DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore BERTONI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 GIUGNO 1998
Nuova disciplina dei delitti di concussione e corruzione
ONOREVOLI SENATORI. - Il presente disegno di legge, che si accompagna ad
altri due progetti che tendono a finalità sostanzialmente simili, pur
riguardo le fattispecie della concussione e della corruzione e una nuova
disciplina del giudizio abbreviato, si propone altresí lo scopo di
prevenire, anche con gli accennati strumenti, i fenomeni corruttivi.
1. Il Capo I contiene una riformulazione dei delitti di concussione e di
corruzione, sia allo scopo di evitare che l'attuale disciplina continui a
favorire equivoci e ambiguità, che spesso nuocciono alla rapida e
corretta definizione dei relativi processi, tanto da provocarne non
raramente la prescrizione, sia nella convinzione che una nuova
strutturazione dei due reati puó anche essa contribuire a contenere
il fenomeno della corruzione.
Il delitto di corruzione si specifica nel nostro ordinamento in una serie
di fattispecie normative, previste dagli articoli da 318 a 322 del codice
penale. Tutte queste ipotesi delittuose si caratterizzano, secondo la
dottrina piú recente, per l'offesa ad uno specifico interesse dello
Stato: quello cioé che gli atti di ufficio, conformi o contrari al
dovere di chi deve compierli, non siano oggetto di una compravendita
privata, e cioé in sostanza di un baratto. Attraverso la tutela di
questo bene primario le incriminazioni per corruzione tutelano peraltro in
via mediata i beni del corretto funzionamento e dell'imparzialità
della pubblica amministrazione e dunque presuppongono tutte che il pubblico
funzionario non abbia alcuna retribuzione, che non sia dovuta, per il
compimento degli atti del suo ufficio.
Per il raggiungimento di questi scopi, é presa in considerazione e
penalmente punita, come già si é accennato, una
molteplicità di forme e di modalità con cui si puó
realizzare il mercimonio del pubblico ufficio o servizio.
In primo luogo, la corruzione puó riguardare un atto di ufficio o
un atto contrario ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale o
dell'incaricato di pubblico servizio che é tenuto a compierlo. La
prima delle due ipotesi (atto conforme ai doveri di ufficio) integra la
cosiddetta corruzione impropria (articoli 318 e 320); per la seconda ipotesi
si parla di corruzione propria. Quest'ultima é indubbiamente la
piú grave ed ha ad oggetto sia il compimento di un atto contrario ai
doveri di ufficio sia i casi (in sostanza equivalenti al primo)
dell'omissione o del ritardo di un atto di ufficio. Il reato in entrambe le
sue figure si riferisce d'altra parte sia agli atti vincolati che a quelli
discrezionali e comporta la previsione di ipotesi aggravate, quando dal
fatto derivino determinate conseguenze (articoli 319- bis
e 319- ter) .
Ciascuna delle due figure delittuose ora accennate puó a sua volta
concretarsi in due diverse forme; e ció a seconda che il pubblico
funzionario riceva l'offerta o la promessa della retribuzione in un momento
anteriore al compimento dell'atto e al fine di compierlo, oppure la riceva
in un momento successivo al compimento dell'atto e senza un'intesa o accordo
precedenti. Per la prima ipotesi si parla di corruzione antecedente
(articolo 318, primo comma), per la seconda di corruzione susseguente
(articolo 318, secondo comma).
In tutti i casi, come risulta da quanto si é detto, i delitti di
corruzione presuppongono che un privato (o comunque un estraneo alla
pubblica amministrazione) dia o prometta al pubblico funzionario, ai fini
prima indicati, per lui o per un terzo, denaro o altra utilità.
Una situazione analoga é quella presupposta dal delitto di
concussione, perché anche questo reato comporta che un privato dia o
prometta indebitamente al pubblico ufficiale agente denaro o altra
utilità (articolo 317 del codice penale). Solo che, nell'ipotesi di
concussione, é necessario che il pubblico ufficiale costringa o
induca il privato a dargli o a promettergli la retribuzione, per sé o
per un terzo. La differenza appare dunque netta, ma specie per il caso di
induzione essa si attenua o addirittura svanisce, cosí da dar luogo a
problemi circa l'identificazione dell'una o dell'altra figura delittuosa.
Per molto tempo il criterio di differenziazione é stato individuato
nella provenienza dell'iniziativa, nel senso di ritenere ravvisabile la
corruzione quando sia il privato a prendere l'iniziativa di dare o
promettere la retribuzione, e di considerare invece configurabile la
concussione, quando l'iniziativa parta dal pubblico ufficiale, che chiede la
retribuzione.
Successivamente, peró, giurisprudenza e dottrina si sono orientate
(ormai stabilmente) verso un altro criterio, affermando che la concussione
é caratterizzata da una posizione di superiorità assunta dal
pubblico ufficiale e da una correlativa situazione di timore del privato,
mentre la corruzione ricorre quando esiste tra le parti una posizione
paritaria e in definitiva un accordo. Piú precisamente, a carico del
pubblico funzionario é sempre configurabile la corruzione e non la
concussione quando il privato (da chiunque provenga l'iniziativa) consegue o
tende a conseguire un ingiusto vantaggio a danno della pubblica
amministrazione.
In presenza di quest'ultima situazione, il nostro codice incrimina a
titolo di corruzione anche il privato (o comunque l'estraneo alla pubblica
amministrazione). Secondo l'articolo 321, il privato corruttore é
punito con le stesse pene previste per il pubblico funzionario corrotto, sia
nel caso di corruzione impropria (atto conforme ai doveri di ufficio) sia in
quello di corruzione propria (atto contrario ai doveri di ufficio); rispetto
a quest'ultima ipotesi, la punibilità del privato é sancita
con riferimento tanto alla corruzione antecedente quanto a quella
susseguente, mentre per la corruzione impropria il privato é punito
solo con riguardo ai casi di corruzione antecedente (retribuzione data o
promessa per un atto da compiere), ma non per quella susseguente
(retribuzione per un atto già compiuto).
Separatamente, inoltre, é punita l'istigazione del privato alla
corruzione, che si ha quando l'agente offra o prometta denaro o altra
utilità a un pubblico funzionario, senza che l'offerta o la promessa
siano accolte; cosí come é punito il funzionario che sollecita
una promessa o dazione di denaro senza ottenerla (articolo 322).
Al di fuori di questa ipotesi, che trova giustificazione proprio nella
circostanza che l'offerta non é accettata o non é fatta, si
puó dunque dire conclusivamente, per quanto riguarda la posizione del
privato, che costui é sempre punito come il funzionario corrotto, con
la sola eccezione dell'ipotesi in cui la retribuzione si riferisca a un atto
conforme ai doveri di ufficio già compiuto (corruzione impropria
susseguente). In relazione a questa costruzione normativa per cui pubblico
funzionario e privato sono entrambi a pari titolo puniti, parte della
dottrina ritiene che le singole figure di corruzione previste dal codice
avrebbero il carattere di reati unitari e plurisoggettivi. Altri invece
ritengono che quelli del pubblico funzionario e del privato costituiscono
autonomi titoli di reato, distinguendo cosí tra corruzione attiva e
passiva. La prima sarebbe configurata dal comportamento del privato che
dà o promette la retribuzione; la seconda dal comportamento del
pubblico funzionario che riceve la retribuzione.
Al di là di queste dispute teoriche, che in ogni caso non
impediscono di denominare come corruzione attiva il fatto del privato e come
corruzione passiva il comportamento del pubblico funzionario, ció che
preme qui rilevare é che, secondo l'elaborazione dottrinale, anche
l'incriminazione del privato soddisfa lo stesso interesse, che sta alla base
di tutte le figure di corruzione. Anche in questo modo, infatti, si
impedirebbe che la pubblica funzione o servizio diventi oggetto di baratto e
la punizione dei corruttori eviterebbe che i pubblici funzionari piú
disponibili siano oggetto delle lusinghe dei privati.
Il rilievo, teoricamente ineccepibile, non toglie tuttavia che, sul piano
pratico, l'accertamento dei reati di corruzione (che si sono rivelati, come
si é detto, molto piú numerosi di quanto si pensasse) é
impedito o almeno notevolmente ostacolato dalla solidarietà che il
sistema vigente finisce per creare tra corruttore e corrotto; sí che
si pone il problema di una revisione legislativa diretta a spezzare questa
solidarietà, per indurre il corruttore a denunciare i fatti (quasi
sempre conosciuti solo da lui e dal corrotto), liberandolo dal timore che
anche nei suoi confronti venga iniziato procedimento penale.
Per una valutazione della questione in tutti i suoi aspetti, conviene a
questo punto sottolineare in via generale che il corruttore é punito
negli ordinamenti di tutti i paese europei che sono stati presi in esame.
In particolare, in Belgio, Bulgaria, Francia, Polonia, Romania, Spagna,
Svezia e nella ex Jugoslavia, il corruttore é punito sia quando tenda
ad ottenere un atto contrario ai doveri del pubblico funzionario, sia quando
la retribuzione sia correlativa a un atto di ufficio. In Portogallo, in
Svizzera e in Turchia invece non é punita la corruzione attiva
impropria e cioé il fatto del corruttore diretto ad ottenere un atto
di ufficio. Una situazione analoga é quella che si ha in Inghilterra,
per quanto attiene ai pubblici funzionari; ma quando si tratta di un organo
del potere giudiziario, il corruttore é punito allorché offra
o dia doni o ricompense per influenzare il comportamento del magistrato o in
corrispettivo di ció che egli abbia fatto. Anche in Germania, nel
caso che il corrotto sia un giudice, é sufficiente che
l'attività del privato sia diretta ad ottenere un atto di ufficio del
corrotto. Nell'ipotesi, invece, che il corrotto sia un pubblico funzionario,
occorre che la retribuzione data o promessa dal privato riguardi un atto
contrario ai doveri di ufficio o un atto discrezionale, che il funzionario
si lasci influenzare a compiere, per effetto della ricompensa data o
promessa.
In Portogallo, é prevista una causa di non punibilità tanto
per il funzionario quanto per il privato, nel caso in cui volontariamente
venga rifiutata l'offerta o la promessa o venga restituito il denaro, prima
che l'atto sia compiuto ovvero omesso o ritardato.
In termini analoghi, il codice penale turco prevede che il corrotto non
é punibile se informa l'autorità e restituisce ció che
ha ricevuto e che del pari non é punibile il corruttore che denuncia
il fatto prima che sia compiuto l'atto illegale richiesto. In Bulgaria e in
Romania, invece, la non punibilità é prevista solo per il
corruttore, qualora egli denunci il fatto prima che ne sia informato il
pubblico ministero, mentre nella ex Jugoslavia il giudice poteva applicare
l'"ammonizione giudiziale" e cioé una lieve sanzione al corruttore
che denuncia spontaneamente il fatto. Infine, in Polonia, il giudice
puó applicare una pena ridotta al corrotto e al corruttore e
puó anche escludere l'applicazione della pena nei confronti sia del
corrotto sia del corruttore, se essi informano l'autorità competente
del fatto commesso e delle sue modalità, prima che l'autorità
stessa ne abbia avuto notizia altrimenti.
Si deve d'altra parte tenere presente che in molti dei paesi presi in
considerazione l'azione penale non é obbligatoria e che quindi il
pubblico ministero puó non procedere contro il corruttore. In questi
casi, almeno nel diritto anglosassone, la deposizione del corruttore diviene
utilizzabile contro il corrotto.
Per quanto riguarda l'Italia, il sistema vigente (che come si é
visto punisce sia il corrotto che il corruttore) non é in sostanza
diverso da quello del testo originario del codice, ma nemmeno da quello
previsto dal codice Zanardelli e dai codici preunitari.
Negli anni piú recenti, peraltro, in vista delle esigenze di cui
prima si é fatto cenno, non sono mancate iniziative legislative
dirette a modificare la normativa in questione, che sono poi confluite nella
riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione del 1990 (legge 26
aprile 1990, n. 86). Tuttavia, tra le iniziative che non hanno trovato posto
nella riforma, va in primo luogo ricordato il disegno di legge governativo,
per la modifica della parte speciale del codice penale, presentato alla
Camera il 6 febbraio 1968, nel quale si prevedeva la non punibilità
del corruttore, che denunci il fatto prima che siano trascorsi tre mesi dal
compimento di un atto di ufficio (e che cioé escludeva, alla
condizione indicata, la punibilità della corruzione attiva
impropria).
Nella stessa logica si iscrivono le proposte di legge Trantino e altri
(atto Camera n. 1916, del 19 aprile 1980), Filetti (atto Senato n. 855,
dell'8 maggio 1980), Filetti (atto Senato n. 28, del 19 luglio 1983) e
Trantino e altri (atto Camera n. 410, del 17 agosto 1983). Tutte queste
proposte infatti prevedevano che il corruttore non é punibile,
qualora l'iniziativa di corruzione sia opera del pubblico ufficiale o
dell'incaricato di pubblico servizio e sempre che l'atto della pubblica
amministrazione sia dovuto, e il corruttore informi l'autorità
giudiziaria (tempestivamente, secondo alcune proposte o nel termine di un
anno dalla commissione del fatto, secondo altre).
Invece, per la proposta di legge (atto Camera n. 2124) presentata il 19
novembre 1980 da Mellini e altri, veniva considerato non punibile chi
dà o promette od offre a un pubblico ufficiale per lui o per un terzo
denaro o altre utilità, quale retribuzione non dovuta per compiere un
atto del suo ufficio quando, anche al di fuori del caso previsto
dall'articolo 317, il pubblico ufficiale sia solito ottenere, richiedere,
accettare o farsi promettere la retribuzione non dovuta (articolo 8, che
introduceva nel codice l'articolo 322- bis) .
Inoltre, la Commissione parlamentare antimafia, che chiuse i suoi lavori
nel 1976, nella relazione di maggioranza, segnaló
l'opportunità di prendere in esame i suggerimenti di revisione del
sistema penale contenuti in un promemoria di magistrati siciliani (p. 324).
In tale promemoria si proponeva, tra l'altro, di prevedere l'assoluta
impunità "per il corruttore che in qualunque momento rendesse ampie
confessioni, procurando le prove atte a determinare la condanna del
funzionario corrotto" (Senato della Repubblica,
doc.
XXIII, n. 1, VII leg. pag. 746).
L'opportunità di escludere la punibilità del privato
corruttore é stata prospettata anche in dottrina, e ció sempre
al fine di consentire una piú facile repressione della corruzione,
essendo improbabile, come si é detto, che il privato denunci il
pubblico funzionario, una volta che egli stesso sarebbe esposto a subire un
procedimento penale.
Si é peraltro osservato, sempre in dottrina, che la questione
presenta aspetti diversi a seconda che si tratti di corruzione impropria
(per atti di ufficio) o di corruzione propria (per atti contrari ai doveri
di ufficio). Per la prima ipotesi, si é rilevato che se il privato
é spinto a retribuire il pubblico funzionario per un atto conforme ai
doveri di ufficio, vuol dire che v'é qualcosa che non funziona bene
nella pubblica amministrazione. In vista di ció ed anche per la
difficoltà pratica di distinguere i fatti di corruzione impropria da
quelli di concussione, si é ritenuto che sarebbe forse opportuno
escludere la punibilità della corruzione attiva impropria. Lo stesso
autore ha invece notato che, nella corruzione attiva per atto contrario ai
doveri di ufficio, il privato assume un atteggiamento che é
riprovevole quanto quello del pubblico ufficiale e che la sua
impunità perció contrasterebbe con il sentimento di giustizia
della generalità dei cittadini. Sempre il medesimo autore ha tuttavia
prospettato la possibilità di istituire una causa di risoluzione del
reato, analoga alla ritrattazione prevista per la falsa testimonianza
dall'articolo 376 del codice penale, per il caso che il privato denunzi il
pubblico ufficiale prima che l'atto contrario ai doveri di ufficio sia
effettivamente compiuto.
In tempi recentissimi infine, durante l'indagine conoscitiva sulla
prevenzione della corruzione, condotta dalla 1º Commissione del Senato,
molti dei magistrati ascoltati hanno sottolineato l'opportunità di
sancire in tutti i casi la non punibilità del corruttore che riveli
il delitto commesso o perlomeno un'attenuazione della pena che lo riguarda.
Tanto premesso, con riguardo alla corruzione attiva propria, si
puó pure aggiungere che, almeno di regola, il corruttore, appunto
perché persegue anche lui un vantaggio, potrebbe non aver nessun
interesse a denunciare il reato, per il pericolo di perdere, con
l'annullamento dell'atto illegittimo compiuto dal pubblico ufficiale, il
profitto ottenuto; con la conseguenza che l'esclusione della
punibilità della corruzione propria potrebbe non avere i risultati
che si vogliono collegare a tale previsione, e cioé quelli di
incentivare le denunce.
Per raggiungere questo ultimo effetto, chi denuncia il fatto di
corruzione dovrebbe essere garantito da ogni ritorsione e possibilmente
essere risarcito di quanto ha versato in denaro o altre utilità per
ottenere l'atto oggetto della corruzione.
Non si puó negare inoltre che l'esclusione della punibilità
del corruttore potrebbe funzionare come un deterrente per il pubblico
funzionario, che per il timore di essere denunciato potrebbe essere indotto
a non farsi corrompere. La riforma perció finirebbe col risolversi in
uno strumento (indiretto) di tutela della legalità, del buon
andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, secondo
il precetto dell'articolo 97 della Costituzione. La non punibilità
del corruttore, d'altra parte, sarebbe anche giustificata dal duplice
rilievo che egli in ogni caso non potrebbe beneficiare degli effetti
dell'atto del corrotto (che sarebbe sempre annullabile) e che, denunciando
il fatto, mostrerebbe di anteporre l'interesse dello Stato a quello proprio
di avvantaggiarsi dell'atto ottenuto mediante la corruzione.
In conclusione, puó ammettersi che ripugna al comune sentire la
liberazione del corruttore dalla grave responsabilità di essere stato
comunque co-protagonista del fatto criminoso; tuttavia solo attraverso
questa via é possibile spezzare la solidarietà criminosa che
rende accertabile con estrema difficoltà il reato di corruzione. In
effetti il corrotto, commettendo il fatto, si consegna nelle mani del
corruttore che, in ogni momento, potendo denunciare l'illecito senza proprio
danno, puó minacciare e ricattare il corrotto costringendolo alla
propria mercé. Ma proprio la consapevolezza che tutto ció
puó facilmente accadere, dovrebbe dissuadere il pubblico ufficiale
dal cacciarsi in una gabbia senza uscita.
L'accennata proposta tende, come si é detto, a rompere la
solidarietà tra corruttore e corrotto, in modo di facilitare la
scoperta e la repressione di reati che purtroppo, malgrado "Mani pulite",
continuano a inquinare la vita pubblica. Essa tuttavia non sembra da sola
sufficiente allo scopo e appare perció opportuno procedere a una
piú ampia riforma, che non si limiti alla previsione della causa di
non punibilità per il corruttore, ma che si proponga invece di
razionalizzare il sistema, nella prospettiva prima indicata.
Si é già detto come, nella pratica, sia spesso difficile
distinguere la corruzione dalla concussione o almeno da una delle sue
ipotesi, con la conseguenza che l'inconveniente si ripercuote negativamente
sul regolare svolgimento e sulla conclusione di procedimenti penali che
hanno a oggetto illeciti rapporti economici tra pubblici funzionari e
privati.
Sembra pertanto utile far rifluire nell'unica figura della corruzione
tutti quei casi di concussione che possono dar luogo a confusione e che in
sostanza si identificano in quella particolare fattispecie che é
rappresentata dalla concussione per induzione, con abuso della
qualità di pubblico funzionario. La concussione pertanto rimarrebbe
limitata all'ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un
pubblico servizio costringa il privato, con atti espliciti di intimidazione
o di violenza, a dargli denaro o altra utilità.
Nello stesso tempo si puó prevedere, sull'esempio di quanto
avviene anche in paesi stranieri e come si é proposto anche in
dottrina, che il privato che dia denaro o altra utilità, per ottenere
un atto dovuto, non sia mai punito, diversamente da come avviene oggi;
ció in quanto é evidente che in tal caso egli soggiace a
un'imposizione implicita, e che non é dunque giustificato
considerarlo colpevole per il fatto di doversi piegare al malcostume di
pubblici ufficiali che si fanno pagare prestazioni e comportamenti a cui
sono per legge tenuti. E si puó anche aggiungere che la modifica,
escludendo la responsabilità del privato, sarebbe anche utile a
facilitare l'accertamento di responsabilità del pubblico funzionario.
Naturalmente si dovrebbero mantenere oggettivamente distinte,
relativamente all'entità della pena, data la diversa gravità
che le connota, le fattispecie della corruzione propria e di quella
impropria; mentre sembra ragionevole unificare le ipotesi di corruzione
antecedente e susseguente, soprattutto in considerazione della
facilità con cui, nella pratica, si puó fare falsamente
risultare che il pagamento da parte del corruttore sia avvenuto dopo e non
prima del compimento dell'atto. Allo stesso modo, non sembra giustificata la
differenza che opera l'attuale normativa, ai fini del trattamento
sanzionatorio, tra i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico
servizio (anche con riguardo alla loro qualità di pubblici
impiegati), soprattutto per il grande numero di persone che, nell'attuale
momento, rivestono la suddetta qualità e per la conseguente,
rilevante estensione che puó avere rispetto ad esse il fenomeno della
corruzione. Con queste modifiche, si puó altresí raggiungere
il risultato formale di concentrare in una sola norma il reato di corruzione
in tutte le sue forme (anche aggravate), oggi previste in sette articoli del
codice penale. In particolare verrebbero tra l'altro raggruppate nella
stessa norma anche le ipotesi di istigazione alla corruzione di cui
all'articolo 322 dello stesso codice, mentre si eliminerebbe l'autonomia che
oggi hanno i casi del pubblico ufficiale che sollecita, senza ottenerla, la
dazione o la promessa di denaro o altra utilità (articolo 322, terzo
e quarto comma).
Dal complesso delle indicate riforme, anche di carattere formale,
deriverebbe un sistema normativo, non solo semplificato ma certamente
piú efficace, ai fini della sua operatività, e in cui meglio
potrebbero funzionare la causa di non punibilità, che, come si
é detto, si intende prevedere per il corruttore, allo scopo di poter
favorire una piú incisiva repressione e anche una piú efficace
prevenzione del fenomeno della corruzione.
A questo stesso fine, e piú precisamente per una migliore
prevenzione dei piú gravi delitti contro la pubblica amministrazione,
si ritiene utile eliminare la previsione, di cui all'articolo 317-
bis , secondo cui in certi casi la condanna per peculato e concussione
comporta l'interdizione temporanea (e non perpetua) dai pubblici uffici.
In base alle esposte considerazioni, si é anzitutto prevista la
modifica delle norme concernenti la concussione e la corruzione, nei sensi
che sono stati precisati. In quest'ambito, e proprio in vista del diverso
rapporto che si viene a creare tra corruzione e concussione, si é
ritenuto necessario prevedere l'aumento delle pene detentive oggi stabilite
per la corruzione.
Per quanto poi riguarda la causa di non punibilità per il
corruttore, si é disposto che essa scatti qualora l'interessato
denunci il fatto entro un anno dalla consumazione del reato e comunque prima
che nei suoi confronti sia iniziata l'azione penale.
Infine, conseguentemente agli accennati accorpamenti, viene proposta
l'abrogazione degli articoli 319- bis , 319- ter , 320,
321 e 322 e l'adozione di una disciplina transitoria per la causa di non
punibilità.
2. Con il Capo II, si provvede a una radicale, anche se semplice,
revisione del codice di procedura penale, che dovrebbe anche essa inserirsi
tra le misure idonee a contenere il fenomeno della corruzione, se é
vero, secondo la comune opinione e i dati dell'esperienza, che le pene
inflitte con celerità, e che possono essere subito eseguite,
rafforzano in modo sensibile la funzione di prevenzione speciale e generale
della pena.
La modifica si riduce in pratica alla previsione che il giudizio
abbreviato diventa (o dovrebbe diventare) il rito ordinario, a cui
cioé si deve normalmente ricorrere, e che il giudizio invece dovrebbe
assolvere una funzione residuale e svolgersi quindi - come in effetti era
nelle intenzioni del legislatore del 1988 - soltanto in un numero non
rilevante di casi.
A questo fine, si stabilisce, nel nuovo testo dell'articolo 438 del
codice di procedura penale, che dopo che il pubblico ministero ha chiesto il
rinvio a giudizio, il giudice, indipendentemente dal consenso delle parti,
dispone il giudizio abbreviato per definire il processo allo stato degli
atti nell'udienza preliminare. In altri termini, non solo non é
richiesto per lo svolgimento del giudizio abbreviato il consenso delle
parti, ma il giudice é senz'altro tenuto a definire il processo
nell'udienza preliminare, senza dunque la possibilità - come avviene
oggi - di dover valutare se é possibile definirlo allo stato degli
atti.
Naturalmente, terminata la discussione, l'imputato ha facoltà di
chiedere il rinvio a giudizio. In questo caso il giudice provvede
all'attività suppletiva di cui agli articoli 422 e 423, comma 1, del
codice di procedura penale; dopo di che, l'imputato puó insistere
nella richiesta di essere giudicato in dibattimento o puó revocarla.
Nella prima ipotesi, il giudice rinvia senz'altro a giudizio l'imputato,
senza neppure valutare se esistano cause che giustificherebbero il suo
proscioglimento; mentre nella seconda emette la sentenza. In caso di
condanna, la pena inflitta é ridotta della metà (e non di un
terzo, come oggi) e alla pena dell'ergastolo é sostituita quella di
ventiquattro anni di reclusione. Contro tutte le sentenze l'imputato
puó proporre appello, mentre l'appello del pubblico ministero trova
gli stessi limiti previsti oggi dall'articolo 443.
D'altra parte, con la modifica dell'articolo 593, si stabilisce che
l'imputato, quando si é opposto al giudizio abbreviato e ha scelto il
dibattimento, non puó appellarsi contro le sentenze che lo
concludono, ma puó soltanto ricorrere in cassazione.
Come risulta da quanto si é detto, dalle accennate modifiche
risulta che il giudizio abbreviato diviene obbligatorio, salvo che
l'imputato, al termine di tutti gli accertamenti, non chieda il giudizio.
Con l'accettazione del rito abbreviato, peraltro, l'imputato consegue una
riduzione molto accentuata della pena e puó appellare contro le
sentenze che chiudono il giudizio; mentre quando sceglie il dibattimento,
puó soltanto ricorrere in cassazione contro le sentenze che lo
concludono. In questo modo, i vantaggi che l'imputato puó ricevere
dal giudizio abbreviato sono cosí marcati rispetto allo svantaggio,
che puó derivargli dalla perdita del diritto di appello quando chiede
il rinvio a giudizio, che non sembra azzardato pensare che il ricorso al
rito abbreviato dovrebbe registrare un'impennata considerevole, tale da
consentire che la maggior parte dei processi si possa definire all'udienza
preliminare, senza arenarsi nelle secche di un dibattimento che, per come
oggi é costruito, non si sa, non solo quando finisce, ma neppure
quando comincia.
Se cosí avverrà, la revisione proposta non solo
rappresenterà di per sé un utile e indispensabile strumento
per accelerare i processi, ma contribuirà anche, per quanto si
é detto, a prevenire i fenomeni corruttivi.
Tutte le altre norme del Capo, oltre a quelle citate, sono intese ad
adeguare ai principi accennati il giudizio abbreviato anche davanti al
pretore e la trasformazione in questo rito del giudizio direttissimo, di
quello immediato e dell'opposizione al decreto penale.
DISEGNO DI LEGGE |
CAPO I
Art. 1.
1. L'articolo 317 del codice penale é sostituito dal seguente:
"Art. 317. - (Concussione) . - Il pubblico ufficiale o
l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando dei suoi poteri,
costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo,
denaro o altra utilità, é punito con la reclusione da quattro
a dodici anni".
|
Art. 2.
1. L'articolo 317- bis
del codice penale é sostituito dal seguente:
"Art. 317- bis. - (Pene accessorie) . - La condanna per i reati
di cui agli articoli 314 e 317 importa in ogni caso l'interdizione perpetua
dai pubblici uffici".
|
Art. 3.
1. L'articolo 318 del codice penale é sostituito dal seguente:
"Art. 318. - (Corruzione) . - Il pubblico ufficiale o
l'incaricato di un pubblico servizio che, per omettere o ritardare un atto
del suo ufficio o servizio o per averlo omesso o ritardato, ovvero per
compiere o per aver compiuto un atto contrario ai suoi doveri, chiede, si fa
dare o riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità,
o ne sollecita o ne accetta la promessa, é punito con la reclusione
da tre a otto anni.
1) per il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la
stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla
quale il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio
appartiene;
Le stesse pene stabilite dalle disposizioni precedenti si applicano anche
a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un
pubblico servizio il denaro o altra utilità, ma sono ridotte di un
terzo, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata.
|
Art. 4.
1. L'articolo 319 del codice penale é sostituito dal seguente:
"Art. 319. - (Caso di non punibilità del corruttore) . -
Non é punibile il corruttore che, anche quando l'offerta o la
promessa non sia accettata, denuncia spontaneamente il fatto, cosí da
consentirne la completa ricostruzione, prima che sia decorso un anno dalla
consumazione del reato, e comunque prima che venga iniziata l'azione penale
nei confronti suoi o del corrotto.
|
Art. 5.
1. Gli articoli 319- bis , 319- ter , 320, 321 e 322
del codice penale sono abrogati.
|
Art. 6.
1. Le disposizioni dell'articolo 21 della presente legge si applicano al
delitto di concussione per induzione, nonché a quelli previsti dagli
articoli 318, 319, 319- bis , 319- ter , 320, 321 e 322
del codice penale, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore
della presente legge, commessi anteriormente alla predetta data e che siano
denunciati, nelle forme stabilite, entro il termine di sei mesi dalla stessa
data.
DISPOSIZIONI PROCESSUALI
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Art. 7.
1. Il comma 4 dell'articolo 421 del codice di procedura penale é
sostituito dal seguente:
" 4. Il giudice dichiara chiusa la discussione".
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Art. 8.
1. Nell'articolo 422, comma 1, del codice di procedura penale le parole:
"Quando non provvede a norma dell'articolo 421, comma 4," sono soppresse.
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Art. 9.
1. L'articolo 438 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 438. - (Presupposti del giudizio abbreviato). - 1.
Dopo che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio
dell'imputato, il giudice, prima di provvedere, dispone con ordinanza il
giudizio abbreviato per definire il processo allo stato degli atti
nell'udienza preliminare.
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Art. 10.
1. L'articolo 439 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 439. - (Costituzione di parte civile). - 1.
La costituzione di parte civile intervenuta dopo la conoscenza
dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato equivale ad accettazione
del rito speciale.
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Art. 11.
1. L'articolo 440 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 440. - (Svolgimento del giudizio abbreviato). - 1.
Nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposi
zioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle degli
articoli 422 e 423".
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Art. 12.
1. L'articolo 441 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 441. - (Facoltà dell'imputato). - 1.
Terminata la discussione, l'imputato personalmente o a mezzo del difensore,
munito di procura speciale autenticata nelle forme previste dall'articolo
583, comma 3, ha facoltà di chiedere di essere rinviato a giudizio.
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Art. 13.
1. L'articolo 442 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 442. - (Decisione). - 1. Se l'imputato ha ribadito la
richiesta di rinvio a giudizio, il giudice provvede in conformità.
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Art. 14.
1. L'articolo 443 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 443. - (Limiti dell'appello). - 1. L'imputato puó
proporre appello contro tutte le sentenze.
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Art. 15.
1. Il comma 2 dell'articolo 452 del codice di procedura penale é
sostituito dal seguente:
" 2. Se l'imputato chiede il giudizio abbreviato, il giudice,
prima che sia dichiarato aperto il dibattimento, dispone con ordinanza la
prosecuzione del giudizio osservando le disposizioni previste per l'udienza
preliminare, in quanto applicabili. Se l'imputato al termine della
discussione e dell'eventuale attività suppletiva ribadisce la
richiesta di giudizio abbreviato, si applicano le disposizioni previste
dagli articoli 442 e 443".
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Art. 16.
1. Nel comma 1 dell'articolo 458 del codice di procedura penale, il
secondo periodo é soppresso.
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Art. 17.
1. Nel comma 1 dell'articolo 464 del codice di procedura penale le
parole: "ha chiesto il giudizio abbreviato o" sono soppresse.
"1- bis. Se l'opponente ha chiesto il giudizio abbreviato e al
termine della discussione non revoca la richiesta, si applicano le
disposizioni previste dagli articoli 442 e 443".
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Art. 18.
1. Nel comma 1, primo periodo, dell'articolo 556 del codice di procedura
penale, le parole "al giudizio abbreviato ovvero" sono soppresse.
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Art. 19.
1. L'articolo 560 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 560. - (Giudizio abbreviato).
- 1. Nel corso delle indagini preliminari ovvero nel termine di
quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione a giudizio, il
giudice, prima di procedere al dibattimento, dispone con ordinanza il
giudizio abbreviato per definire il processo allo stato degli atti.
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Art. 20.
1. L'articolo 561 del codice di procedura penale é sostituito dal
seguente:
"Art. 561. - (Udienza per il giudizio abbreviato).
- 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio a norma
dell'articolo 420 e si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni
previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle degli
articoli 422 e 423.
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Art. 21.
1. Nel comma 1 dell'articolo 562 del codice di procedura penale, le
parole: "Nel corso dell'udienza, il giudice, se ritiene di non potere
decidere allo stato degli atti", sono sostituite dalle seguenti: "Nel corso
dell'udienza, se l'imputato dichiara e ribadisce al termine dell'eventuale
attività suppletiva di opporsi alla definizione del processo allo
stato degli atti, il giudice".
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Art. 22.
1. Il comma 2 dell'articolo 593 del codice di procedura penale é
sostituito dal seguente:
" 2. L'imputato, che si é opposto alla definizione del
processo allo stato degli atti, non puó appellare contro le sentenze
emesse nel dibattimento".
2. Nel comma 3 dell'articolo 593 del codice di procedura penale dopo la parola: "inappellabili", sono inserite le seguenti: "anche dal pubblico ministero". |