Legislatura 13º - Disegno di legge N. 4409
     

SENATO DELLA REPUBBLICA

———–    XIII LEGISLATURA    ———–

N. 4409
 


DISEGNO DI LEGGE

presentato dal Ministro degli affari esteri

(DINI)

e dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale

(SALVI)

di concerto col Ministro dell’interno

(JERVOLINO RUSSO)

col Ministro della giustizia

(DILIBERTO)

e col Ministro per la solidarietà sociale

(TURCO)

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 29 DICEMBRE 1999

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Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione, nonchè della Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento, adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro durante la sua ottantasettesima sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999

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    Onorevoli Senatori. – Lo sfruttamento del lavoro infantile è, al tempo stesso, conseguenza e causa di povertà. Lottare contro il lavoro infantile, a cominciare dalle sue forme più aberranti, significa costruire uno zoccolo minimo di difesa dei diritti sociali dei bambini di oggi e di domani.

    L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), il Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF) stimano che 250 milioni di minori, fra i 5 e i 14 anni, sono impiegati in un gran numero di attività lavorative, svolte spesso in situazioni pericolose, malsane, illegali o persino in condizioni di schiavitù, e distribuiti quasi ovunque: in Asia, in Africa, in America Latina, ed anche in Europa e in America del Nord. Ma la verità è che non esistono statistiche complete sul lavoro minorile; nella gran parte dei casi i governi e i datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l’esistenza, o comunque non compiono rilevazioni statistiche ufficiali.
    Il lavoro minorile è quindi una piaga mondiale, che va combattuta su più fronti. Un primo fronte di lotta è quello normativo: le norme internazionali sul lavoro minorile e sull’istruzione devono costituire un insieme coerente e rafforzarsi a vicenda, mentre quelle nazionali devono risultare in accordo sia allo spirito che alla forma della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e delle Convenzioni OIL al riguardo (v. Raccomandazione n. 190, paragrafo 15).
    Già nel preambolo della Convenzione relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile è fatto un rapido cenno alle cause dello sfruttamento del lavoro minorile. Esse sono molte e complesse. La povertà, lo squilibrio tra il Nord e il Sud del mondo, la globalizzazione dei mercati che modifica la divisione internazionale. Ma anche fenomeni di povertà culturale che fanno smarrire il senso profondo di alcuni aspetti importanti della vita umana, come il diritto dei bambini e delle bambine al gioco, alla socialità, all’educazione, al rispetto della loro salute e dei loro tempi di crescita, che sono essenziali per il loro sviluppo psicofisico. n coinvolgimento di questi soggetti in un’esperienza lavorativa precoce, ed in condizioni lavorative pesanti, arreca un grave danno alla loro crescita e costituisce motivo di futura emarginazione dalle dinamiche sociali.

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    Il testo della Convenzione OIL n. 182 evidenzia, all’articolo 1, il carattere di particolare urgenza che riveste il problema dell’eliminazione delle forme più aberranti di sfruttamento del lavoro minorile. L’eliminazione di tali forme richiede un serio impegno da parte degli Stati che ratificheranno questa Convenzione, nel senso che occorrerà approntare un’efficace apparato sanzionatorio, associato ad un’intensa e capillare attività di controllo e di prevenzione del fenomeno.

    L’articolo 2 contiene la definizione di «minore»: «... il termine “minore“ si riferisce a tutte le persone di età inferiore ai 18 anni». Vale la pena ricordare che la Convenzione OIL n. 138 prevede che i minori non possano svolgere alcuna attività lavorativa se di età inferiore a quella stabilita per il completamento dell’istruzione obbligatoria e, comunque, non prima che abbiano compiuto i 15 anni.
    L’articolo 3 contiene la descrizione delle «forme peggiori di lavoro minorile». La scelta della parola «peggiori» è sintomatica di una precisa volontà dei negoziatori della Convenzione tesa ad evitare fraintendimenti derivanti dalla troppa genericità di altri termini, quali: «intolleranti» et similia.
    Alle lettere a), b), c) e d) vengono infatti contemplate vere e proprie ipotesi di reato, cioè fattispecie configurate nel nostro ordinamento come illeciti penali e, conseguentemente, tutte già tipizzate. Si evidenzia, perciò, che esiste già nel nostro ordinamento un efficace apparato sanzionatorio, che non lascia prive di tutela giuridica situazioni meritevoli di particolare attenzione. In tal senso, l’ordinamento italiano è perfettamente in linea con le disposizioni OIL in materia.
    In particolare, e con riferimento alla lettera a), sono necessarie alcune precisazioni. La schiavitù è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o di alcuni di essi (Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926). Per quanto concerne le «pratiche analoghe alla schiavitù», si può dire che esse si concretano nel dar vita a condizioni, talvolta socialmente consentite, per prassi, tradizioni, circostanze ambientali, volte a costringere, in qualche modo, una persona al proprio esclusivo servizio: si pensi, ad esempio, all’esercizio della padronanza assoluta su dei bambini, acquisita mediante cessioni, rapimenti, e stato di soggezione e costrizione degli stessi a commettere determinati illeciti.
    È da considerarsi, altresì, situazione analoga alla schiavitù quella concernente le istituzioni e le pratiche in forza delle quali un bambino o un adolescente minore di anni 18 viene consegnato, dai suoi genitori o da uno di essi, ovvero dal suo tutore, a un terzo, dietro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro, del predetto bambino o adolescente.
    Poichè lo status libertatis è assolutamente indisponibile, l’eventuale consenso del soggetto passivo non serve ad escludere l’antigiuridicità del fatto.
    «La tratta dei minori» comprende, invece, ogni atto di cattura, acquisto o cessione di individuo, per ridurlo in schiavitù; ogni atto di acquisto di uno schiavo per venderlo o scambiarlo; come pure, in genere, ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi. Può presupporsi come soggetto passivo una persona che già si trovi in stato di schiavitù o in condizione analoga, e cioè di sottoposizione a lavoro forzato o obbligatorio (lettere b) e c)).
    La lettera d) prevede un’ipotesi residuale, che recita testualmente: «qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore» (v. Raccomandazione, Capitolo III, paragrafi 11, 12, 13, 14)).
    Sarà compito della legislazione nazionale e dell’autorità competente, previa consultazione dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati tenuto conto delle relative norme internazionali in particolare dei paragrafi 3 e 4 della Raccomandazione sulle forme peggiori di lavoro minorile del 1999, determinare i tipi di lavoro di cui all’articolo 3, lettera d).
    Vengono a tal proposito menzionati: i lavori che espongono i minori ad abusi fisici, psichici o sessuali (v. Raccomandazione, Capitolo II, paragrafo 3, lettera a)); i lavori svolti in ambiente insalubre tale da esporre i minori, ad esempio, a sostanze, agenti o processi pericolosi o a temperature, rumori o vibrazioni pregiudizievoli per la salute (v. lettera d), del paragrafo 3); i lavori svolti in condizioni particolarmente difficili, ad esempio con orari prolungati notturni o lavori che costringano il minore a rimanere ingiustificatamente presso i locali del datore di lavoro (v. lettera e) del paragrafo 3).
    L’utilizzo dei minori costituisce una violazione grave dei diritti elementari delle persone umane. Il concetto della privazione della libertà personale implica necessariamente l’idea di una condizione non momentanea. La possibilità di fuga conferma, e non esclude, l’esistenza della fattispecie configurata, ove costringa la vittima ad imprudenti iniziative o a comportamenti elusivi della vigilanza, e sia comunque attuabile con mezzi artificiosi di non facile attuazione o con qualsiasi altra condotta che induca la vittima a rinunciarvi nel timore di ulteriori pericoli o danni alla persona.
    Queste ipotesi possono attuarsi con minaccia esplicita o implicita (coazione morale), con qualsiasi atteggiamento che, in relazione alle particolari circostanze, è suscettibile di togliere alla persona offesa la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria autonomia e indipendente volontà, presentando non di rado forme di sfruttamento, molestie sessuali.
    La norma comprende tra le peggiori forme di lavoro minorile anche il reclutamento forzato o obbligatorio dei minori ed il loro utilizzo nei conflitti armati.
    L’articolo 3, lettera b) della Convenzione proibisce l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici.
    L’articolo 3, lettera c) proibisce l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore ai fini d’attività illecite, quali – in particolare – quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono previsti dai trattati internazionali pertinenti.
    L’articolo 3, lettera d) proibisce infine qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza e la moralità del minore.
    Nel contesto attuale, il lavoro minorile assume una pluralità di forme e di tipologie nuove rispetto al passato, tanto che l’articolo 4, paragrafo 3, della Convenzione prevede che la lista dei tipi di lavoro di cui al paragrafo 1, del medesimo articolo, deve essere periodicamente esaminata e, ove necessario riveduta, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessate. È, infatti, più corretto parlare di lavori minorili che di lavoro minorile, sia per quanto riguarda i Paesi del Nord che del Sud del mondo, che vanno dal child labour (lavori pesanti, nocivi, legati allo sfruttamento fino a forme di schiavitù) al child work (lavori leggeri, collaborazioni domestiche).
    Al paragrafo 4 della Raccomandazione n. 190, è fatto esplicito riferimento alla consultazione tra il Governo e le parti sociali per attuare le azioni per contrastare il lavoro minorile.
    L’articolo 5 della Convenzione prevede che ogni Paese membro deve – previa consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori – istituire o designare i meccanismi per monitorare l’applicazione dei provvedimenti attuativi della Convenzione stessa.
    Sull’attività di monitoraggio, il Capitolo III, paragrafo 15, lettera g), della Raccomandazione, che integra la Convenzione in esame, contiene un esplicito richiamo (articolo 6 della Convenzione). I programmi d’azione devono essere pianificati e realizzati in consultazione con le istituzioni governative competenti e con le organizzazioni di imprenditori e di lavoratori.
    È da segnalare, a tal proposito, che all’articolo 7, paragrafo 2, lettera c), della Convenzione è sancito che a tutti i minori che sono stati sottratti alle forme peggiori di lavoro sia garantito l’accesso all’istruzione di base gratuita e, ove sia possibile e opportuno, alla formazione professionale. Vengono auspicate iniziative per impedire che i minori siano coinvolti nelle forme peggiori di lavoro; per fornire l’assistenza diretta necessaria ed appropriata, per sottrarli alle forme peggiori di lavoro minorile e garantire la loro riabilitazione e il loro reinserimento sociale; per individuare i minori esposti a rischi particolari ed entrare in contatto diretto con loro; per tenere conto della situazione particolare delle bambine e delle adolescenti (articolo 7, paragrafo 2, lettere a), b), d), e)).
    Molte bambine durante le giornate svolgono lavoro domestico, considerato non produttivo e, dunque, non lavoro. Si tratta, invece, di lavoro, spesso pesante, a volte accompagnato a forme di maltrattamento sessuale. Le bambine e le ragazze sono, inoltre, vittime, in molte situazioni, di sfruttamento sessuale a scopo commerciale, fenomeno in espansione, che lascia ferite tante volte non rimarginabili.
    L’articolo 7, paragrafo 3, prevede che lo Stato Parte alla Convenzione debba indicare l’autorità competente a dare effetto alle disposizioni della Convenzione stessa: tale autorità – che nell’ordinamento italiano non può che essere il Ministero del lavoro e della previdenza sociale sarà indicata al momento del deposito dello strumento di ratifica.
    L’articolo 8 prescrive, per eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, azioni integrate che puntino sulla prevenzione, investano sull’educazione e formazione, attivino sostegni economici e culturali alle famiglie, promuovano i diritti delle donne.
    L’articolo 9 recita: «Le ratifiche formali della presente Convenzione devono essere comunicate al Direttore generale dell’Ufficio internazionale del lavoro, per essere registrate». Qui è descritto un adempimento formale, di natura procedurale: «l’obbligo della comunicazione», allo stesso organo che, in un secondo momento, procederà alla registrazione delle ratifiche (articolo 10, paragrafo 1).
    L’articolo 10, paragrafo 2, statuisce che la presente Convenzione «...entrerà in vigore 12 mesi dopo la data in cui la ratifica di due Membri sarà stata registrata dal Direttore generale». «In seguito, la presente Convenzione entrerà in vigore per ogni Membro 12 mesi dopo la data in cui la ratifica sia stata registrata» (paragrafo 3, articolo citato). Vengono qui descritti gli usuali adempimenti formali, ed il periodo di vacatio allo scadere del quale la Convenzione entrerà in vigore, e sarà, dunque, vincolante per gli Stati che l’hanno ratificata.
    All’articolo 11, è descritta la consueta procedura di «denuncia», che costituisce l’atto formale con il quale uno Stato Membro, allo scadere di un periodo di dieci anni da quando la Convenzione è entrata in vigore, «può» decidere, per mezzo di notifica, indirizzata al direttore generale dell’Ufficio internazionale del lavoro, ai fini della sua registrazione, che la Convenzione non sia più considerata vincolante nei suoi confronti, e cessi, conseguentemente, di esplicare la sua efficacia.
    Al paragrafo 2, è descritta l’ipotesi in cui nell’anno successivo allo scadere del termine di dieci anni, lo Stato membro non eserciti questa facoltà, e lasci decorrere inutilmente il termine predetto. Questo comportamento ha il valore di silenzio-assenso dello Stato, che si riterrà vincolato alla Convenzione per un altro periodo di dieci anni. Ciò non toglie, tuttavia, che la facoltà di «denuncia» possa essere esercitata alla scadenza di ogni periodo di dieci anni, secondo i termini previsti da questo articolo (articolo 11, paragrafo 2, ultima parte).
    Agli articoli 12 e 13 è descritta l’attività del Direttore dell’Ufficio internazionale del lavoro in relazione alla Convenzione,- e gli adempimenti che sono di sua competenza: l’obbligo di notifica a tutti i Membri dell’Organizzazione internazionale del lavoro della registrazione di tutte le ratifiche e di tutti gli atti di denuncia che gli saranno stati comunicati dai Membri dell’Organizzazione (articolo 12, paragrafo 1) e, in particolare (paragrafo 2, stesso articolo): «Nel notificare ai Membri dell’Organizzazione la registrazione della seconda ratifica, il Direttore generale richiamerà l’attenzione dei Membri dell’Organizzazione sulla data dell’entrata in vigore della Convenzione»; l’obbligo di comunicazione (articolo 13) al Segretario generale delle Nazioni Unite di tutti i particolari delle ratifiche e degli atti di denuncia registrati, in conformità al disposto dell’articolo 102 della Carta delle Nazioni Unite.
    L’articolo 14 configura il Consiglio di amministrazione dell’Ufficio internazionale del Lavoro come l’Organo che svolge funzioni propositive, nonchè di collegamento e di raccordo con la Conferenza generale delle Nazioni Unite, tant’è che esso presenta alla Conferenza Generale un rapporto sull’applicazione della Convenzione ed esamina l’opportunità di mettere all’ordine del giorno della Conferenza la questione della sua revisione totale o parziale.
    L’articolo 15 disciplina un aspetto assai importante: la successione nel tempo di una nuova Convenzione, che sostituisce parzialmente o totalmente quella in commento. C’è di più: «a) La ratifica da parte di un Membro della nuova Convenzione di revisione, implicherà ipso iure l’immediata denuncia della presente Convenzione, nonostante le disposizioni dell’articolo 11 di cui sopra, se e quando la nuova Convenzione di revisione sarà entrata in vigore; b) a partire dalla data in cui la nuova Convenzione di revisione entrerà in vigore, la presente Convenzione non sarà più aperta alla ratifica da parte dei Membri». Ciò non toglie, tuttavia, che: «La presente Convenzione rimarrà in vigore nella sua forma e nel suo contenuto attuali per quei Membri che l’hanno ratificata, ma che non hanno ratificato la Convenzione di revisione». (articolo 15) Quest’ultimo aspetto, cioè la permanenza dell’efficacia dell’atto internazionale al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, costituisce una peculiarità tipica di certi moduli procedurali.
    L’articolato si chiude con l’articolo 16, in cui è detto che: «Le versioni inglese e francese del testo della presente Convenzione fanno ugualmente fede». Si è inteso, in tal modo, uniformare la validità del testo tradotto, con quello redatto nella lingua prescelta per la stesura originaria del documento.

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    La Raccomandazione OIL n. 190, relativa alla «Proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione» completa la Convenzione del 17 giugno 1999: le disposizioni della Convenzione e della Raccomandazione – ai sensi della Raccomandazione stessa – dovranno essere applicate contestualmente.

    Per questo motivo Convenzione e Raccomandazione vengono sottoposte a ratifica parlamentare in modo congiunto.
    La Raccomandazione consta di tre capitoli, relativi ai programmi di azione, di cui all’articolo 6 della Convenzione; alla definizione di lavori pericolosi; ed alla fase di attuazione della Convenzione.
    Capitolo I. Il Capitolo I si riferisce specificamente ai programmi di azione, di cui all’articolo 6 della Convenzione. Essi si concretano in programmi attuativi, di intervento sul territorio, per l’espletamento di adempimenti non procrastinabili, tanto che è configurato l’obbligo di attivazione di procedure d’urgenza.
    La previa consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e con le altre istituzioni interessate ed impegnate nella realizzazione degli obiettivi della Convenzione, altro non è che la previsione di un autorevole supporto tecnico, di un significativo ausilio da parte di entità in qualche modo esperte nella materia.
    Una grande attenzione è rivolta alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei minori direttamente colpiti dalle forme peggiori di lavoro minorile. Oltre ad un coinvolgimento diretto degli stessi e delle loro famiglie, mediante acquisizione delle loro opinioni, è previsto, all’occorrenza, che vengano ascoltati altri gruppi interessati e impegnati nella realizzazione degli obiettivi della Convenzione e di questa Raccomandazione.
    Il paragrafo 2 contiene un elenco esemplificativo, e non tassativo, delle finalità che tali programmi si prefiggono di realizzare. Dopo aver ricordato che i minori per loro stessa natura rappresentano una categoria di soggetti particolarmente vulnerabile, nella Raccomandazione è sottolineata una maggiore preoccupazione per quegli individui più a rischio, quali: le ragazze esposte a rischi particolari; i minori di più tenera età. È evidente che questa distinzione ha un suo spessore politico morale e sociale e non va assolutamente sottovalutata.
    Un altro obiettivo consiste nel: «difendere i minori da rappresaglie, garantire la loro riabilitazione e il loro reinserimento sociale, mediante provvedimenti che tengano conto delle loro esigenze formative, fisiche e fisiologiche».
    Il Capitolo II si intitola: «Lavori pericolosi», ed è specificativo, ampliativo ed esplicativo del disposto dell’articolo 3, lettera d) della Convenzione.
    Le ragioni di un approfondimento del problema della salute, della sicurezza e della moralità dei minori interessati, nonché della loro adeguata istruzione e formazione professionale sono di tutta evidenza. Si vogliono assicurare con ciò le basi per un serio impegno sul territorio; lo dimostra anche il fatto che, ancora una volta, viene ribadita, ed è obbligatoria, la «previa consultazione con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro interessate».
    Poichè la tutela della salute è un fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Il datore di lavoro deve adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica (non solo sotto il profilo igienico-sanitario o antinfortunistico) e la personalità morale del prestatore di lavoro. Il datore di lavoro non solo deve osservare gli specifici obblighi stabiliti da norme speciali, ma anche adottare le ulteriori misure di sicurezza richieste dall’evoluzione tecnologica, generalmente applicate, accompagnate da ulteriori accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti.
    Il datore di lavoro deve inoltre adottare le misure di sicurezza richieste non solo da caratteristiche oggettive dell’attività di lavoro, ma anche dalla condizione soggettiva dei singoli lavoratori. Non si possono non ricordare la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, approvata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989, nonché gli articoIi 118 e 118 A del Trattato sull’Unione europea, e numerosi altri atti internazionali. In particolare, quest’ultimo articolo – introdotto dall’Atto unico europeo entrato in vigore il 1º gennaio 1987 – prevede espressamente che: «Gli Stati membri si adoperano per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori e si fissano come obiettivo l’armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni previste in questo settore».
    Il Capitolo III è dedicato alle misure di attuazione della Convenzione.
    Grande importanza è conferita all’attività di informazione, alla raccolta di dati statistici sulla natura e sulla portata del lavoro minorile, cui può riconoscersi una qualche validità solo in quanto differenziata per sesso, fascia di età, occupazione, settore di attività, eccetera. Ma ciò non basta. Per un’indagine concreta serve un sistema di registrazione efficace. È evidente che, parlando di numeri, la raccolta di notizie sullo «status» degli individui è imprescindibile e, nel rispetto della privacy (il cosiddetto diritto alla riservatezza), per cui l’invasione della sfera della persona del singolo individuo è consentita solo per esigenze di tutela di un interesse generale, per il quale è richiesto talvolta, il sacrificio di situazioni individuali concorrenti, occorre avere contezza e consapevolezza di un fenomeno allarmante qual è quello adesso in esame. A ciò si aggiunge l’esigenza di sorvegliare con continuità l’attuazione delle disposizioni nazionali pertinenti alla proibizione e alla eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile (v. paragrafo 8).
    La partecipazione dell’Italia all’OIL, come d’altronde di ogni altro Membro, ha, infatti lo scopo di promuovere un regime di lavoro compatibile con le esigenze di vita dignitosa; pertanto dell’attività di controllo che si esplica sul territorio dovrà essere data comunicazione (v. paragrafo n. 7) «regolarmente» all’Ufficio internazionale del lavoro. L’obbligo della comunicazione è l’adempimento del dovere di «pubblicità-notizia», ed è una delle modalità di attuazione del raccordo tra gli Stati che ratificheranno la presente Convenzione e gli Organi dell’OIL, tanto necessario per una fattiva ed efficiente collaborazione.
    La previsione di organi di vigilanza (v. paragrafo 10) è prodromica e funzionale all’individuazione delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni nazionali (in Italia, gli organi preposti al controllo della disciplina antinfortunistica e di igiene del lavoro sono l’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL); il Corpo nazionale dei vigili del fuoco; l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), in virtù della legge n. 84 del 1982, in tema di sicurezza e protezione dei lavoratori e della popolazione dai pericoli delle radiazioni ionizzanti emesse dalle sorgenti radioattive e impianti nucleari; il Ministero per l’Industria, il commercio e l’artigianato; gli operatori delle ASL con qualifica di polizia giudiziaria, gli ispettori del Servizio ispezione del lavoro, cui sono attributi poteri di prevenzione e di repressione degli illeciti, ma anche poteri di disposizione e di prescrizione, ed altri organi).
    Al paragrafo 14 è prevista l’applicazione di provvedimenti di natura penale, civile o amministrativa che, ove occorre, devono essere adottati con le procedure d’urgenza. In particolare, per quanto concerne la responsabilità civile, in Italia, oltre al richiamo al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, deve tenersi in debito conto della norma enunciata nell’articolo 2043 del codice civile, che va letta alla luce dell’articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto del singolo e della collettività. Vale a dire, qualora la menomazione psico-fisica del soggetto derivante da infortunio si configuri come danno biologico – cioè come danno influente sul valore uomo in tutta la sua dimensione e dunque avente rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica, in quanto incidente su tutte le attività realizzatrici della persona umana- il datore di lavoro risponde ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
    Al paragrafo 15, è contenuto un elenco esemplificativo, ma allo stesso tempo molto approfondito, sui possibili provvedimenti volti alla proibizione e all’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile. Tra essi: l’informazione dell’opinione pubblica, in special modo degli organi politici nazionali e locali; la semplificazione delle procedure giudiziarie ed amministrative e la garanzia che queste siano appropriate e valide, l’erogazione di una formazione adeguata per i funzionari delle amministrazioni pubbliche interessate e, in particolare, per gli ispettori ed i tutori di legge, nonché per altri funzionari pertinenti; l’incoraggiamento all’adozione di politiche imprenditoriali che promuovano gli obiettivi della Convenzione; il monitoraggio e la divulgazione delle esperienze più positive relative all’eliminazione del lavoro minorile; la divulgazione di disposizioni legislative o di altro tipo riguardanti il lavoro minorile nelle diverse lingue o dialetti; l’istituzione di procedure speciali di denuncia e di provvedimenti atti a proteggere da discriminazioni e rappresaglie coloro che denunciano legittimamente le violazioni delle disposizioni della Convenzione, nonché l’istituzione di linee telefoniche o centri d’assistenza e di mediatori; l’adozione di provvedimenti appropriati per migliorare l’infrastruttura scolastica e la formazione degli insegnanti in modo corrispondente alle necessità di ragazzi e ragazze.
    Tra i provvedimenti volti alla proibizione e all’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile quelli diretti, infine, ad una migliore cooperazione e assistenza a livello internazionale tra i Paesi Membri.

 



RELAZIONE TECNICO-NORMATIVA

        La prima Convenzione internazionale in materia di lavoro minorile risale al 1919: si tratta della «Convenzione sull’età minima», adottata in occasione della prima riunione dell’Organizzazione internazionale del lavoro, e ratificata da 72 Paesi. La Convenzione fissava a 14 anni l’età minima per l’assunzione nell’industria.

        Gli strumenti giuridici internazionali considerati più completi a livello internazionale, in materia di lavoro minorile, sono la Convenzione dell’OIL sull’età minima di ammissione al lavoro, n. 138 del 1973 (entrata in vigore il 19 giugno 1976 e ratificata dall’Italia il 28 luglio 1981) e la Raccomandazione sull’età minima n. 146, che rappresenta lo strumento per l’applicazione generale della Convenzione.
        La Convenzione n. 138 stabilisce che i bambini non possono essere impiegati in alcun settore economico, se di età inferiore a quella stabilita per il completamento dell’istruzione scolastica obbligatoria, e comunque non prima che abbiano compiuto 15 anni di età. La Raccomandazione completa le disposizioni presenti nella Convenzione n. 138, e pone come abiettivo l’elevamento progressivo dell’età minima di ammissione al lavoro a 16 anni. La Convenzione è stata finora ratificata da 49 dei 173 Paesi membri dell’OIL: solo 21 di essi sono Nazioni in via di sviluppo e nessuna di queste è asiatica, dove peraltro si trova la metà dei bambini lavoratori nel mondo. Si ricordano anche le Convenzioni dell’OIL sul lavoro forzato n. 29 del 1930 e n. 105 del 1957, che furono ratificate rispettivamente da 139 e da 115 Governi.
        Un passo fondamentale per la tutela dei diritti dei minori è stato fatto con l’adozione della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, adottata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e ratificata dall’Italia, ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176. La Convenzione ha ricevuto il più alto numero di adesioni della storia: è stata ratificata da 191 Paesi, su 193 membri della comunità internazionale. Gli unici Paesi che non l’hanno ancora ratificata sono gli Stati Uniti e la Somalia. Con la ratifica, uno Stato si impegna ad adeguare la propria legislazione interna nei confronti dei minori, accogliendo gli articoli della Convenzione e accettando di sottoporsi al controllo del Comitato sui diritti dell’infanzia, che valuta il processo di attuazione della Convenzione nelle singole nazioni e chiede conto ai Governi delle inadempienze.
        In materia di sfruttamento dei minori la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 stabilisce che: «Gli Stati Parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico, e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale».
        In Italia, il principale riferimento normativo sul lavoro minorile è costituito dalla legge 17 ottobre 1967, n. 977, sulla «Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti» che fissa il limite di età a 15 anni e, in alcuni casi, a 14 anni, quando si tratta di attività agricola o di «servizi familiari», e nelle attività industriali in cui i minori siano addetti a mansioni leggere. Il controllo del rispetto della legge è affidato al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che lo esercita tramite gli Ispettorati del lavoro. A tale legge si sono succeduti nel tempo una serie di Regolamenti, relativi alla definizione della periodicità delle visite mediche dei ragazzi impiegati in attività nocive, pure se non in ambito industriale (decreto del Presidente della Repubblica 17 giugno 1975, n. 479), per la modifica della disciplina sanzionatoria in materia di tutela del lavoro minorile, delle lavoratrici madri e del lavoro a domicilio (decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566), quindi, per la determinazione di una serie di sanzioni pecuniarie e reclusorie.
        Si noti anche il recente decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345, recante «Attuazione della direttiva 94/33/CE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro» che – recependo una normativa comunitaria in materia – modifica ed integra la legge 977 del 1967.
        In Italia, le forme più gravi di autentico sfruttamento del lavoro minorile sembra riguardino soprattutto le comunità immigrate che, per motivi legati ad una diversità culturale, oltre che ad una reale indigenza, sono maggiormente esposte a questo tipo di rischio. Si ritiene che occorra contestualmente intervenire sull’abbandono scolastico, fenomeno ancora consistentemente elevato, rendere praticabile il diritto allo studio dei bambini e favorire il raccordo tra scuola e lavoro.
        L’articolo 37 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce la necessità di assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
        La legge più importante in materia appare la legge 28 agosto 1997, n. 285, in cui è prevista l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza(*)

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        Si noti anche la legge 23 dicembre 1997, n. 451, recante «Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia» e la legge 3 agosto 1998, n. 269, recante «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale a danno dei minori quale nuova forma di riduzione in schiavitù».
        La ratifica della Convenzione n. 182 e della Raccomandazione n. 190 non comporta la necessità di prevedere l’adozione di successive specifiche norme di modifica e adeguamento della legislazione interna.
        La ratifica della Convenzione n. 182 e della raccomandazione n. 190 non comportano oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato.

 

(*)
        Nel nostro Paese c’è in materia molto fervore legislativo. In poco tempo si sono susseguiti: il Piano d’azione nazionale, la legge n. 285 succitata, la istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale, diverse proposte di legge, A.S. n. 2849-3052-3406-3693, sulla «Certificazione di conformità sociale dei prodotti realizzati senza l’utilizzo di lavoro minorile»; A.C. n. 3269 sulla medesima materia; A.C. n. 3885 sulla «Costituzione del Comitato di sorveglianza per la certificazione di conformità alle convenzioni internazionali in merito alla delocalizzazione delle attività produttive e all’importanza di beni semilavorati e di prodotti finiti»; A.C. n. 6135 concernente le «Disposizioni per la trasparenza e la salvaguardia delle condizioni socio-ambientali nella produzione di beni e servizi».

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione n.182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione, e la Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento, adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro durante la sua ottantasettesima sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999.

Art. 2.

    1. Piena ed intera esecuzione è data agli atti internazionali di cui all’articolo 1, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 10 della Convenzione n. 182.

Art. 3.

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.