Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00792
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Atto n. 3-00792
Pubblicato il 6 marzo 2014, nella seduta n. 204
FUCKSIA , GIARRUSSO , MORRA , COTTI , MORONESE , PUGLIA - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. -
Premesso che:
il 20 febbraio 2014 Eduardo De Falco, 43 anni, titolare di un panificio-pizzeria a Casalnuovo nella provincia di Napoli, raggiunto da una sanzione di 2.000 euro da pagare in 24 ore e di ulteriori 9.000 a seguire, elevatagli dall'Ispettorato del Lavoro, si è tolto la vita. Notizie di stampa riportano che tale sanzione gli è stata comminata in quanto gli ispettori avrebbero rilevato la presenza di due lavoratrici in nero. Il settimanale "Panorama" del 3 marzo 2014 riporta sulla questione uno stralcio del verbale: «Melania De Angelis, attività? di vendita di pane, indossa il grembiule con il logo "Profumo di pane", acquisita dichiarazione. Lucia Poli, collaboratrice familiare, addetta alla vendita del pane, acquisita dichiarazione». Lucia Poli è la moglie del panettiere De Falco. Melania De Angelis sarebbe - sempre secondo quanto riportato da ""Panorama" - una ragazza di 21 anni che, due giorni a settimana, da due mesi, si guadagnava in nero 30 euro al giorno dalle 7 alle 14;
a parere degli interroganti, il tragico fatto di cronaca svela che il panettiere De Falco non è un piccolo imprenditore che ha preferito la morte alla vergogna, dopo essere stato sorpreso dallo Stato a offrire lavoro in nero. Eduardo De Falco è invece una vittima. Vittima di ciò che la legge e la prassi fiscale italiane sono divenute negli anni, via via che lo Stato si mostra sempre più assetato e avido di entrate, nei confronti di quella particolare e diffusissima realtà italiana che sono le imprese familiari. Questo lo si afferma alla luce dell'evoluzione nel tempo di ciò che la legge prevede, in ordine agli obblighi fiscali e contributivi, di chi partecipa a un'impresa familiare;
il codice civile all'articolo 230-bis stabilisce che l'impresa familiare è quella in cui collaborano coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado. In pratica, l'impresa ha carattere individuale e l'imprenditore assume in proprio diritti e obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi. Ciò significa che il familiare diverso dal titolare collabora all'impresa, ma non la cogestisce. Altrimenti, bisognerebbe costituire una società, con tutti gli obblighi conseguenti;
considerato che:
la riforma del diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151) e la nuova disciplina civilistica dei rapporti familiari condusse il legislatore ad adeguare la normativa fiscale ai principi civilistici. Venne pertanto approvata la legge n. 576 del 1975, che ha stabilito l'autonomia soggettiva tributaria dei coniugi, mantenendo, peraltro, inalterato l'istituto del cumulo dei redditi. La Cassazione, con diverse sentenze, fissò l'orientamento per il quale deve riconoscersi la qualifica di partecipante all'impresa familiare alla moglie anche casalinga, che effettui però per l'impresa prestazioni anche saltuarie che concorrano alla produttività dell'azienda;
con pronuncia della Corte costituzionale (sentenza del 15 luglio 1976, n. 179), l'istituto del cumulo dei redditi è stato dichiarato incostituzionale, perché in contrasto con i principi di eguaglianza e di capacità contributiva; in seguito a tale sentenza, sono intervenute due leggi (la n. 569 del 1976 e la n. 114 del 1977), che hanno stabilito il principio in base a cui, ai fini IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche), soggetti passivi d'imposta sono tutte le persone fisiche cha abbiano la disponibilità del reddito. Da quel momento, a parere degli interroganti, il fisco italiano è diventato il più ostile alla famiglia di tutti i Paesi occidentali, nel nome della scelta che i cittadini debbano essere solo contribuenti individuali di fronte allo Stato. Tutto ciò ha contribuito ad abbattere la curva demografica italiana, mentre in Francia vige il quoziente familiare e negli Usa i coniugi sono liberi di scegliere tra tassazione individuale e cumulo, che naturalmente abbatte l'aliquota marginale da pagare;
la condizione del coadiuvante a titolo gratuito nell'impresa familiare era ancora coerente alla disciplina fiscale dei componenti l'impresa familiare cui si giunse con il decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, il quale precisava che i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49 per cento dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore-capoazienda, sono imputati a ciascun familiare, che abbia però prestato in modo continuativo e prevalente attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Purché, diceva la norma, ciascun familiare attestasse nella propria dichiarazione dei redditi di aver prestato la propria attività di lavoro in modo continuativo e prevalente; pertanto non ne derivava alcun obbligo;
le cose cambiarono dieci anni dopo. Il legislatore, allora, ha dato seguito alle istanze insistenti dell'INPS (Istituto nazionale della Previdenza sociale) e dell'INAIL (Istituto nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), per i quali la disciplina era stata troppo generosa. Lo Stato stava perdendo troppi contributi, pertanto si reputò un errore affidarsi all'autodichiarazione della prestazione "continuativa e prevalente" da parte degli stessi familiari. Con la legge 335 del 1995 il titolare e i familiari lavoratori divennero tutti, senza eccezione, tenuti ad iscriversi alla speciale gestione lavoratori autonomi INPS e a versare i relativi contributi. Tali contributi, di fatto, vengono corrisposti dal titolare dell'impresa familiare, che ha anche facoltà ad esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di ciascun partecipante per la quota dallo stesso dovuta. Questo è stato l'obbligo evaso contestato al panettiere De Falco, ovvero la norma che l'ispettore del lavoro ha deciso di applicare;
malgrado la legge preveda un generale obbligo contributivo, gli interroganti evidenziano che ancor oggi non è affatto certo che la normativa in analisi debba essere applicata senza eccezioni. La Corte di cassazione, con la sentenza del 30 maggio 2013 n. 13580, ha stabilito infatti che l'obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciale dell'impresa familiare non è generale, ma sussiste solo quando l'attività lavorativa ha carattere continuativo e non occasionale. Il caso impugnato fino alla Cassazione era proprio quello di un titolare di una vendita di articoli sportivi ai cui coadiuvanti familiari era stata applicata la stessa norma e lo stesso mancato pagamento contributivo contestati al panettiere De Falco per sua moglie;
considerato inoltre che risulta con ogni evidenza di fondamentale importanza dare un'interpretazione certa della regolazione relativa al coadiuvante familiare. In tale ottica gli interroganti rilevano che sarebbe irragionevole e addirittura indebita l'equiparazione tra il coniuge o altro familiare che collabora saltuariamente nell'attività commerciale del partner o parente entro il 3°grado e il lavoratore subordinato in nero, e questo anche ai soli fini della comunicazione obbligatoria agli Enti previdenziali o al Ministero del lavoro, con conseguenti pesanti sanzioni, come avvenuto nel caso del panettiere De Falco,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo ritenga doveroso porre in essere le opportune iniziative volte a specificare in maniera chiara ed incontrovertibile nella normativa citata che l'iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciale dell'impresa familiare è un obbligo non generale, ma sussistente solo nel caso in cui si registri il carattere stabile e continuativo e non già solo sporadico/occasionale dell'attività lavorativa;
se abbia disposto atti ispettivi volti all'accertamento del rispetto delle regole di condotta deontologiche e procedimentali riferite all'attività posta in essere dall'Ispettorato del Lavoro nel citato caso che ha coinvolto l'attività commerciale del panettiere suicida Eduardo De Falco e, in caso negativo, se non intenda disporli, in particolare con riferimento al termine di 24 ore per pagare la sanzione e alla eventuale sussistenza di una previa diffida, come disposto all'articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004;
se, anche ove il provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale sia stato comminato a seguito di impiego di personale non risultante da documentazione obbligatoria diverso dal coniuge, non reputi di dover verificare se per il caso di specie non sarebbe stato opportuno, prima di stilare il verbale, che gli ispettori promuovessero l'istituto della conciliazione monocratica (ex art. 11, comma 6, del decreto legislativo n. 124 del 2004).