsabili ed equilibrati, confermando il no a questa maggioranza e a
questo Governo, ma ponendo seriamente in discussione il modo con il quale i
nostri rapporti internazionali, europei ed atlantici devono essere
considerati. (Applausi dai Gruppi Centro Cristiano Democratico, Forza
Italia e Alleanza Nazionale. Congratulazioni).
É questo lo stato d'animo ed anche la sensazione di paura che
in questi giorni sta attraversando i nostri cittadini, specie quelli della
costa adriatica e pugliese che maggiormente sentono il pericolo di questo
conflitto. Ad essi va il nostro pensiero e sostegno in un momento di grande
difficoltà con conseguenze anche sulla loro vita quotidiana.
Ogni evento, per essere accettato, deve essere compreso. Non
c'é dubbio che la comprensione dell'intervento armato in Jugoslavia
alterna momenti di emotività a momenti di lucida razionalità.
Tenteremo, per chi ci ascolta, di far comprendere in modo semplice e
fruibile le ragioni di questo conflitto ed anche le ragioni della scelta del
nostro Gruppo.
Da alcuni anni é in corso in Jugoslavia una repressione
indiscriminata contro la popolazione albanese del Kosovo con vere e proprie
forme di pulizia etnica.
Le Nazioni Unite hanno accertato che fino ad ora vi sono state
migliaia di profughi, di pacifici cittadini che hanno dovuto abbandonare le
loro case e tutto quello che possedevano per trovare rifugio in Italia e
negli altri paesi europei. I morti sono stati oltre 2.000, tanti i massacri,
il piú grave di tutti nel 1998 a Prakaz.
Sono questi i numeri sui quali dobbiamo riflettere, perchè la
guerra non é iniziata il 24 marzo 1999, ma era in atto già da
mesi, da anni, e continuavano i massacri dei civili nonostante gli
interventi della diplo mazia. É stata infatti seguita per mesi la via
diplomatica, ma a Rambouillet Milosevic ha respinto tutte le proposte.
Esistevano allora due strade, quella della trattativa infinita, quanto
infruttuosa, e quella dell'intervento armato, limitato, doloroso, con l'uso
necessario della forza per salvare i piú deboli.
É vero che la NATO ha carattere difensivo, ma intervenire per
difendere bambini, donne, uomini dalla violenza continuata per mesi, non
é forse questa un'azione di difesa del diritto alla vita? La NATO,
secondo il Trattato, deve offrire non soltanto una difesa ai propri paesi
membri contro un attacco diretto, ma essere anche uno strumento della
comunità internazionale per produrre sicurezza. Da qui l'intervento
necessario delle forze militari dell'Alleanza atlantica per fermare un
genocidio. Ma questa azione militare deve essere breve, per riprendere
subito il tavolo della trattativa e l'Italia, che non ha chiuso la sua
ambasciata a Belgrado, puó e deve svolgere un'azione di stimolo e da
protagonista nel far riprendere il dialogo con regole certe e nel rispetto
dei diritti universali dell'uomo, diritti che in questi mesi il Papa, a cui
noi cattolici guardiamo con attenzione, ha piú volte richiamato nei
suoi interventi per la pace.
Uguale, importante ruolo deve svolgere l'Italia nel sostenere e
stimolare i centri per l'accoglienza di profughi, perchè alla
tragedia non si aggiungano altre tragedie e proprio per la comune storia con
il popolo della Serbia, del Montenegro e dell'Albania si puó
riprendere un reciproco dialogo di assistenza e sostegno.
Noi riteniamo la guerra una sconfitta della politica, ma questo
intervento non era piú rinviabile ed il Gruppo dell'UDR si assume con
il Governo la responsabilità politica delle scelte operate dalla
NATO; non possiamo peró non sottolineare con forza che questo Governo
deve riprendere l'azione del gruppo di contatto nel quale partecipa a pieno
titolo la Russia. Bisogna sostenere l'azione, di cui si é fatto
promotore il Primo ministro sovietico, di un ruolo attivo della Russia nel
riprendere l'azione nel gruppo di contatto. É necessario lavorare
tutti insieme per rispettare i patti già stabiliti con l'accordo di
Rambouillet. Questa é la strada su cui invitiamo il Governo ad
impegnarsi senza sosta per raggiungere un difficile obiettivo: il ripristino
della legalità e della difesa dei piú deboli, ma anche
lavorare perchè si rafforzino le strutture democratiche in un paese
che da anni vive conflitti etnici.
Questo intervento deve essere inteso non come una guerra contro la
Serbia, ma un'azione militare per favorire il ritorno al tavolo dei
negoziati. L'alternativa, infatti, non era tra la pace e la guerra, ma
piuttosto di lasciare a Milosevic di fare tutto quello che voleva. Se la
Serbia dovesse cessare i suoi interventi di pulizia etnica nel Kosovo,
l'Italia dovrebbe esercitare ogni azione sugli alleati della NATO
perchè i bombardamenti vengano sospesi e siano ripresi i negoziati.
Sono tanti gli interrogativi che agitano il nostro popolo. E se,
nonostante l'intervento armato, Milosevic continuerà nella sua azione
di violenza, quale sarà la strada da perseguire? L'unica é
quella di coniugare l'uso della forza con la ripresa dei negoziati. Infatti,
l'azione militare non puó essere intesa in modo sostitutivo, ma
soltanto come deterrente necessario per costruire la pace.
Il nostro paese, che é caratterizzato da contrapposizioni tra
partiti ed anche da conflitti tra pacifismo ideologico e concretezza delle
azioni umanitarie, vive un momento nel quale sono impegnati i nostri
soldati, a cui va un doveroso pensiero di ringraziamento per la
serietà e l'impegno con cui stanno espletando il loro mandato.
É anche un momento in cui i nostri cittadini e tutti noi siamo
preoccupati per un allargamento del conflitto, ed é proprio questo il
momento in cui tutte le forze politiche, i leader
di maggioranza e di opposizione debbono tra loro dialogare nell'esclusivo
interesse del paese.
Non é questo il momento per regolare conti, per favorire
crisi, perchè non vi sarebbero vincitori o vinti ma saremmo tutti
sconfitti; non é questo il momento per operare distinguo tattici su
una posizione delle forze politiche di maggioranza che deve essere chiara ed
unitaria.
Signor Presidente del Consiglio, il Gruppo UDR afferma con chiarezza
che l'intervento militare deve essere considerato una terapia d'urto
nell'interesse esclusivo dei deboli e degli oppressi, che la soluzione
politica é quella che deve essere perseguita con la sospensione dei
bombardamenti e, soprattutto, attraverso una azione di accoglienza dei
profughi, nel rispetto dei principi di umanità a cui il nostro Gruppo
si ispira.
Da qui il nostro consenso convinto alla mozione presentata dalla
maggioranza, che per noi rappresenta non soltanto una dichiarazione di
intenti ma un impegno preciso per profondere ogni energia nel lavorare per
la pace e per sospendere l'azione militare nei tempi piú brevi
possibili.
Questa rappresenta una grande sfida di valore e prestigio
internazionale a cui il nostro paese non puó e non deve sottrarsi, ed
il Gruppo UDR non intende far mancare al Governo il sostegno necessario
perchè questa azione venga svolta con determinazione e chiarezza in
difesa dei deboli e dei valori ai quali ognuno di noi si é sempre
ispirato. (Applausi dai Gruppi Unione Democratica per la Repubblica
(UDR), Partito Popolare Italiano e Democratici di Sinistra-L'Ulivo. Molte
congratulazioni).
Gioca, nella mia dichiarazione di dissenso su questo argomento, una
sorta di deformazione professionale della quale soffro inevitabilmente
essendo avvocato e tenendo d'occhio in ogni situazione le ragioni del
diritto, nel caso di specie le ragioni del diritto internazionale.
É stato rilevata da personalità di grande esperienza
politica, culturale ed umana, come il presidente Andreotti, il presidente
Cossiga e l'ex ministro degli esteri Martino, una particolarità di
tutta questa vicenda. La guerra é gestita, dichiarata, mossa e
condotta da un organismo che istituzionalmente, per definizione, per
supporto ideale, per filosofia, é tutt'altro che un organismo di
attacco: la NATO nasce come alleanza difensiva. (Applausi dal Gruppo
Forza Italia) .
Signor Presidente, vorrei riportare parte di un'intervista
dell'onorevole Martino in cui si afferma che questo intervento cambia il
ruolo della NATO, che finisce di essere un'alleanza difensiva e diventa, di
fatto, una sorta di organismo regionale per il mantenimento della pace e la
prevenzione dei conflitti. Questo é un cambiamento che andrebbe fatto
in modo esplicito e non soltanto, come é accaduto adesso, in modo
implicito. In una parola, se la NATO deve continuare ad essere quello che
é, cioé un'alleanza difensiva, questo intervento sul piano
giuridico non puó essere condiviso, a meno che non si voglia
introdurre nel diritto internazionale un principio che é
assolutamente estraneo ad ogni regola di diritto, quello per cui colui che
muove l'attacco, colui che promuove la guerra é anche l'arbitro delle
ragioni umanitarie che stanno a sostegno del conflitto.
Allora mi chiedo, dal momento che c'é un popolo che viene
sistematicamente perseguitato e sottoposto a una pulizia etnica, il popolo
tibetano: é mai passato per la testa alla NATO di intervenire a
sostenere i diritti dei tibetani attaccando o muovendo un'azione di guerra
contro la Cina? (Applausi dal Gruppo Forza Italia) .
Io credo, signor Presidente e onorevoli colleghi del Senato, che
questa riflessione si imponga perchè introduce una sorta di giudizio
morale a fondamento delle guerre. Ricordatevi che le guerre che si muovono
sulla scorta di giudizi morali si sa sempre dove iniziano e non si sa mai
dove vanno a finire, perchè nulla é piú labile, nulla
é piú incerto, nulla é piú sottoposto a
mutamento delle regole che si vogliono definire morali e che invece sono
assai spesso regole di convenienza.
Vi chiedo scusa, colleghi del Gruppo, per questo mio intervento;
chiedo scusa anche a tutti i senatori per aver riportato in questo afflato
lirico di buoni sentimenti quella che é la norma di ragione e di
diritto. Ma io non mi sento come uomo di diritto, come accorto studioso
della storia europea recente e meno recente, di sostenere che questo
intervento sia ben fatto.
Il Presidente del Consiglio ha svolto un'ottima relazione. Il
comportamento del Governo in questa circostanza é improntato a
cautela e sarà sicuramente improntato a riportare le ragioni della
pace nel teatro del conflitto. Ma come ha detto il presidente Cossiga, al
fondo di tutto questo vi é una ragione di ipocrisia che non
puó essere nè ignorata nè dimenticata. Farei offesa
alla vostra intelligenza e alla mia coscienza se fingessi di credere ad una
cosa alla quale assolutamente non credo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi asterró dal
votare la mozione di maggioranza in questa circostanza ed in questa
contingenza. (Applausi dal Gruppo Forza Italia) .
Sin dall'inizio noi abbiamo seguito con grande apprensione
l'evolversi della situazione e con grande angoscia la sua drammatica
trasformazione in conflitto militare che ci é vicino e ci coinvolge.
Già nei giorni scorsi, durante il question time , abbiamo
chiesto al Governo, prima che ci fosse l'intervento militare, di compiere
ogni tentativo al fine di evitare la fase militare dei bombardamenti oggi
purtroppo ancora in corso. Abbiamo apprezzato che il Governo abbia
assecondato e negoziato fino in fondo, non solo attraverso la partecipazione
al gruppo di contatto, ma anche nel dialogo diretto con le parti nella
consultazione costante con i nostri partner
dell'Unione europea, dell'Alleanza atlantica. (Brusío in
Aula) .
C'é parso anche significativo che il ministro degli affari
esteri, onorevole Dini, già durante la prima Conferenza abbia operato
per un compromesso di pace, cercando di indurre gli americani a smettere di
invocare i bombardamenti, e che poi abbia sfruttato anche i rapporti con il
Governo albanese per comporre una delegazione unitaria kosovara e arrivare
alla firma di un accordo tra le parti. Purtroppo tutto ció non
é servito e siamo arrivati all'uso della forza.
Oggi avvertiamo come nell'intera vicenda sia in gioco non solo la
pace nei Balcani, ma lo stesso futuro dell'Europa. Gli sviluppi della crisi
hanno certamente assunto aspetti drammatici con l'azione militare - ne siamo
consapevoli -, ma non potevamo non aderire ad essa. Fino a che il ruolo
della NATO non sarà rivisto, non possiamo certo dire che l'intervento
non ci riguarda, nè possiamo assumere una posizione isolazionistica:
i trattati non sono carta da gettare. Al contrario, dobbiamo essere
scrupolosi nella lealtà e nell'osservanza degli impegni assunti:
é in gioco la credibilità dell'Italia, come ha piú
volte sottolineato anche nei giorni scorsi il ministro della difesa,
senatore Scognamiglio.
Opportunamente il senatore Jacchia, intervenuto in sede di
discussione generale per il nostro Gruppo, ha ricordato un particolare, e
cioé la procedura prescritta dal Patto atlantico circa l'interruzione
dell'azione militare. Se dobbiamo osservare fedeltà ai trattati e
rispetto al principio di legalità, ció tuttavia non significa
che dobbiamo rinunciare ad avere un nostro ruolo specifico all'interno
dell'Alleanza, che non puó essere inteso come acritico appiattimento
dell'alleato minore, come siamo noi, sull'alleato maggiore, come sono gli
Stati Uniti. A noi pare che questa sia stata e debba continuare ad essere la
posizione del Governo italiano e ringraziamo il presidente D'Alema per
averla ribadita questa sera con estrema chiarezza.
La nostra collocazione geopolitica e la nostra identità
storica ci rendono particolarmente attenti e sensibili alla questione
balcanica, nella quale si inserisce il problema del Kosovo, che non
puó certo essere ridotto ad una questione solo serba. Purtroppo,
l'Europa ha insegnato poco; i nazionalismi che hanno preso il posto delle ex
oligarchie dell'Est non consentono per ora una conferenza internazionale sui
Balcani, pur auspicabile, come essa é, che garantirebbe pace e
stabilità. Non é un caso che si parli di grande Croazia, di
grande Albania, di grande Serbia e ognuno pensi ai suoi confini e nessuno
agli interessi comuni. Infatti, dietro questi nazionalismi non c'é
una nazione ma solo un insieme di frantumi; sono nazionalismi che
paradossalmente dissolvono le nazioni. L'onorevole D'Alema ha detto che i
Balcani rappresentano una sfida decisiva per l'Europa e mai come in questo
momento ne siamo consapevoli.
Questi sono i veri mali che aggravano le reazioni a catena che i
bombardamenti stanno innescando. Nei giorni scorsi tutti noi, di fronte alle
reazioni della Russia, abbiamo temuto che un nuovo grande freddo colasse nel
rapporto tra Est ed Ovest; quelli della Serbia con la Russia sono legami
storici, risalgono nel tempo e hanno radici profonde, non solo politiche ma
anche religiose. Peró, gli spiragli che oggi sembrano aprirsi,
confermati anche dalle parole di questa sera del Presidente del Consiglio
per quanto riguarda la posizione della Russia, ci devono indurre ad un cauto
ottimismo.
Voteremo anche la mozione che ha come primo firmatario il senatore
Meluzzi, vice presidente del nostro Gruppo. Essa approva le assicurazione
contenute nelle dichiarazioni del presidente D'Alema in ordine al
mantenimento degli impegni assunti dall'Italia in seno alla NATO e approva
altresí la volontà di assicurare l'azione politico-diplomatica
tesa al superamento della crisi nel Kosovo. L'obiettivo italiano non
é distruggere la Serbia, é indurla al negoziato, e
perció alla pace. Contro l'ostinazione del Governo serbo oggi
é necessario colpire l'apparato militare ed indurre ad un negoziato
vero.
Ció che noi auspichiamo - e con questo concludo, signor
Presidente - nel condannare la politica di Milosevic é che la fase
della trattativa possa riprendere al piú presto. L'appello che il
Santo Padre ha rivolto per la pacificazione non puó non lasciare
indifferenti i laici come i cattolici. La guerra, egli ha detto, é
una sconfitta per l'umanità. Vorremmo che questo appello fosse
accolto e sostituisse al piú presto quella diplomazia dei missili che
oggi sembra prevalere. (Applausi dai Gruppi Rinnovamento Italiano,
Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa e Democratici di
Sinistra-L'Ulivo. Congratulazioni).
Sin dal primo istante ci siamo dichiarati contrari all'intervento
militare della NATO e ai bombardamenti. Per tre ragioni: perchè
questo intervento é privo della legittimazione che solo una
risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe
conferire (e questo toglie all'intervento militare qualunque forza politica
e morale); perchè questo intervento risulta incapace di garantire il
fine che dice di voler perseguire, ovvero la protezione delle popolazioni
civili dei Balcani meridionali e perchè, all'opposto, rischia di
offrire una copertura per una recrudescenza dei massacri e della pulizia
etnica; perchè questo intervento potrebbe finire con il rafforzare il
regime di Milosevic, oltre ad accentuare le spinte nazionalistiche, col
rischio di far precipitare la situazione nell'intera area.
Per questo ci siamo detti e ci diciamo contrari all'intervento
militare della NATO e per questo dissentiamo dal Presidente del Consiglio
quando quell'intervento rivendica e difende. Ma i Verdi si sono sempre detti
favorevoli ad un'azione che assumesse i connotati del dispiegamento di una
forza di interposizione. Ci viene risposto: é un'ipotesi che si
é rivelata impraticabile. Sí, ma si é rivelata
impraticabile nella sua forma primitiva, ovvero limitata alle sole truppe
della NATO. Non si é voluto tentare fino in fondo, con tenacia e con
pazienza infinite, un'altra strada: quella di una forza di interposizione
che comprendesse i paesi del gruppo di contatto, e dunque anche la Russia.
Ebbene, questa resta ancora la sola soluzione che ci appare credibile ed
efficace. Dico questo perchè i Verdi sono il partito del pacifismo e
della non violenza, ma pacifismo e non violenza sono l'esatto contrario del
silenzio e dell'inerzia di fronte all'ingiustizia e di fronte al massacro di
diritti e di persone, di idee e di vite umane.
Abbiamo detto nei giorni scorsi - e ci é stato rimproverato
anche da qualcuno a noi vicino - che i Verdi non sono per il pacifismo
imbelle e per la non violenza codarda se questo significa tacere e tollerare
l'ingiustizia e se questo comporta salvarsi l'anima e non salvare anche solo
una vita umana. Siamo piuttosto per quella forma alta di pacifismo e di non
violenza che é l'ingerenza umanitaria, come previsto dal capitolo 7
della Carta delle Nazioni Unite e come piú volte é stato
ricordato dal nostro Alex Langer; ma l'illegittima azione militare in corso
non ha nulla in comune con l'ingerenza umanitaria. Per questo diciamo: il
Governo italiano si adoperi con tutte le sue forze perchè cessino i
bombardamenti e riprendano i negoziati prima che sia troppo tardi. Ieri a
Berlino il Presidente del Consiglio ha detto parole sagge: sta per arrivare
il momento di ridare la parola alla politica e alla diplomazia. Non le ha
pronunciate per accontentare i Comunisti ed i Verdi, come affermano quanti
hanno una concezione meschina della politica; le ha dette - ne sono persuaso
- perchè convinto di esse.
Ebbene, oggi tutti i giornali all'unanimità, con una
singolare ed inquietante unanimità, hanno parlato di errore grave del
Presidente del Consiglio. Dunque, quegli stessi organi di informazione che
ogni giorno richiamano l'Italia a svolgere un ruolo autorevole, quegli
stessi giornali coltivano un'interpretazione gregaria e servile della
lealtà all'Alleanza e considerano il rapporto con gli alleati solo in
termini di ossequio e di subalternità. Noi abbiamo un'idea
esattamente opposta. Per questo apprezziamo le parole dette ieri a Berlino
dal Presidente del Consiglio ed apprezziamo la sua replica di questa sera.
Sollecitiamo il Governo a proseguire sulla difficile strada dell'autonomia
di giudizio e di iniziativa.
Signori del Governo, senatrici e senatori, un motto latino dice:
quando le armi parlano, tacciano le leggi. Questo motto esprime nella sua
crudezza la dinamica intrinseca alla logica delle armi; logica che per sua
stessa natura tende a prevaricare sul diritto e di conseguenza sulla
politica. Quando quest'ultima pretende di utilizzare lo strumento delle armi
per realizzare i propri fini, il rischio é che la logica delle armi
divori la logica della politica, ne invalidi gli obiettivi e ne svuoti la
sostanza. Di fronte alla tragedia della guerra in atto la logica delle armi
ha già distrutto, come un castello di carta, quel paziente lavoro di
intermediazione che la comunità internazionale aveva avviato nel
Kosovo; ha stracciato la missione degli osservatori faticosamente messa in
piedi; ha lasciato gli albanesi soli di fronte alla repressione serba. Man
mano che si dispiega la geometrica potenza delle armi, man mano che dilagano
i lutti e si inaspriscono gli odi reciproci, gli stessi obiettivi razionali
della politica rischiano di franare di fronte ai fatti compiuti commessi dai
belligeranti. Bisogna arrestare immediatamente questa spirale perversa,
questo circolo vizioso che si autoalimenta.
Per questo noi chiediamo ad alta voce e con forza che la politica
riprenda il sopravvento sulle armi e che le armi tacciano.
E anche per questo abbiamo sostenuto sin dal primo momento che non
collegavamo il nostro dissenso alla stabilità del Governo e abbiamo
dichiarato che la radicale divergenza sull'azione della NATO non avrebbe
comportato, per quanto ci riguardava, una crisi della maggioranza.
Di piú. Abbiamo affermato che ritenevamo miserevole ridurre
una tragedia di tali proporzioni alle dimensioni di una bega nazionale.
E ancora. Ritenevamo e riteniamo che una crisi di Governo, in un
momento tanto delicato e cruciale, consegnerebbe tutte le decisioni nelle
mani dell'apparato militare multinazionale.
Al contrario, oggi piú che mai noi abbiamo bisogno di un
Governo che agisca con autorevolezza per ridare di nuovo il primato alla
politica e ricacciare indietro la guerra.
Per questo sosteniamo la mozione della maggioranza. (Applausi
dai Gruppi Verdi-L'Ulivo, Democratici di Sinistra-L'Ulivo e Partito Popolare
Italiano. Congratulazioni).
Il Presidente del Consiglio dei ministri propone due tesi. La prima.
É possibile intervenire e sconvolgere i princípi di diritto
internazionale e la sovranità degli Stati con quella clausola che va
sotto il nome di ingerenza umanitaria? É questo il tema del
dibattito.
Come ella potrà vedere, signor Presidente, ho dato licenza ai
senatori appartenenti al mio Gruppo di allontanarsi dall'Aula perchè
ritengo che oggi questa nostra discussione sia alta ed elevata ma di natura
prettamente accademica.
Tutto é compiuto. La nostra, quindi, é una discussione
di carattere teorico che certo non potrà cambiare l'accadimento
futuro.
Vorrei presentare due tesi. La prima é relativa al diritto
internazionale ed al rispetto della legge. Lo so, signor Presidente; Socrate
diceva che la legge deve essere osservata anche se é ingiusta. Ma
vediamo se la legge internazionale é ingiusta e se questo intervento
avviene nel rispetto del diritto internazionale.
Allora, per sommi capi, debbo dire che il rispetto del diritto
internazionale in questo caso non c'é stato, almeno sotto il profilo
della forma. Non c'é una risoluzione del Consiglio di sicurezza che
autorizzi l'intervento; non c'é una clausola del Patto atlantico che
autorizzi l'in tervento armato, perchè ricordiamo che l'articolo 3
del Trattato - lo dissi prima - non consente l'aggressione ma solo la
difesa.
Poi c'é la nostra Costituzione. Parlo io, leghista, del
rispetto di una Carta costituzionale che spero sia modificata ma -
consentite che questo sia detto da un reprobo che appartiene alla Lega e che
pur tuttavia spera che la Costituzione sia cambiata - fin quando questa
esiste va rispettata. Nell'articolo 11 della nostra Costituzione, infatti,
é addirittura utilizzata un'espressione che é assolutamente
indiscutibile: il ripudio della guerra per la risoluzione dei conflitti.
Non é preceduta questa risoluzione da un dibattito
parlamentare, ma il dibattito parlamentare segue la risoluzione; non
é sentita dall'opinione pubblica e quindi, si dice, malgrado tutto
questo, per ragioni umanitarie - ecco la clausola - noi possiamo
intervenire. E allora, signori, si piange da destra e da sinistra per i
popoli che sono sottoposti a queste indubitabili angherie del presidente
Milosevic.
É giusto, é doveroso, é possibile, é
legittimo, é morale, é necessario poter infrangere la legge
con questa clausola che é evanescente, discutibile, interpretabile e
di difficile definizione? Allora noi potremmo dire, signori, che domani,
sulla base di questo stesso principio - é una riflessione che
umilmente pongo all'Assemblea - si potrà intervenire sulla Russia in
caso di un suo conflitto con la Cecenia; questo principio varrà anche
in quel momento. Ma chi decide della validità di questo principio?
Diceva uno statista, criticabile o non criticabile, che i vincitori non
verranno mai processati. Allora io mi pongo questo dilemma: siamo degli
ipocriti o diciamo le cose come stanno? Io avrei voluto che ci fosse
piú chiarezza.
Mi rendo conto della difficoltà con cui si é
presentato oggi il nostro Primo Ministro che apprezzo per la sua garbatezza,
per la sua sensibilità e per il modo in cui propone le sue tesi. E
dalla sua garbatezza, dalla sua sensibilità mi sento quasi oppresso
nel doverlo criticare. Ma l'ho trovato come un avvocato che non crede nelle
ragioni del suo assistito e che quindi propone una tesi all'apertura del
dibattimento e poi una seconda tesi nella quale la consecutio mi
sembra claudicante.
Ma allora domando, signori: non é meglio dire che noi non
possiamo sottrarci al Patto Atlantico? Non possiamo intravedere, al di
là delle ragioni umanitarie, il diritto se vogliamo, l'aspirazione,
l'interesse, l'intendimento degli Stati Uniti di intervenire nei Balcani per
proprie ragioni (che potranno essere condivisibili)? Non nascondiamoci
dietro il principio umanitario dell'ingerenza: sentiamo la sofferenza di
questi popoli, ma diciamo che nel Patto Atlantico vi é uno Stato che
ha un'egemonia e un potere d'imperio, una pax romana, che ha
interesse ad intervenire in quei paesi e che puó intervenire, che noi
nulla possiamo fare di fronte a questo dominio internazionale: sarebbe
piú legittimo, piú corretto e direi piú sostenibile.
Allora dobbiamo dire: possiamo noi eseguire gli ordini, possiamo
uscire dal Patto Atlantico? Questo é il tema: se voi mi dite di
sí lo possiamo fare, se mi dite di no - come penso sia ovvio - non lo
possiamo fare; ma non ci si venga a contrabbandare il principio della
ragione etica con il principio della ragione politica internazionale. E il
dilemma é questo: la guerra alla fin fine - e voi lo dovete decidere
- é un mezzo per condurre alla pace? Fin quando potremo sostenere il
peso tragico di un intervento armato di fronte ad un popolo fiero ed
orgoglioso come é quello che abbiamo attaccato? Dove saranno i limiti
e i confini di una pace cosí imposta? Avrei voluto sentire questo nel
dibattito, peró sono stato deluso.
La politica, quindi, riprende il suo corso nell'ambivalenza e
nell'ambiguità. Le ragioni della politica superano, obnubilano,
distruggono le ragioni vere, che sono le ragioni degli uomini.
Con la guerra tutto é perduto, con la pace nulla é
perduto! Ed é per questo, signor Presidente, che io non sento di
poter condividere le mozioni presentate ex adverso . La nostra
mozione é piú limpida e piú lineare: con la guerra non
raggiungeremo la pace, con la guerra abbiamo innescato una perversa spirale
che difficilmente potremo controllare. Non possiamo dire, come é
stato detto alla Camera, "piangiamo su questi poveri morti e sui feriti".
Dobbiamo essere silenziosi di fronte a questa tragedia, quando noi siamo
concorrenti nell'averla creata. É questa, signori, una vera
ipocrisia, é la distruzione del principio di certezza del diritto
internazionale. Questa é una sconfitta delle coscienze libere di ogni
popolo e di ogni paese.
Signor Presidente, credo di non rubare mai il tempo perchè
sono sempre preciso nei miei interventi, e perció concludo come
faceva il Beato Angelico quando dipingeva: finita la giornata di lavoro,
aveva terminato anche i colori della sua tavolozza. Concludo il mio molesto
intervento, signori, finendo i miei colori e augurandomi che questa
Assemblea decida per il meglio. Forse il meglio sarebbe dare piú
dignità e decoro, piú autorevolezza alla grande nazione
europea, che dovrebbe riprendere quel vecchio sogno che é la sua
egemonia nel campo internazionale.
L'oppressione da parte di un Governo di una minoranza del suo popolo
viola i principi su cui si reggono la comunità internazionale, la
convivenza civile nel mondo occidentale ed in Italia. Non c'é bisogno
di richiamare qui tutti i dati che dimostrano come nel 1998 e nel 1999 siano
avvenuti rastrellamenti, esecuzioni sommarie, eccidi di massa e distruzioni
sistematiche di interi villaggi con armi pesanti, oltre all'amplissima
dislocazione di profughi, anche nel nostro paese, tanto che si puó
parlare di un genocidio in corso di realizzazione.
Questo stato di cose, che tende a generalizzarsi, non solo contrasta
con la Dichiarazione dei diritti dell'ONU, con l'Atto finale di Helsinki e
con la Carta di Parigi, ma fa sorgere un obbligo di impedire innanzitutto di
natura morale a carico della comunità internazionale e degli Stati
che la compongono. In particolare l'Italia, per la sua contiguità, ha
interessi e doveri particolari nei confronti della popolazione del Kosovo.
Purtroppo, il veto della Russia ha reso impossibile la realizzazione in sede
ONU di misure militari già previste in caso di gravi violazioni del
cessate il fuoco dalla risoluzione n. 1199.
A ció si aggiunga il mancato adempimento da parte del Governo
serbo delle intese raggiunte nell'ottobre del 1998 a tutela delle minoranze
kosovare. Il negoziato di Rambouillet doveva porre rimedio alle continue
violazioni degli accordi da parte serba, ma purtroppo il presidente
Milosevic ha rifiutato una equa conclusione del confronto, che prevedeva la
rinunzia degli albanesi al referendum
di separazione, contro le garanzie rappresentate da una forza di
interposizione che avrebbe potuto essere composta dai paesi del gruppo di
contratto, comprendendo forze NATO, forze russe ed eventualmente di altri
Stati.
Orbene, é stato il Governo jugoslavo, e non certo quello
russo, a rifiutare una garanzia di carattere pur sempre transitorio,
garanzia peraltro resa necessaria dai gravissimi comportamenti delle forze
armate di Belgrado.
Quando si farà la storia di questa vicenda risulterà
chiaro che stavolta, fin dal giugno scorso, l'iniziativa é stata
assunta dalle democrazie europee, mentre gli Stati Uniti hanno tenuto un
comportamento criticato autorevolmente per le esitazioni e i ritardi che
l'hanno caratterizzato. É stata in primo luogo l'Europa a non
sopportare le accuse di colpevole indifferenza ed inerzia, già
avanzate nel caso della Bosnia. Non vi dice nulla, colleghi, il mutato
orientamento della socialdemocrazia tedesca contraria all'impiego di forze
germaniche nel territorio bosniaco ed ora decisamente impegnata ad associare
i propri aerei militari a quelli degli altri paesi della NATO? Non basta a
spiegare questo cambiamento di linea l'avvento al Governo dei
socialdemocratici: c'é piuttosto una presa di coscienza piú
forte dei doveri e delle responsabilità che gravano sulle democrazie
dell'Europa.
Quanto all'evoluzione dei compiti della NATO nell'ultimo decennio
vorrei ricordare le affermazioni del segretario generale, Solana, formulate
recentemente: "La teoria suggeriva che l'allargamento della NATO e lo
stabilirsi di relazioni tra NATO e Russia erano obiettivi incompatibili tra
loro, la pratica ha dimostrato il contrario. La teoria diceva che le
operazioni NATO fuori area, cioé al di là dei confini dei
paesi membri, sarebbero state giuridicamente impossibili e politicamente
pericolose, anche a questo proposito l'esperienza pratica in Bosnia ha
dimostrato il contrario".
Mi sia consentito di aggiungere che l'intervento in Bosnia non
puó essere considerato una irripetibile eccezione ma deve essere
identificato come la prima applicazione di un principio che del resto aveva
avuto già attuazione extraeuropea con la forza multinazionale nel
Kurdistan iracheno: il principio é quello che legittima l'ingerenza
umanitaria per la tutela dei diritti umani e per il mantenimento della pace,
richiamato nel preambolo e nel primo articolo del Trattato del Nord
Atlantico.
Del resto, non tutto il diritto internazionale e tanto meno il
diritto pubblico europeo nascente é contenuto nei trattati. Il loro
progresso si fonda anche su comportamenti ripetuti, alla base del diritto
consuetudinario, e soprattutto di una communis opinio
che unisce oggi tutti i paesi impegnati nell'intervento in Serbia, anche se
é opportuno che si passi assai presto per esigenze di certezza al
diritto scritto.
Malgrado le differenze, che non ignoro, credo che prevalgano le
analogie tra la situazione bosniaca e kosovara. Perchè mai
l'ingerenza umanitaria dovrebbe valere per i croati della bosnia e non
già per gli albanesi del Kosovo? La regola NATO richiede il consenso
di tutti coloro che si associano in un intervento armato: consenso che il
Governo italiano ha espresso con la nota limitazione dell'impiego difensivo
dei nostri aerei già nell'ottobre del 1998, anche se allora,
essendosi evitata l'azione militare, la notizia passó nella generale
disattenzione.
Insomma, l'Europa e la NATO agiscono come soggetti esponenziali di
quella comunità internazionale che non puó essere bloccata
nella sua azione umanitaria da veti o da dissensi di minoranza, soprattutto
quando con armi pesanti, e cioé con i cannoni, si intendono regolare
i problemi di convivenza etnica.
Senza dubbio, per una coscienza cattolica l'intervento armato pone
dei problemi seri, anche se l'opera del Governo e il voto del Parlamento
sono in direzione della pace. Ma dobbiamo agire con senso di
responsabilità non creando non fondate aspettative, infondate attese.
Le pacifiche democrazie dell'Occidente sono meno propense di altri Stati ad
assumere iniziative militari, ma deve essere chiaro che esse possono
desistere solo se vi saranno, dopo tante delusioni, serie possibilità
di negoziato, dimostrate dalla cessazione delle attività repressive
serbe.
É evidente che alla ripresa di contatti sul terreno politico
e diplomatico si accompagnerà la sospensione dei bombardamenti
alleati. L'intervento militare intrapreso ha caratteristiche tali, anche di
novità, che non possiamo escludere una notevole misura di rischio
circa la sua efficacia, ma nella grande politica i pericoli possono essere
ridotti, non evitati.
Per questi motivi, il Gruppo popolare valuta molto positivamente le
dichiarazioni del Presidente del Consiglio, sostiene con il suo consenso la
linea scelta dal Governo ed é consapevole che il rischio é
all'altezza della posta in gioco: evitare che in Europa si radichi la
violazione sistematica dei diritti umani. (Applausi dei Gruppi Partito
Popolare Italiano, Democratici di Sinistra-L'Ulivo, Rinnovamento Italiano,
Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa e dalla componente I
Democratici-L'Ulivo del Gruppo Misto).
Imbarazzo e responsabilità che emergono anche dalle sue
argomentazioni. Difatti, mi permetto di porre alcune domande (le avrei poste
a lui direttamente, ma lo chiedo al Ministro della difesa, al ministro
Folloni, al ministro Ronchi, al ministro Bassanini, al ministro Zecchino, a
quelli che sono presenti), riflessioni, su quanto sta accadendo in questi
giorni.
Il fatto che la NATO, dopo la caduta del muro di Berlino, avesse
iniziato sostanzialmente una sua trasformazione nei fatti rispetto alle
stesse finalità che erano alla base nei trattati a suo tempo
stipulati e ratificati dal nostro paese, non credo che nasca oggi, nel
momento in cui scoppia la crisi nel Kosovo. Credo si tratti di un argomento
che, almeno a livello di Governo, doveva essere conosciuto - ovviamente non
solo dell'attuale Esecutivo, ma anche del precedente, del precedente ancora
e cosí via - naturalmente senza che vi fosse, almeno negli ultimi
anni, una significativa manovra di politica internazionale che potesse
classificare l'azione del Governo come responsabile, come pensosa di un
problema che stava per scoppiare quando di già - e questa é la
seconda domanda - la situazione nella ex Jugoslavia si andava deteriorando
giorno per giorno.
Certo, non credo che il problema sia nato in coincidenza con le
sfortunate trattative di Rambouillet; da diversi mesi, da diversi anni si
avevano tutti i segnali di ció che stava accadendo e dei massacri che
si stavano perpetrando nei confronti di milioni e milioni di persone.
L'altra domanda che vorrei fare ha riferimento alla politica
internazionale del nostro paese. In che modo il nostro Governo si é
reso responsabile di una nuova elaborazione rispetto a nuovi problemi e a
nuove situazioni che si andavano man mano manifestando anche all'interno
delle stesse alleanze alle quali il nostro paese partecipa? Forse
sarà stato troppo impegnato nella manovra di rientro del debito
pubblico e di rilancio dell'economia, cosí da consentirci l'ingresso
in Europa, con uno spasmodico aumento di tasse e con una pressoché
ininfluente riduzione di spese.
Certo la politica internazionale del nostro paese ha segnato negli
ultimi tempi una pericolosa e preoccupante pausa rispetto a quella che
avrebbe dovuto essere. E qui vorrei fare un'altra domanda: non sarebbe stato
meglio venire qui in Parlamento e discutere prima di tutto quello che
sarebbe stato necessario esaminare, facendo una diagnosi, individuando delle
linee direttrici e possibilmente delle soluzioni? Quanto sarebbe stato
piú forte il nostro Governo se avesse avuto un chiaro mandato da
parte del Parlamento rispetto sia al mantenimento della sua posizione
all'interno dell'Alleanza atlantica sia all'azione di politica
internazionale che di lí a breve si sarebbe accinto a svolgere?
Quanto sarebbe stato piú forte il nostro paese se, accanto
all'iniziativa del Governo, vi fosse stato l'intero Parlamento in
rappresentanza dell'intero paese?
Ma questo il Governo non l'ha fatto; diciamo che ha avuto imbarazzo
a farlo, proprio perchè all'interno della sua maggioranza vi é
una forte divaricazione in tema di politica estera. Vi é una troppo
forte divaricazione che non puó essere certo superata da questi
stratagemmi di utilizzo o meno di aerei o altro, che certo non mettono al
massimo il cosiddetto "entusiasmo delle truppe", alle quali peraltro credo
vada il plauso di tutto il paese per quanto stanno sopportando in questo
momento. (Applausi dai Gruppi Forza Italia, Centro Cristiano
Democratico e Alleanza Nazionale e dei senatori Camo, Occhipinti e Di
Pietro) .
Certo, dinanzi ad una posizione coerente - perchè non dirlo?
- di Bertinotti e dei suoi di Rifondazione Comunista, abbiamo assistito a
queste contorsioni per cercare di trovare un filo per rimanere attaccati -
forse - al Governo e alla maggioranza di Cossutta e dei Comunisti Unitari.
Per questo il Governo non é venuto per tempo in Parlamento a
discutere di argomenti di cosí rilevante importanza. Signor
Presidente del Consiglio, qui si sta discutendo non soltanto dell'intervento
in Kosovo - ci mancherebbe altro, é ovvio che anche noi siamo
favorevoli alla piena fedeltà alle nostre alleanze e alla NATO e,
come si dice, quando si vede un energumeno che picchia un bambino bisogna in
qualche modo intervenire perchè smetta di continuare a picchiarlo -
ma tutto questo dopo aver valutato e autorevolmente proposto diagnosi,
obiettivi, progetti, soluzioni che non mi pare sino a questo momento hanno
avuto l'Italia protagonista.
Faccio qualche piccola citazione, molto in breve, anche per far
notare le contraddizioni rispetto alle dichiarazioni del Presidente del
Consiglio. Lui é venuto a dirci, ha dichiarato, che sarebbe opportuno
convocare immediatamente il gruppo di contatto. Bene, gli USA hanno
immediatamente risposto: no al gruppo di contatto. E poi, ancora, D'Alema ci
é venuto a dire: il Governo deve poter svolgere un'azione con pieni
poteri. Ma dove? Nell'ambito di che cosa questi pieni poteri? Nell'ambito di
una politica europea che é ancora realmente carente? Non lo affermo
io, lo afferma uno storico, peraltro di origine marxista, quindi, direi, per
voi al di sopra di ogni sospetto, Hobsbawn, il quale sostiene che da dieci
anni almeno l'Europa avrebbe dovuto dotarsi di una politica europea, avrebbe
dovuto e potuto risolvere i problemi che oggi affrontiamo in Kosovo. D'Alema
dice ancora: puntiamo ad un'azione militare breve. Bene, viene una
dichiarazione autorevole, Clinton (credo sia abbastanza autorevole) che
dice: bombe sino al sí di Belgrado al piano di pace. Anche Clark dice
la stessa cosa a nome della NATO. Lo dice anche Cohen: raid
fino a quando Milosevic non si piegherà. E peró risponde
l'ambasciatore jugoslavo: "Belgrado non isserà bandiera bianca".
Io mi auguro che tutte queste notizie siano, come é ovvio,
note a tutti i parlamentari presenti, ma soprattutto al Governo. D'Alema
dice: "Serve la disponibilità di Belgrado", ma questa
disponibilità non c'é. Ci arriva una notizia da Mosca:
"Belgrado é pronta a riprendere i negoziati". Lo dice Ivanov, non
proprio l'ultimo dei cittadini sovietici. D'Alema: "Imprescindibile il ruolo
costruttivo della Russia". Subito dopo la mozione russa al Consiglio di
sicurezza viene bocciata. E D'Alema ancora: "L'Italia protagonista
dell'azione diplomatica". Nel frattempo dieci kosovari in fuga dai massacri
del Kosovo vengono fermati a Gorizia, arrestati e poi respinti. Come azione
diplomatica non c'é male, devo dire. "Bosnia chiede riunione su
intrusione di Mig serbi": il conflitto si allarga. E ancora: "Rischi di
diffusione in Europa", come afferma "L'Osservatore europeo"; Bombardamenti
sul Montenegro"; "I serbi continuano ad attaccare". (Commenti dai
senatori del Gruppo Democratici di Sinistra-L'Ulivo).
"Nessun rischio" - dice D'Alema - "per i cittadini italiani": naturalmente
é cosí, non ci sono rischi.
L'onorevole Spini annuncia che é attaccata la Sfor in Bosnia.
E mentre in Francia rafforzano la sicurezza degli edifici pubblici, nascono
disordini in Inghilterra contro Blair, in Francia, e ancora a Vienna, e
ancora in Grecia, e ancora in tutte le zone. Posso continuare, ma mi fermo
qui naturalmente. (Commenti ironici) .
Concludo il mio intervento, signor Presidente, dicendo che con ben
altra consapevolezza, con ben altra accortezza, con ben altre valutazioni,
si sarebbe dovuti arrivare al passo al quale si é arrivati. Ma
soprattutto avendo presente l'obiettivo, che non puó essere soltanto
quello di dire: continuiamo a bombardare sino a quando Milosevic non firma
il Trattato di Rambouillet. Si sarebbe dovuto continuare, evidentemente,
già da anni, da mesi, dalle ultime settimane a trovare soluzioni.
L'intervento della NATO é sicuramente condivisibile, ma
l'Italia in che modo é arrivata a questo momento? Con quali
prospettive e con quale ruolo rispetto alla politica europea e rispetto alla
politica dell'Alleanza atlantica? Su questi argomenti, signor Presidente del
Senato, bisognerà che il Parlamento torni a fare le proprie
valutazioni con il massimo di chiarezza. E se questo dovesse comportare una
frattura all'interno della maggioranza ne prenderemo tutti atto; ne
dovrà prendere atto il presidente del Consiglio D'Alema; per la parte
nostra mentre ci dichiariamo - non potrebbe essere diversamente - fedeli
all'Alleanza atlantica ed alla Nato, auspichiamo, come é ovvio, non
solo che l'Italia si doti finalmente di una politica estera e di difesa ma
che soprattutto tacciano le bombe e si ritorni ad un tavolo di trattative
(Applausi dai Gruppi Forza Italia, Centro Cristiano Democratico e
Alleanza Nazionale. Molte congratulazioni) .
Voglio solo ricordare che con grande senso di responsabilità
l'onorevole D'Alema ha qui dichiarato - e se ne é giustamente assunto
la responsabilità - che l'Italia fa parte della NATO; noi siamo la
NATO; noi abbiamo deciso l'intervento nel Kosovo. Tale assunzione di
responsabilità, da cui derivano conseguenze, non si ritrova nella
mozione presentata dalla maggioranza; vi é nella mozione della
maggioranza un tentativo di sfuggire proprio alle responsabilità, cui
faceva riferimento il presidente del Consiglio, D'Alema. Nel dispositivo, si
auspica che "l'Unione europea maturi una posizione globale": é un
auspicio fatto da troppo tempo, non certo realizzabile oggi; e poi: "a
sostenere il ruolo dell'ONU": lo stesso Presidente del Consiglio ha detto
come l'ONU si trovi al di fuori delle possibilità di intervento. La
mozione é da giudicare per due affermazioni: la prima dice che
occorre adoperarsi con gli alleati della NATO per una iniziativa volta a
riprendere subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti: uno strano
scherzo del destino fa sí che queste parole siano anche quelle della
mozione russa presentata e respinta oggi dal Consiglio di sicurezza
dell'ONU; questo per dimostrare la distanza, in senso letterale e
programmatico, di un Governo che si assume con il suo Presidente del
Consiglio la responsabilità della decisione della NATO e una mozione
della maggioranza che ricalca la mozione russa al Consiglio dell'ONU.
Cosí dobbiamo dire che ha ragione e condividiamo la posizione
del presidente Andreotti, il quale ci ha ricordato l'articolo 3 del Trattato
NATO, le funzioni di difesa della NATO e come questa sua trasformazione che
é in atto di cui abbiamo assunto la responsabilità e di cui
condividiamo in questo momento le conseguenze, avrebbe forse e dovrà,
secondo noi, trovare all'interno del Parlamento tempo e luogo istituzionale
di dibattito. Dobbiamo dire francamente che questa NATO, in cui certamente
tutti sono uguali ma qualcuno é piú uguale degli altri e sta
la di là dell'Atlantico, cosí come si prospetta non ci piace
molto. Soprattutto non ci piace l'idea di fare parte di qualcuno che
pretende di essere gendarme del mondo, magari qualche volta succube di un
delirio di onnipotenza che sembra avere preso gli Stati Uniti dalla fine
della guerra fredda; perchè non pensiamo che ci sia nessuno che possa
giudicare l'ingerenza umanitaria o che possa decidere quale ingerenza
umanitaria. Pensiamo che nessuno possa giudicare le libere scelte dei
popoli. Qualcuno ha ricordato il Tibet, qualcun altro potrebbe ricordare
l'Uganda o il Congo; qualcuno potrebbe ricordare perchè non
interveniamo in Algeria di fronte ai massacri degli integralisti islamici.
Allora, parliamo di questa nuova NATO, ma oggi noi siamo allineati
alle decisioni e alle responsabilità che ci siamo assutni.
E non ci piace nemmeno - lo diciamo con grande franchezza - la
mozione presentata dalla maggioranza nel punto in cui parla di forze
italiane impegnate in funzione difensiva. Non so se ha ragione il ministro
della difesa Scognamiglio quando sostiene che le nostre forze sono a
disposizione dei comandi NATO; o se ha ragione il senatore Elia quando
afferma che questo accordo é stato firmato nell'ottobre 1998.
A noi non piace il fatto che questa mozione, frutto di compromessi
all'interno di una maggioranza profondamente disomogenea, suoni alle
orecchie dei soldati italiani impegnati - lo ricordo - sul fronte
macedone-serbo, o degli avieri italiani impegnati con i Tornado a
pattugliare il cielo d'Italia, come un compromesso di forze politiche.
Credo che i soldati d'Italia non abbiano simboli nè della
Quercia, nè dell'Ulivo, nè del Polo, ma portino il simbolo
della patria. (Applausi dai Gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e
Centro Cristiano Democratico).
E credo che abbiano il diritto di sapere che tutta la comunità
nazionale é al loro fianco.
Alleanza Nazionale é all'opposizione di questo Governo ma con
questo Governo é allineata per gli impegni assunti in sede NATO e
rivolge in questa sede alle Forze armate italiane il saluto del Parlamento e
l'augurio che esse siano all'altezza del loro compito.
Questa guerra viene da noi intesa come un momento particolare dello
sviluppo diplomatico e politico del rapporto con il Governo serbo. Forse,
citando Von Clausewitz, potremmo dire che la guerra é un modo per
continuare la politica con mezzi diversi.
Noi vogliamo e auspichiamo che le trattative riprendano subito, non
appena il Governo serbo deciderà di tornare al tavolo delle
trattative, non un attimo prima.
Forse occorrerebbe ripensare in questa fase a dove é
necessario riportare il Governo serbo perché non vorremmo che a
Rambouillet avvennisse una seconda Versailles; non vorremmo cioé che
fosse commesso l'errore, compiuto a Versailles, di umiliare un grande popolo
come quello serbo.
É inutile raccontare che é stata offerta solo
l'autonomia ai kosovari, perché sappiamo tutti che questa condizione
dura tre anni dopo di che varrà il principio dell'autodeterminazione.
É inutile pensare di far sedere il Governo serbo intorno a un tavolo
al quale - tutti noi lo sappiamo - le parti non si sono presentate. É
inutile pensare di far sedere il Governo serbo intorno ad un tavolo di
trattative, se i governi occidentali e gli Stati Uniti in particolare hanno
riarmato e finanziato l'UCK.
Allora, a Rambouillet occorre riportare il Governo serbo, non
Slobodan Milosevic che é il capo del Governo serbo; infatti, se
vogliamo metterla sul piano dei nomi, vorrei sapere dagli uomini della
maggioranza se Tudjman, capo della Croazia, é da considerare un
principe della filosofia democratica e se in Croazia esiste la democrazia
come noi occidentali la intendiamo e se la persecuzione nei confronti della
minoranza italiana in Croazia che tuttora continua rientra nella logica dei
paesi occidentali. (Applausi dai Gruppi Alleanza Nazionale, Forza
Italia e Centro Cristiano Democratico) .
Allora dobbiamo tornare a Rambouillet ma non certamente a
Versailles. Da Versailles é nata la fine dell'Europa e oggi l'Europa
deve riconsiderare, alla luce di quanto é avvenuto, una nuova e
diversa assunzione di responsabilità e di partnership
nei confronti degli Stati Uniti d'America.
Ma siamo molto preoccupati perché un Governo che ha questo
compito, che vuole assumersi questo compito, non puó aver questa
maggioranza; non puó avere dei Ministri amici di Cossiga che tirano
da una parte e forse condividono ció che il presidente Cossiga ha
dichiarato questa sera (non certamente positivo nei confronti della
maggioranza), né tanto meno puó contare al suo interno sul
movimento dei Verdi che sono comunque pacifisti, al di là di ogni
ragionevolezza, qualcosa di molto diverso rispetto al battersi per la pace e
per la giustizia. Non cito poi il partito di Cossutta perché,
indubbiamente, oggi ha vissuto un dramma lacerante; probabilmente chiede
ancora che le basi della NATO siano fuori dall'Italia e che l'Italia sia
fuori dalla NATO.
Con questo Governo, con questa maggioranza, é difficile
giocare il ruolo che noi auspichiamo possa giocare il Governo italiano,
quello del grande mediatore all'interno della logica della NATO verso il
Governo serbo. Tant'é, che il presidente D'Alema, con
quell'onestà intellettuale che ogni tanto tradisce il cinico Capo del
Governo, disse: "Se vado sotto, me ne vado". E, forse, proprio attento al
gioco della politica ha fatto quella dichiarazione a Berlino, che non era
tanto rivolta a Blair ma ai Capigruppo che si stavano riunendo a Palazzo
Chigi per stilare la mozione di maggioranza. In questa situazione noi
crediamo che l'Italia abbia bisogno di un Governo omogeneo e compatto per
affrontare questo difficile momento e ci auguriamo che il presidente D'Alema
tragga le dovute conseguenze da questo dibattito parlamentare.
Noi voteremo contro la mozione della maggioranza, pur approvando
l'intervento della NATO, pur auspicando che l'Italia possa giocare questo
ruolo di grande mediatore perchè venga riportata la pace in Serbia.
Noi voteremo a favore della mozione del Polo, che ribadisce questi
princípi (Applausi dai Gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e
Centro Cristiano Democratico. Molte congratulazioni).
Abbiamo apprezzato al tempo stesso l'onesto e chiaro riconoscimento
della complessità di quella decisione. (Commenti del senatore
Novi) ... Senza trionfalismi...
Abbiamo apprezzato la chiarezza con la quale ha indicato l'autonoma
iniziativa che, dentro l'Alleanza e nell'assoluta lealtà nei
confronti degli alleati, il Governo italiano sta intraprendendo per
assicurare al piú presto la ripresa della via politico-diplomatica
per giungere ad una vera e duratura pace nel Kosovo.
Altro che 8 settembre! L'8 settembre c'é stato troppo spesso
nel passato, quando i Governi oscillavano fra la tentazione del tirarsi
fuori, dello stare a guardare, e l'opposta tentazione di una
subalternità, senza autonoma assunzione di responsabilità,
rispetto a decisioni prese all'estero.
Certo, é stata una scelta difficile e giorni difficili ancora
ci attendono. Ci sono peró nella vita delle nazioni, come nella vita
delle persone, quelle che un grande giurista americano ha chiamato "scelte
tragiche", quando cioé entrambe le alternative tra le quali scegliere
presentano costi gravi. Eppure, bisogna scegliere. Non intervenire sarebbe
stata anche questa una scelta, ma quale ne sarebbe stato il costo?
Per anni, a poche decine di chilometri dai confini dell'Europa e
dell'Italia, si sono perpetrati massacri, episodi di inaudita violenza,
fatti che speravamo e credevamo non si dovessero ripetere dopo le tragedie
della seconda guerra mondiale. Non possiamo dimenticare ció che
é avvenuto in Bosnia, dove troppo a lungo, nell'inerzia della
Comunità internazionale, si é operata una spietata pulizia
etnica.
"Pulizia etnica", un'espressione purtroppo entrata nell'uso
corrente, ma che dobbiamo ricordare per richiamare ció che essa
davvero significa, ció che concretamente ha rappresentato e sta
rappresentando per centinaia di migliaia di persone: espulsione definitiva
dalle proprie case e dalle proprie terre, divisioni delle famiglie, campi di
concentramento, esecuzioni di massa, torture, stupri, uccisioni senza
pietà. Stiamo parlando di qualcosa che aveva avuto inizio anche nel
Kosovo, dopo la tragedia bosniaca. Suhareka, Goden: parole che non dicono
nulla, che non conosciamo. Sono i nomi dei villaggi del Kosovo meridionale
nei quali, nei giorni scorsi, hanno avuto luogo massacri non dissimili da
quelli che in Bosnia solo il tardivo intervento internazionale ha potuto
fermare.
Ecco allora che non é solo la politica, ma anche e
soprattutto la valutazione etica che ognuno di noi compie nella sfera della
propria coscienza, davanti a scelte tragiche, che deve farci formulare con
chiarezza la domanda su quella che sarebbe stata l'alternativa: cosa avremmo
detto alla nostra coscienza di uomini e di donne, prima ancora che di
politici, se avessimo consentito che tutto ció proseguisse senza
un'adeguata reazione? E pensiamo davvero che chiuderci nel nostro
isolamento, con la guerra in corso e le violenze in atto, avrebbe potuto e
potrebbe, alla lunga, preservare la pace, la vita civile, tollerante,
democratica dell'Europa e dell'Italia?
Il presidente D'Alema lo ha detto e condividiamo fino in fondo le
sue parole: avere compiuto questa scelta non vuol dire affatto disprezzare o
dileggiare la profonda ispirazione pacifista che guida il mondo cattolico, a
partire dal suo supremo magistero, o che per altre vie motiva le prese di
posizione di autorevoli personalità della sinistra. É bene che
vi sia chi presenti in modo radicale le ragioni della pace, anche per
richiamarci all'equilibrio delle decisioni da assumere.
E, del resto, il Presidente del Consiglio ha qui confermato con
grande nettezza quanto aveva preannunciato ieri a Berlino: la volontà
di caratterizzare il ruolo dell'Italia nell'Alleanza come quello di una
nazione che in via generale invita ad un'estrema prudenza nel ricorso
all'intervento militare, anche se per ragioni umanitarie, e che, nel caso
concreto, ribadisce il carattere circoscritto degli obiettivi
dell'intervento e la necessità che esso si svolga in tempo limitato,
per riaprire al piú presto la via della soluzione
politico-diplomatica. Questa via é, infatti, l'unica che puó
portare davvero all'obiettivo che ci sta a cuore: la pace nei Balcani, la
tutela dei fondamentali diritti umani.
Non é certo un caso se l'ambasciata italiana a Belgrado
é l'unica operativa in questi giorni drammatici, se la mozione che
abbiamo presentato indica nel ritorno al Gruppo di contatto, nelle Nazioni
Unite e nella tutela dei profughi obiettivi fondamentali della nostra
azione. Gli interessi nazionali dell'Italia - da far valere nelle sedi
internazionali senza subalternità e senza tradimenti - concorrono
con le ragioni etiche a che il nostro paese segua con determinazione la
strada indicata dal Governo.
Certo, da questa vicenda dovremmo trarre tutte le indicazioni per un
rinnovato e deciso impegno per dare all'Europa le istituzioni democratiche
necessarie perchè possa svolgere in futuro le funzioni politiche che
le spettano. E analogo impegno occorre per una riforma dell'ONU che consenta
al nuovo ruolo della NATO, che non é piú strumento della
guerra fredda, ma organizzazione regionale della comunità mondiale,
di dispiegarsi davvero e fino in fondo secondo questa logica.
Intanto, ribadiamo il sostegno pieno e convinto dei senatori
Democratici di Sinistra per le scelte compiute e per gli obiettivi politici
indicati dal presidente D'Alema: la tutela dei diritti umani e civili nei
Balcani, la determinazione delle condizioni per un'iniziativa politica e
diplomatica che riporti la pace in Europa. (Vivi, prolungati applausi
dai Gruppi Democratici di Sinistra-L'Ulivo, Partito Popolare Italiano,
Verdi-L'Ulivo, Unione Democratica per la Repubblica (UDR), Rinnovamento
Italiano, Liberaldemocratici, Indipendenti-Popolari per l'Europa e Misto e
dalle componenti Socialisti Democratici Italiani e I democratici-L'Ulivo del
Gruppo Misto. Molte congratulazioni).
Metto ai voti la mozione 376, presentata dal senatore Gasperini e da
altri senatori.
Non é approvata.
Metto ai voti la mozione n. 377, presentata dal senatore La Loggia e
da altri senatori.
Non é approvata .
Metto ai voti la mozione n. 378, presentata dal senatore Salvi e da
altri senatori.
É approvata.
Metto ai voti la mozione n. 379, presentata dal senatore Meluzzi e
da altri senatori.
É approvata.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno n. 1.
Senatore Russo Spena, insiste per la votazione dell'ordine del
giorno?
Non é approvato .
Metto ai voti l'ordine del giorno n. 2, presentato dal senatore
Milio.
Non é approvato .
Senatore Gasperini, il Governo accoglie come raccomandazione
l'ordine del giorno n. 3 per cui, poichè lei stesso ha dichiarato di
preferire questa soluzione, non lo metto in votazione.
Metto ai voti l'ordine del giorno n. 4, presentato dal senatore
Marino e da altri senatori.
Non é approvato .
Ricordo che l'ordine del giorno n. 5 é stato ritirato.
La discussione delle mozioni é cosí esaurita.
I. Discussione dei disegni di legge:
1. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
1º febbraio 1999, n. 16, recante disposizioni urgenti per la conferma e
la proroga dell'esercizio delle funzioni di giudice di pace (3888)
(Approvato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale).
2. Conversione in legge del decreto-legge 1º marzo 1999, n. 43,
recante disposizioni urgenti per il settore lattiero-caseario (3847).
II. Votazione finale del disegno di legge:
Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di
tessuti (55-67-237-274-798-982-1288-1443-65-238-B) (Approvato dalla
Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione, con
modificazioni, del disegno di legge già approvato dal Senato in un
testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge di iniziativa dei
senatori Provera; Napoli Roberto ed altri; Di Orio ed altri; Martelli;
Salvato; Bernasconi ed altri; Centaro ed altri e di un disegno di legge di
iniziativa popolare; del disegno di legge già approvato dal Senato in
un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei
senatori Napoli Roberto ed altri e Di Orio ed altri; dei disegni di legge
d'iniziativa dei deputati Caveri; Balocchi; Delfino Teresio; Mussolini;
Polenta ed altri; Saia ed altri; Bono; Saia ed altri; del disegno di legge
d'iniziativa del Consiglio regionale della Valle D'Aosta; del disegno di
legge d'iniziativa del Consiglio regionale dell'Abruzzo; del disegno di
legge d'iniziativa del Consiglio regionale delle Marche e di un disegno di
legge d'iniziativa popolare).
La seduta é tolta (ore 23,47) .
Licenziato per la composizione e la stampa dal servizio dei Resoconti
parlamentari alle ore 1,50 di sabato 27-03-1999
MOZIONI SULLA CRISI DEL KOSOVO
GASPERINI, TABLADINI, PERUZZOTTI, MORO, ROSSI, TIRELLI, COLLA,
BRIGNONE. - Il Senato,
osservando con preoccupazione come questo secolo si concluda
nello stesso modo in cui si é aperto, vale a dire con un esercizio di
potenza nei Balcani;
constatati i drammatici sviluppi assunti dalla crisi kossovara,
culminati nella decisione delle autorità dell'Alleanza Atlantica di
procedere, per la prima volta nella storia dell'organizzazione,
all'effettuazione di attacchi aerei nei confronti di uno Stato sovrano e,
per di piú, in assenza di un mandato da parte delle Nazioni Unite o
dell'OSCE;
ricordando come il Trattato del Nord Atlantico fosse stato
concepito come strumento puramente difensivo ed in quanto tale sottoscritto
e ratificato anche dall'Italia;
deplorando il comportamento del Governo italiano che ha concesso
l'uso delle basi aeree e marittime nazionali alle forze che stanno
bombardando il territorio della Federazione jugoslava senza essersi
preventivamente confrontato con il Parlamento;
rilevando la gravità dei rischi ai quali, attraverso
questa scelta interventista, il Governo ha esposto lo stesso territorio
nazionale italiano, che potrebbe subíre rappresaglie anche
missilistiche rispetto alle quali le difese piú moderne di cui
dispongono le Forze armate risalgono agli anni '60 e '70 e sono pertanto da
ritenersi scarsamente affidabili;
sottolineando:
i pericoli e le sofferenze cui vengono sottoposte, come
conseguenza del ricorso alla forza, la popolazione serba e la stessa
popolazione kossovara come prova il fatto che lo stesso capoluogo del
Kosovo, Pristina, ha già subíto diversi bombardamenti;
l'evidente difetto di progetto politico a monte della decisione
dell'Alleanza Atlantica di procedere all'effettuazione di una massiccia
tornata di raid aerei e missilistici contro il territorio jugoslavo, posto
che non é chiaro cosa possa essere fatto qualora il Governo jugoslavo
decida di resistere ad oltranza;
rimarcando:
come, al di sotto dell'apparente unanimità dei paesi
membri della NATO, vi sia, in realtà, una vasta gamma di posizioni e
sfumature politiche e come, in particolare, vi siano Stati che hanno
già apertamente dichiarato di non partecipare attivamente alle
operazioni;
come, altresí, non vi sia un'unanimità di
posizioni neppure all'interno della maggioranza che sostiene l'attuale
Governo,
impegna il Governo:
a rimeditare la propria posizione in seno all'Alleanza Atlantica
in rapporto alla politica decisa nei confronti della Federazione jugoslava,
anche alla luce delle reazioni ostili già emerse in Russia ed
Ucraina, che potrebbero porre in pericolo la ratifica del Trattato Start II
da parte della Duma e gravemente pregiudicare lo sviluppo di relazioni
pacifiche e cooperative con i Governi di Mosca e Kiev;
ad agire comunque in tutte le sedi internazionali opportune - ivi
incluso l'imminente vertice atlantico di Washington, che dovrebbe approvare
il nuovo concetto strategico dell'Alleanza - per evitare che la NATO si
trasformi unilateralmente in una sorta di gendarme del mondo;
a negare alle unità aeree e navali dell'Alleanza
Atlantica i supporti necessari alla prosecuzione dell'offensiva decisa a
Bruxelles, a partire dall'uso delle basi già da tempo occupate dai
velivoli delle potenze della NATO, foriero di gravi incidenti anche in tempo
di pace;
a non offrire alla NATO la disponibilità di proprie
unità aeree, navali e terrestri nel quadro dello svolgimento di
operazioni offensive dirette contro il suolo della Federazione jugoslava;
ad esprimere la propria solidarietà nei confronti delle
popolazioni civili residenti nel territorio della Federazione jugoslava, i
cui interessi non sembrano essere stati adeguatamente ponderati dalla
diplomazia internazionale.
LA LOGGIA, MACERATINI, D'ONOFRIO, GAWRONSKI, SERVELLO, TAROLLI,
PIANETTA, MANTICA, BIASCO, PORCARI, MAGGIORE, MANCA, TONIOLLI, SELLA DI
MONTELUCE, DE ANNA. - Il Senato,
premesso:
che numerose risoluzioni delle Nazioni Unite hanno condannato la
repressione della popolazione albanese del Kosovo, perpetrata dal governo
serbo di Milosevic;
che sono falliti i tentativi diplomatici, da ultimi i colloqui
di Rambouillet, finalizzati a trovare un accordo per risolvere la situazione
nel Kosovo, rinforzando l'autonomia della regione;
che si é reso necessario intervenire con un'azione
militare della NATO contro la Federazione di Yugoslavia, ed in particolar
modo contro il regime di Milosevic, colpevole di non aver dato seguito agli
impegni presi di pacificazione nel Kosovo;
che in Italia, sia prima che dopo l'attacco, la maggioranza di
Governo si é spaccata sull'opportunità di un intervento armato
contro uno Stato sovrano che pur reprime e massacra una parte della sua
popolazione sul proprio territorio,
impegna il Governo:
a sostenere l'iniziativa della NATO al fine di ripristinare
l'autonomia della regione albanese del Kosovo, bloccando la catastrofe
umanitaria in atto, e per ritornare al rispetto dei diritti umani;
qualora alla fine del dibattito una parte della maggioranza
dovesse esprimersi contro l'iniziativa della NATO in Kosovo tale da
determinare la mancanza di maggioranza al Governo, a riferire al Capo dello
Stato affinché se ne traggano le dovute conclusioni.
SALVI, ELIA, PIERONI FUMAGALLI CARULLI, NAPOLI Roberto, MARINO,
OCCHIPINTI, MARINI. - Il Senato,
rilevato che gli sviluppi della crisi dei Balcani hanno assunto
aspetti drammatici e che é in corso l'azione militare della Nato
nella quale le forze italiane sono impegnate in funzione difensiva;
considerato che si é giunti a questo punto per il rifiuto
dell'accordo di Rambouillet che pur garantiva l'integrità
territoriale della Repubblica jugoslava, deludendo cosí le
aspettative di una soluzione pacifica e concordata della questione del
Kosovo, tale da garantire stabilità alla regione e sicurezza alle
popolazioni gravemente minacciate dalla drammatica recrudescenza delle
azioni di guerra;
approvata l'azione svolta dal Governo nel quadro delle alleanze
dell'Italia in direzione anzitutto delle iniziative rivolte fino all'ultimo
a risolvere la crisi attraverso le vie politiche-diplomatiche;
valutati con preoccupazione i rischi di un'azione militare,
impegna il Governo
ad adoprarsi con gli alleati Nato per un'iniziativa volta a
riprendere subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti;
ad agire affinché l'Unione Europea maturi una posizione
globale e una forte azione comune sui Balcani;
a sostenere, come previsto dall'accordo di Rambouillet, il ruolo
dell'Onu affinché - corentemente alle precedenti risoluzioni sul
Kosovo - possa dispiegarsi sul terreno una forza multinazionale di
interposizione con il coinvolgimento del Gruppo di contatto;
a predisporre gli interventi necessari all'accoglienza di
profughi e a convocare il "Tavolo di coordinamento per gli aiuti umanitari".
MELUZZI, VERTONE GRIMALDI, D'URSO, MANIS, FUMAGALLI CARULLI,
OSSICINI, MUNDI, JACCHIA. - Il Senato,
apprezzate con soddisfazione le dichiarazioni del Presidente del
Consiglio, approva le assicurazioni in esso contenute in ordine al
mantenimento degli impegni assunti dall'Italia in seno alla Nato,
approva inoltre la volontà di assicurare l'azione politico
diplomatica tesa al superamento della crisi del Kosovo.
ORDINI DEL GIORNO
Il Senato della Repubblica,
considerato che:
la decisione di ritirare i 1400 osservatori dell'Osce in seguito
all' ultimatum
del presidente Usa Bill Clinton nei confronti della Jugoslavia ha finito
per privare la popolazione civile della necessaria prote zione
internazionale, contribuendo inopinatamente alla ripresa del conflitto in
larga scala tra i miliziani dell'Uck e le truppe di Belgrado;
invece di intimare alle due parti il cessate il fuoco rinnovando
gli sforzi dell'Osce per arrivare ad una soluzione negoziale del conflitto,
si é preferito consegnare al delegato degli Usa Holbrooke il compito
di una mediazione portata avanti con il dito sul grilletto. Mediazione
fallita, oltre che per responsabilità di Milosevic, anche per
l'intransigenza statunitense nel rifiutare una missione di interposizione in
Kosovo delle Nazioni Unite e per l'insistenza nel volere una missione della
Nato pur non avendo, quest'ultima, nessun requisito di legittimità
per agire in quell'area;
i raid
aerei della Nato non serviranno ad alcunché, anzi getteranno benzina
sul fuoco alimentando l'oltranzismo speculare dei nazionalismi, facendo
esplodere la polveriera balcanica in un nuovo fiume di sangue innocente e
dando il via ad una nuova brutale politica di pulizia etnica;
la decisione del governo D'Alema di portare l'Italia in guerra,
sia concedendo le basi militari sia partecipandovi direttamente con propri
mezzi ed uomini, fa del nostro Paese l'avamposto di questa aggressione,
esponendolo a ritorsioni anche di carattere militare;
preso atto che:
il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non é stato investito
della questione e non ha deliberato l'uso della forza e che ogni iniziativa
assunta da patti militari di parte contro un paese fondatore e membro delle
Nazioni Unite rappresenterebbe una grave violazione del diritto
internazionale;
lo stesso Patto dell'Atlantico del Nord, ratificato in legge dal
Parlamento, non fa menzione alcuna di una aggressione preordinata e decisa
dall'Alleanza contro un Paese sovrano dentro i suoi confini
internazionalmente riconosciuti, e che pertanto ogni automatismo
d'intervento a fianco dell'Alleanza risulta del tutto infondato;
chiede al Governo:
di dissociarsi dalla guerra dichiarando l'indisponibilità
di mezzi e uomini delle forze armate italiane a partecipare ad ogni
iniziativa militare, anche solo di sostegno logistico, della Nato nei
confronti della Jugoslavia;
di rifiutare l'uso delle basi Usa e Nato collocate sul
territorio nazionale per ogni aggressione nei confronti della Jugoslavia;
di interdire lo spazio aereo e le acque nazionali al transito di
aerei e navi impegnati nella guerra contro la Jugoslavia;
di operare affinché le legittime aspirazioni alla
democrazia e all'autonomia del popolo Kosovaro siano finalmente conseguite
attraverso il negoziato, approntando per l'immediato un piano di emergenza
per il sostegno umanitario ai profughi;
di chiedere la convocazione del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite e l'avvio di una mediazione da parte del segretario generale
Kofi Annan;
di chiedere l'immediato ritorno, anche come forma di garanzia
per la popolazione civile, degli osservatori dell'Osce in Kosovo;
di promuovere, congiuntamente con gli altri paesi dell'Unione
europea, una conferenza internazionale sul destino dell'insieme dell'area
balcanica e sulla sua progressiva integrazione in un'Europa comune,
democratica e multietnica.
9.1-00136, 137, 138, 139.1
RUSSO SPENA, CÓ, CRIPPA
Il Senato,
considerando che la politica condotta oggi dal regime di
Belgrado si iscrive nella stessa direzione delle politiche di aggressione e
di pulizia etnica messe in pratica dallo stesso regime contro le popolazioni
della Croazia e della Bosnia;
profondamente scosso dall'inettitudine dei paesi occidentali i
quali condannano il popolo serbo alla tirannia di un uomo e di un regime e
gli negano qualsiasi prospettiva democratica;
considerando inoltre che non sussiste piú alcun dubbio
quanto al fatto che l'architetto e il principale responsabile della politica
criminale messa in pratica in Croazia, in Bosnia e in Kossovo sia l'attuale
presidente della Repubblica federale di Iugoslavia, Slobodan Milosevic;
ritenendo che continuare oggi a brandire l'argomento della
stabilità non potrebbe che equivalere a giustificare una
"stabilità nel crimine, il terrore, la devastazione e le
distruzioni";
sottolineando che la neutralizzazione politica di Milosevic e la
caduta del regime di Belgrado costituiscono delle premesse indispensabili
alla ricostruzione della democrazia e dello Stato di diritto tanto per i
serbi che per gli albanesi del Kossovo;
riaffermando che solo la caduta del regime attualmente al potere
a Belgrado permetterà di creare le condizioni affinchè
l'insieme delle popolazioni che vivono sul territorio della ex Iugoslavia
possano ritornare alla democrazia, allo Stato di diritto, alla
libertà e alla pace;
ritenendo che sia ormai prioritario procedere con la massima
urgenza alla neutralizzazione politica di Milosevic,
impegna il Governo
ad attivarsi presso il procuratore generale del Tribunale per i
crimini commessi nella ex Iugoslavia per porre senza indugio Milosevic in
stato d'accusa per genocidio e crimini contro l'umanità;
a portare a compimento l'iniziativa della NATO volta a
ripristinare nel Kossovo l'autonomia del popolo albanese e a porre fine al
genocidio in atto.
9.1-00136, 137, 138, 139.2
MILIO
Il Senato,
considerato
che la decisione della Nato di effettuare ripetuti attacchi
aerei contro la Federazione Jugoslavia, indipendentemente da ogni
valutazione politica nel merito della sua opportunità, é
suscettibile di innescare gravi conseguenze sul piano umanitario;
che fra tali effetti, ancorché al momento difficilmente
valutabili, potrebbe esservi anche un massiccio esodo di profughi, di
proporzioni sicuramente superiori a quelli visti finora e potenzialmente
catastrofiche;
che, essendo da tempo minato il confine tra Albania e Kossovo,
il deflusso dei profughi interesserebbe, in primo luogo, la Macedonia ed il
Montenegro, con probabile destinazione finale i porti albanesi e quindi le
coste italiane;
che esiste pertanto il rischio concreto che il territorio
della Repubblica Italiana venga investito a breve termine da un'ondata di
albanesi kossovari senza precedenti;
constatando
come lo stesso Governo abbia preso atto del rischio deliberando
lo stato di emergenza proprio per fronteggiare una situazione eccezionale
del tipo descritto;
ritenendo
tuttavia, piú utile prestare assistenza e soccorso ai
profughi oltreadriatico invece che sul territorio nazionale italiano;
invita il Governo
a garantire ai Governi dell'Albania e della Macedonia - e, se
possibile, anche all'Esecutivo montenegrino - un sostanziale contributo
italiano, secondo modalità da definire, per allestire rapidamente
capienti campi di accoglienza sul territorio dei loro Paesi, in grado di
ospitare civilmente i profughi kossovari;
a comunicare ai Governi di Tirana, Skopije e Podgorica la
propria volontà di fornire assistenza ai profughi nei territori
dell'Albania e della Macedonia, e non in quello della Repubblica Italiana,
affinché i rifugiati possano rimanere il piú vicino possibile
alle proprie terre d'origine;
a chiedere che i Paesi membri dell'Alleanza Atlantica
attualmente impegnati nelle operazioni aeree contro la Federazione
Jugoslava, contribuiscano insieme all'Italia all'allestimento ed al
mantenimento dei suddetti campi di accoglienza proporzionalmente al proprio
apporto allo svolgimento della campagna militare attualmente in corso.
9.1-00136, 137, 138, 139.3
GASPERINI
(*) Accolto dal Governo come raccomandazione.
Il Senato
in sede di dibattito sulla guerra nel Kosovo, dopo la drammatica
situazione venutasi a creare in seguito dell'attacco aereo da parte delle
Forze NATO contro la Yugoslavia
considerato
che rimane indispensabile un intervento dell'Europa per fermare
i massacri, ma che tale intervento non puó essere sostituito da
un'azione della NATO che per sua natura e per il ruolo che le é
conferito, non ha legittimazione per operazioni di questa natura;
che sul punto non é ancora intervenuta alcuna risoluzione
del Consiglio di sicurezza dell'ONU la cui convocazione é stata pure
per tempo e di nuovo richiesta dalla Russia e dalla Cina, membri permanenti
con diritto di veto;
che bombardamenti e lanci di missili sulla Yugoslavia
costituiscono azioni di guerra che la nostra Costituzione non ammette come
risoluzione delle controversie internazionali;
che l'ulteriore estensione del conflitto armato determinerebbe
rischi anche per le popolazioni civili del nostro paese;
impegna il Governo
a chiedere l'immediata cessazione dei bombardamenti;
a intraprendere tutte le iniziative rivolte a ripristinare le
condizioni che consentano di garantire la pace attraverso una risoluzione
politica diplomatica della questione;
a non consentire l'impiego di mezzi e di forze militari italiane
in azioni di guerra.
9.1-00136, 137, 138, 139.4
MARINO, MARCHETTI, BERGONZI, ALBERTINI, CAPONI, MANZI
Il Senato,
constatato che l'azione militare in corso nei confronti della ex
Jugoslavia deliberata dal Consiglio Atlantico puó essere interrotta
solo con una nuova delibera dello stesso Consiglio che impartisca nuove
istruzioni al Generale Clark,
invita il Governo:
a proseguire nelle iniziative volte a rilanciare la trattativa
con il Presidente Milosevic;
ad attenersi comunque alla procedura prescritta nel Patto
Atlantico.
9.1-00136, 137, 138, 139.5
MANIS, MELUZZI, JACCHIA MUNDI
Il Gruppo Verdi-L'Ulivo ha comunicato che, a partire dal 31 marzo
1999, il senatore Lubrano di Ricco entrerà a far parte della 4º
Commissione permanente, cessando di far parte della 1º Commissione
permanente.
Il Presidente della Camera dei deputati ha trasmesso i seguenti
disegni di legge:
2772-B - "Norme per il sostegno ed il rilancio dell'edilizia
residenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere
ambientale" (3455-B) (Approvato dalla 7º Commissione permanente
della Camera dei deputati, modificato dal Senato e nuovamente modificato
dalla Camera dei deputati);
C. 5324. - "Delega al Governo per il riordino delle carriere
diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante
personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del
Ministero della difesa, per il personale dell'Amministrazione penitenziaria
e per il personale del Consiglio superiore della magistratura" (3919)
(Approvato dalla Camera dei deputati).
É stato presentato il seguente disegno di legge d'iniziativa
del:
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA. - "Modifica alla legge 11
febbraio 1992, n. 157, recante: "Norme per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"" (3918).
Sono stati presentati i seguenti disegni di legge d'iniziativa dei
senatori:
AZZOLLINI, VEGAS, BALDINI, D'ALÍ, VENTUCCI, COSTA e GRECO. -
"Rifinanziamento della legge 19 dicembre 1992, n. 488, e della legge 1º
marzo 1986, n. 64, in materia di incentivi ed agevolazioni alle
attività produttive" (3920);
CARUSO Antonino, BUCCIERO, MACERATINI, PASQUALI, PONTONE, SERVELLO,
BASINI, BATTAGLIA, BEVILACQUA, BONATESTA, BORNACIN, CAMPUS, CASTELLANI
Carla, COLLINO, COZZOLINO, CURTO, CUSIMANO, DEMASI, DE CORATO, FLORINO,
LISI, MAGGI, MAGNALBÓ, MANTICA, MARRI, MEDURI, MONTELEONE, MULAS,
PACE, PALOMBO, PEDRIZZI, PELLICINI, RAGNO, RECCIA, SILIQUINI, SPECCHIA e
VALENTINO. - "Modifica dell'articolo 62- bis
del codice penale" (3921).
I seguenti disegni di legge sono stati deferiti
- in sede deliberante:
alla 6º Commissione permanente
(Finanze e tesoro):
"Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti" (3896)
(Approvato dalla 6º Commissione permanente della Camera dei
deputati) , previ pareri della 1º, della 2º e della 5º
Commissione;
alla 7º Commissione permanente
(Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e
sport):
"Valorizzazione della funzione del personale della scuola" (3892),
previ pareri della 1º e della 5º Commissione.
Il seguente disegno di legge é stato deferito
- in sede referente:
alla 8º Commissione permanente
(Lavori pubblici, comunicazioni):
BORTOLOTTO ed altri. - "Modifiche alla legge 29 novembre 1990, n.
366, concernente il completamento e l'adeguamento delle strutture del
laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso" (3271), previ pareri della
1º, della 5º, della 7º, della 13º Commissione e della
Commissione parlamentare per le questioni regionali.
La Giunta per gli affari delle Comunità europee é
stata chiamata ad esprimere il proprio parere sui disegni di legge nn. 166,
402, 1141, 1900 e 2453, in materia di cooperazione allo sviluppo, già
deferiti in sede referente alla 3º Commissione permanente.
Il Difensore civico della regione Basilicata, con lettera in data 18
marzo 1999, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della leg ge
15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo
stesso Ufficio nell'anno 1998 ( Doc . CXXVIII, n. 2/14).
Detto documento sarà inviato alla 1º Commissione
permanente.
Il Presidente della RAI, con lettera in data 24 marzo 1999, ha
trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 8, della legge 25 giugno 1993, n.
206, la relazione sull'andamento del servizio pubblico radiotelevisivo,
relativa all'anno 1998 ( Doc . CXXX, n. 2).
Detto documento sarà trasmesso alla 8º Commissione
permanente.
Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 24 marzo
1999, ha trasmesso, in adempimento al disposto dell'articolo 7 della legge
21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione sulla
gestione finanziaria dell'Associazione nazionale mutilati ed invalidi del
lavoro (ANMIL), per gli esercizi dal 1995 al 1997 ( Doc . XV, n.
185).
Detto documento sarà trasmesso alla 5º e alla 11º
Commissione permanente.
Nel Resoconto sommario e stenografico della 502º seduta,
dell''11 dicembre 1998, Allegato B , a pagina 50, sotto il titolo
" Disegni di legge, assegnazione ", é soppresso il
capoverso:
"WILDE ed altri. - "Istituzione di una Commissione parlamentare
d'inchiesta sull'Agenzia spaziale italiana (ASI)" (3675), previ pareri della
1º, della 2º e della 5º Commissione;",
ed é inserito, in fine, il seguente:
" alla 10º Commissione permanente (Industria,
commercio, turismo):
WILDE ed altri. - "Istituzione di una Commissione parlamentare
d'inchiesta sull'Agenzia spaziale italiana (ASI)" (3675), previ pareri della
1º, della 2º e della 5º Commissione.".
A norma dell'articolo 147 del Regolamento, la seguente
interrogazione sarà svolta presso la Commissione permanente:
4º Commissione permanente
(Difesa):
3-02727, del senatore Manfredi, su corsi specifici per la formazione
degli ufficiali delle Forze armate e del Corpo della Guardia di finanza.