Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00364
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Atto n. 3-00364 (con carattere d'urgenza)
Pubblicato il 17 settembre 2013, nella seduta n. 103
MOLINARI , VACCIANO , BOTTICI , PEPE - Al Ministro dell'economia e delle finanze. -
Premesso che:
la costruzione dell'Unione europea, l'introduzione dell'euro quale moneta comune tra i Paesi membri e la creazione di un sistema europeo di banche centrali impongono di guardare con rinnovato interesse al ruolo ed ai compiti che la Banca d'Italia, in qualità di banca centrale italiana, dovrà svolgere. Infatti, a partire dai 1º gennaio 1999 i Paesi che come l'Italia partecipano all'Unione economica e monetaria (UEM) hanno perso la sovranità monetaria che è stata trasferita, congiuntamente alla politica del cambio, alla Banca centrale europea (BCE) e al Sistema europeo delle banche centrali (SEBC);
l'integrazione della Banca d'Italia nell'ambito del SEBC rende la stessa partecipe delle scelte relative alla determinazione ed all'attuazione della politica monetaria dell'Europa che, come obiettivo principale, persegue il mantenimento della stabilità dei prezzi. A questo si aggiunga che, in considerazione della consolidata organizzazione e presenza territoriale, tutte le banche centrali nazionali saranno chiamate a svolgere importanti compiti di natura operativa al fine di realizzare l'obiettivo della stabilità dei prezzi e di esercitare la vigilanza sul sistema bancario. Pertanto alla Banca d'Italia compete, su autorizzazione della BCE, l'emissione di banconote in ambito nazionale;
la regolazione dei flussi monetari è finalizzata a non lasciare inattive le risorse economiche per mancanza di mezzi monetari e a non far circolare moneta in quantità superiore alle reali necessità del sistema, controllando così i fenomeni inflazionistici nel breve e soprattutto nel medio periodo. L'assolvimento di questo compito porta prioritariamente all'obiettivo del mantenimento della stabilità del potere di acquisto della moneta e, fermo restando tale obiettivo, alla promozione dello sviluppo economico, all'attenuazione degli effetti economici congiunturali e alla massima occupazione delle forze di lavoro disponibili;
il ruolo di fatto svolto dalla Banca d'Italia, anche al di là delle puntuali previsioni normative, riveste un'importanza primaria nello svolgimento dell'azione pubblica;
nonostante l'evidente interesse pubblico e nazionale del ruolo della Banca d'Italia, essa ha conservato per molti aspetti l'originaria struttura societaria privatistica, specie con riferimento al proprio capitale;
la disciplina vigente sull'ordinamento della Banca d'Italia è ancora oggi contenuta anche in fonti normative precedenti rispetto alla Costituzione della Repubblica italiana. I principali testi che regolano la materia sono: 1) l'articolo 1 del testo unico di legge sugli istituti di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca, di cui al regio decreto 28 aprile 1910, n. 204, il quale, nel testo originario, attribuiva la competenza ad emettere biglietti di banca o altri titoli equivalenti, oltre che al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia, alla Banca d'Italia, «con un capitale nominale di 240 milioni diviso in 300.000 azioni nominative da lire 800 ciascuna». Va ricordato che sarà solo con il regio decreto-legge 6 maggio 1926, n. 812, convertito dalla legge 25 giugno 1926, n. 1262, che il servizio di emissione dei titoli di banca verrà unificato; 2) l'articolo 20 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, che ha introdotto la qualifica di «Istituto di diritto pubblico» per la Banca d'Italia. Lo stesso articolo ha modificato la disciplina relativa al capitale, disponendo che il capitale della Banca d'Italia fosse di 300 milioni di lire e che fosse rappresentato da 300.000 quote di 1.000 lire ciascuna, interamente versate. Ai fini della tutela del pubblico credito e della continuità di indirizzo dell'istituto di emissione, il terzo comma dell'articolo prevede che le quote di partecipazione al capitale siano nominative e possano appartenere solamente a: casse al risparmio; istituti di credito e banche di diritto pubblico; istituti di previdenza; istituti di assicurazione; 3) lo statuto della Banca d'Italia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 12 dicembre 2006, in applicazione dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha sostituito il precedente statuto approvato con regio decreto 11 giugno 1936, n. 1067, al fine di adeguarlo alla nuova collocazione della banca nell'ambito del SEBC;
già con l'articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, recante "Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461", erano state incluse le fondazioni bancarie, i cui statuti sono stati adeguati ai sensi dell'articolo 28, comma 1, del medesimo decreto, tra i soggetti che possono partecipare al capitale della Banca d'Italia a condizione che: a) abbiano un patrimonio almeno pari a 50 miliardi; b) operino, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti, in almeno due province ovvero in una delle province autonome di Trento e di Bolzano; c) prevedano nel loro ordinamento la devoluzione ai fini statutari nei settori rilevanti di una parte di reddito superiore al limite minimo stabilito dall'Autorità di vigilanza ai sensi dall'articolo 10 dello stesso decreto legislativo n. 153 del 1999;
in termini riassuntivi, le quote di partecipazione al capitale della banca possono appartenere, oltre che a casse di risparmio, a istituti di diritto pubblico e banche di interesse nazionale, a istituti di previdenza e a istituti di assicurazione, anche a società per azioni esercenti attività bancaria, risultanti dalle operazioni di trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, recante "Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio", ovvero alle fondazioni bancarie;
le fondazioni hanno natura eminentemente privatistica così come stabilito dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999, dove vengono definite «persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale»;
la situazione del capitale della Banca centrale è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo, a cominciare dalla XIII Legislatura. Ai vari atti di sindacato ispettivo proposti il Governo ha a suo tempo fornito una risposta sempre pressoché identica, chiarendo che il capitale della Banca era ripartito fra 94 azionisti, 87 dei quali con diritto di voto. Tra i soci con diritto di voto, rientravano all'epoca 79 società bancarie (84,5 per cento del capitale sociale), un istituto di previdenza (5 per cento del capitale sociale) e 7 istituti di assicurazione (10,5 per cento del capitale sociale). Fra i predetti partecipanti al capitale, a parte il caso della Cassa di risparmio di San Marino che comunque non aveva diritto di voto, 11 società bancarie ed assicurative risultavano in prevalenza private e ad esse faceva capo il 15,89 per cento del capitale della Banca, trasformato in quote con diritto di voto (17,84 per cento);
il Ministro pro tempore del tesoro aggiunse che «l'autonomia dell'istituto, nello svolgimento delle funzioni pubbliche assegnategli dalla legge, non discende dall'appartenenza del capitale della Banca all'area pubblica ovvero privata, ancorché la prevalenza pubblicistica venga conservata dall'articolo 3 prima richiamato. Essa è, invece, assicurata dalla ripartizione dei poteri tra gli organi amministrativi e direttivi dell'ente. Ai primi, espressione dell'assemblea dei partecipanti al suo capitale, l'ordinamento affida l'amministrazione e la gestione dell'ente, mentre riserva ai secondi i poteri per l'esercizio delle funzioni istituzionali di emissione, di Governo della moneta e di vigilanza sul sistema finanziario»;
valutato che:
quale che sia il capitale della Banca d'Italia, la sua proprietà non è mai indifferente rispetto all'azione della banca e all'interesse generale del Paese. Del resto, se l'autonomia dell'istituto non fosse legata all'assetto proprietario del suo capitale, non avrebbero senso le previsioni del suo statuto volte a mantenere in mano pubblica la maggioranza delle quote del capitale;
non a caso, la disciplina del maggiori Paesi stranieri è univoca nel senso di mantenere in capo al soggetto pubblico il controllo del capitale delle banche centrali;
in Francia, la legge 4 agosto 1993, n. 980, precisa all'articolo 6 che la Banca di Francia è un'istituzione il cui capitale appartiene allo Stato. In Gran Bretagna, il Bank of England Act del 1946, che non è stato mai modificato, stabilisce che l'intero ammontare in azioni del capitale della Banca d'Inghilterra viene trasferito, libero da ogni peso, ad un soggetto nominato dal Tesoro inglese, per essere detenuto dalla stessa persona per conto del Tesoro. In Germania, lo statuto della Deutsche Bundesbank del 26 luglio 1957 stabilisce che la Bundesbank è una persona giuridica federale di diritto pubblico e il suo capitale appartiene allo Stato federale. Anche negli Stati Uniti, la Federal Reserve, pur avendo uno statuto atipico ed essendo di proprietà delle banche federali, può essere considerata, sulla base del combinato disposto delle leggi che regolano la materia, una vera e propria banca pubblica;
in Italia, secondo quanto stabilito nel 1936, le casse di risparmio hanno fino a poco tempo fa posseduto la maggioranza del capitale della Banca d'Italia. Ma ciò, a giudizio degli interroganti, aveva ragione di esistere quando le casse di risparmio erano pubbliche;
allo stato attuale il capitale di maggioranza della Banca appartiene a società per azioni esercenti attività bancaria, a seguito delle operazioni di trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 356 del 1990, ossia a seguito della privatizzazione di tali istituti;
considerato altresì che, a giudizio degli interroganti:
la Banca d'Italia, così come si è venuta strutturando nel corso degli anni, è divenuta una struttura di potere e di Governo autocratico ed assoluto dell'economia nazionale e con essa del livello di qualità della vita della popolazione sottratto al governo democratico del Paese. Tra i sui poteri e la natura della sua compagine societaria si sostanzia un potente conflitto di interessi in cui c'è una sostanziale identificazione tra il controllante e il controllore. Anzi, peggio, i controllati sono i controllori del controllante;
a nulla valgono le argomentazioni secondo cui il conflitto è evitato con l'articolazione delle competenze in capo all'azionariato. A nessuno può sfuggire che l'esistenza stessa dei dividendi annuali presuppone comunque una funzione speculativa e quindi non di garanzia;
oltre ad una condizione di conflitto di interessi tra il compito di vigilanza sul settore bancario e la struttura azionaria, nel nuovo contesto internazionale e europeo, la Banca d'Italia è un vero e proprio anacronismo, non più difendibile, oltre che limitante la sovranità repubblicana;
la mancanza di una banca di Stato pone il nostro Paese in una condizione di maggiori difficoltà e di essere più esposto a tutte le manovre speculative, proprio in quanto privo di una struttura finanziaria che risponde agli interessi dei cittadini, ma è rappresentato da una struttura che, in quanto di proprietà di aziende bancarie e finanziarie, è naturalmente indotta ad interpretare il principio della stabilità finanziaria come garanzia di solidità e di utili per le banche, piuttosto che stabilità di rifornimento finanziario al sistema produttivo del nostro Paese e dell'Europa;
ritenuto altresì che:
la legge n. 262 del 28 dicembre 2005, recante "Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari", all'art. 19, comma 10, stabilisce: "Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici";
pertanto il termine del 28 dicembre 2008 per riportare la Banca d'Italia nella legalità e nuovamente proprietà del popolo italiano è scaduto;
a giudizio degli interroganti, tale gravissima inadempienza crea nocumento alla credibilità delle istituzioni ed alle aspettative degli utenti e dei risparmiatori, che hanno il diritto di avere un'autorità di vigilanza sganciata dalle lobbies e dagli interessi dei banchieri e dei loro sodali;
in base al combinato disposto degli articoli 3 e 49 dello statuto della banca d'Italia sino all'entrata in vigore del regolamento previsto all'articolo 19, comma 10, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, le quote di partecipazione al capitale della banca stessa potevano appartenere a casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale, società per azioni esercenti attività bancaria risultanti dalle operazioni di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, istituti di previdenza, istituti di assicurazione, ovvero alle fondazioni bancarie;
le quote in cui è diviso il capitale della Banca d'Italia sono complessivamente 300.000, di cui la maggioranza è detenuta dalle banche del gruppo Intesa-Sanpaolo e dal gruppo Unicredit; fra gli azionisti della Banca d'Italia, con i relativi diritti, vi sono oggi, oltre alla maggior parte delle banche italiane, anche la banca francese BNP, la tedesca Allianz, le società di assicurazioni Fondiaria-SAI e Generali, e, tramite Unicredit, parteciperebbe ora anche la Banca di Stato libica mentre lo Stato italiano è solo un socio non ufficiale, privilegiato nella ripartizione degli utili, ma senza quote patrimoniali;
in base alla citata legge n. 262 del 2005, entro la fine del 2008 le banche private avrebbero dovuto cedere le proprie partecipazioni ed il capitale dell'istituto di vigilanza sarebbe dovuto tornare in mano pubblica, invece, a tutt'oggi permane l'antico conflitto di interessi per cui i controllati (le banche) detengono ancora il capitale del loro controllore (la Banca d'Italia), conflitto di interessi che può proiettare ombre sull'attività della Banca d'Italia e sulla sua trasparenza,
si chiede di sapere:
se il Governo non ritenga urgente intervenire, nelle opportune sedi e con atti di propria competenza, al fine di rivedere l'assetto proprietario della Banca d'Italia;
quali siano i motivi per cui non è ancora stato emanato il regolamento di cui in premessa e se non si intenda provvedere con urgenza per dare attuazione alle disposizioni contenute nella legge 28 dicembre 2005, n. 262, in modo da ritrasferire le quote di partecipazione a Banca d'Italia, attualmente in mano a imprese private, allo Stato ed agli enti pubblici, così da sottrarre a giudizio degli interroganti la banca centrale dalle oligarchie private e ricondurla in ambito pubblico;
quali provvedimenti, anche legislativi, si intenda adottare al fine di salvaguardare l'autonomia della banca centrale, eventualmente fissando il principio per cui il capitale della Banca d'Italia deve essere integralmente pubblico, come già previsto in Germania, in Francia e in Inghilterra;
se il Governo intenda attivarsi, per quanto di competenza, al fine di attribuire al Ministero dell'economia e delle finanze la titolarità dell'intero capitale della Banca d'Italia, prevedendo inoltre l'incedibilità delle quote di partecipazione e provvedendo altresì a disciplinare le modalità di rimborso delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia, avendo riguardo al valore nominale delle stesse ed alla media degli utili netti assegnati ai partecipanti negli ultimi 5 anni.