Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-01222
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Atto n. 3-01222
Pubblicato il 18 settembre 2014, nella seduta n. 314
SCILIPOTI - Al Presidente del Consiglio dei ministri. -
Premesso che a giudizio dell'interrogante:
l'Italia è stata privata della propria sovranità monetaria già nel 1991 con la privatizzazione della Banca d'Italia e ulteriormente messa in discussione con l'adesione indiscriminata al Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e alla Bce. L'Italia, in un'ottica di reale tensione allo sviluppo, dovrà inoltre e soprattutto dare voce alle vere categorie produttive del Paese, contribuendo così a definire il percorso di rinascita che attende e merita;
è necessario recuperare il "denaro perso" e ciò sarà possibile iscrivendo correttamente nelle voci all'attivo del bilancio della Banca d'Italia le banconote circolanti al valore non del costo reale ma nominale. I 138.000.000.000 euro annui, sottratti all'Italia nel solo 2011, giacché erroneamente iscritti nelle passività, devono ritornare al popolo, nelle casse dello Stato, così da poter essere destinati alle reali e molteplici esigenze del Paese;
è opportuno ricordare che la partecipazione degli istituti di credito privati all'interno della Banca d'Italia raggiunge una percentuale quasi del 95 per cento: gruppo Intesa ha il 27,2 per cento, gruppo San Paolo il 17,23 per cento, Unicredit il 10 per cento, Monte dei Paschi di Siena il 2 per cento, Cassa di risparmio di Firenze oltre l'1 per cento. Lo Stato, invece, ha una piccolissima percentuale nella Banca d'Italia, che è pari al 5 per cento. Ciò è avvenuto perché il Governo Amato nel 1991, con la privatizzazione dei "gioielli" del Paese, ha privatizzato anche la Banca d'Italia e facendolo ha creato condizioni insostenibili per un Paese come l'Italia;
la prima privatizzazione è stata realizzata nel 1992 nella notte del 31 luglio quando il Consiglio dei ministri era semideserto e Giuliano Amato trasformava gli enti di Stato in società per azioni: non solo l'Eni e l'Iri vennero privatizzati, ma anche la Banca d'Italia;
dagli anni 1998-2002 è iniziata una sorta di cessione di quella sovranità che la Banca d'Italia doveva avere e che non ha più, anche con l'adesione all'eurozona, cioè con quel passaggio dalla lira all'euro che non solo dimezzò stipendi e salari, grazie all'iniquo cambio condiviso da Romano Prodi (uno a 2, invece che uno a uno), ma che inoltre diede il via negli anni successivi con il Trattato di Lisbona (2007-2009) e con il meccanismo europeo di stabilità (MES, 2011) al "perfezionamento" dell'usurpazione al popolo della rendita da emissione monetaria e della verifica-pianificazione dei conti pubblici;
oggi la sovranità e la rendita monetaria appartengono alla Banca centrale europea, un organismo che sfugge al controllo degli Stati membri, in nome dell'autonomia, e la rendita da emissione va, per quel che riguarda l'Italia, ai banchieri privati italiani (Unicredit, Intesa San Paolo eccetera) proprietari della Banca d'Italia che ricevono dalla stessa Bce la quota di euro assegnata al nostro Paese, circa il 6-8 per cento del totale;
considerato che a giudizio dell'interrogante:
la moneta è qualcosa di prezioso per un popolo. Quando un popolo perde la sovranità monetaria e non ha più la possibilità di coniare moneta in proprio significa che è schiavo e non ha più la possibilità di uscire dalle crisi che si potrebbero prospettare, come è accaduto nell'ultimo periodo;
il Paese batte moneta, la carta moneta che viene stampata ha un costo reale e un costo commerciale. Il costo reale è il costo tipografico e del colore; il costo commerciale invece è il costo stampato sulla banconota. La differenza tra il costo stampigliato (costo commerciale) e il costo reale della tipografia per una banconota di 500 euro è pari a 499 euro. In altri termini, il costo reale di una banconota da 500 euro è pari ad un euro, mentre il suo costo commerciale, quando viene utilizzata è di 500 euro. I 499 euro di differenza che una volta venivano utilizzati dallo Stato per fare forte il Paese e per creare quelle infrastrutture necessarie, dal 1992 vanno a finire nelle "tasche" degli istituti di credito e delle banche. Ciò significa che 499 euro, che erano una volta dello Stato, oggi sono delle banche. Qualcuno dice che questo signoraggio non è vero. Invece è reale, perché questa differenza, che andrebbe iscritta nel bilancio della Banca d'Italia come attivo, viene iscritta come passivo, viene indicata come un'uscita ed invece è un'entrata,
si chiede di sapere se il Governo non intenda affrontare e fare chiarezza questo argomento e sulla possibilità concreta di "riacquistare" la Banca d'Italia, ovvero se non ritenga opportuno lasciare la Banca d'Italia alle banche private, al contempo attivandosi per quanto di competenza per fondare un nuovo istituto di credito nazionale, nell'interesse degli italiani.