DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa delle senatrici FUMAGALLI CARULLI e SILIQUINI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 9 MAGGIO 1996
Norme per l'indennizzo dei beni abbandonati
ONOREVOLI SENATORI. - Con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947
l'Italia ha ceduto 7.630 chilometri quadrati delle ex province di Pola,
Fiume e Zara con cinquecentomila abitanti, dei quali trecentocinquantamila
sono esodati in Italia.
L'articolo 9 dell'allegato XIV del Trattato di pace del 1947 aveva
stabilito: "I beni, diritti e interessi dei cittadini italiani, che siano
residenti permanenti nei territori ceduti alla data dell'entrata in vigore
del presente Trattato, saranno rispettati, su una base di parità
rispetto ai diritti dei cittadini dello Stato successore, purché
siano stati legittimamente acquisiti". Mentre questi ultimi sono stati
rispettati, quelli degli italiani sono passati tutti in proprietà
degli enti locali slavi. La Jugoslavia riconobbe la propria inadempienza e
con due accordi, del 23 maggio 1949 e del 23 dicembre 1950, si
impegnó pagare tali beni. Col terzo accordo del 18 dicembre 1954
precisó la cifra in 72 milioni di dollari, pari allora a 45 miliardi
di lire. Il governo italiano decise allora di indennizzare tutti i beni con
questi 45 miliardi. Con l'articolo 3 della legge 5 dicembre 1949, n. 1064,
stabilí che il valore dei beni doveva "calcolarsi sulla base dei
prezzi del mercato libero nel 1938".
Con la legge 8 novembre 1956, n. 1325, si stabilí che detto valore
del 1938 venisse moltiplicato per 35 per i piccoli proprietari (sino al
valore di 200 mila lire), per 20 per i medi (valore eccedente le 200 mila
lire fino a 2 milioni) e per i grandi (valori eccedenti i 2 milioni) con un
diverso coefficiente che fu determinato in 7. Con la legge 6 marzo 1968, n.
193, i tre coefficienti furono elevati rispettivamente a 50, 25 e 12. Con la
legge 26 gennaio 1980, n. 16, i due ultimi coefficienti sono stati elevati a
40 e a 27. Con la legge 5 aprile 1985, n. 135, é stata abolita la
scalarità dei tre coefficienti e sono stati unificati in un unico
coefficiente pari a 200.
Le domande presentate dagli interessati sono 24.000. Il 10 novembre 1975
con l'Accordo di Osimo l'Italia, dopo trenta anni dalla fine della guerra e
dopo aver pagato tutti i debiti alla Jugoslavia, le ha ceduto anche la zona
B: 529 chilometri quadrati con 65.917 abitanti, dei quali 53.317 italiani e
12.000 slavi. Nel preambolo l'accordo si richiama al "rispetto dei diritti
fondamentali e delle libertà", ma agli abitanti viene negato il
censimento. In compenso l'accordo economico assicurava la creazione di una
grande zona franca e di una faraonica idrovia che doveva partire da
Monfalcone, passare per Gorizia, scavalcare le Alpi, toccare Lubiana e
quindi il Danubio e il Mar Nero. Non si é fatto nulla. Il Ministero
degli esteri ritenne utile l'accordo per impedire contenziosi che avrebbero
potuto portare la Russia di Stalin sull'Adriatico. Ritenne, inoltre,
necessario rafforzare il prestigio del maresciallo Tito. La Russia di Stalin
e la Jugoslavia di Tito sono cadute.
Con la legge 18 marzo 1958, n. 269, il governo italiano ha deciso di
indennizzare i beni moltiplicando per tre coefficienti scalari (40, 20 e 7)
il valore dei beni del 1938. Con il decreto del Presidente della Repubblica
28 settembre 1977, n. 772, i tre coefficienti sono stati elevati a 75, 37 e
18. Con la citata legge n. 135 del 1985 il trattamento é stato
equiparato a quello previsto per i beni ceduti con il Trattato del 1947 e
cioé con l'unico coefficiente 200.
Le domande presentate sono 10.359. L'indennizzo corrisponde a circa un
ventesimo del valore dei beni. La irrisorietà di questo indennizzo
giustifica la presentazione di questo disegno di legge che intende
concludere in termini dignitosi e definitivi il problema.
L'aumento dell'indennizzo, previsto dall'articolo 1, trova
giustificazione nelle seguenti considerazioni:
1. L'articolo 3 della legge 5 dicembre 1949, n. 1064, prevedeva che il
valore del singolo bene doveva essere stabilito sulla base del "valore...
dei prezzi del mercato libero nel 1938" da moltiplicare poi per un
coefficiente. Ora, nell'impossibilità di esaminare sul posto ogni
singolo bene, la Commissione ha stabilito il suo prezzario dividendo le
località in sei categorie decrescenti: Fiume, Abbazia, Zara, Pola,
comuni maggiori, comuni minori. Ha condannato cosí alla quarta, alla
quinta e alla sesta categoria località che presentano caratteristiche
di prima categoria come Cigale di Lussinpiccolo, Brioni e le isole
turistiche di gran lusso. Come se Capri e Taormina venissero incluse nella
sesta categoria semplicemente perché si trovano nel Sud. Inoltre gli
edifici sono stati classificati sulla carta in sei categorie decrescenti:
villa di lusso, villa di famiglia, tre tipi di case popolari e casa rustica.
E poiché i dati catastali non riportano tale classificazione, la
Commissione ha proceduto a stime intuitive. Pertanto le due succitate
classificazioni, basate su una arbitraria divisione geografica delle
località, e su una valutazione intuitiva dei singoli fabbricati,
costituiscono una stima di base falsa. Gli indici di valutazione del 1938
non corrispondono al reale valore. Sono stati equiparati gli edifici
dell'interno dell'Istria, con quelli ubicati nei centri lungo la costa. Una
costa straordinaria per la pesca, per le numerose isole coperte di pinete,
per le spiagge, per le baie, per il turismo praticato ancora sotto
l'Austria.
Nel 1950 il Ministero dell'industria comunicó che aveva stimato in
700 miliardi il valore nel 1938 dei beni perduti dai profughi nelle ex
province di Pola, Fiume e Zara. L'indennizzo, invece, viene concesso sulla
base del valore al 1938 di 2 miliardi e mezzo indicato dalla Commissione
italo-iugoslava.
Si trascrive la tabella redatta dai tecnici sulla base della quale sono
stati stimati i beni delle ex province di Pola, Fiume e Zara con riferimenti
all'anno 1938:
Porzione di testo non disponibile |
2. La legge ha stabilito che i beni siano valutati secondo il loro stato
al 16 settembre 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di pace).
Invece sono stati valutati secondo le indicazioni, o legittimazioni, fatte
dalle locali autorità, avversarie dei profughi, dieci-quindici anni
dopo l'abbandono (vedi le legittimazioni contenute nei singoli fascicoli),
quando il tempo e i nuovi occupanti li avevo degradati.
3. Si dice che i primi indennizzi sono stati concessi con la legge 8
novembre 1956, n. 1325, quando la lira aveva un valore superiore
all'attuale. Ció non é vero per due ragioni. Nel 1956 il
governo italiano non ha stanziato neanche una lira italiana, ma si é
limitato a distribuire con una legge i 45 miliardi di lire con i quali la
Jugoslavia ha comperato i beni privati dei profughi. La stessa legge li ha
distribuiti con coefficienti differenti e cioé il valore inferiore a
200 mila lire al 1938 é stato moltiplicato per 35. L'eccedenza del
valore, sopra le 200 mila lire e fino a 2 milioni al 1938, é stata
moltiplicata per 20, e l'eccedenza sopra i 2 milioni con un diverso
coefficiente che fu determinato in 7,5. La successiva legge 6 marzo 1968, n.
193 lo ha elevato rispettivamente a 50, a 25 e a 12. La Corte
costituzionale, infatti, ha sentenziato che i beni abbandonati dei profughi
costituiscono, non un legittimo interesse protetto, ma un diritto
soggettivo. Soltanto la citata legge n. 135 del 1985 ha unificato i tre
coefficienti in un unico coefficiente pari a 200.
4. Una decina di anni dopo, l'Ufficio tecnico erariale del Ministero
delle finanze ha redatto una relazione di 59 pagine con i criteri di
valutazione dei beni della ex zona B. Si riporta la tabella dei prezzi dei
fabbricati riferiti all'anno 1938:
Porzione di testo non disponibile |
Da una comparazione della tabella dei fabbricati delle ex province di
Pola, Fiume, Zara con quella dei fabbricati dell'ex zona B si rilevano
alcune differenze inspiegabili a danno dei fabbricati dell'ex zona B:
cinque categorie contro sei con l'esclusione nella zona B delle ville
di lusso mentre esistevano a Umago, Pirano, Portorose (definita dall'Austria
il "paradiso delle Rose");
un metro cubo di un villino dell'ex zona B viene valutato da 50 a 60
lire, mentre nelle province di Pola, Fiume e Zara viene valutato da 50 a 110
lire;
una casa civile dell'ex zona B viene valutata da 40 a 58 lire, mentre
una delle ex province di Pola, Fiume e Zara viene valutata da 38 a 81 lire a
metro cubo. Coincidono soltanto i valori delle case rurali: ex zona B da 24
a 30, ex province di Pola, Fiume e Zara da 24 a 28 lire a metro cubo. Da
queste contraddizioni si deduce l'approssimazione delle valutazioni fatte a
tavolino. Si osserva, inoltre, che ambedue le tabelle peccano di
insufficienza perché, a detta della Commissione, i valori sono stati
fissati senza recarsi sul posto e perché la suddivisione delle
località in sei categorie decrescenti é arbitraria.
5. L'indennizzo che doveva servire ai profughi per comperarsi per lo meno
un nuovo alloggio in Italia é risultato cosí ridotto che
nessuno dei trecentocinquantamila profughi é riuscito a comperarsi
una casa. Infatti secondo le stime dell'Ufficio tecnico erariale e in base
al coefficiente 200, stabilito dalla legge 5 aprile 1985, n. 135, un
appartamento medio a Fiume di 150 metri quadrati viene indennizzato oggi con
2.430.000 lire. Se é ubicato a Zara con 1.560.000. Se si trova a Pola
con 1.500.000. Se si trova a Lussinpiccolo o a Rovigno con 1.350.000. Se
appartiene a un comune piú piccolo con lire 1.140.000. Cosí
l'isola di San Nicoló, di fronte a Parenzo, aveva 11 ettari e 2.921
metri quadrati di pineta, con piante mediterranee, già sede di un
monastero benedettino, poi sede del Consolato austriaco ed ora con un
castello di 3.146 metri cubi piú una torre, cinque edifici di
servizio, cisterna, serra e porticciuolo con molo. Gli immobili erano
ammobiliati o abitati. L'Ufficio tecnico del Ministero delle finanze, pure
definendo l'isola "parco", lo ha valutato a lire 0,80 a metro quadrato al
1938, e, pur definendo "castello di interesse turistico" l'edificio
principale, lo ha valutato a lire 80 al metro cubo al 1938. Il complesso
é stato indennizzato nel 1989 con una cifra di 74.512.800 lire.
6. Analogo trattamento viene riservato per i bei dell'ex zona B che sono
stati ceduti, non nel 1947, ma con l'Accordo di Osimo del 10 novembre 1975,
ratificato ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73. L'articolo 4 di detto
accordo aveva stabilito: "I due Governi concluderanno, al piú presto
possibile, un Accordo relativo ad un indennizzo globale e forfettario, che
sia equo e accettabile dalle due Parti, dei beni, diritti e interessi" della
zona B. In conseguenza la Jugoslavia con l'accordo del 18 febbraio 1983,
ratificato ai sensi della legge 7 novembre 1988, n. 518, si é
impegnata a versare all'Italia "a partire dal 1º gennaio 1990 in 13
mensilità" 110 milioni di dollari per comperare i beni dei profughi
della ex zona B. Sono state pagate due annualità e la Slovenia
é disposta a pagare le rimanenti. Ora, 110 milioni di dollari al 1983
valevano 148.500.000.000 di lire. Peró la relativa legge italiana n.
135 del 1985 darà ai profughi soltanto 90 miliardi di lire. Ne deriva
che l'Italia, in veste di mediatrice tra la Jugoslavia e i profughi, si
é trattenuta 58 miliardi e 500 milioni e cioé la differenza
tra i 148 miliardi e 500 milioni promessi alla Jugoslavia e i 90 miliardi
che l'Italia sta elargendo ai profughi destinatari.
L'Ufficio tecnico erariale ha riferito che nella zona tra Portorose e
Pirano c'erano 25 alberghi, 62 ville, 1.218 case civili e 2.123 case
agricole. Ha aggiunto che ancora sotto l'Austria la zona era coronata da "un
anfiteatro graziosissimo di colli e di ulivi" e che l'ampia passeggiata
lungo il mare "era fiancheggiata da alberghi, ville con parchi e giardini".
L'Austria l'aveva definita "il paradiso delle Rose". Siano a 35 chilometri
da Trieste. Ebbene, una villa di lusso di 1.400 metri cubi, compresi 3.000
metri quadrati di parco, é stata indennizzata nel 1988 con 15.780.000
lire.
Eppure l'articolo 4 dell'Accordo di Osimo del 10 novembre 1975 aveva
assicurato ai profughi "un indennizzo... equo e accettabile dalle due
parti".
7. L'articolo 74 del Trattato di pace del 1947 ha imposto all'Italia di
pagare alla Jugoslavia un risarcimento di 125 milioni di dollari per
l'aggressione bellica del 6 aprile 1941. Il governo iugoslavo ha notificato,
e quello italiano ha accettato, che il debito italiano di 120 milioni veniva
ridotto di 72 milioni in quanto la Jugoslavia si appropriava delle
proprietà private dei profughi. Questi, pertanto, hanno pagato con i
loro beni privati un debito nazionale. La Suprema Corte di cassazione con
sentenza n. 1549 del 18 settembre 1970 ha precisato: "...l'indennizzo dei
beni italiani venne ridotto forfettariamente a 45 miliardi di lire (72
milioni di dollari) trovando la rinuncia italiana all'integrale pretesa di
risarcimento la sua giustificazione nella necessità di ottenere
l'adesione della Jugoslavia al riacquisto del territorio di Trieste e al
cosiddetto memorandum di Londra del 5 ottobre 1954".
Il debito di guerra nei confronti della Jugoslavia e il ritorno di
Trieste all'Italia costituivano due problemi nazionali e non si comprende
perché sono stati imposti ponendoli a carico dei profughi.
8. Tutte le amministrazioni del governo italiano hanno sottolineato
l'irrisorietà degli indennizzi concessi ai giuliani e hanno auspicato
una nuova legge che concludesse dignitosamente il problema.
Il Ministero del tesoro ha rilevato la superiorità degli
indennizzi concessi ai rimpatriati dalle colonie e dall'estero.
Il Ministero degli esteri, in numerosi contatti prima con il governo di
Belgrado poi con quelli di Zagabria e di Lubiana, ha chiesto una revisione
delle stime.
In Parlamento tutte le forze politiche hanno presentato ordini del
giorno, interrogazioni e proposte di legge tendenti ad ottenere un riesame
del problema e un risarcimento corrispondente al valore reale dei beni.
Le stesse autorità di Zagabria e di Lubiana e i loro cittadini
croati e sloveni, che sono subentrati agli italiani, hanno espresso la loro
meraviglia per l'irrisorietà degli indennizzi e la necessità
di un risarcimento piú dignitoso. L'onorevole Zoran Thaler, Ministro
degli esteri sloveno, l'11 settembre 1995 ha dichiarato: "Guardo con
attenzione alle iniziative che puntano a un aumento del risarcimento per i
beni abbandonati". Un risarcimento piú dignitoso potrà
convincere gli italiani ad abbandonare l'idea della restituzione degli
stessi beni.
9. I profughi, titolari delle 34 mila pratiche, hanno dovuto accettare
gli indennizzi perché obbligati da necessità vitali. Vivevano
nelle baracche di 109 campi profughi con il sussidio dei poveri. Con gli
indennizzi ricevuti per le case e i terreni perduti nessuno é
riuscito a ricostruirsi una casa. Due sole società, la Luxardo e la
Vlahov di Zara, sono riuscite a costruire due modeste fabbriche di liquori.
10. Il coefficiente di rivalutazione 800, al netto del 200 già
riconosciuto, con il quale si chiede di moltiplicare il valore al 1938 dei
beni, comporterà un onere finanziario inferiore ai mille miliardi e
appare accettabile. Infatti, la richiesta del coefficiente di rivalutazione
1.000 é inferiore a quello stabilito per legge per risarcire i beni
distrutti dalla guerra e per ricostruirli: il decreto del 18 ottobre 1993
del Ministero dei lavori pubblici ha stabilito che il valore del 1940 del
bene distrutto venga moltiplicato per il coefficiente 1.767. Per i giuliani,
invece, il valore viene moltiplicato per 200 ed ora si chiede di portarlo a
1.000:
verranno detratti i 679 patrimoni che sono stati lasciati nella libera
disponibilità dei profughi;
verranno detratti tutti i patrimoni che saranno restituiti ai profughi
a seguito dell'azione in corso con i governi di Zagabria e di Lubiana ed a
seguito delle promesse degli stessi governi. Infatti l'articolo 4
dell'Accordo di Osimo aveva assicurato che "i due Governi esamineranno con
spirito favorevole la possibilità di lasciare, in un certo numero di
casi, agli aventi diritto che ne faranno domanda... la libera
disponibilità dei beni immobili". Purtroppo questo "spirito
favorevole" si é ridotto ad accogliere soltanto 179 domande su
diecimila pratiche e tutte di minima importanza;
con una nota dell'ottobre 1991 il Ministero del tesoro ha informato
che che le 2 mila pratiche delle ex province di Pola, Fiume e Zara si sono
ridotte a 18.500 e le 10 mila dell'ex zona B sono passate a 7.200
perché si trattava di duplicati, perché riguardavano "danni di
guerra" o perché abbandonate. Altre verranno annullate per
irreperibilità, per mancanza di eredi, perché gli interessati
sperano di riottenere la proprietà dei beni, perché 80 mila
sono emigrati in Australia e nelle Americhe e hanno perso i contatti con
l'Italia;
il pagamento sarà rateizzato. Infatti, come già
stabilito, esso avrà luogo in contanti per i primi 20 milioni e il
pagamento dell'eccedenza, sopra i 20 milioni, avrà luogo metà
in contanti e metà in titoli di Stato;
i profughi sono creditori dell'uso per oltre 45 anni dei loro beni.
Questi sono stati abbandonati per forza maggiore negli anni 1945-1950. Sono
stati dati in uso a cittadini iugoslavi i quali non hanno pagato né
affitti, né interessi. E l'ultimo indennizzo a saldo é stato
stabilito con la legge n. 135 del 1985 e i pagamenti sono ancora in corso.
Eppure gli accordi bilaterali e la stessa legge particolare italiana avevano
stabilito che dovevano essere indennizzati "beni, diritti e interessi";
l'accordo del 18 dicembre 1954 aveva stanziato 72 milioni di dollari
in favore dei profughi proprietari dei beni, ma il governo italiano ha
emanato soltanto due anni dopo la citata legge n. 1325 del 1956 per la loro
distribuzione che si é protratta per una trentina di anni senza alcun
interesse. Ora l'accreditamento dei 72 milioni di dollari é stato
stabilito e perfezionato il 28 dicembre 1954 e pertanto anche i relativi
interessi fino al pagamento dell'indennizzo per ogni singolo bene andavano
riconosciuti al rispettivo proprietario.
11. Si preferisce distinguere il problema dei giuliani da quello degli
altri italiani che hanno abbandonato i loro beni nelle colonie e all'estero
per le seguenti ragioni:
esiste una fondamentale differenza giuridica tra il cittadino italiano
che é risieduto da sempre su un territorio nazionale e un cittadino
che si é trasferito in Africa per colonizzare una terra straniera o
che ha trasferito all'estero i suoi interessi privati;
i giuliani non sono rimpatriati dopo la guerra per un'azione di
decolonizzazione, ma perché cacciati dalla loro terra con una guerra
feroce, lasciando nelle foibe oltre 10 mila italiani, perdendo tutti i beni
immobili e mobili;
la Jugoslavia ha riconosciuto le proprietà private dei profughi
e nel 1954 ha pagato 72 milioni di dollari per i beni dei profughi ubicati
nelle ex province di Pola, Fiume e Zara e 110 milioni di dollari nel 1983
per quelli ubicati nell'ex zona B, mentre nessuno degli altri Stati ha
pagato i beni lasciati nei Paesi africani dai rimpatriati. Anzi la Libia
continua a chiedere risarcimenti all'Italia;
l'attuale legislazione italiana concede oggi un indennizzo ai
rimpatriati superiore a quello che concede ai giuliani. Infatti, i
rimpatriati dall'Africa hanno ricevuto un primo indennizzo sulla base del
valore reale dei beni alla data della nazionalizzazione e cioé al
1964 per i beni in Tunisia, al 1970 per quelli in Libia e al 1975 per quelli
della nuova Etiopia. A questo indennizzo la legge 5 aprile 1985, n. 135, ha
aggiunto il secondo, moltiplicando per 1,90 il valore del primo. Per loro la
legge non ha stabilito né il valore base al 1938 né i
coefficienti scalari;
i giuliani interessati, nella maggioranza assoluta erano proprietari
di una casa e di qualche ettaro di terreno, mentre i rimpatriati dalle
colonie e dall'estero erano titolari di aziende agricole, di grandi
officine, di grandi società il cui indennizzo comporterebbe uno
stanziamento pesante, difficil mente accoglibile dall'attuale situazione
finanziaria e certamente rischierebbe di compromettere anche le richieste
modeste dei giuliani. Pertanto per ragioni storiche, giuridiche e
finanziarie, si preferisce trattare a parte i due problemi.
L'attuale legislazione ammette all'indennizzo dei beni delle ex province
di Pola, Fiume e Zara, soltanto i proprietari la cui opzione per conservare
la cittadinanza italiana é stata accolta dalle autorità
iugoslave (articolo 19 del Trattato del 1947). L'opzione doveva essere
esercitata dal 15 settembre 1947 al 15 settembre 1948. Ma poiché
l'accoglimento é stato lasciato all'arbitrio delle locali
autorità iugoslave, il termine é stato riaperto dal 23
dicembre 1950 al 23 febbraio 1951.
Il comma 3 dell'articolo 1 della legge 29 gennaio 1994, n. 98, ha
precisato che "il requisito della cittadinanza italiana... deve essere
comprovato al momento del verificarsi delle perdite dei beni". Questo
provvedimento va incontro ai rimpatriati dalle colonie che sono stati
colpiti da un unico provvedimento collettivo di espulsione dai singoli
paesi, ma danneggia i giuliani che sono stati colpiti da provvedimenti
personali:
molti sono stati obbligati ad assumere la cittadinanza iugoslava;
altri sono stati deportati e sono deceduti nella deportazione o sono
rientrati dopo cinque-dieci anni come cittadini iugoslavi;
a detta delle stesse autorità di Belgrado circa 10 mila opzioni
sono state abusivamente respinte dalle autorità locali. Potevano
essere respinte soltanto quelle di coloro la cui lingua madre era il croato;
molti, vistisi perseguitati e nell'impossibilità di optare,
hanno raggiunto clandestinamente l'Italia con fughe drammatiche attraverso
la frontiera e attraverso l'Adriatico;
altri, già italiani, sono emigrati all'estero come apolidi;
altri non hanno optato perché inizialmente sono rimasti
proprietari dei beni. Ma sono stati espropriati dei beni successivamente
quando era già scaduto il termine per optare per la conservazione
della cittadinanza italiana.
L'attuale legislazione ammette all'indennizzo dei beni della ex zona B
soltanto coloro che risultavano cittadini italiani al giugno 1945
(occupazione slava) e all'11 aprile 1958 (data di entrata in vigore della
legge sugli indennizzi del 18 marzo 1958, n. 269). Ora:
molti sono rimasti nella ex zona B anche dopo tale termine, in attesa
dell'Accordo di Osimo del 10 novembre 1975;
molti sono emigrati in Australia e nelle Americhe e, per ragioni di
lavoro e di assicurazione, hanno assunto la cittadinanza australiana
perdendo cosí il diritto all'indennizzo dei beni.
Del grave danno arrecato ai profughi si é reso conto il nostro
Ministero degli esteri che, con nota del 15 novembre 1987, ha precisato che
"in virtú dell'Accordo 3 luglio 1965, ratificato il 10 gennaio 1966,
tutti i beni non compresi nella lista del 18 febbraio 1983 (500 situati
nelle ex province di Pola, Fiume e Zara e 179 dell'ex zona B) devono
considerarsi definitivamente acquisiti dalla Jugoslavia e dunque sono
automaticamente ammessi all'indennizzo".
Purtroppo il Ministero del tesoro ha disatteso questo parere del nostro
Ministero degli esteri ed ha condannato questi profughi italiani a perdere i
beni e il relativo indennizzo. In conseguenza questi profughi si sentono
danneggiati tre volte: la prima perché hanno perduto la
proprietà dei beni, la seconda perché speravano di rimanere in
Italia invece il governo ha consigliato loro di emigrare all'estero pagando
loro il viaggio, la terza perché per ragioni di lavoro sono stati
obbligati ad assumere la cittadinanza straniera ed in conseguenza di
ció viene ora negato loro anche l'indennizzo.
L'aver lasciato alle autorità iugoslave il diritto di riconoscere
o di negare la cittadinanza italiana ha pregiudicato cosí il loro
trasferimento in Italia, la conservazione dei diritti di cittadini italiani
e lo stesso indennizzo per i beni perduti. In conseguenza si propone che il
possesso della cittadinanza italiana venga provato con riferimento al giugno
1945 (occupazione iugoslava) e che l'interessato abbia poi trasferito la sua
residenza in Italia.
Per le succitate ragioni la famiglia dei profughi istriani, fiumani e
dalmati, ripone la sua fiducia nel Parlamento italiano.
Le modifiche proposte con l'articolo 3 trovano giustificazione nelle
seguenti considerazioni:
1) la competente Commissione interministeriale ha approvato con
proprie delibere le succitate chiarificazioni. Ora vengono incluse nel
disegno di legge per tranquillizzare alcune perplessità della
Ragioneria generale dello Stato;
2) la Direzione generale dei danni di guerra ha indennizzato le mura
di un edi-ficio distrutto ed ha demandato al Servizio beni abbandonati
l'indennizzazione dell'area che non poteva essere distrutta. Cosí
l'avviamento di un'azienda, diritto indistruttibile, é passato alla
competenza del Servizio beni abbandonati. Una differente interpretazione
verrebbe a colpire coloro che hanno subíto il bombardamento e la
confisca dell'azienda e verrebbe a premiare coloro che hanno subíto
solo la confisca. Sono interessate in particolare le aziende della
città di Zara che é stata distrutta per l'80 per cento;
3) per le stesse ragioni viene confermato il diritto all'indennizzo di
un'attività esercitata in un locale preso in affitto. La licenza
dell'esercizio, infatti, non viene concessa al locale ma alla persona fisica
che esercita l'attività;
4) la conferma dell'attribuzione delle liquidazioni alla Commissione
interministeriale risponde alla necessità di affrettare la
conclusione del problema. La Commissione, infatti, definisce ogni mese
centoventi pratiche e, data la presenza di magistrati, di tecnici, di
rappresentanti di categoria e considerata la preziosa esperienza giuridica e
tecnica acquisita, riesce a risolvere situazioni molto complicate che
richiederebbero il parere degli organi superiori dello Stato.
DISEGNO DI LEGGE |
Art. 1.
1. L'indennizzo previsto dall'articolo 8 della legge 5 aprile 1985, n.
135, per i beni, diritti ed interessi abbandonati nei territori italiani
ceduti all'ex Jugoslavia in base al Trattato di pace del 10 febbraio 1947 e
all'Accordo di Osimo del 10 novembre 1975 viene moltiplicato per cinque.
|
Art. 2.
1. La concessione dell'indennizzo di cui all'articolo 1 non é
condizionata alla presentazione della domanda. Sono valide le domande
presentate al Ministero del tesoro - Direzione generale dei danni di guerra
per quella parte di beni che rientra nella competenza dei beni abbandonati.
Nuove domande per i beni che non sono stati mai denunciati possono essere
presentate entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge. Dette
domande possono essere presentate dall'avente diritto per sé e per i
comproprietari degli stessi beni.
|
Art. 3.
1. Al comma 3 dell'articolo 1 della legge 29 gennaio 1994, n. 98, dopo il
primo periodo é inserito il seguente: "Lo stesso requisito é
richiesto per i titolari dei beni abbandonati nei territori ceduti alla ex
Jugoslavia ma con riferimento al 2 giugno 1945 e a condizione che gli stessi
titolari si siano trasferiti in Italia".
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Art. 4.
1. Il comma 1 dell'articolo 1 della legge 29 gennaio 1994, n. 98,
é sostituito dal seguente:
" 1.
Per i beni indennizzabili previsti dall'articolo 1 della legge 26 gennaio
1980, n. 16, come modificato dall'articolo 1 della legge 5 aprile 1985, n.
135, debbono intendersi sia quelli materiali che quelli immateriali. Il
Ministero del tesoro é autorizzato, a domanda degli interessati, da
presentare al Ministero del tesoro entro centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, a liquidare alle ditte esercenti
attività industriali, commerciali ed artigianali, l'indennizzo
relativo all'avviamento delle attività di cui erano titolari nei
Paesi di provenienza. La quantificazione viene calcolata sulla base delle
risultanze degli ultimi tre bilanci. Sono valide le domande già
presentate in merito. Ove gli interessati non siano in grado di produrre
idonea documentazione, la commissione competente potrà, ai sensi
dell'articolo 1226 del codice civile, riconoscere un ulteriore indennizzo
per l'avviamento commerciale fino all'ammontare massimo del 30 per cento di
quanto riconosciuto per i beni materiali dell'azienda in sede di beni
abbandonati e di danni di guerra. Nell'ipotesi in cui l'attività
fosse stata esercitata in locali presi in affitto, la percentuale per la
perdita dell'avviamento viene calcolata sulla base dell'immobile e
dell'attrezzatura".
2. Le riliquidazioni degli indennizzi previsti dalla presente legge sono
effettuate dalla commissione interministeriale prevista dalla legge 5 aprile
1985, n. 135.
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Art. 5.
1. All'onere derivante dalla presente legge, valutato in lire 1.000
miliardi nel periodo 1996-2001, si provvede con gli stanziamenti iscritti
nel capitolo 4543, "Oneri dipendenti dall'esecuzione delle clausole
economiche del Trattato di pace e di accordi internazio nali connessi al
Trattato medesimo", dello stato di previsione della spesa del Ministero del
tesoro.
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