Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00549

Atto n. 1-00549

Pubblicato il 31 marzo 2016, nella seduta n. 601
Esame concluso nella seduta n. 743 dell'Assemblea (18/01/2017)

MARIN , ROMANI Paolo , AMIDEI , GHEDINI Niccolo' , MALAN , RIZZOTTI , MANDELLI , FLORIS , VILLARI , FAZZONE , MINZOLINI , SIBILIA , PICCOLI , GASPARRI , DE SIANO , BERTACCO , BOCCA , CERONI , PELINO , CARRARO , CARDIELLO , PALMA , GIRO , SCOMA , CALIENDO , ALICATA , ARACRI , BOCCARDI , GIBIINO , FASANO , ZUFFADA , SCILIPOTI ISGRO' , GALIMBERTI

Il Senato,

premesso che:

l'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", cosiddetto salva Italia, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha escluso per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione automatica di tutte le pensioni di importo superiore a 3 volte il trattamento minimo INPS dell'anno rivalutato (1.443 euro mensili lordi). Sul totale dei pensionati, è stato così escluso da rivalutazione un pensionato su 3 (come risulta da fonti dell'INPS al 31 dicembre 2012);

con la sentenza n. 70 del 2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale disposizione;

con tale pronuncia la Corte ha ritenuto che «sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico (...) siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento e con "irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività"». «L'interesse dei pensionati, prosegue la Corte, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)»;

per effetto di tale pronuncia di incostituzionalità, i titolari dei trattamenti pensionistici esclusi hanno riacquistato retroattivamente il diritto alla rivalutazione dei propri trattamenti pensionistici e quindi ad ottenere il pagamento degli arretrati con interessi dalla maturazione al saldo e rivalutazione e il ricalcolo della pensione, a valere sui trattamenti successivi e sulla determinazione degli assegni futuri;

al fine di dare attuazione alla sentenza, il Governo ha emanato il decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, recante "Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR", convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109;

in particolare, l'articolo 1 del decreto-legge ha sostituito il comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, prevedendo, ferma restando la rivalutazione del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS, il riconoscimento della rivalutazione per gli anni 2012-2013, nella misura del: 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a 3 volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a 4 volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi; 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a 4 volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a 5 volte; 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a 5 volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a 6 volte;

inoltre, l'art. 1 ha introdotto il comma 25-bis al medesimo articolo 24, che stabilisce, con riguardo ai trattamenti pensionistici cumulati superiori a 3 volte il trattamento minimo e inferiori a 6 volte tale limite, gli effetti che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici produce a partire dall'anno 2014. In particolare, l'incremento perequativo attribuito per gli anni 2012 e 2013, che costituisce la base di calcolo per poi determinare gli importi mensili delle pensioni a partire dal 2014, viene riconosciuto in misura pari: al 20 per cento dell'aumento ottenuto nel biennio 2012-2013, relativamente agli anni 2014 e 2015; al 50 per cento dell'aumento ottenuto nel biennio 2012-2013, a decorrere dall'anno 2016;

tale meccanismo, che dispone un rimborso parziale, non consente la completa restituzione degli importi che sarebbero spettati ai pensionati a seguito della sentenza, non garantendo il pieno rispetto di quei principi di proporzionalità e adeguatezza dei trattamenti pensionistici che la Consulta ha posto alla base della sua sentenza, ed è quindi da ritenersi illegittimo;

come specificato dall'INPS con la circolare n. 125 del 25 giugno 2015, il riconoscimento della perequazione nei termini indicati opera esclusivamente ai fini della determinazione degli importi arretrati relativi agli anni 2012-2013;

il giudice del lavoro del tribunale di Palermo, in data 21 gennaio 2016, pronunciandosi sul ricorso di un pensionato che, nel 2013, aveva chiesto di dichiarare incostituzionale il decreto salva Italia che annullava del tutto la rivalutazione delle pensioni sopra le 3 volte il minimo per i 2 anni 2012 e 2013, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 36, comma primo, e 38, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'articolo 24 così come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

molteplici sono i ricorsi avviati in tutta Italia dalle associazioni dei consumatori;

si ritiene che sia doveroso attivare, comunque, meccanismi di rimborso delle intere somme maturate a seguito delle indicizzazioni conseguenti alla sentenza n. 70 del 2015, proprio al fine di non incorrere in nuovi ricorsi che, considerata la serie di sentenze in materia che vanno comunque nella direzione di riconoscere i principi costituzionali ribaditi dalla Corte, potrebbero portare a nuove sentenze in favore del rimborso integrale delle mancate somme da indicizzazione;

considerato che:

l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, al comma 6, ha ridefinito inoltre i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012, disponendo l'innalzamento a 66 anni del limite minimo per accedere alla pensione di vecchiaia sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi, nonché l'anticipazione della disciplina a regime dell'innalzamento progressivo dell'età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018, in luogo del 2026;

sono attualmente all'esame della XI Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati alcune proposte di legge che introducono disposizioni per consentire la libertà di scelta nell'accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico. Tra queste vi è la n. 857 dell'on. Damiano, presidente della stessa Commissione, che introduce forme flessibili di pensionamento volte a consentire al lavoratore che abbia maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni e il cui importo dell'assegno, secondo l'ordinamento previdenziale di appartenenza, sia almeno pari a 1,5 volte quello dell'assegno sociale, la possibilità di scegliere il momento di cessazione dell'attività lavorativa, all'interno di una fascia che va da un minimo di 62 anni ad un massimo di 70 anni di età. Il trattamento pensionistico viene definito determinando l'importo massimo conseguibile, secondo l'ordinamento previdenziale di appartenenza di ciascun lavoratore, al quale viene applicata una riduzione o maggiorazione sulla quota di trattamento pensionistico calcolata con il sistema retributivo, a seconda che l'età di pensionamento sia inferiore o superiore ai 66 anni e degli anni di contributi versati. In particolare si prevede una riduzione o una maggiorazione correlata all'età dell'effettivo pensionamento, che varia da una riduzione dell'8 per cento a un aumento dell'8 per cento, con valore neutro di riferimento pari a 66 anni;

considerato inoltre che:

secondo dati Istat del dicembre 2015 sui trattamenti pensionistici, il 40,3 per cento dei pensionati percepisce un reddito da pensione inferiore ai 1.000 euro ed il 25,7 per cento, ha un assegno inferiore ai 500 euro;

la tassazione sulle pensioni in Italia è tra le più alte d'Europa (per redditi fino a 15.000 euro si applica l'aliquota percentuale del 23 per cento, per arrivare al 43 per cento per redditi oltre i 75.000 euro). Tale situazione è tra le cause del trasferimento sempre più in aumento di pensionati italiani in Paesi dove la tassazione è più bassa,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi al fine di promuovere una modifica del dettato del decreto-legge n. 65 del 2015, dando piena attuazione alla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, prevedendo per i titolari di pensione il ristoro completo delle perequazioni;

2) a prevedere che le modifiche annunciate per favorire la "flessibilità in uscita" avvengano senza penalizzare i lavoratori attraverso riduzioni del trattamento pensionistico;

3) a prevedere l'aumento delle pensioni per i soggetti disagiati;

4) a ridurre il livello di tassazione dei trattamenti pensionistici.