Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 2-00541

Atto n. 2-00541

Pubblicato il 29 ottobre 2012, nella seduta n. 823

GIARETTA , CECCANTI , COSENTINO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

in funzione del contenimento e della riqualificazione della spesa pubblica, l'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetta spending review), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha introdotto una nuova disciplina delle società pubbliche, orientata a realizzare, attraverso la riorganizzazione, la messa in liquidazione o la privatizzazione delle stesse società, una generalizzata riduzione del loro perimetro di operatività;

fin dalla sua entrata in vigore, tale disciplina ha posto agli amministratori e agli enti interessati numerose incertezze interpretative, che ne stanno a tutt'oggi ritardando o condizionando l'attuazione, anche in relazione al rischio che un'interpretazione non conforme delle nuove norme possa recare pregiudizio all'esercizio stesso della funzione amministrativa;

ad essere coinvolta è infatti una vasta platea di società controllate dalle amministrazioni statali e territoriali, in larga misura costituitesi negli anni per effetto dei reiterati blocchi del turnover e, in generale, per fronteggiare quelle misure di progressivo irrigidimento dei bilanci pubblici che hanno finito talora per imporre il ricorso a queste forme organizzative anche per l'esercizio delle funzioni ordinarie proprie delle amministrazioni controllanti;

considerato, nel merito, che:

la nuova disciplina dispone che le società controllate direttamente e indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato superiore al 90 per cento dell'intero fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni (indipendentemente se tale fatturato derivi all'amministrazione controllante) debbano procedere alternativamente: a) allo scioglimento entro il 31 dicembre 2013; b) alla privatizzazione entro il 30 giugno 2013, attraverso l'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, dell'intera partecipazione della pubblica amministrazione;

l'obbligo di scioglimento/privatizzazione enunciato in via generale è espressamente derogato per alcune tipologie di società: in primo luogo le società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica. Tale formulazione sembra orientata a far salve dall'applicazione della nuova disciplina tutte le società che erogano servizi pubblici locali, per le quali, tuttavia, non è chiaro quale sia la disciplina di riferimento dopo l'abrogazione dell'articolo 4 del decreto-legge n. 138/2011 da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 199 del 20 luglio 2012);

inoltre, a prescindere dalla posizione sul mercato e dalla natura dell'oggetto sociale, l'articolo 4 della spending review prevede che l'obbligo di scioglimento/privatizzazione previsto non operi qualora, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento, non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato. In tal caso, l'amministrazione è tenuta a predisporre un'analisi del mercato e a trasmettere conseguentemente una relazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in tempo utile per rispettare i termini dettati dalla legge. A questo proposito, non è chiaro se la norma si riferisca al termine del 30 giugno 2013 per procedere alla privatizzazione ovvero al termine massimo del 31 dicembre 2013, visto che il divieto di mantenere gli affidamenti diretti in essere opera solo a decorrere dal 1° gennaio 2014;

a fronte di questo quadro, applicabile a tutte le società controllate dalla pubblica amministrazione indipendentemente dal fatto che rendano o meno servizi strumentali all'amministrazione controllante, la nuova disciplina sembra ritagliare una procedura ad hoc per le società cosiddette in house. Il comma 3-sexies dell'articolo 4 prevede infatti che, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, le pubbliche amministrazioni controllanti possano predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate, nell'ambito dei quali sono individuate le attività connesse esclusivamente all'esercizio di funzioni amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione che possono essere riorganizzate e accorpate attraverso società che rispondono ai requisiti della legislazione comunitaria in materia di in house providing. Si può pertanto ritenere che per le società che rispondono a queste caratteristiche l'obbligo di scioglimento/privatizzazione non operi, e al suo posto si ponga, a carico dell'amministrazione interessata, un mero onere di riorganizzazione o accorpamento, in quanto le funzioni amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione ineriscono ad attività di produzione di beni o di servizi strettamente necessari per il perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente, attività che, ancorché erogate in favore dell'ente e non dell'utente, sono valutate dallo stesso ente essenziali per il soddisfacimento dei bisogni primari della comunità di riferimento;

d'altra parte, per valutare pienamente gli effetti della nuova disciplina sulle società in house, la disposizione del comma 3-sexies dovrebbe essere letta congiuntamente a quella del comma 8 dello stesso articolo 4, secondo cui: "A decorrere dal 1º gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui";

questa norma pone dunque un limite economico al valore degli affidamenti diretti che un'amministrazione pubblica può conferire ad una società in house a capitale interamente pubblico. Tale limite deve intendersi riferito al complesso degli affidamenti effettuati alla medesima società, considerato il divieto di frazionamento dei lavori o dei servizi posto dal codice dei contratti pubblici (art. 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006);

per come formulata, la norma pone due ordini di problemi interpretativi. La disciplina e la giurisprudenza comunitarie dell'in house providing negano la sussistenza di un rapporto contrattuale tra la pubblica amministrazione e la società in house che ne sia diretta articolazione organizzativa. Tra loro sussiste infatti un rapporto organico (o di delegazione interorganica), fondato sul principio di auto-organizzazione amministrativa, che vale di per sé a giustificare la sottrazione all'obbligo di gara per procedere all'affidamento (o meglio alla delegazione) di servizi;

in tal senso, la fissazione di un limite economico agli affidamenti diretti tra soggetti comunque interni all'amministrazione e legati tra loro da delega interorganica risulterebbe in contraddizione con la stessa qualificazione comunitaria dell'in house providing, che pure la nuova disciplina dell'articolo 4 richiama espressamente;

in definitiva, se niente avrebbe impedito al legislatore nazionale di adottare una disciplina più stringente di quella comunitaria ed eventualmente di vietare in toto la fattispecie organizzativa dell'in house providing, la scelta di limitarne soltanto l'operatività, vincolandola ad un valore economico massimo del servizio delegato alla società, rischia di non apparire adeguatamente giustificata, visto che il ricorso a tale forma organizzativa si giustifica proprio in relazione alla complessità e alla dimensione dei servizi delegati (tanto più se si assume a riferimento una soglia tipica della disciplina degli affidamenti applicabile a soggetti effettivamente terzi all'amministrazione);

tale limite non sembra pertanto applicabile a società ed organismi che svolgono "attività connesse esclusivamente all'esercizio di funzioni amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione", per le quali il comma 3-sexies dispone la riorganizzazione o l'accorpamento "attraverso società che rispondono ai requisiti della legislazione comunitaria in materia di in house providing". Diverso è il caso dell'acquisizione di lavori e servizi diversi dalle attività amministrative proprie dell'ente, per i quali il Codice dei contratti pubblici ammette l'acquisizione in economia per valori non superiori a 200.000 euro, secondo una soglia coincidente, non casualmente, con quella introdotta dall'articolo 4 per l'affidamento diretto alle società in house;

in tal senso, l'unica interpretazione della nuova disciplina compatibile con l'impostazione comunitaria dell'istituto dell'in house providing e con la disciplina vigente degli appalti pubblici (anch'essa di derivazione comunitaria) sembrerebbe essere quella secondo cui il limite superiore di 200.000 euro agli affidamenti diretti, previsto dal comma 8, si applica alle società in house limitatamente a quest'ultimo tipo di lavori e servizi e, in generale, alle sole attività estranee all'esercizio di funzioni amministrative proprie dell'ente;

l'altro problema è quello posto dall'autonomia organizzativa degli enti locali nell'esercizio delle loro funzioni amministrative (quelle di cui all'articolo 118 della Costituzione, espressamente richiamato dal comma 3-sexies dell'articolo 4). Si può infatti sostenere che l'istituto dell'in house providing, più che un'eccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, è a sua volta espressione di un principio generale, ben radicato sia nel diritto comunitario che nell'ordinamento nazionale: il principio di auto-organizzazione o di autonomia istituzionale, in virtù del quale gli enti pubblici, soprattutto gli enti locali dotati di un'autonomia costituzionalmente garantita, possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità istituzionali;

anche sotto questo profilo, un'interpretazione letterale ed estensiva (applicabile a tutte le attività svolte in house) dell'operatività dei limiti posti dalla nuova disciplina agli affidamenti diretti rischierebbe di risultare lesiva dei principi di autonomia istituzionale e di autodeterminazione degli enti locali, di cui agli articoli 5, 114, 117 e 118 della Costituzione (gli stessi principi invocati dagli enti territoriali che hanno promosso di fronte la Corte costituzionale il giudizio conclusosi con la citata sentenza n. 199 del 2012);

infine, un'ulteriore disposizione di carattere generale dispone, al comma 7, che "Al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale", a decorrere dal 1º gennaio 2014, le pubbliche amministrazioni, le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori, nel rispetto della disciplina del codice dei contratti pubblici, debbano acquisire sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dallo stesso codice. A questo proposito, il riferimento ai beni e servizi strumentali può ingenerare confusioni rispetto alla disciplina speciale dell'in house providing. Tuttavia, il comma 7 non può ritenersi applicabile alle società in house (per le quali il comma 8 detta diverse e specifiche limitazioni) e si deve quindi supporre riferito ai casi in casi in cui le amministrazioni intendano rivolgersi al mercato per l'acquisizione di beni e servizi, scegliendo il modello alternativo dell'outsourcing,

si chiede di sapere:

se, con riferimento a ciascuna delle questioni interpretative relative all'effettiva natura e portata della disciplina delle società pubbliche di cui all'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, il Governo non ritenga indispensabile fornire alle amministrazioni interessate i necessari chiarimenti, offrendo, se necessaria, un'interpretazione coerente e costituzionalmente orientata delle singole norme, ovvero segnalando al Parlamento le innovazioni legislative eventualmente necessarie per la piena operatività del nuovo regime;

in generale, se non ritenga indispensabile assicurare alle amministrazioni pubbliche (in primo luogo agli enti la cui autonomia istituzionale e organizzativa è costituzionalmente protetta) un orizzonte normativo certo e stabile entro cui programmare e pianificare le rispettive politiche, a beneficio dell'efficacia dell'azione amministrativa e della qualità dei servizi erogati ai cittadini.