Legislatura 13ª - Disegno di legge N. 964
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SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIII LEGISLATURA ———–
N. 964
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori CIRAMI, FUMAGALLI CARULLI,
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 16 LUGLIO 1996
Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove
ONOREVOLI SENATORI. - Le considerazioni che seguono nascono in primo luogo da una evidenza che emerge oramai in tutta la sua gravità nell'evolversi dei processi penali.
Dall'attuale contesto normativo del codice di rito deriva che la maggior parte dei processi che hanno per oggetto reati che, per la loro stessa natura (per es. la corruzione), vedono come informate solo persone che hanno preso parte al fatto, vengono definiti esclusivamente sulla base di elementi che, nel disegno originario del legislatore del 1988, non potevano neppure essere considerati prove. In questi casi, infatti, data la frequenza con cui viene esercitato il diritto di astenersi dal deporre, si giunge inevitabilmente a sentenza fondandosi su "prove" formatesi in assenza di contraddittorio e assunte unilateralmente da una parte (il pubblico ministero). Si impedisce cosí, tra l'altro, anche quel controllo sull'attendibilità, sopratutto intrinseca, che l'articolo 192 commi 3 e 4 codice di procedura penale esige venga operato sulle dichiarazioni provenienti da soggetti imputati o indagati in procedimento connesso o collegato.
Accade, infatti, con sempre maggiore frequenza che nel corso di procedimenti con piú imputati alcuni di essi vengano giudicati separatamente o che concordino la pena preventivamente al processo, in tal modo definendo la propria posizione processuale e sottraendosi al dibattimento, mentre altri, invece, operino una valutazione differente evidentemente convinti di poter provare in sede dibattimentale la propria innocenza ovvero il minor grado di responsabilità rispetto alle imputazioni loro ascritte.
Per questi ultimi, pertanto, la sede dibattimentale costituisce il cuore dell'intero procedimento, che in tanto esso puó manifestare la propria validità in quanto all'imputato venga pienamente riconosciuto il proprio diritto a vedere assunte in contraddittorio le prove della propria colpevolezza.
Ma tutto questo appare vanificato dal fatto che nel corso del dibattimento possono essere assunte le dichiarazioni rese in sede di istruttoria preliminare tutte le volte in cui uno degli imputati, avendo definito il proprio procedimento con uno dei riti speciali (giudizio abbreviato - patteggiamento) o in altro modo, si avvalga del proprio diritto di non rispondere. In tal caso l'attuale imputato vede dedotta in giudizio tutta una serie di dichiarazioni (ed oltretutto solo le dichiarazioni che il pubblico ministero ha inserito nel fascicolo) che costituiscono atto di parte essendo state assunte solo dal pubblico ministero senza alcuna possibilità di contraddittorio con la difesa dell'imputato. Questi ha diritto alla formazione della prova, che é diritto attuale, effettivo e non altrimenti tutelabile, e che di certo dovrebbe prevalere sulla facoltà/diritto di chi (coimputato o imputato in proc. connesso) si avvale di non rispondere, impedendo cosí al Giudice ed all'imputato di verificare, con l'esame diretto, la attendibilità di quelle dichiarazioni.
La gravità della situazione é oltretutto aumentata dalla circostanza che l'acquisizione probatoria del pubblico ministero in corso di istruttoria preliminare interviene secondo modalità e con forme di trascrizione evidentemente tutte particolari in quanto molto spesso l'indagato manifesta al pubblico ministero una propria posizione diretta a sminuire le proprie responsabilità incrementando quelle di altri soggetti ovvero é naturalmente portato a subire il metus derivante dalla evidente posizione di "potere" propria dell'accusa. A non parlare, poi, di eventuali, anche se spesso involontarie ma altrettanto pregiudizievoli, "concertazioni" accusatorie tra dichiarazioni o propalazioni omogenee tra di loro incrociate.
Con la evidente conseguenza di una irragionevole compressione del diritto di difesa per le attenuate (spesso mancanti) ragioni di garanzia dovute alla palese violazione del contradittorio per l'attuale imputato, cui non viene affatto riconosciuta "un'occasione adeguata e sufficiente per controbattere una testimonianza a carico e per interrogare l'autore al momento della deposizione o in seguito (sentenze della Corte Europea: 20 settembre 1993, Saidi c. Francia, serie A, n. 201 c. e 19 febbraio 1991 Isgró c.Italia, serie A, n. 194 A).
Occorre ancora aggiungere che l'accusa é in grado di acquisire elementi probatori mediante atti di indagine (ad esempio il sequestro dei documenti) che di fatto limitano ulteriormente la possibilità dell'imputato di operare una adeguata autonoma difesa.
La sinteticità con la quale molto spesso sono redatti i verbali di interrogatorio costituisce di per sé un ulteriore elemento di pregiudizio per l'esercizio di una efficace difesa, posto che, come é naturale, l'accusa predisponendo essa un proprio atto di parte tende ad evidenziare i soli aspetti favorevoli all'accusa medesima che afferiscono sia all'indagato sia ad altre persone coinvolte nell'indagine e che rivestiranno poi la veste di imputati nel corso del dibattimento.
In tale contesto appare quindi di assoluta evidenza che introducendo tali acquisizioni probatorie nel corso del procedimento l'imputato si trova nella impossibilità fisica di poter contestare in tutto o in parte i contenuti dei verbali prodotti dal pubblico ministero e si trova nell'impossibilità fisica di poter contestare la ricostruzione dei fatti proposta dal verbale medesimo.
Lo sbilanciamento a favore dell'accusa nel dibattito processuale risulta pertanto assoluta, in contrasto quindi con l'articolo 24, secondo comma, della Costituzione ed in contrasto altresí con quel principio di ragionevolezza che proprio é alla base della sentenza n. 254 del 1992 della Corte Costituzionale. Questa ha visto, sbagliando, una irragionevolezza tra la disciplina prevista nel primo comma (per le dichiarazioni dell'imputato) e la disciplina prevista dal secondo comma (per le dichiarazioni delle persone imputate in procedimenti connessi) ed ha dichiarato la illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 513 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice, sentite le parti, disponga la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al primo comma del medesimo articolo, rese dalle persone indicate nell'articolo 210 del codice di procedura penale, qualora queste si avvalgano della facoltà di non rispondere.
La conseguenza di questa sentenza é che, ogni qualvolta la persona imputata in un procedimento connesso si rifiuti di rispondere, potranno essere lette ed acquisite le dichiarazioni da costei rese nella fase delle indagini preliminari al pubblico ministero; e queste dichiarazioni hanno valore probatorio, quando possano essere valutate unitamente a elementi di prova che ne confermano l'attendibilità; la giurisprudenza ha ripetutamente detto che questi riscontri possono essere di qualunque specie o consistere anche in una diversa dichiarazione di persona imputata di reato connesso. Cosicché la prova puó essere legittimamente affidata a due dichiarazioni raccolte dal pubblico ministero, perché le persone si sono rifiutate di rispondere nel dibattimento.
La convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede, all'articolo 6, che "ogni accusato ha diritto soprattutto a ... interrogare e fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico".
Il sistema conseguente alla sentenza n. 254 del 1992 della Corte costituzionale si pone in stridente contrasto con questa legge dello Stato, perché la prova di accusa potrebbe essere raccolta, senza contraddittorio, da un soggetto che é parte nel processo; quando dovrebbe essere chiaro che, posto il principio costituzionale della imparzialità del giudice, se ne dovrebbe ricavare la necessità che la prova sia assunta esclusivamente da quest'ultimo, salvo i casi di impossibilità sopravvenuta di ripetizione della prova stessa. La decisione della Corte, in omaggio ad un presunto principio di non dispersione dei mezzi di prova, ha dato origine ad una inaccettabile compromissione del diritto di difesa che oggi impone una rilettura dell'intero sistema che tenga conto della prevalenza del diritto di difesa di chi é attualmente imputato rispetto alle ragioni di tutela contro autoincriminazioni di chi viene esaminato in un procedimento connesso dopo avere irrevocabilmente definito la propria posizione.
Se si aggiunge che tutto questo costituisce una patente violazione dell'articolo 6, terzo comma, lettera d) della convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo, l'anomalia del processo penale cosí come oggi praticamente attuato appare assolutamente intollerabile.
Occorre perció mutare decisamente tendenza, e diventa, pertanto, cogente una diversa formulazione della normativa mirata a far sí che la prova si formi nell'assoluto rispetto del contradittorio e venga raccolta dal giudice e non da una sola parte processuale.
Il sistema delineato dal codice di procedura penale del 1989 prevedeva che le persone imputate in procedimenti connessi, che fossero esaminate nel dibattimento, avessero obbligo di presentarsi, dovessero essere assistite da difensore ed avessero il diritto di non rispondere, e la lettura delle dichiarazioni rese da costoro nella fase delle indagini preliminari era consentita solo se non fosse riuscito l'accompagnamento coattivo, ovvero l'esame a domicilio (quando vi fosse stata assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento), ovvero, ancora, la rogatoria internazionale (per le persone che si trovassero all'estero). sibilit Si comprende, pertanto, come il legislatore avesse limitato la possibilità di lettura ai soli casi in cui l'atto fosse divenuto, per causa sopravvenute, assolutamente irripetibile; non era prevista, infatti, la lettura nel caso che la persona si avvalesse del diritto di non rispondere.
Il primo comma dell'articolo 513 del codice di procedura penale consentiva di dare lettura delle dichiarazioni dell'imputato qualora costui fosse assente, contumace o rifiutasse di sottoporsi all'esame; la norma era coerente, perché le dichiarazioni dell'imputato nella fase delle indagini preliminari sono obbligatoriamente assunte nel contraddittorio ed alla presenza del difensore.
Risulta quindi necessario assumere una diversa formulazione e/o interpretazione dell'articolo 513 del codice di procedura penale che non consenta al pubblico ministero, senza quantomeno l'espresso consenso dell'imputato contro il quale l'elemento di prova viene prodotto, di dedurre in dibattimento i verbali di interrogatorio assunti in istruttoria preliminare da persone che, avendo aliunde definito preventivamente il procedimento a loro carico, si sottraggano poi al controllo e al confronto in sede processuale.
Nella stessa direzione mirano le proposte innovative dell'articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale e dell'intero articolo 211 del codice di procedura penale.
DISEGNO DI LEGGE |
Art. 1. 1. Il terzo comma dell'articolo 192 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: " 3 . Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 210 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova, estranei alle dichiarazioni stesse, che ne confermano l'attendibilità". |
Art. 2. 1. L'articolo 211 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "Art. 211. - (Presupposti del confronto). - 1. Il confronto é ammesso esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate o le cui dichiarazione siano state lette in dibattimento ai sensi dell'articolo 513, quando vi é disaccordo tra esse su fatti e circostanze importanti. |
Art. 3. 1. L'articolo 513 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "Art. 513. - (Lettura delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare dall'imputato, dal coimputato nel medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 210). - 1. Il giudice, se l'imputato é contumace o assente ovvero si rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura nei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o al giudica nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare. |